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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR MARCHE, Sez. I - 4 marzo 2010, n. 100
VIA - VAS - Differenza - Piani e programmi - Singoli progetti - Art. 5,
d.lgs. n. 152/2006. L’art. 5, let. a), del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce
chiaramente che la Valutazione Ambientale Strategica riguarda solo i piani e i
programmi e non i singoli progetti. Pres. Passanisi, Est. Capitanio - Comune di
Pergola (avv. Bedetti) c. Provincia di Pesaro e Urbino (avv. Valentini),
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e altri (Avv. Stato),
A.S.U.R. Marche Zona Territoriale n. 3 di Fano (avv. Barattini) e altri (n.c.) -
TAR MARCHE, Sez. I - 4 marzo 2010, n. 100
CAVE E MINIERE - Coltivazione di cave in aree boscate - Normativa regionale
delle Marche - Contemperamento fra interessi contrapposti - Deroga al principio
generale di divieto della riduzione di boschi esistenti - Necessario sacrificio
dei boschi all’attività di cava - Esclusione - L.r. Marche n. 6/2005 - L.r.
Marche n. 71/97. In tema di coltivazione di cave in aree boscate, la
normativa della Regione Marche (e segnatamente, L.r. n. 6/2005 e L.r. n.
71/1997) pone dei principi che appaiono rispettosi dell’esigenza di realizzare
un equo contemperamento fra interessi contrapposti, ferma restando la
valutazione sulla compatibilità del singolo intervento. Bisogna infatti
evidenziare in primo luogo che non esiste un divieto assoluto di riduzione delle
superfici boscate (altrimenti non si spiegherebbe l’inciso dell’art. 10 e la
norma dell’art. 12 della L.R. n. 6/2005, nonché la disposizione di cui all’art.
4, comma 2, D.Lgs. n. 227/2001) e che la disciplina delle attività estrattive
presenta aspetti peculiari, tali da giustificare una deroga al principio
generale secondo cui è vietata la riduzione dei boschi esistenti. Questo però
non vuol dire che i boschi debbono essere necessariamente sacrificati alle
attività di cava, in primo luogo perché i bacini estrattivi possono essere
individuati solo dove esistono litotipi pregiati in quantità tali da
giustificare il dispendio di risorse finanziarie necessarie per la coltivazione
di una cava, in secondo luogo perché molto spesso esistono altre emergenze
ambientali e/o paesaggistiche che, unitamente alla presenza del bosco, ostano
all’apertura di una cava. Pres. Passanisi, Est. Capitanio - Comune di Pergola
(avv. Bedetti) c. Provincia di Pesaro e Urbino (avv. Valentini), Ministero delle
Politiche Agricole Alimentari e Forestali e altri (Avv. Stato), A.S.U.R. Marche
Zona Territoriale n. 3 di Fano (avv. Barattini) e altri (n.c.) - TAR MARCHE,
Sez. I - 4 marzo 2010, n. 100
VIA - Finalità - Rapporti con la disciplina di tutela paesaggistica. Lo
spirito della V.I.A. non è quello di vietare tout court interventi che incidano
sull’ambiente (essendo all’uopo sufficiente l’apposizione di vincoli
inderogabili che vietino, ad esempio, l’edificazione o altre attività similari),
bensì quello di valutare la “sostenibilità” di interventi che sicuramente
interferiscono con l’ambiente. Del resto, l’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, dopo
aver posto al primo comma la regola generale secondo cui i proprietari di beni
sottoposti a tutela secondo le norme dello stesso Testo Unico e/o dei piani
paesistici non possono distruggerli o modificarli in modo da alterarne
l’identità, al secondo comma stabilisce che i soggetti summenzionati debbono
sottoporre alle autorità competenti i progetti di opere che intendano realizzare
sui beni tutelati, e ciò ai fini della valutazione della compatibilità
paesaggistica (il che vuol dire che non è vietato in assoluto intervenire su
questi beni). Analogo discorso è a farsi per gli aspetti - spesso sovrapposti
con quelli paesaggistici - concernenti la compatibilità ambientale. Pres.
Passanisi, Est. Capitanio - Comune di Pergola (avv. Bedetti) c. Provincia di
Pesaro e Urbino (avv. Valentini), Ministero delle Politiche Agricole Alimentari
e Forestali e altri (Avv. Stato), A.S.U.R. Marche Zona Territoriale n. 3 di Fano
(avv. Barattini) e altri (n.c.) - TAR MARCHE, Sez. I - 4 marzo 2010, n. 100
N. 00100/2010 REG.SEN.
N. 00870/2008 REG.RIC.
N. 00955/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 870 del 2008, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Comune di Pergola, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Bedetti, con
domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia,
24;
contro
- Provincia di Pesaro e Urbino, in persona del Presidente pro tempore,
rappresentata e difesa dall'avv. Aldo Valentini, con domicilio eletto presso
l’Avv. Domenico D'Alessio, in Ancona, via Giannelli, 36;
- Provincia Pesaro e Urbino, in persona del Dirigente Area
Urbanistica-Territorio-Ambiente-Agricoltura, Servizio 4.2, non costituita;
- Regione Marche, non costituita;
- A.R.P.A.M. Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale delle Marche, non
costituita;
- Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero per i Beni e
le Attività Culturali, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello
Stato, domiciliati per legge presso la sede della stessa, in Ancona, piazza
Cavour, 29;
- A.S.U.R. Marche Zona Territoriale n. 3 di Fano, rappresentata e difesa
dall'avv. Marisa Barattini, con domicilio eletto presso Ufficio Legale A.S.U.R.
in Ancona, via Caduti del Lavoro, 40;
nei confronti di
F.lli Guiducci e Pierantoni S.n.c., rappresentata e difesa dagli avv. Bruno
Brusciotti e Gaia Brusciotti, con domicilio eletto presso l’Avv. Paolo Ronconi,
in Ancona, via Tiraboschi, 36/G;
e con l'intervento di
ad adiuvandum
Italia Nostra Onlus, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Raffaela Mazzi, con
domicilio eletto presso l’avv. Alberto Cucchieri, in Ancona, corso Mazzini, 148;
Sul ricorso numero di registro generale 955 del 2009, proposto da:
Comune di Pergola, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Felici Bedetti,
con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della
Loggia, 24;
contro
- Provincia di Pesaro e Urbino, rappresentata e difesa dall'avv. Aldo Valentini,
con domicilio eletto presso l’Avv. Domenico D'Alessio, in Ancona, via Giannelli,
36;
- Provincia di Pesaro e Urbino, in persona del Dirigente Area
Urbanistica-Territorio-Ambiente-Agricoltura, Servizio 4.2, non costituita;
- Regione Marche, non costituita;
- Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero per i Beni e
le Attività Culturali, non costituiti;
- Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPAM) - Marche, Azienda Sanitaria
Unica Regionale – A.S.U.R. Marche, A.S.U.R. - Zona Territoriale n. 3 di Fano,
non costituiti;
nei confronti di
F.lli Guiducci e Pierantoni S.n.c., rappresentata e difesa dagli avv. Bruno
Brusciotti e Gaia Brusciotti, con domicilio eletto presso Paolo Ronconi Avv. in
Ancona, via Tiraboschi, 36/G;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
quanto al ricorso n. 870 del 2008:
del provvedimento prot. n. 52016 del 25/7/2008, recante valutazione di impatto
ambientale con valenza di autorizzazione paesaggistica sul progetto di
coltivazione di una cava presentato dalla ditta Guiducci e Pierantoni, nonché di
ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;
quanto ai motivi aggiunti del 23/4/2009,
delle note della Provincia di Pesaro prot. n. 3886 in data 22/1/2009, prot. n.
4746 in data 27/1/2009 e prot. n. 69527 in data 23/10/2008;
quanto ai motivi aggiunti del 25/5/2009,
della nota prot. n. DDS/2009/02354 in data 5/3/2009 del Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del Territorio e del Mare, nonché di ogni altro atto presupposto,
connesso e/o consequenziale, ivi inclusa la deliberazione di Giunta Regionale n.
938/2004;
quanto al ricorso n. 955 del 2009:
dei seguenti atti amministrativi:
- prot. n. 50507 in data 31/7/2009, della Provincia di Pesaro e Urbino, avente
ad oggetto:"Ditta F.lli Guiducci e Pierantoni S.n.c. - 'Progetto di coltivazione
Cava del Bifolco in Località Bellisio Solfare, Comune di Pergola - Polo
estrattivo MAI003 - UMI n.1'. Art. 13, comma 2, L.R. n. 71/1997 - Richiesta di
invio delle valutazioni motivate circa la realizzazione dell'attività estrattiva
nel proprio territorio comunale. Comunicazione in riscontro a Vs. nota prot. n.
5941 dei 15/7/2009 (ns. prot. n. 47330 del 21/7/2009)", giunta presso il Comune
di Pergola in data 4/8/2009; 2) Prot. n. 55298 in data 26/8/2009, della
Provincia di Pesaro e Urbino, avente ad oggetto:"Ditta F.lli Guiducci e
Pierantoni S.n.c., L.R. 71/1997 art. 13 – L. n. 241/1990, art. 8 - 'Progetto di
coltivazione Cava del Bifolco in Località Bellisio Solfare, Comune di Pergola -
Polo estrattivo MAIO03-UMI n.1' - Comunicazione avvio del procedimento", giunto
al Comune di Pergola in data 28/8/2009; 3) Prot. n. 62570 in data 29/9/2009,
della Provincia di Pesaro e Urbino, avente ad oggetto:"Ditta F.lli Guiducci e
Pierantoni S.n.c. - art. 13, comma 3, L.R. n. 71/1997 – “Progetto di
coltivazione cava del Bifolco in Località Bellisio Solfare, Comune di Pergola.
Polo Estrattivo MAIO03-UMI n. l”. Trasmissione parere della conferenza dei
servizi dei giorno 21/9/2009", giunto al Comune di Pergola il 2/10/2009; 4) Prot.
n. 62566 del 29/9/2009, della Provincia di Pesaro e Urbino, avente ad
oggetto:"Parere della conferenza dei servizi istruttoria dei 21/9/2009 - art. 13
comma 3, L.R. n. 71/1997"; 5) verbale della conferenza dei servizi istruttoria
del 21/9/2009; si opus, 6) Regolamento Attuativo dei P.P.A.E. e della Conferenza
di Servizi dell'Amministrazione Provinciale di Pesaro e Urbino di cui
all'art.13, comma 4, della L.R. n. 71/1997 approvato con deliberazione del
Consiglio Provinciale n. 21 del 22/3/2004, così come modificato con
deliberazione del Consiglio Provinciale n.74 del 25/10/2004, in parte qua,
ovvero, in particolare, in riferimento alla violazione dell'art.4, comma 3; si
opus, 7) Programma Esecutivo di cui all'art. 10 delle N.T.A. del P.P.A.E.
approvato con deliberazione del Consiglio Provinciale di Pesaro e Urbino n. 20
del 22/3/2004, in parte qua; 8) tutti gli atti preparatori strumentali di quelli
sopra impugnati, tutti quelli funzionalmente collegati e/o connessi, tutti
quelli in ognuno di essi richiamati, anche se non espressamente elencati, purché
effettivamente lesivi dei diritti e degli interessi del Comune ricorrente,
nonché tutti quelli meramente consequenziali, come per legge.
Visti i ricorsi ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Pesaro e Urbino,
della ditta F.lli Guiducci & Pierantoni S.n.c. e, solo nel ricorso n. 870/2008,
del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, del Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali, dell’A.S.U.R. Zona Territoriale n. 3 di Fano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2010 il dott. Tommaso
Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I ricorsi indicati in epigrafe sono stati proposti dal Comune di Pergola
avverso gli atti e i provvedimenti con cui dapprima la Provincia di Pesaro e
Urbino ha espresso parere favorevole, anche con valenza di autorizzazione
paesaggistica, in sede di valutazione di impatto ambientale sul progetto di
coltivazione di una cava presentato dalla ditta Guiducci & Pierantoni, e poi la
Conferenza di Servizi convocata dalla stessa Provincia ai sensi della L.R.
Marche n. 71/1997 ha valutato positivamente il progetto medesimo. E’ stato
altresì impugnato, con i motivi aggiunti del 25/5/2009, il provvedimento con cui
il Ministero dell’Ambiente ha ritenuto di non dover annullare il parere
favorevole reso dalla Provincia in sede di V.I.A.
Il Comune di Pergola, nel cui territorio è prevista la coltivazione della cava,
contesta i provvedimenti summenzionati per svariati motivi, riconducibili
sostanzialmente ai seguenti profili:
a) illegittima previsione, da parte del Piano Provinciale delle Attività
Estrattive (PPAE), del sito di Bellisio Solfare quale bacino estrattivo della
maiolica, visto che tale bacino non era previsto nel vigente Piano Regionale
delle Attività Estrattive (PRAE), né ricorrono i presupposti per applicare le
esenzioni di cui all’art. 60 delle N.T.A. del PRAE. In ogni caso, l’eventuale
applicazione del regime di esenzione dovrebbe essere statuita dalla stessa
autorità che ha approvato il PRAE, ossia la Regione;
b) incompetenza della Provincia a rilasciare il parere di compatibilità
ambientale, ai sensi della L.R. n. 7/2004 e s.m.i.;
c) omesso coinvolgimento, in sede di procedura di V.I.A., dell’autorità statale
preposta alla tutela del vincolo paesaggistico (ossia la Soprintendenza per i
Beni Culturali e il Paesaggio di Ancona);
d) nel merito, difetto di istruttoria circa l’impatto che la cava avrà sui
valori naturalistici oggetto di specifica tutela nel sito prescelto dalla ditta
Guiducci & Pierantoni (sorgenti, bosco, e così via) e violazione della L.R. n.
6/2005;
e) illegittimità del provvedimento con il quale il Ministero dell’Ambiente ha
ritenuto di non dover annullare il parere favorevole e la connessa
autorizzazione paesaggistica rilasciati dalla Provincia (per non avere il
Ministero proceduto ad un’attenta valutazione dell’impatto della cava
sull’ambiente, limitandosi a recepire acriticamente l’operato della Provincia);
f) illegittima composizione della Conferenza di Servizi che ha valutato la
conformità del progetto in argomento con la normativa regionale di riferimento e
incompetenza della Provincia ad esercitare il potere sostitutivo dei confronti
del Comune;
g) difetto di istruttoria e omesso coinvolgimento di alcune delle autorità
compenti a valutare tale conformità (A.S.U.R. Marche, ARPAM, Soprintendenza per
i Beni Culturali e il Paesaggio);
h) straripamento di potere, nella parte in cui la Provincia vuole in pratica
costringere il Comune di Pergola a rilasciare alla ditta controinteressata
l’autorizzazione alla coltivazione della cava.
2. Nel ricorso n. 870/2008 si sono costituiti i Ministeri intimati, la Provincia
di Pesaro-Urbino, l’A.S.U.R. Marche, la ditta Guiducci & Pierantoni, mentre ha
spiegato intervento ad adiuvandum l’associazione Italia Nostra Onlus.
Nel ricorso n. 955/2009 si sono costituiti solo la Provincia di Pesaro-Urbino e
la ditta controinteressata.
3. Nelle camere di consiglio fissate per l’esame delle domande cautelari il
Comune ricorrente, vista la complessità delle questioni sottoposte all’esame del
Tribunale, ha ritenuto di abbinare la fase cautelare al merito, per il che è
stata fissata l’udienza pubblica del 13 gennaio 2010, all’esito della quale
entrambi i ricorsi sono stati trattenuti per la decisione.
DIRITTO
1. I ricorsi in epigrafe, che vanno riuniti ai sensi dell’art. 52 R.D. n.
642/1907, in ragione della loro connessione oggettiva e, in parte, soggettiva,
sono in parte inammissibili e in parte infondati.
2. Al fine di mettere ordine nelle numerose questioni sollevate dal Comune di
Pergola e di rendere più agevole la trattazione delle stesse, è utile
suddividere i motivi di ricorso in alcuni gruppi.
2.1. Il primo gruppo comprende le censure rivolte nei riguardi del PPAE di
Pesaro-Urbino, nella parte in cui la Provincia ha individuato nella località di
Bellisio Solfare un bacino estrattivo della maiolica. Il Comune, come detto,
ritiene tale decisione illegittima per due ordini di ragioni:
- in primo luogo perché le Province non possono modificare il PRAE;
- in secondo luogo perché, nel caso di specie, non sussistono i presupposti per
applicare il regime delle esenzioni di cui all’art. 60 delle N.T.A. del PRAE.
Come si vede, le censure sollevate (anche alla luce degli specifici motivi
addotti, quale ad esempio quello che evidenzia la presenza in loco di una cava
dismessa oppure quello in cui si rileva la presenza nella cartografia del PRAE
di uno specifico divieto di esenzione, contrassegnato con il codice 46bis)
muovono dal presupposto che nel territorio di Pergola, ed in particolare a
Bellisio Solfare, nessuna cava può essere aperta.
Ma se così è, ne consegue che in parte qua il ricorso n. 870/2008 è
inammissibile per tardività, atteso che le censure avverso il PPAE avrebbero
dovuto essere sollevate nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione della
deliberazione del Consiglio Provinciale n. 109/2003, che ha approvato a suo
tempo il Piano attuativo (ossia, entro 60 giorni dal 5/11/2003, come evidenziato
dalla controinteressata nei propri scritti difensivi). Questo perché ovviamente
il PPAE è un atto generale a valenza pianificatoria, che non deve essere
notificato personalmente ad alcun soggetto o ente pubblico e che acquista
efficacia con la pubblicazione. Tra l’altro, dagli atti del giudizio emerge che
il Comune di Pergola ha partecipato al procedimento di approvazione del Piano,
per cui non potrebbe nemmeno invocare la mancata conoscenza del provvedimento.
Va poi aggiunto che il PPAE, nella parte in cui prevedeva nuovi bacini
estrattivi, è stato sottoposto a verifica di compatibilità da parte della Giunta
Regionale ai sensi del PRAE: tale verifica, come si evince dalla deliberazione
di G.R. n. 938/2004, è stata accurata, tanto che non tutti i siti proposti dalla
Provincia hanno avuto il placet della Regione (il sito in argomento è stato
invece ritenuto compatibile).
Ad analoghe conclusioni si deve pervenire anche per quanto riguarda il secondo
ricorso, nella misura in cui anche con tale gravame il Comune di Pergola abbia
inteso censurare le scelte pianificatorie della Provincia.
L’Amministrazione ricorrente ha replicato alle eccezioni formulate al riguardo
dalla Provincia e dalla ditta controinteressata richiamando il noto orientamento
giurisprudenziale, formatosi per la verità più che altro nella materia degli
appalti pubblici, secondo cui gli atti di pianificazione non sono immediatamente
impugnabili (salvo che non contengano previsioni di per sé lesive), essendo
possibile sollevare le censure afferenti i principi informatori dei piani in
occasione dell’impugnazione degli atti applicativi.
Peraltro, il principio giurisprudenziale dianzi richiamato non trova
applicazione in presenza di clausole immediatamente lesive, le quali debbono
essere immediatamente impugnate; e così, ad esempio, deve essere oggetto di
tempestiva impugnazione la determinazione stessa con cui un’amministrazione
pubblica decida di affidare un appalto a seguito di procedura di gara laddove il
ricorrente ritenga di avere diritto ad un rinnovo contrattuale, oppure le
clausole del bando che impediscano ad un’impresa la partecipazione alla gara
(imponendo “clausole di sbarramento” eccessivamente ed inutilmente gravose in
relazione alla capacità tecnico-finanziaria).
Nella specie, per il tenore delle censure sollevate dal Comune in parte qua, si
è in presenza proprio di un’ipotesi di tal genere, anche perché, a differenza di
quello che accade nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia, nel caso delle
attività per cui è causa all’individuazione di un bacino estrattivo segue
inevitabilmente la presentazione di progetti di coltivazione di cave, visto che
i siti dove allocare cave sono ormai estremamente rari e che gli operatori del
settore sono quindi naturalmente interessati a presentare i progetti di
coltivazione non appena gli atti di pianificazione lo consentono.
Ma l’onere di tempestiva impugnazione del Piano obbedisce anche all’esigenza di
evitare agli operatori economici la predisposizione di costosi progetti (e
all’amministrazione competente l’esame degli stessi) in un momento in cui sia
ancora in dubbio l’astratta assentibilità dell’iniziativa a cui si riferisce il
progetto.
Del resto, tale conclusione è in linea con la giurisprudenza del Tribunale in
subiecta materia, come si evince ad esempio dalla sentenza n. 1242/2009, con la
quale il TAR, accogliendo proprio un ricorso di “Italia Nostra”, ha annullato il
PPAE della Provincia di Ancona, nella parte in cui individuava un bacino
estrattivo per la maiolica nel sito di Monte Sant’Angelo di Arcevia.
E’ evidente che, se fosse vero quanto sostiene il Comune in replica
all’eccezione di tardività, nella vicenda decisa con la sentenza n. 1242/2009 il
ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per carenza di un
interesse attuale, essendo lo stesso diretto contro le previsioni del PPAE e non
contro atti consequenziali.
2.2. Il ricorso n. 870/2008 può invece essere esaminato nella parte in cui il
Comune contesta il merito del progetto presentato dalla ditta Guiducci e
Pierantoni, nonché il modus operandi con cui la Provincia ha condotto la
procedura di V.I.A.
Partendo da quest’ultimo aspetto, la difesa del Comune ha lungamente insistito
(spesso facendo confusione fra le competenze e l’organizzazione del Ministero
dell’Ambiente e quelle del Ministero dei Beni Culturali) sul fatto che la
Provincia avrebbe omesso di coinvolgere nel procedimento la Soprintendenza per i
Beni Culturali e il Paesaggio di Ancona, avendo richiesto un parere solo alla
Soprintendenza ai Beni Archeologici (la quale non è però preposta alla tutela di
tutti i beni coinvolti nella presente vicenda).
Premesso che le Soprintendenze sono articolazioni periferiche del Ministero dei
Beni Culturali e non del Ministero dell’Ambiente (vedasi ad esempio pagina 12
dei motivi aggiunti del 23/4/2009 al ricorso n. 870/2008) e che l’art. 17, comma
3, let. n.) del DPR n. 233/2007 (recante le norme di organizzazione del
Ministero per i Beni Culturali) stabilisce che, laddove un procedimento
coinvolga le competenze di due o più Soprintendenze, il potere di esprimere la
volontà del Ministero compete alla Direzione Regionale per i Beni Culturali (il
che avrebbe dovuto indurre la Direzione Regionale a informare dell’esistenza del
procedimento anche la Soprintendenza per i Beni Culturali, visto che si tratta
di articolazioni periferiche dello stesso Ministero) va per un verso rilevato
che la L.R. Marche n. 7/2004 non prevede che il procedimento di V.I.A. si
articoli in una conferenza di servizi (e questo perché il Comune ricorrente in
più passi del ricorso e dei motivi aggiunti - vedasi ad esempio sempre la citata
pagina 12 dei motivi aggiunti del 23/4/2009 - lamenta il fatto che alcune
autorità preposte alla tutela dei beni coinvolti non sono state invitate a
partecipare alla conferenza di servizi), mentre per altro verso che il Comune
muove da un’errata interpretazione della normativa, contenuta nel D.Lgs. n.
42/2004 e s.m.i., applicabile al caso di specie.
In effetti, il ricorrente sostiene che l’art. 146 del Codice dei beni culturali
era già pienamente operativo nel periodo di tempo in cui la procedura di V.I.A.
è stata avviata e conclusa dalla Provincia, il che viene desunto da una serie di
pronunce del Consiglio di Stato emesse in sede consultiva.
Tuttavia, questa tesi è da respingere, per quanto si dirà infra.
Va però evidenziato preliminarmente che, come è noto, il profilo distintivo fra
la disposizione dell’art. 146 e quella dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004 sta
nel diverso momento in cui la competente Soprintendenza interviene nel
procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. In
effetti, ai sensi dell’art. 146 (che modifica il tradizionale riparto di
competenze in subiecta materia fra autorità locale preposta alla tutela del
vincolo paesaggistico – alla quale era affidato il potere di rilasciare
l’autorizzazione – e l’autorità statale che esercita il controllo – la quale
poteva solo annullare le autorizzazioni rilasciate – introducendo in pratica un
meccanismo di “co-gestione” del vincolo), la Soprintendenza deve rilasciare il
parere prima che l’autorità competente adotti il provvedimento terminale (il che
ovviamente, pur se il parere, a regime, viene qualificato dal Legislatore
“obbligatorio non vincolante”, rafforza di molto la posizione
dell’amministrazione statale, la quale viene in pratica a svolgere un esame di
merito del progetto sottoposto a V.I.A. o a semplice valutazione di
compatibilità paesaggistica), per cui, se la norma fosse stata davvero operativa
nel periodo in cui si è svolto il procedimento per cui è causa, il ricorso n.
870/2008 dovrebbe essere accolto già solo per questo motivo, non essendovi alcun
dubbio sul fatto che la Provincia di Pesaro-Urbino ha omesso di comunicare alla
Soprintendenza per i Beni Culturali e il Paesaggio di Ancona l’avvio del
procedimento ed ha adottato il provvedimento terminale senza acquisirne il
parere.
L’art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004 – che disciplina il periodo transitorio –
stabilisce invece che la Soprintendenza può intervenire unicamente ex post,
annullando eventualmente l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità
competente, ma solo per motivi di legittimità, ivi incluso ovviamente l’eccesso
di potere (per cui, attraverso le c.d. figure sintomatiche, la Soprintendenza ha
la possibilità di riesaminare accuratamente l’istruttoria svolta nelle fasi
precedenti della procedura).
Nella specie trovava applicazione proprio l’art. 159, il che è desumibile
facilmente dal testo della disposizione, la quale, come è noto, è stata
rimaneggiata più volte dai cc.dd. decreti correttivi (sul punto vedasi le
consonanti asserzioni del TAR Umbria, 18/1/2010, n. 8, la quale sentenza,
seppure relativa al tipo di sindacato che la Soprintendenza può svolgere sulle
autorizzazione paesaggistiche rilasciate, riafferma il principio per cui nel
periodo transitorio il Ministero dei Beni Culturali può intervenire solo ex
post). Ai fini che qui rilevano, la versione da prendere in esame è quella
vigente al momento dell’adozione del provvedimento n. 52016/2008, ossia quella
risultante dal D.Lgs. n. n. 63/2008.
Ebbene, la disposizione in esame stabilisce che “La disciplina dettata al Capo
IV si applica anche ai procedimenti di rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica che alla data del 31 dicembre 2008 non si siano ancora conclusi
con l’emanazione della relativa autorizzazione o approvazione [nel caso in esame
il procedimento si era concluso a luglio 2008] …Resta salvo, in via transitoria,
il potere del soprintendente di annullare, entro il termine di sessanta giorni
dalla ricezione dei relativi atti, le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate
prima della entrata in vigore delle presenti disposizioni”. Prima ancora, ossia
nel vigore della norma modificata dal D.Lgs. n. 157/2006, il periodo transitorio
era determinato con riferimento alla scadenza del termine previsto dall’art. 156
o, se anteriore, all’approvazione o adeguamento dei piani paesistici regionali
alle norme del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, mentre, a seguito
dell’emanazione del D.L. n. 97/2008, il termine del periodo transitorio veniva
fissato al 31/12/2009. Tra l’altro, il comma 9 dell’art. 159, come modificato
dal D.L. n. 97/2008, stabilisce che le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate
dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 63/2008 e prima dell’entrata in vigore
dello stesso D.L. (o meglio della legge di conversione, la n. 129/2008, visto
che la norma in commento non era contenuta nel decreto legge) – fra le quali
anche quella oggetto del presente ricorso, risalente al 25 luglio 2008 –
avrebbero potuto essere annullate dalla competente Soprintendenza entro trenta
giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, e ciò anche laddove
l’Ufficio fosse decaduto dal potere di annullamento previsto dal D.Lgs. n.
63/2008.
Come si vede (facendo anche applicazione del noto broccardo in claris non fit
interpretatio), in base alle varie versioni dell’art. 159 che si sono succedute
nell’arco temporale che qui interessa, la vicenda per cui è causa è ricompresa
nel periodo transitorio, con le conseguenze che si sono dette in precedenza.
Di talché, la Soprintendenza per i Beni Culturali e il Paesaggio aveva tutta la
possibilità di annullare l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla
Provincia, ma tale omesso esercizio del potere non è stato mai censurato dal
Comune di Pergola, il quale si è attardato a censurare l’errata applicazione di
una norma (l’art. 146) che invece non trovava applicazione nella specie.
Pertanto, anche in parte qua il ricorso n. 870/2008 va respinto.
3. Il ricorso n. 870/2008 va anche respinto nella parte in cui si sostiene che
il progetto de quo andava sottoposto a V.A.S.; in effetti, l’art. 5, let. a),
del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce chiaramente che la Valutazione Ambientale
Strategica riguarda solo i piani e i programmi e non i singoli progetti.
Da ciò consegue anche l’infondatezza del motivo di ricorso con cui si deduce la
mancata redazione da parte della controinteressata del rapporto ambientale, e
ciò in quanto tale elaborato, giusta l’art. 13 del D.Lgs. n. 152/2006, deve
essere predisposto solo nell’ambito della procedura di V.A.S.
4. Passando invece al merito delle valutazioni compiute dalla Provincia sul
progetto della ditta Guiducci & Pierantoni, si deve anzitutto precisare che, in
parte qua, il sindacato del giudice amministrativo non può che fermarsi alla
verifica della correttezza dell’istruttoria e della non manifesta illogicità
delle valutazioni formulate dai tecnici intervenuti nel procedimento.
Ciò però non equivale a supina accettazione del giudizio della Provincia, ben
potendo parte ricorrente addurre elementi di valutazione tali da incrinare le
certezze del Tribunale e indurlo a disporre una verificazione o una consulenza
tecnica.
Ma al riguardo le allegazioni del Comune non sono tali da superare le
acquisizioni istruttorie in base alle quali la Provincia ha formulato il
positivo giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica (a tale ultimo
riguardo va sottolineato che si tratta di due profili distinti, seppure
strettamente collegati, con la conseguenza che la Soprintendenza per i Beni
Culturali e il Paesaggio avrebbe potuto intervenire solo sul profilo
paesaggistico).
In questo senso militano già alcune considerazioni discendenti da fatti
processualmente inoppugnabili.
Giova infatti evidenziare che:
- il Ministero dell’Ambiente, ossia l’organo statale preposto per legge alla
tutela dei beni che il Comune teme saranno messi in pericolo dalla cava, non ha
ritenuto di dover annullare la V.I.A. rilasciata dalla Provincia;
- nemmeno l’altro organismo statale intervenuto nel procedimento in quanto
preposto alla tutela di uno dei beni con cui la cava interferisce (il Corpo
Forestale dello Stato, competente ad esprimere il parere per quanto riguarda il
bosco) ha manifestato una contrarietà radicale al progetto;
- il Ministero dell’Ambiente, prima di esprimersi definitivamente, ha richiesto
alla Provincia numerosi chiarimenti, a ciò sollecitato dall’esposto presentato
da un comitato di cittadini contrario alla cava (in particolare, per quanto
riguarda il possibile interessamento delle sorgenti esistenti in zona);
- il procedimento ha avuto una durata notevole, risalendo al 2005 il primo
progetto presentato dalla ditta ed avendo la Provincia e gli altri enti
intervenuti richiesto numerosissime modifiche progettuali attraverso specifiche
prescrizioni;
- lo stesso Comune (come risulta dai certificati di destinazione urbanistica
depositati in atti in data 23/12/2009 dal ricorrente) ha a suo tempo attestato
l’assenza di vincoli di p.r.g. sulle aree in questione. In effetti, il
certificato del 22/4/2006, rilasciato proprio in favore della ditta Guiducci &
Pierantoni, indica che:
a) l’intervento ricade all’interno di zone vincolate ai sensi del Codice dei
Beni Culturali e del Paesaggio;
b) la competenza a rilasciare la V.I.A. è in capo alla Provincia (mentre nel
ricorso si sostiene erroneamente che tale potere è in capo alla Regione, con ciò
obliterando il chiaro disposto dell’allegato B2, punto 6, let. h) alla L.R. n.
7/2004, che affidava sì la competenza alla Regione, ma fino alla prima
approvazione dei Piani provinciali. Una volta approvati i PPAE, la competenza è
delle Province marchigiane);
c) il sito, dal punto di vista urbanistico, ricade nel campo di applicazione
degli artt. 9.1., 9.2., 9.3. e 9.4. delle NTA del P.R.G. (che disciplinano gli
interventi lato sensu edilizi ammessi nelle zone agricole), mentre nel ricorso
si afferma che l’area ricade sotto la disciplina degli artt. 8.1., 8.7., 8.8.,
8.9., 8.10., 8.11., 8.12. e 8.13. delle NTA e che la ditta controinteressata,
maliziosamente, si sarebbe limitata a riportare le norme valide per la zona
omogenea “E”. Ma la ditta Guiducci & Pierantoni non poteva che riportare nel
progetto il contenuto del certificato di destinazione urbanistica rilasciato
dallo stesso Comune.
Tutti questi elementi privano di pregio la tesi di parte ricorrente secondo cui
l’esame del progetto si sarebbe connotato per la superficialità e per
l’accettazione supina delle soluzioni ipotizzate dai tecnici di fiducia della
ditta controinteressata.
Va poi rilevato che:
- la dizione “unità minima di intervento” (U.M.I.) non si riferisce a giacimenti
di piccola entità, come si afferma a pagina 13 del ricorso introduttivo n.
870/2008 (essendo fra l’altro un controsenso ritenere ammissibili deroghe al
PRAE per giacimenti di non rilevante entità, essendo al contrario le deroghe
giustificate solo in presenza di giacimenti significativi). Tale denominazione
si riferisce invece alla ripartizione di un bacino unitario fra le cave
coltivabili all’interno dello stesso (nel caso di specie, nel bacino in
questione il PPAE ha individuato una sola U.M.I.);
- il limite di 150.000 metri cubi di materiale estraibile era previsto dalla
disposizione transitoria di cui all’art. 6 della L.R. n. 33/1999, valida fino
all’approvazione del PRAE e dei PPAE. Una volta approvato il Piano regionale (e
poi quelli provinciali), la disposizione transitoria ha cessato di avere
efficacia, per cui essa non si applica al caso di specie.
5. Scendendo poi all’esame dei vari profili di possibile incompatibilità
ambientale del progetto, si deve anzitutto chiarire che nessuno ha mai messo in
dubbio il fatto che la cava sorgerà in una zona boscosa (essendo del tutto
evidente che le cave, per loro stessa natura, sorgono necessariamente in luoghi
dove non sono presenti insediamenti umani, ed in particolare in zone collinari o
pedemontane). Non a caso la legislazione regionale, e specificamente quella
recata dalla L.R. n. 6/2005, stabilisce il principio secondo cui il bosco può
essere sacrificato all’attività estrattiva in presenza di talune circostanze ed
a certe condizioni: in caso contrario, davvero non si vede in quali siti le cave
potrebbero essere allocate.
L’art. 10 della citata L.R. - emanata in epoca successiva al D.Lgs. n. 42/2004 -
stabilisce che “Salvo quanto disposto all’articolo 12, è vietata la riduzione di
superficie dei boschi esistenti…..”, mentre l’art. 12 stabilisce che “Fermo
restando quanto stabilito dall’articolo 6 della L.R. 1° dicembre 1997, n. 71
(Disciplina delle attività estrattive), la riduzione di superficie del bosco e
la trasformazione dei boschi in altra qualità di coltura sono autorizzate dalla
Provincia,…., esclusivamente nei seguenti casi: a) realizzazione di opere
pubbliche o di pubblica utilità;
b) la realizzazione di strade e piste forestali connesse all’attività
selvicolturale, alla protezione dei boschi dagli incendi e alla realizzazione di
opere pubbliche.
La riduzione di superficie boscata è soggetta a misure di compensazione
ambientale, consistenti in rimboschimenti compensativi su terreni nudi, di
accertata disponibilità, da realizzarsi prioritariamente con specie autoctone,
sulla base di uno specifico progetto esecutivo e per una superficie calcolata
secondo quanto disposto dall’articolo 6, comma 4, e dall’allegato A della L.R.
n. 71/1997. I terreni da destinare a rimboschimento compensativo devono essere
individuati prioritariamente all’interno del medesimo bacino idrografico nel
quale ricadono le superfici boscate da compensare”.
Infine, l’art. 6 della L.R. n. 71/1997 e s.m.i. stabilisce che:
- l’attività di cava è vietata radicalmente in presenza di determinate emergenze
geologiche, ambientali, paesaggistiche e culturali (comma 3, lettere a), b), c),
d), e), f), g), h), i), nessuna delle quali interessa direttamente il sito in
argomento;
- in particolare, il divieto riguarda i boschi di alto fusto originari e quelli
con prevalenza superiore al 50% di faggio e castagno e con l’80% di leccio;
- la coltivazione di cave è invece possibile in tutti i boschi governati a ceduo
o in quelli costituiti da essenze non autoctone, a condizione che siano previsti
interventi di compensazione ambientale (ossia il rimboschimento con essenze
autoctone – che in parte può essere anche “monetizzato”, ma ciò non si è
verificato nel caso di specie – di terreni aventi superficie uguale o maggiore a
quella “sacrificata”).
Come è agevole comprendere, la normativa regionale pone dei principi che
appaiono rispettosi dell’esigenza di realizzare un equo contemperamento fra
esigenze contrapposte, ferma restando la valutazione sulla compatibilità del
singolo intervento. Bisogna infatti evidenziare in primo luogo che non esiste un
divieto assoluto di riduzione delle superfici boscate (altrimenti non si
spiegherebbe l’inciso dell’art. 10 e la norma dell’art. 12 della L.R. n. 6/2005,
nonché la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 227/2001) e che la
disciplina delle attività estrattive presenta aspetti peculiari, tali da
giustificare una deroga al principio generale secondo cui è vietata la riduzione
dei boschi esistenti. Questo però non vuol dire che i boschi debbono essere
necessariamente sacrificati alle attività di cava, in primo luogo perché i
bacini estrattivi possono essere individuati solo dove esistono litotipi
pregiati in quantità tali da giustificare il dispendio di risorse finanziarie
necessarie per la coltivazione di una cava, in secondo luogo perché molto spesso
esistono altre emergenze ambientali e/o paesaggistiche che, unitamente alla
presenza del bosco, ostano all’apertura di una cava.
Nella vicenda per cui è causa, come emerge dalla relazione del Corpo Forestale
dello Stato (riportata nella memoria di costituzione del Ministero per le
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali del 16/3/2009), il sito in argomento
non è in primo luogo compresa in alcuna area floristica individuata dalla
Regione o in area protetta o in un Sito di Importanza Comunitaria (S.I.C.) o
Zona di Protezione Speciale (Z.P.S.).
Inoltre, il bosco che interessa la zona non rientra fra quelli nei quali l’art.
6, comma 3, vieta l’esercizio di attività estrattive, bensì fra quelli di cui al
successivo comma 4.
Al riguardo, sembra abbastanza inverosimile che il Corpo Forestale dello Stato
non si sia reso conto che il bosco in cui è prevista la coltivazione della cava
ha le caratteristiche di cui all’art. 6, comma 3, let. e), della L.R. n.
71/1997. In realtà, come eccepito dalla difesa della Provincia nella memoria di
costituzione, il bosco in questione, in cui non sono presenti né il castagno né
il faggio e in cui la presenza di leccio è ben al di sotto della percentuale
indicata dall’art. 6 L.R. n. 71/1997, è anche governato a ceduo.
Al riguardo (e con questo si esamina anche uno dei motivi sollevati con il
ricorso n. 955/2009), va evidenziato che il Corpo Forestale dello Stato ha
esaminato il progetto della ditta Guiducci & Pierantoni, ritenendolo compatibile
con la vigente normativa, per cui, in sede di V.I.A., ha semplicemente
dichiarato di non avere osservazioni particolari da formulare, riservandosi
l’imposizione di prescrizioni specifiche in sede di conferenza di servizi. In
questa sede, poi, ha ritenuto di non dover dettare alcuna prescrizione
particolare, per cui ha fatto rimando al parere espresso in sede di V.I.A.: così
ricostruita la vicenda, non si comprende sotto quale profilo il Comune
ricorrente contesti l’operato del Corpo Forestale dello Stato.
Infine, non è in discussione il fatto che la ditta Guiducci & Pierantoni, a
fronte del disboscamento di circa 3 ettari di bosco nel sito della cava, si è
impegnata a provvedere al rimboschimento di circa 22 ettari di superficie, sia
pure nel confinante Comune di Cagli, come prevede la normativa regionale.
6. Per quanto concerne le acque, si è già detto che sul punto la Provincia ha
svolto numerosi approfondimenti, anche al fine di evadere la puntuale richiesta
del Ministero dell’Ambiente.
In effetti, a parte il fatto che l’ARPAM (ossia l’organo tecnico preposto per
legge alla tutela dell’ambiente) aveva rilevato l’assenza nel raggio di 200
metri dall’area di cava di captazioni o derivazioni di acqua ad uso idropotabile
(il limite di 200 metri è previsto dall’art. 94, comma 6, del D.Lgs. n.
152/2006), la Provincia - vedasi nota del 22/1/2009, prot. n. 3886, diretta al
Ministero dell’Ambiente - ha dato conto in maniera dettagliata dei termini della
questione e dei risultati degli approfondimenti istruttori eseguiti.
Per contro, il Comune, sin dalle perizie fatte svolgere da un tecnico di fiducia
nel 2007, ha sempre espresso la propria contrarietà in maniera dubbiosa,
limitandosi ad ipotizzare la presenza di acque nel sito, ma senza dimostrare
tale asserzione con prove scientifiche. E tra l’altro, un estratto della citata
perizia di parte, in una con la nota del 22/1/2009, è stata inviata al Ministero
dell’Ambiente, che non l’ha evidentemente ritenuta tale da mettere in dubbio gli
esiti dell’istruttoria posta in essere dalla Provincia.
Né è stata provata l’interferenza con il sito in cui la Provincia ha autorizzato
nel recente passato la ricerca di acque minerali e termali.
7. Le parti intimate, ed in particolare la Provincia e la ditta Guiducci &
Pierantoni, hanno depositato in atti documentazione fotografica ed elaborati
grafici (vedasi in particolare la relazione dell’ing. Ferranti, depositata in
data 23/12/2009) da cui emerge che, in base al profilo altimetrico dei luoghi,
la cava non interferisce visivamente con il santuario della Madonna del Sasso.
Ma del resto anche nel provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo
(pagina 2 di 26, alla voce “Descrizione dell’intervento”) è specificato che il
bacino estrattivo denominato Fosso del Bifolco insiste sull’anticlinale della
Madonna del Sasso.
8. Alle pagina 3 e 11 del provvedimento n. 52016 è specificato chiaramente che
l’intervento presuppone la realizzazione di un nuovo tratto di strada di circa
200 metri, collegante l’area di cava con la strada vicinale del Bifolco, per cui
non sussiste alcuna “reticenza” sul punto. Il Comune sostiene infatti che il
parere favorevole è in parte qua contradditorio, perché da un lato si dice che
sarà sfruttata la viabilità esistente e dall’altro si prevede la realizzazione
di una nuova strada.
In realtà nessuna contraddizione è dato ravvisare, visto che nel provvedimento
impugnato si dà atto della necessità di realizzare un nuovo tratto di strada.
Per quanto riguarda l’impatto che tale strada avrà sull’ambiente, la questione è
stata oggetto di specifico esame da parte del responsabile della P.O.
Pianificazione Territoriale – VIA – Beni Paesistici e Ambientali della
Provincia, il quale, nella relazione istruttoria 22/7/2008 (posta a base
dell’autorizzazione paesaggistica), ha evidenziato che il nuovo tratto di strada
di metri 200 presuppone quasi esclusivamente l’esecuzione di lavori di sterro
per una profondità massima di 4 metri e uno sbancamento di circa 1400 metri cubi
di materiale (quindi non un quantitativo rilevante). I lavori in argomento, che
interessano una strada vicinale quasi interamente ricoperta da arbusti e
cespugli (vedasi documentazione fotografica depositata in giudizio da “Italia
Nostra”), non coinvolgeranno in alcun modo il Fosso del Bifolco e consentiranno
ai mezzi a servizio della cava di non attraversare il centro abitato di Bellisio
Solfare, come richiesto a suo tempo dal Comune e dagli altri enti che hanno
preso parte al procedimento.
Sul punto, il ricorso e i motivi aggiunti, come anche l’atto di intervento, si
limitano ad evidenziare genericamente l’invasività della nuova strada e la
mancata valutazione del suo impatto sull’ambiente, ma senza addurre specifici
elementi a sostegno delle doglianze.
9. Per quanto riguarda la fauna, nel ricorso n. 870/2008 si evidenzia
l’illogicità del parere impugnato, nella parte in cui viene esclusa
categoricamente la presenza in loco di specie animali oggetto di tutela,
affermando che persino in qualsiasi giardino o parco pubblico cittadino esistono
tane o nidi di mammiferi e uccelli.
A tal proposito, il Collegio evidenzia che:
- in primo luogo, nel parere si afferma che dai rilievi effettuati non sono
state rinvenute tane di animali terrestri o nidi o cove e che la fauna presente
potrà trovare ricetto nelle immediate vicinanze dell’area di scavo;
- le affermazioni del Comune non sono supportate da elementi probatori (non
essendo stata allegata documentazione fotografica che evidenzi la presenza di
tane o nidi), ma da un mero sillogismo;
- ma anche a voler condividere l’argomento, si deve tuttavia evidenziare che la
presenza sporadica di animali terrestri o di volatili non può modificare il
giudizio, fino a che non si dimostri (magari a seguito di indagini approfondite
compiute dal Corpo Forestale o da altri soggetti specializzati) che una certa
zona è diventata stabile dimora di specie animali. In effetti, può accadere che
talune specie, a causa di fenomeni endogeni o esogeni, modifichino le proprie
abitudini di vita e trovino rifugio in siti che in precedenza non registravano
significative presenze; questo può portare all’istituzione di un’area protetta o
ad altri accorgimenti similari, tesi a salvaguardare l’insediamento. In
generale, però, non si può escludere che un limitato numero di esemplari possa
insediarsi in un sito, così come non si può escludere che questa presenza cessi
in maniera anche repentina. Ai fini procedimentali però bisogna tenere conto del
momento in cui viene effettuato lo studio di impatto ambientale (tempus regit
actum), pena la durata indeterminata della procedura.
10. Infine, anche per quanto concerne le polveri e i rumori, l’ARPAM (pagine 4-6
del provvedimento impugnato) ha impartito specifiche prescrizioni, fermo
restando ovviamente che il rispetto di tali prescrizioni da parte della ditta
potrà essere oggetto di verifica solo dopo che il progetto di coltivazione della
cava sarà stato avviato.
11. Ugualmente da respingere sono i motivi di ricorso che si indirizzano avverso
il provvedimento con cui il Ministero dell’Ambiente ha ritenuto di non dover
annullare il parere favorevole in sede di V.I.A. che è oggetto del presente
giudizio.
Al riguardo, senza voler acriticamente richiamare il principio giurisprudenziale
secondo cui il provvedimento con cui una pubblica amministrazione esamina con
esito favorevole un atto proprio (ad esempio, in sede di autotutela) o di
un’altra amministrazione (ad esempio, in sede di controllo) non necessita di
particolare motivazione, si deve nuovamente evidenziare come il Dicastero
dell’Ambiente, prima di pronunciarsi, ha esaminato l’esposto del Comune di
Pergola e del comitato di cittadini ed ha chiesto chiarimenti alla Provincia, il
che vuol dire che la motivazione del provvedimento di controllo è desumibile per
relationem, oltre che dalla documentazione allegata al parere favorevole in sede
di V.I.A., anche agli elementi addotti dai soggetti che hanno sollecitato
l’annullamento del predetto parere e delle controdeduzioni della Provincia.
Dalla lettura del ricorso sembra di poter evincere che il Comune rimprovera al
Ministero di non aver compreso che la cava interferisce con l’ambiente
circostante; ma se così è, bisogna ricordare che lo spirito della V.I.A. non è
quello di vietare tout court interventi che incidano sull’ambiente (essendo
all’uopo sufficiente l’apposizione di vincoli inderogabili che vietino, ad
esempio, l’edificazione o altre attività similari), bensì quello di valutare la
“sostenibilità” di interventi che sicuramente interferiscono con l’ambiente. Del
resto, l’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, dopo aver posto al primo comma la
regola generale secondo cui i proprietari di beni sottoposti a tutela secondo le
norme dello stesso Testo Unico e/o dei piani paesistici non possono distruggerli
o modificarli in modo da alterarne l’identità, al secondo comma stabilisce che i
soggetti summenzionati debbono sottoporre alle autorità competenti i progetti di
opere che intendano realizzare sui beni tutelati, e ciò ai fini della
valutazione della compatibilità paesaggistica (il che vuol dire che non è
vietato in assoluto intervenire su questi beni). Analogo discorso è a farsi per
gli aspetti – spesso sovrapposti con quelli paesaggistici – concernenti la
compatibilità ambientale.
Peraltro, come già detto, in materia di cave non sono possibili interventi
“indolori”, visto che l’attività estrattiva implica ex se la consumazione di
porzioni del territorio, la quale è mitigata dagli interventi di recupero e
ricomposizione ambientale che debbono essere imposti alle imprese operanti nel
settore (nel caso di specie, come si evince dal verbale della conferenza di
servizi impugnato con il ricorso n. 955/2009, la Provincia ha imposto alla ditta
Guiducci & Pierantoni di realizzare tali interventi contestualmente alla
coltivazione, in modo che all’inizio dell’escavazione del secondo settore
corrisponda l’inizio del recupero del primo settore, e così via).
La V.I.A. ha esito negativo quando il costo ambientale dell’intervento è
superiore ai benefici che se ne possono ricavare.
Se un intervento non incide in alcun modo con l’ambiente non c’è ovviamente
bisogno della V.I.A.
In conclusione, il ricorso n. 870/2008 va in parte dichiarato inammissibile
(anche in relazione ai motivi aggiunti del 23/4/2009, con cui sono state
impugnate note non aventi carattere provvedimentale) e in parte respinto.
12. Analoga sorte merita il ricorso n. 955/2009.
Come detto, le doglianze del Comune si appuntano sul procedimento che ha portato
la Conferenza di Servizi istituita dalla Provincia ai sensi dell’art. 13 della
L.R. n. 71/1997 a licenziare favorevolmente il progetto della ditta Guiducci &
Pierantoni.
Anche in questo caso le censure possono essere suddivise in due gruppi: quelle
relative a presunti vizi procedurali e quelli inerenti il merito delle
valutazioni espresse dalla Conferenza.
13. Per quanto riguarda le prime, il Collegio evidenzia che:
- nella specie, la Provincia non ha esercitato alcun potere sostitutivo nei
confronti del Comune di Pergola, atteso che l’art. 13, comma 3, della L.R. n.
71/1997 stabilisce che spetta alla Provincia il potere di convocare la
Conferenza di Servizi. Il Comune ricorrente ha inteso come invasivo delle
proprie competenze il sollecito inoltrato dalla Provincia con la nota del
31/7/2009, ma questa sensazione prescinde completamente dal dettato normativo.
Fra l’altro, una volta rilasciato il parere favorevole in sede di V.I.A., il
procedimento previsto dalla L.R. n. 71/1997 non poteva arrestarsi solo perché il
Comune aveva proposto il ricorso n. 870/2008, dovendosi tutelare anche
l’interesse della ditta Guiducci & Pierantoni ad una celere definizione della
vicenda;
- con decisione n. 7216/2006, il Consiglio di Stato si è pronunciato sulle
questioni relative alla composizione soggettiva e numerica della Conferenza
istituita ai sensi della citata L.R. n. 71/1997 ed alla prevalenza del voto del
presidente in caso di parità dei voti, pervenendo alla conclusione che la L.R.
n. 71/1997 autorizza le Province ad adottare il regolamento sul funzionamento
della Conferenza di Servizi (il che, nel caso della Provincia di Pesaro-Urbino,
è avvenuto all’esito di un procedimento che ha visto l’apporto consultivo degli
enti locali interessati – vedasi documentazione versata in atti dalla Provincia
in data 1/12/2009) e che la regola sulla prevalenza del voto del presidente è
frutto di un’autolimitazione consensuale degli enti che prendono parte alla
Conferenza e non appare irragionevole, visto che nella Regione Marche la
provincia è l’ente che dispone della maggior parte delle competenze in materia
di attività estrattive. Il Tribunale non ritiene nella specie di doversi
discostare dalle argomentazioni del giudice di secondo grado;
- nella conferenza di servizi (per il cui funzionamento si applicano in generale
le disposizioni di cui alla L. n. 241/1990 e s.m.i., come affermato dal
Consiglio di Stato nella citata decisione n. 7216/2006) non è richiesta, ai fini
della validità della deliberazione finale, la presenza di tutti i soggetti che
debbono prendervi parte, avendo la legge previsto la possibilità di inviare per
iscritto il parere (purché lo stesso pervenga in tempo utile al responsabile del
procedimento) ed avendo sanzionato con la nullità l’eventuale parere contrario
che sia rilasciato successivamente. Né è prevista l’unanimità dei consensi;
- neppure è imposto che la conferenza si articoli necessariamente in più sedute,
essendo questo aspetto rimesso alla valutazione dei partecipanti e/o alla
necessità di effettuate ulteriori approfondimenti istruttori. Nella specie, non
poteva non rilevare la circostanza che il progetto della ditta Guiducci &
Pierantoni era stato già ampiamente esaminato in sede di V.I.A. dagli stessi
enti che hanno preso parte alla conferenza, ad iniziare dalla Provincia
resistente. Peraltro, la conferenza di servizi non è uno strumento inutile,
atteso che, seppure la valutazione di impatto ambientale rappresenta nel caso
delle cave il momento centrale del procedimento autorizzatorio, il progetto
potrebbe non essere in linea con altre disposizioni inderogabili (senza
dimenticare che potrebbero verificarsi casi in cui non è richiesta la V.I.A.,
per cui la conferenza di servizi diventa il momento più importante del
procedimento).
Si deve inoltre evidenziare che:
- non rileva, ai fini della valida costituzione e deliberazione della conferenza
di servizi, il fatto che il Comune avesse già da tempo manifestato la propria
contrarietà al progetto della cava e che avesse chiesto il rinvio della seduta
in attesa della decisione del ricorso n. 870/2008;
- si deve infatti ribadire (senza con questo scomodare concetti dottrinali
risalenti, quale ad esempio la c.d. presunzione di legittimità del provvedimento
amministrativo) che, in assenza di validi motivi, la Provincia non aveva
l’obbligo (semmai la facoltà, il cui mancato esercizio non rende però
illegittimo il provvedimento finale) di rinviare la seduta;
- né rileva, ai fini che qui interessano, il fatto che la Provincia sapesse già
che il Comune avrebbe espresso parere contrario, visto che la sede ufficiale in
cui tale contrarietà doveva essere manifestata era proprio la conferenza di
servizi. Da ciò discende l’infondatezza dell’eccezione sollevata dal Comune,
secondo cui la Provincia avrebbe dovuto impugnare tempestivamente la nota del
luglio 2009 con cui era stata ribadita per l’ennesima volta da parte del Comune
la contrarietà al progetto. A parte il fatto che si tratta di un atto
endoprocedimentale, bisogna altresì considerare che la Provincia non era
legittimata ad impugnarlo, visto che essa non è titolare di alcun interesse
specifico alla favorevole conclusione del procedimento (tale interesse essendo
semmai in capo alla ditta Guiducci & Pierantoni, l’unico soggetto che
riceverebbe un pregiudizio laddove il progetto in questione fosse “bocciato”).
Ma in realtà, alla base di queste censure vi è una sorta di “complesso di
persecuzione”, che porta l’Amministrazione ricorrente a leggere qualsiasi atto
della Provincia come una indebita prevaricazione della sfera di autonomia
decisionale del Comune ed a sospettare che alla base dell’operato della
Provincia vi siano inconfessabili interessi.
In realtà, una volta eliminate dal discorso implicazioni lato sensu politiche o
“emozionali” (legate in qualche modo anche alla c.d. sindrome NIMBY), la vicenda
all’esame del TAR è giuridicamente lineare:
- la Provincia (facendo uso - non importa se corretto o scorretto, visto che
questo deve essere accertato dal Tribunale - del potere conferitogli dalle
LL.RR. n. 71/1997 e n. 7/2004) ha espresso un parere favorevole in sede di
V.I.A., con valenza anche di autorizzazione paesaggistica;
- il provvedimento è stato sottoposto al controllo del Ministero dell’Ambiente,
che non lo ha ritenuto passibile di annullamento. Nemmeno il Ministero dei Beni
Culturali, dal canto suo, ha ritenuto di avvalersi del potere di cui all’art.
159 D.Lgs. n. 42/2004;
- non sono intervenuti provvedimenti cautelari o di merito del Tribunale che
abbiano inciso sull’efficacia del parere di compatibilità ambientale e
paesaggistica;
- il procedimento doveva quindi proseguire, secondo la tempistica dell’art. 13
della L.R. n. 71/1997 (potendo un ritardo ingiustificato esporre la Provincia ad
eventuali pretese risarcitorie da parte della ditta controinteressata);
- nessuno ha mai messo in dubbio il fatto che la “parola finale” in subiecta
materia compete al Comune di Pergola, il quale è preposto al rilascio
dell’autorizzazione all’apertura della cava. A questo riguardo, non rilevano dal
punto di vista giuridico eventuali “pressioni” che la ditta o altri soggetti
interessati possano porre in essere nei riguardi del Comune, così come non
rilevano “pressioni” in senso opposto, atteso che il civico ente dovrà procedere
unicamente in base alla legge ed ai principi di diritto affermati nella presente
sentenza (la quale potrà essere ovviamente impugnata laddove non si condividano
le conclusioni a cui il Collegio ritiene di dover approdare).
Questi sono i principi a cui è informato il nostro ordinamento giuridico,
relativamente all’agere delle amministrazioni pubbliche.
14. Nel merito, e premesso che molti dei motivi di ricorso ripetono pressoché
integralmente le doglianze formulate nel ricorso n. 870/2008 (per cui valgono le
considerazioni di cui ai paragrafi precedenti), il Tribunale osserva che:
- l’ARPAM, pur non essendo componente di diritto della conferenza di servizi (il
che effettivamente non appare molto razionale, per cui in parte qua il
regolamento approvato a suo tempo dalla Provincia dovrebbe forse essere
modificato. Peraltro, in questa sede ciò non rileva, visto che legittimata a
censurare la disposizione regolamentare dovrebbe essere la stessa Agenzia), ha
comunque attivamente partecipato al procedimento, sia in sede di V.I.A., sia
ribadendo il parere già espresso in quella sede, di cui la conferenza ha preso
atto. Questo, tenuto anche conto del fatto che in sede di conferenza solo il
Comune ha espresso parere negativo sul progetto, determina la carenza di
interesse sullo specifico motivo di ricorso, e ciò in base alla c.d. prova di
resistenza. Tra l’altro, il ruolo dell’ARPAM non si è certo esaurito, visto che
l’Agenzia, oltre a rilasciare il nulla osta sul progetto di gestione dei rifiuti
che la ditta dovrà presentare prima del rilascio dell’autorizzazione comunale,
potrà sempre effettuare verifiche e sopralluoghi in costanza dell’attività
estrattiva, al fine di verificare il rispetto delle prescrizioni imposte alla
ditta (stesso discorso può farsi per quanto riguarda l’omessa partecipazione
alla conferenza dell’A.S.U.R. Marche);
- poiché la conferenza, per espressa previsione legislativa, deve valutare la
compatibilità del progetto con la normativa regionale e provinciale, non possono
essere componenti di diritto dell’organo amministrazioni statali, le quali sono
invece coinvolte nelle fasi antecedenti della procedura;
- peraltro, la Soprintendenza per i Beni Culturali (la cui partecipazione al
procedimento è stata lungamente invocata dal Comune), una volta che ha avuto la
possibilità di esprimere il proprio avviso, ha fondato la propria contrarietà
(ma forse sarebbe preferibile parlare di perplessità) al progetto su tre
argomenti. Il primo relativo alla presenza di aree boscate, il secondo inerente
i problemi di intervisibilità fra il sito e la chiesa della Madonna del Sasso,
il terzo su considerazioni afferenti il bilanciamento degli interessi, il tutto
senza un particolare supporto documentale o motivazionale. Questo non può che
implicare una considerazione perfino banale, che scaturisce da alcune delle
asserzioni che il Comune ha posto a base dei motivi aggiunti del 25/5/2009: in
quella sede, l’Amministrazione ricorrente ha censurato l’operato del Ministero
dell’Ambiente sostenendo che il giudizio di compatibilità ambientale e
paesaggistica deve essere fondato su analitiche motivazioni relative agli
effetti che un intervento dell’uomo provoca sui singoli beni sottoposti a tutela
e sull’ambiente nel suo complesso (nel mentre il Dicastero si sarebbe limitato a
recepire acriticamente il parere favorevole della Provincia). Ma se così è,
analogo discorso è a farsi quando un’autorità esprime un parere contrario o,
addirittura, annulli un’autorizzazione paesaggistica. Nella specie, a parte la
questione relativa alla pretesa interferenza visuale con la chiesa della Madonna
del Sasso e con il borgo di Bellisio Solfare (circostanza che le parti intimate
hanno smentito avvalendosi di perizie di parte), gli altri profili evidenziati
dalla Soprintendenza sono stato oggetto specifico della procedura di V.I.A.,
nell’ambito della quale il competente ufficio della Provincia ha espresso anche
il parere di compatibilità paesaggistica. La messa in discussione in parte qua
del parere favorevole della Provincia avrebbe necessitato di argomenti ben più
consistenti rispetto alle generiche affermazioni rassegnate dalla Soprintendenza
in sede di conferenza di servizi.
15. In conclusione, i ricorsi in epigrafe vanno in parte dichiarati
inammissibili e in parte respinti.
Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese fra
le parti costituite, legati alla complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche in parte dichiara
inammissibili e in parte respinge i ricorsi in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Luigi Passanisi, Presidente
Giuseppe Daniele, Consigliere
Tommaso Capitanio, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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