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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. PIEMONTE, Sez. II - 18 dicembre 2010, n. 4593
INQUINAMENTO - Bonifica - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 - Responsabilità -
Proprietario incolpevole dell’area inquinata - Principio “chi inquina paga” -
Interventi di recupero ambientale - Privilegio speciale immobiliare. L’art.
17 del d.lgs. n. 22/97 impone l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che
definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento solamente a
carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa,
postulando, da un punto di vista soggettivo, il requisito del dolo o della
colpa. E’ evidente, pertanto, che, conformemente al principio comunitario "chi
inquina paga" (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE), secondo cui chi fa correre
un rischio di inquinamento o chi provoca un inquinamento è tenuto a sostenere i
costi della prevenzione o della riparazione, l'amministrazione non può imporre
ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno
contestato, ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo
svolgimento di attività di recupero e di risanamento. A carico del proprietario
dell'area inquinata, non responsabile della contaminazione, spetta, invero,
unicamente la facoltà di eseguire gli interventi ambientali in questione, al
fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale,
al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale
assistite anche da privilegio speciale immobiliare. Pres. Salamone, Est. Sinigoi
- I. s.r.l. (avv.ti Buffa, Simonis e Buffa) c. Comune di Monticchio (n.c.) -
TAR PIEMONTE, Sez. II - 18 dicembre 2010, n. 4593
N. 04593/2010 REG.SEN.
N. 02078/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2078 del 2001, proposto da:
Ieca s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Buffa, Gabriella
Simonis e Giovanna Buffa, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi, in
Torino, via Alfieri, 19;
contro
Comune di Montiglio, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in
giudizio;
per l'annullamento
- dell'ordinanza n. 39 del 26.09.2001 con la quale il Sindaco ha diffidato la
società Ieca ai sensi ed agli effetti dell'art. 8, 2° comma del D.M. 471/1999 e
art. 17 D.Lgs. 22/97;
- e di ogni altro atto connesso e coordinato con l'anzidetto, anteriore e/o
conseguente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2010 la dott.ssa Manuela
Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Sindaco del Comune di Montiglio Monferrato, con ordinanza n. 39 in data 26
settembre 2001, diffidava la società IECA s.r.l., in persona dell’amministratore
delegato pro tempore geom. Alessandro Giunipero, ad adottare gli interventi di
messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale di cui agli artt. 17 del
D.Lgs. n. 22/97 e 8 del D.M. n. 471/99 del sito della Cava di Codana (cava di
gesso dismessa), di proprietà della società medesima, in ragione del ritenuto
supero dei valori limite di cui all’art. 3, comma 1, del citato D.M..
La società, essendo stata costituita con atto notarile in data 28 dicembre 1985
ed essendo appena da tale data proprietaria della cava in questione, insorgeva
avverso tale ordinanza, deducendo che presso il sito medesimo era stato
autorizzato il deposito di rifiuti industriali a partire dagli anni ‘70 sino al
13 dicembre 1985, che la richiesta di autorizzazione all’utilizzo della cava
come discarica per i rifiuti presentata nel marzo dell’anno 1987 le era stata
negata dalla Provincia di Asti, prima con diniego provvisorio e poi con diniego
definitivo, e che il sito in questione era stato inserito dalla Regione Piemonte
nel “Piano di bonifica di aree contaminate predisposto ai sensi dell’art. 1 del
D.M. 16/5/1989”, giusta deliberazione consiliare in data 26 novembre 1991, ma
che, all’esito del monitoraggio ambientale eseguito dalla Provincia di Asti, la
Regione stessa, esaminato lo studio e i risultati delle analisi compiute, con
determinazione del dirigente responsabile della Direzione Tutela e Risanamento
Ambientale – Programmazione e gestione rifiuti n. 283 in data 4 giugno 2001,
aveva escluso la Cava Codana dal piano dei siti da bonificare “considerato che…
si riscontra che risultano necessari interventi di tipo strutturale per la
sicurezza statica della cava, ma non di tipo ambientale per la bonifica della
stessa”.
Affidava, quindi, il ricorso ai seguenti motivi di gravame:
1. Inesistenza o nullità dell’atto per mancanza di un suo elemento costitutivo
essenziale.
Non è allegata (né è stata in altro modo notificata) la comunicazione prot.
46369 in data 11/7/2001 della Provincia di Asti – Servizio Ambiente, che
costituisce parte integrante e sostanziale del provvedimento gravato.
2. Violazione e falsa applicazione dei principi di diritto in tema di atti
amministrativi e di procedimento. Violazione dell’art. 3 della L. 241/90.
Eccesso di potere per contraddittorietà.
La mancata allegazione della comunicazione su indicata rende il provvedimento in
ogni caso illegittimo, in quanto l’Amministrazione ha disatteso il vincolo cui
s’era autonomamente sottoposta (ovvero la circostanza che la comunicazione
costituisse parte integrante e sostanziale).
La mancata allegazione costituisce, inoltre, anche violazione dell’art. 3 della
legge n. 241/90.
E’ evidente, altresì, anche il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà.
3. Violazione del principio di buon andamento. Violazione e falsa applicazione
dell’art. 8 del D.M. 471/1999 e dell’art. 17 del D.Lgs. 22/1997. Eccesso di
potere per errore, travisamento dei fatti, manifesta illogicità.
Il provvedimento è stato adottato in assenza dei presupposti previsti dalla
legge per la sua adozione, in quanto è stato acclarato dagli studi di
monitoraggio eseguiti che il sito non necessita di interventi di bonifica.
Le analisi eseguite sul sito hanno dato, infatti, valori nulli, non significanti
o accettabili e, in base a tali risultanze, la Regione Piemonte ha addirittura
escluso la Cava Codana dal piano dei siti da bonificare.
4. Violazione dell’art. 3 della legge 241/90. Eccesso di potere per carenza di
motivazione e per difetto di istruttoria.
Il Comune ha adottato una decisione di contenuto opposto a quella assunta dalla
Regione Piemonte, senza dare contezza di tale divergente convincimento.
5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, D.M. 471/1999.
Violazione dell’art. 3 della legge 241/90. Eccesso di potere per carenza di
motivazione e per difetto d’istruttoria.
Il provvedimento non indica quali sarebbero i limiti di cui all’art. 3, comma 1,
del D.M. 471/1999 che sarebbero stati superati.
6. Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, del D.M. 471/1999.
Eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti.
La Ieca non è il soggetto responsabile del preteso inquinamento, atteso che è
divenuta proprietaria del terreno ove insiste la cava successivamente alla
cessazione dell’ attività di deposito fanghi.
E’, dunque, totalmente estranea ai fatti che avrebbero dato luogo ai pretesi
inquinamenti.
7. Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 D.M. 471/1999. Eccesso di potere
per errore, contraddittorietà e sviamento.
Il richiamo contenuto nell’atto impugnato al 2° comma dell’art. 17 del D.M.
471/1999 è privo di fondamento, anche in considerazione del fatto che il sito
Codana è stato escluso dal piano regionale dei siti da bonificare.
Il Comune di Montiglio Monferrato non si costituiva in giudizio.
All’esito dell’udienza camerale dell’11 gennaio 2002, questa Sezione, con
ordinanza n. 45/2002, accoglieva l’istanza cautelare contenuta nel ricorso, in
considerazione della prognosi di fondatezza formulata e della ritenuta
sussistenza del pregiudizio lamentato dalla società.
In prossimità dell’udienza pubblica del 24 novembre 2010, fissata per la
trattazione del merito successivamente alla rituale presentazione da parte della
società ricorrente dell’istanza di cui all’art. 9, comma 2, L. n. 205/2000, la
società medesima, con memoria, ribadiva le tesi difensive già svolte nell’atto
di costituzione in giudizio.
All’udienza di merito da ultimo fissata, all’esito della discussione, la causa
veniva trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il Collegio è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’ordinanza con cui
il Sindaco del Comune di Montiglio Monferrato, ai sensi e per gli effetti di cui
agli artt. 17 del D.Lgs. n. 22/1997 e 8 del D.M. 471/1999, ha ordinato alla
società ricorrente, quale proprietaria del sito della Cava di Codana, di
effettuare degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
ambientale dell’area medesima.
Il provvedimento, che sembrerebbe trarre origine da una comunicazione del
Servizio Ambiente della Provincia di Asti dell’11 luglio 2001, si riferisce
genericamente all’avvenuto superamento dei valori limite di cui all’art. 3,
comma 1, del D.M. 471/99 presso il sito della cava, ma non reca né una puntuale
indicazione dei valori che sarebbero stati superati, né, tanto meno, motiva in
ordine all’ascrivibilità di tale (ritenuto) fenomeno d’inquinamento alla società
proprietaria.
La carenza istruttoria e motivazionale del provvedimento appare, viepiù,
aggravata dalla circostanza che solo qualche mese prima della sua adozione la
Regione Piemonte, con provvedimento dirigenziale n. 283 in data 4 giugno 2001,
aveva addirittura escluso il sito in questione dal piano di finanziamento
2000-2002 per l’esecuzione di interventi di bonifica dei siti inquinati, in
quanto gli elaborati definitivi delle indagini eseguite presso la Cava Codana
avevano evidenziato la necessità di interventi di tipo strutturale per la sua
sicurezza statica, ma non di tipo ambientale per la sua bonifica.
Il progetto di monitoraggio, predisposto dalla Provincia di Asti e sulla base
dei cui esiti la Regione aveva deciso per la su indicata esclusione, reca,
infatti, a pag. 15, tale affermazione “tutti gli scriventi concordano nel
considerare il sistema, nel quale è inglobata la lente di gesso, come
assolutamente impermeabile (a parte una permeabilità per fessurazione –
carsismo) e non rilevano fenomeni di inquinamento in atto”.
A fronte dell’esistenza di risultanze così significative e tali da escludere una
situazione di inquinamento in atto, l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto,
pertanto, dare adeguata contezza delle motivazioni per cui riteneva comunque
sussistenti i presupposti per diffidare la società Ieca ad eseguire sul sito in
questione gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
ambientale, indicando, in particolare, i valori che riteneva superiori al limite
di legge e le indagini svolte ai fini del loro accertamento, anche avuto
riguardo agli esiti del su indicato monitoraggio eseguito dalla Provincia di
Asti.
Inoltre, avrebbe dovuto esplicitare chiaramente le ragioni per cui riteneva
doveroso agire nei confronti della società proprietaria del sito.
Rammenta, infatti, il Collegio che il comma 2 dell’art. 17 del decreto
legislativo n. 22/1997, vigente ratione temporis, stabilisce che “ Chiunque
cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma
1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento
dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di
messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate
e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento…”.
Tale norma impone, quindi, l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che
definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento solamente a
carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa,
postulando, pertanto, da un punto di vista soggettivo, il requisito del dolo o
della colpa.
Da ciò la giurisprudenza quasi univoca, condivisa dal Collegio, deduce la
mancanza di responsabilità, e quindi di obbligo a bonificare o di mettere in
sicurezza, del proprietario incolpevole (cfr., Tar Toscana, II; 17 aprile 2009,
n. 665; T.A.R. Veneto, sez. III, 25 maggio 2005, n. 2174; , T.A.R. Lombardia,
Milano, sez. I, 8 ottobre 2004, n. 5473; T.A.R. Campania, sez. V, 28 settembre
1998, n. 2988).
E’ evidente, pertanto, che, conformemente al principio comunitario "chi inquina
paga" (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE), secondo cui chi fa correre un
rischio di inquinamento o chi provoca un inquinamento è tenuto a sostenere i
costi della prevenzione o della riparazione, l'amministrazione non può imporre
ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno
contestato, ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo
svolgimento di attività di recupero e di risanamento (T.A.R. Veneto, sez. III, 2
febbraio 2002, n. 320).
Come lascia agevolmente intuire anche l’art. 8, comma 3, del “Regolamento
recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e
il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del
D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”,
adottato con D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, a carico del proprietario dell'area
inquinata, non responsabile della contaminazione, spetta, invero, unicamente la
facoltà di eseguire gli interventi ambientali in questione, al fine di evitare
l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle
spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da
privilegio speciale immobiliare.
La legge prevede, infatti, che, in caso di mancata esecuzione degli interventi
in argomento da parte del responsabile dell'inquinamento ovvero in caso di
mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale vanno
eseguite dall'amministrazione competente la quale potrà rivalersi sul soggetto
responsabile, nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, nel
caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno
oggetto dei suddetti interventi (T.A.R. Lombardia, Brescia, 16 marzo 2006, n.
291; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355).
In base alle considerazioni innanzi riportate, il Collegio ritiene, pertanto,
assolutamente condivisibile il giudizio prognostico già formulato dalla Sezione
in sede cautelare.
Nel caso di specie, l’Amministrazione ha diffidato la società Ieca ad eseguire
gli interventi in questione, dando evidentemente per scontata la responsabilità
della medesima nella causazione dell’evento asseritamente ritenuto esistente, ma
senza svolgere al riguardo alcuna effettiva indagine, in grado di comprovarne
l’effettiva sussistenza sotto il profilo del dolo o della colpa.
Nel provvedimento impugnato si legge, infatti, unicamente che gli interventi
imposti sono “… connessi al superamento dei valori limite di cui all’art. 3, 1°
comma, del D.M. 471/1999…”.
Ma la circostanza del supero di tali valori non poteva far derivare per ciò solo
la responsabilità della società proprietaria, atteso che in nessun modo è
ravvisabile (e allegata dal Comune) nemmeno un’ipotesi di omessa vigilanza da
parte della società.
Ne deriva che, in disparte ogni ulteriore considerazione in ordine alla
circostanza che il provvedimento gravato non motiva in alcun modo in ordine alla
ritenuta (ed inespressa) sussistenza dei presupposti per diffidare la società
Ieca ad eseguire sul sito in questione gli interventi di messa in sicurezza,
bonifica e ripristino ambientale (che, in virtù delle considerazioni innanzi
svolte, appalesa comunque la fondatezza delle doglianze di cui ai motivi 3, 4, 5
e 7), l’omesso accertamento dell’effettiva ascrivibilità alla medesima
dell’affermato supero dei valori limite rende anche per ciò solo illegittimo il
provvedimento medesimo.
E’, pertanto, fondata e riveste carattere assorbente la censura sollevata dalla
società con il sesto motivo di ricorso.
Per le considerazioni che precedono, il ricorso in esame deve essere, quindi,
accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come indicato
nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione II,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
e, per l’effetto, annulla l’ordinanza n. 39 del 26 settembre 2001 del Sindaco
del Comune di Montiglio Monferrato.
Condanna il Comune intimato alla rifusione delle spese di giudizio a favore
della società Ieca s.r.l., che vengono liquidate nell’importo complessivo di
Euro 2.000,00 (duemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Manuela Sinigoi, Referendario, Estensore
Antonino Masaracchia, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/12/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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