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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 30 aprile 2010, n. 1207
CAVE E MINIERE - Regione Lombardia - Art. 6 L.r. n. 14/98 - Nuovi ambiti
territoriali estrattivi - Individuazione in prossimità delle aree già
interessate da attività estrattive - Presupposto dell’esaurimento dei
preesistenti giacimenti - Necessaria ricorrenza - Esclusione - Ragioni. Il
secondo comma dell’art. 6 della L.r. Lombardia n. 14/98, per il quale gli ambiti
territoriali estrattivi da identificare “devono accorpare aree contigue a quelle
oggetto di attività, con priorità rispetto all’apertura di altre aree”, ha
unicamente fissato il principio per il quale i nuovi ambiti vanno posti in
prossimità delle aree già interessate da attività estrattive, sul presupposto -
riferibile alla discrezionalità del legislatore regionale - che le cave debbano
essere il più possibile accorpate, per consentirne una più efficace vigilanza e
per salvaguardare le aree ambientali non incise dalla loro coltivazione. (cfr.
Consiglio di Stato, sent. n.6233/2005). Dal medesimo principio non può invece
trarsi, in via interpretativa, la conclusione per cui l’individuazione di nuovi
ambiti potrebbe avere luogo solo a seguito dell’esaurimento dei preesistenti
giacimenti. Tale conclusione, oltre a non essere consentita dal dato letterale
della norma, urterebbe con i principi riguardanti la pianificazione, poiché - in
sede di approvazione del nuovo piano - la Regione - per esigenze di salvaguardia
dell’ambiente - può valutare se le aree individuate nel piano precedente siano
ancora suscettibili di ulteriori coltivazioni ovvero risultino tanto compromesse
da far ridurre o eliminare la precedente capacità estrattiva, con
l’individuazione di altre aree idonee. Pres. Leo, Est. Plantamura - S. s.r.l.
(avv. Invernizzi) c. Regione Lombardia (avv. Cederle) e altro (n.c.) - TAR
LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 30 aprile 2010, n. 1207
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 01207/2010 REG.SEN.
N. 00324/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 324 del 2009, proposto da:
S.I.C. - Societa' Italiana Conglomerati Srl, in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Invernizzi,
con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Monti n. 41;
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'avv. Marco Cederle, elettivamente domiciliata presso
gli uffici dell’Avvocatura regionale in Milano, via Fabio Filzi n. 22;
Provincia di Varese, in persona del Presidente della Giunta pro-tempore, non
costituita;
nei confronti di
Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino, non costituito;
Comune di Samarate, non costituito;
F.lli Valle Srl - Estrazione Sabbia e Ghiaia - non costituita;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
nelle parti de quibus, della deliberazione del Consiglio regionale 30.09.2008
n.VIII/698 che approva il “Nuovo Piano Cave della Provincia di Varese”, degli
allegati 1 (Piano adottato dalla Provincia con d.C.P. 2.12.2004 n.76) e 2
(Proposte di Piano comprensive delle modificazioni della Giunta regionale e con
le ulteriori modifiche proposte dalla VI^ Commissione del Consiglio regionale);
nonché, delle deliberazioni della G.P. di Varese 15.09.2004 n.322, 7.11.2004 n.
403 e 13.12.2006 n.VIII/3799; della deliberazione del C.P. Varese 12.11.2003
n.72; 2.12.2004n.76; tutte con i pareri ivi richiamati, il P.T.C. del Parco
Lombardo della Valle del Ticino, nelle parti afferenti l’area SIC, ove
interpretabile come legittimante il Piano Cave impugnato, il cd. Piano
Direttore, approvato con d.G.P. 12.12.2000 n.526.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2010 la dott. Concetta
Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente (da ora anche solo “S.I.C.” o “la società”) dispone di un ambito
estrattivo ricadente nel Comune di Samarate, qualificato come “cava di recupero”
dal Piano cave degli anni 1990-2000, riconfermato come tale nella revisione del
2000.
Asserisce – tuttavia – l’esponente che, superando la qualificazione dell’area de
qua come cava di recupero, è possibile corroborare la vocazione estrattiva
dell’area medesima, attraverso l’assegnazione di adeguati volumi di materiali
estraibili e la conseguente possibilità di ottenere, attraverso la loro
commercializzazione, le risorse finanziarie sufficienti a sostenere il
definitivo recupero del territorio, attualmente versante in condizioni critiche.
Sennonché, nell’adozione del nuovo Piano Cave, la Provincia di Varese avrebbe
confermato per la cava SIC la vocazione di cava di recupero, con potenzialità di
soli 100.000 mc estraibili, disattendendo così le richieste dell’esponente di
riconducibilità della cava de qua ad un ambito di sfruttamento organico, con
inserimento in un ambito territoriale estrattivo (a.t.e.) ex art. 6, co. II°,
lett. a), L.R. n. 14/1998, per un quantitativo estraibile di 1.000.000 mc.
Ebbene, riferisce la società che soltanto la VI^ Commissione Consiliare
regionale, nel licenziare la proposta di Piano Cave, prima della sua
approvazione in sede consiliare, avrebbe accolto le richieste di SIC, precisando
che, per l’ambito: “Rg5 di Samarate viene accolta la proposta dell’operatore”.
Tuttavia, nella votazione finale del Piano, sarebbe stata ripristinata
l’originaria destinazione di recupero della cava in questione, con la sola
modifica del quantitativo scavabile, aumentato da 100.000 mc a 300.000 mc.
Da ciò l’odierno gravame, affidato dall’esponente ai motivi come di seguito, in
sintesi, illustrati:
1) violazione di legge ed accesso di potere; travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto, violazione degli artt. 7 e 8 della L.R. n. 14/1998, delle
dd.G.R. 26.02.1999 n.VI/41714 e 31.03.2000 n.VI/49320, degli artt. da 21 a 41
bis del Regolamento del Consiglio regionale, degli artt. 1, 3 e 6 della legge n.
241/1990. In sostanza, la società lamenta qui l’immotivato cambiamento, nella
votazione consiliare, dell’indirizzo espresso dalla VI^ Commissione consiliare
regionale a proposito dell’accoglimento della proposta dell’operatore.
2) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto; violazione degli artt. 6, 11 e 15 della L.R. 14/1998, delle
dd.G.R. 26.02.1999 n.VI/41714 e 31.03.2000 n.VI/49320, degli artt. da 21 a 41
bis del regolamento del C.R., degli artt. 1, 3 e 6 della legge n.241/1990;
sviamento. Ciò, in quanto - a detta della ricorrente - con gli atti gravati
sarebbe stato impedito un razionale intervento sulla cava in esame, proprio a
cagione della qualificazione dell’area stessa come cava di recupero, sin dal
piano cave del 1992, con una potenzialità di soli 100.000 mc. Anche il
quantitativo attualmente assegnato di 300.000 mc sarebbe, prosegue la difesa di
SIC: “assolutamente modesto e tale da non incoraggiare nessuna iniziativa al
riguardo”, poiché gli oneri di estrazione e quelli per attuare il previsto
recupero non troverebbero una sufficiente rispondenza economica nel valore
commerciabile del materiale estraibile.
3) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto; violazione degli art. 27 N.T.A. del P.R.G., artt. 9 e 23
delle N.T.A. del P.T.C.P., delle LL.RR. 86/1983 e 2/1974; della L.n. 394/1991;
degli artt. 1, 3 e 6 della legge n.241/90; sviamento. In sostanza, si afferma
qui che, anche secondo le N.T.A. del Parco, vi sarebbe una correlazione fra
l’attività estrattiva ed il recupero finale dell’area, nella prospettiva di fare
dell’attività estrattiva anche il mezzo per raggiungere l’obiettivo del
miglioramento della situazione ambientale dell’ambito.
4) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto, violazione degli artt. 3 e 6 L.R. 14/1998, delle dd.G.R.
26.02.1999 n.VI/41714 e 31.03.2000 n.VI/49320, degli artt. 1, 3 e 6 della legge
n.241/1990. Sviamento. Ciò, in quanto - dagli atti impugnati - non emergerebbe
alcuna valutazione da parte delle Autorità procedenti in ordine alle condizioni
pianificatorie dell’area circostante a quella di SIC. La tutela dei giacimenti,
inoltre, potrebbe avvenire, a norma di legge, soltanto consentendo un razionale
utilizzo dei giacimenti già intaccati, piuttosto che attraverso lo sfruttamento
di giacimenti intatti.
5) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto; violazione degli artt. 3 L.R. n.14/1998, delle dd.G.R.
26.02.1999 n.VI/41714 e 31.03.2000 n.VI/49320; degli artt. 1, 3 e 6 della legge
n.241/1990; sviamento. Si afferma, qui, in sostanza, che il pianificatore
avrebbe disatteso i vincoli posti nelle delibere regionali richiamate, specie a
proposito della individuazione degli a.t.e. escavatori in continuità e nei
pressi degli ambiti escavatori a vocazione consolidata e della considerazione
delle capacità di assorbimento di materiali da parte del mercato locale
immediatamente attiguo alla cava considerata.
6) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto; violazione della L.R.n.14/1998; delle dd.G.R. 26.02.1999
n.VI/41714 e 31.03.2000 n.VI/49320/00, degli artt. 1, 3 e 6 della legge n.
241/1990; contraddittorietà intrinseca e con atti precedenti, sviamento.
7) mancante.
8) come il motivo 6). Qui, in sostanza, la ricorrente deduce l’esistenza di
contraddittorietà che, a suo dire, vi sarebbe fra la soluzione adottata per la
cava de qua e quanto emergente dalla “Relazione tecnica al piano adottato”; ciò,
con particolare riguardo, in primis al criterio per cui gli ambiti estrattivi
sarebbero individuati in via prioritaria entro le aree di giacimento contigue a
quelle interessate dall’attività estrattiva; indi, con riferimento al criterio
per cui, una volta riconfermato l’inserimento della cava SIC nel Piano Cave con
la qualifica di Cava di Recupero, non si sarebbe tenuto conto della previsione
per cui il recupero ambientale delle predette cave potrebbe avvenire, in assenza
di investimenti pubblici, soltanto attraverso la commercializzazione di un
considerevole volume di materiale.
9) come il motivo 6). La ricorrente lamenta, qui, ancora, l’insufficienza del
quantitativo scavabile assegnato ai fini del recupero del territorio di cava,
questa volta avendo specifico riguardo alla ulteriore previsione, contenuta
nella cit. “Relazione”, per cui: ”Qualora, entro 5 anni dalla data di
approvazione del Piano Cave, non siano state ancora inoltrate istanze di
recupero ambientale si provvederà, in sede di revisione, a stralciare tali cave,
ridistribuendo i relativi volumi di inerti sugli ambiti estrattivi del medesimo
comparto produttivo”.
10) come per il 6). Ciò, in quanto la destinazione impressa alla cava de qua
rivelerebbe anche l’illegittimità della stima delle necessità di materiali
inerti posta a base dell’intero piano, con particolare riguardo al dato
individuato come fabbisogno pro-capite (oltre che per la mancata considerazione
dell’importazione dal Piemonte, nonché dei fabbisogni derivanti dalle opere di
EXPO 2015, ecc.).
11) violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto; violazione della L.R.n.14/1998; della d.G.R. 26.02.1999 n.VI/41714,
della legge n. 241/1990; irragionevolezza; difetto di istruttoria e di
motivazione, manifesta ingiustizia; sviamento.
Ciò, in considerazione del ritardo con cui si sarebbe addivenuti
all’approvazione del Piano de quo.
Si è costituita Regione Lombardia controdeducendo con separata memoria alle
censure avversarie.
Alla pubblica udienza del 23 febbraio 2010 la causa, in conformità della
richiesta delle parti, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Sul primo motivo.
Replica, sul punto, la difesa regionale, nel senso che la determinazione della
Commissione consiliare non avrebbe una valenza procedimentale autonoma e
distinta rispetto all’approvazione consiliare, rientrando la stessa fra quegli
“interna corporis” non rilevanti esternamente e, quindi, non implicanti alcun
onere di specifica motivazione, in caso di modifiche successivamente apportate a
quanto in essi espresso, all’esito della votazione in sede consiliare. Gli unici
atti endoprocedimentali tipizzati, previsti dalla L.R. 14 cit. sarebbero, in tal
senso, rappresentati dalla proposta provinciale, di cui all’art. 7, co.I°
L.cit.; dalla proposta della Giunta regionale, di cui all’art. 8, co.I° L.cit. e
dalla deliberazione conclusiva di approvazione del Consiglio regionale, di cui
al co.II° della norma da ultimo citata; ebbene, conclude la Regione, in nessuno
dei predetti atti risulterebbe essere mai stata accolta la proposta di
ampliamento auspicata dall’istante.
Il motivo è infondato.
Il Collegio ritiene di potere condividere le considerazioni della difesa
regionale, rilevando, altresì, come – sulla base della documentazione agli atti
di causa - la stessa decisione assunta in sede di Commissione consiliare si
palesa del tutto immotivata, pur rappresentando una rottura rispetto a quanto
per decenni riconosciuto dalle competenti Autorità a proposito della natura
della cava di che trattasi. In assenza di tale motivazione, viene meno anche la
necessità di trovare un riscontro alla decisione, poi prevalsa in sede
consiliare, che, non solo, si adegua a quella già in precedenza assunta nelle
determinazioni degli altri organi regionali e provinciali intervenuti nel
procedimento di che trattasi, ma, oltretutto, si uniforma alle valutazioni che,
in ordine alla predetta cava, erano contenute nel precedente Piano cave.
Il motivo è, dunque, infondato.
Sul secondo motivo di ricorso.
Stando alle contro-deduzioni di parte resistente, sarebbe contraddittorio
ritenere che, per il recupero di un’area degradata, la migliore soluzione
sarebbe quella di aumentarne lo sfruttamento mediante la realizzazione di una
vera e propria cava. Nessuna violazione dell’art. 6 cit. sarebbe, poi,
prospettabile, trattandosi di norma le cui previsioni presuppongono già
effettuata, a monte, la scelta – qui per contro non intervenuta - di attivare
una nuova cava, ai sensi dell’art. 5 L.R. cit. e 5 delib. G.R. n.VI/41714 cit.
Anche qui, il Collegio non può che convenire con la difesa regionale, nel senso
di ritenere non ravvisabili le dedotte censure, stante l’effetto vincolante che
lo scopo di “recupero” assume, rispetto alla gestione della cava de qua, che non
può non conformare anche l’attività estrattiva riferibile alla medesima cava. In
altri termini, la cava della ricorrente, pur risultando ascrivibile alla
fattispecie della “cava cessata”, risulta inserita nel Piano qui gravato poiché,
in conformità della previsione di cui all’art. 6, co.II°, lett. d) L.R. cit.,
nonché, alla definizione di cui all’art. 3 della cit. delib.G.R., il recupero
ambientale dell’area in questione non è possibile senza procedere
all’escavazione dell’area medesima. Si tratta, però, a ben vedere, di
escavazione funzionalizzata al recupero della cava, non viceversa. L’obiettivo
imprescindibile resta pur sempre quello del recupero ambientale dell’area, da
attuare mediante l’escavazione ma senza che quest’ultima faccia perdere di vista
l’obiettivo iniziale (per cui: “è consentita la temporanea ripresa dell’attività
estrattiva al solo fine di consentirne il recupero ambientale secondo tempi e
modalità stabiliti nel progetto di sistemazione ambientale”, stando all’art. 3
da ultimo cit.).
Il motivo si palesa, quindi, infondato.
Sul terzo motivo di ricorso.
Ribatte, sul punto, la Regione, nel senso che le norme invocate da parte
ricorrente avrebbero soltanto un valore permissivo e sarebbero contenute in atti
di pianificazione aventi un valore recessivo rispetto a quello del Piano cave,
ai sensi dell’art. 10, co. 1 e 2, L.R. n. 14/1998.
Il motivo è infondato.
È sufficiente, sul punto, riportare la previsione di cui all’art. 10 cit.
(secondo cui: “Il piano, approvato dal Consiglio regionale, ha il valore e gli
effetti di piano territoriale regionale relativo ad un settore funzionale, ai
sensi dell'ultimo comma dell'art. 4 della L.R. 15 aprile 1975, n. 51 «Disciplina
urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del
patrimonio naturale e paesistico». Le eventuali modifiche ai piani territoriali
di cui alla L.R. n. 51 del 1975, ai piani territoriali di coordinamento
provinciale ed ai piani territoriali di coordinamento dei parchi già in vigore
devono essere apportate dal piano cave in modo motivato ed espresso.
2. Le previsioni del piano prevalgono sulle eventuali previsioni difformi
contenute negli strumenti urbanistici approvati dai consigli comunali e sono
immediatamente efficaci e vincolanti nei confronti di chiunque. …”) per
evidenziare la insussistenza delle dedotte censure.
Sul quarto motivo.
Sul punto, la Regione sottolinea come l’attività estrattiva non sarebbe attività
“libera” ma soggetta ad autorizzazione, adottata dall’Amministrazione sulla base
di scelte di carattere discrezionale e con profili che impingono nel merito
dell’agere pubblico. Conseguirebbe da ciò, sempre secondo lo stesso patrocinio,
che la circostanza dell’assenza di elementi di contrasto dell’apertura della
cava con le previsioni del PRG o del PTCP, non sarebbe, di per sé, circostanza
sufficiente ad imporne all’Amministrazione la positiva introduzione.
Il motivo è infondato.
Gli elementi elencati dalla ricorrente sono soltanto alcuni dei parametri che
debbono guidare l’Amministrazione nelle scelte da effettuare in subjecta
materia, previo bilanciamento dei vari interessi coinvolti fra cui,
evidentemente, si colloca anche quello al recupero dei valori di naturalità
dell'area e, quindi, del riassetto ambientale necessario a realizzare la
destinazione finale prevista dal piano.
Né, d’altra parte, va trascurata la circostanza che qui si tratta, non già, di
revisione del Piano Cave, ma di un Nuovo Piano Cave, adottato alla scadenza del
piano previgente.
Non è, pertanto, rilevante il principio formulato dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, sent. n. 6483 del 1999), secondo cui: “in sede
di revisione di un piano ancora vigente, l’Amministrazione deve prendere in
specifica considerazione le posizioni dei soggetti abilitati a coltivare le cave
ancora sfruttabili”.
Infatti, come rilevato anche con la decisione n.6233/2005 dello stesso Consesso:
“col decorso del termine di durata del piano e col venire meno della legittima
facoltà della coltivazione, i poteri di pianificazione non incontrano
particolari limiti nella salvaguardia delle posizioni dei soggetti in precedenza
abilitati, salvi i casi in cui la normativa di settore disponga altrimenti”.
D’altro canto, contrariamente a quanto rilevato nell’odierno ricorso, la
salvaguardia delle posizioni dei soggetti abilitati dal previgente Piano Cave
non può farsi derivare dal secondo comma dell’art. 6 cit., (per il quale gli
ambiti territoriali estrattivi da identificare “devono accorpare aree contigue a
quelle oggetto di attività, con priorità rispetto all’apertura di altre aree”).
Come riconosciuto, infatti, dallo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza da
ultimo citata, detta norma: “ha unicamente fissato il principio per il quale i
nuovi ambiti vanno posti in prossimità delle aree già interessate da attività
estrattive, sul presupposto – riferibile alla discrezionalità del legislatore
regionale – che le cave debbano essere il più possibile accorpate, per
consentirne una più efficace vigilanza e per salvaguardare le aree ambientali
non incise dalla loro coltivazione.
Dal medesimo principio non può invece trarsi, in via interpretativa, la
conclusione per cui l’individuazione di nuovi ambiti potrebbe avere luogo solo a
seguito dell’esaurimento dei preesistenti giacimenti. Tale conclusione, oltre a
non essere consentita dal dato letterale della norma, urterebbe con i principi
riguardanti la pianificazione, poiché – in sede di approvazione del nuovo piano
– la Regione ben può valutare gli interessi in conflitto e tenere conto delle
esigenze di ordine naturalistico e ambientale, precludendo l’ulteriore modifica
dello stato dei luoghi (ovvero consentire la loro bonifica). In altri termini,
la Regione – per esigenze di salvaguardia dell’ambiente - può valutare se le
aree individuate nel piano precedente siano ancora suscettibili di ulteriori
coltivazioni ovvero risultino tanto compromesse da far ridurre o eliminare la
precedente capacità estrattiva, con l’individuazione di altre aree idonee. Del
resto, per il caso di scadenza del piano previgente, risulterebbe di per sé
irragionevole una norma che intendesse condizionare all’avvenuto esaurimento dei
giacimenti l’esercizio dei poteri di pianificazione e l’individuazione degli
ambiti, anche in connessione ai poteri attribuiti alla Regione dall’art. 117
della Costituzione, per la pianificazione e la salvaguardia del territorio”.
Sul quinto motivo.
Secondo la Regione si tratterebbe, qui, di questioni afferenti al merito della
scelta amministrativa e, comunque, di assunti indimostrati.
Il motivo è infondato.
Il Collegio – oltre a richiamare quanto già esposto nell’esaminare il predente
motivo – non può che evidenziare, in relazione alle censure qui dedotte da parte
ricorrente, l’esistenza di profili afferenti il merito delle scelte
amministrative, come tali, incensurabili in questa sede.
Sul sesto motivo.
Secondo la difesa regionale nessuna disparità di trattamento sarebbe stata
realizzata dalla P.A., atteso che la ricorrente avrebbe errato nel paragonare la
situazione della propria cava con quella delle cave “attive” mentre, come già
detto, la cava dell’esponente sarebbe una cava di recupero già alla stregua del
previgente piano.
Il motivo è infondato.
Il Collegio, anche qui, oltre che richiamare quanto già esposto esaminando il
secondo e il quarto motivo di ricorso, evidenzia come non sia possibile
confrontare situazioni fra loro diverse, adducendo una presunta disparità di
trattamento quando, appunto, come nel caso che qui occupa, si tratti di cave,
quelle “attive” e quelle “di recupero”, aventi diversa connotazione e, quindi,
diverso trattamento ai fini del quantitativo assegnabile per l’attività
estrattiva.
Sul settimo motivo.
Non riportato per errore materiale nel ricorso introduttivo .
Sull’ottavo motivo.
Replica la Regione come la cava SIC sarebbe qualificata, sia nell’attuale Piano
che in quello previgente, come cava di recupero, con la conseguenza che, da un
lato, per essa non potrebbero valere i criteri e/o i principi che giustificano
la previsione delle cave ordinarie e, dall’altro, che la cava in questione
sarebbe stata inserita nel piano soltanto perché la messa in sicurezza non
poteva essere fatta senza asportazione di materiale (com’è stato invece previsto
per le altre cave cessate).
Il motivo è infondato.
Anche qui, il Collegio non può che richiamare quanto già esposto esaminando i
precedenti motivi di ricorso, vertenti su analoghe questioni.
Sul nono motivo.
Stando alla difesa regionale, tale censura sarebbe inammissibile per difetto di
interesse, trattandosi di previsione che si proietta nel futuro, non attuale ma
di carattere programmatico che, quand’anche fosse annullata, non per questo
comporterebbe la privazione di Regione e Provincia dei poteri che la legge ad
esse conferisce in sede di revisione del Piano cave.
Il Collegio non può che fare propria l’osservazione espressa da parte
resistente, concludendo per la inammissibilità della suesposta censura.
Sul decimo motivo.
Secondo la Regione, qui si impingerebbe nel merito delle scelte amministrative,
tenuto conto che le soluzioni adottate si inserirebbero in una logica di
“continuità ragionata”, di cui si legge nella cit. “Relazione”, nel pieno
rispetto di quanto statuito dal Consiglio di Stato (con la già cit. decisione n.
6233/2005). Dopo avere verificato la disponibilità (e, cioè, i volumi
astrattamente estraibili per ciascun ambito estrattivo), la Relazione
correttamente, stando al ridetto patrocinio, affronterebbe la stima del
fabbisogno, utilizzando i dati I.S.T.A.T. pregressi sul consumo pro-capite di
materiale lapideo, mediante una valutazione caratterizzata da discrezionalità
tecnica, adeguatamente motivata e, pertanto, insindacabile in sede di
legittimità. Ciò, tenuto conto, altresì, che il fabbisogno medio annuo regionale
delle sabbie e ghiaie, indicato nelle direttive regionali in 4 mc/abitante, non
rivestirebbe carattere vincolante, potendo essere disatteso sulla base di una
congrua motivazione. Sarebbe, poi, inammissibile per difetto di interesse la
censura che fa leva sulla mancata considerazione del materiale importato dal
Piemonte, poiché detta produzione si sostituirebbe a quella a cui partecipa la
ricorrente, nell’ambito della Provincia di Varese. Analogamente a dirsi quanto
alla considerazione del fabbisogno legato all’EXPO, al momento non pianificabile
e che, comunque, sarà valutato in occasione della revisione del Piano Cave della
provincia di Milano.
Il motivo si palesa in parte infondato e per il resto inammissibile.
È infondato, laddove pretende di privare o, comunque, di comprimere l’ampia
discrezionalità di cui godono le Autorità coinvolte nell’adozione e successiva
approvazione dell’atto di pianificazione in questione, come evidenziato anche
dalla sentenza del Consiglio di Stato poc’anzi tratteggiata. In tal senso, giova
ribadire come si tratti di un atto di pianificazione rispetto al quale, le
scelte riguardanti le singole aree, non abbisognano di una specifica
motivazione, stante la natura di atto generale del Piano de quo, coinvolgente un
notevole numero di destinatari (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 ottobre
1998, n. 1393; Sez. VI, 22 gennaio 2002, n. 376).
È inammissibile, laddove con esso ci si duole di scelte che: o non sono state
ancora compiute oppure, comunque, presentano risvolti, al momento, non ancora
suscettibili di alcun serio apprezzamento.
Sull’undicesimo motivo di ricorso.
Il motivo si palesa del tutto infondato, stante l’assenza - nella normativa
applicabile in subjecta materia - di termini perentori di durata dei
procedimenti de quibus.
Per le considerazioni che precedono, il ricorso in epigrafe specificato deve
essere respinto.
Le spese seguono, come di consueto, la soccombenza e sono poste a carico della
parte ricorrente e a favore della Regione Lombardia nella misura di euro
2.000,00, oltre accessori se dovuti. Nulla per le restanti parti evocate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione IV^, respinge il
ricorso in epigrafe specificato.
Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite a favore della
resistente Amministrazione nella misura di euro 2.000,00, oltre accessori di
legge se dovuti. Nulla per il resto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella Camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Concetta Plantamura, Referendario, Estensore
Antonio De Vita, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/04/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
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