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T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Piano energetico ambientale regionale siciliano (PEARS)
- Natura regolamentare - Subordinazione dei contenuti alle fonti normative di
rango primario - Qualifica di ius superveniens rispetto alle istanze già
presentate. Alle disposizioni del Piano Energetico Ambientale Regionale
Siciliano (PEARS) va riconosciuta natura formalmente amministrativa, ma
sostanzialmente normativa, vale a dire natura regolamentare. (sentenza TAR
SICILIA, Palermo, n. 1632 del 2009). Da tale conclusione derivano due
conseguenze: sul piano della gerarchia delle fonti, la subordinazione dei
contenuti normativi del piano alle fonti del diritto di rango primario; sul
piano della successione temporale della disciplina dei procedimenti
amministrativi afferenti la materia regolata dal piano, la qualificazione del
piano stesso come ius superveniens rispetto alle istanze già presentate. Ne
consegue che é illegittimo lo scrutinio delle istanze di autorizzazione ex art.
12 del d. lgs. 387/2003, presentate prima della pubblicazione nella G.U.R.S. del
27 marzo 2009 del PEARS, secondo le regole - procedimentali o sostanziali-
portate da detto piano. Pres. Monteleone, Est. Tulumello - Z. s.r.l. (avv.
Comandè) c. Regione siciliana e altri (Avv. Stato) - TAR SICILIA, Palermo,
Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti per la produzione di energia eolica - Impatto
territoriale - Poteri urbanistici e paesaggistici - Interesse nazionale
all’approvvigionamento energetico da fonti non inquinanti. L’impatto
territoriale degli impianti per la produzione di energia eolica, sicuramente
rilevante e tale da giustificare l’esercizio dei poteri urbanistici e
paesaggistici, non è tuttavia un elemento da considerare in via esclusiva,
dovendo l’attività in parola tener conto altresì (e principalmente)
dell’interesse nazionale - costituzionalmente rilevante - all’approvvigionamento
energetico (per di più, in forme non inquinanti) (cfr. sentenze Corte
Costituzionale nn. 364/2006, 88/2009, 166/2009 e282/2009) Pres. Monteleone, Est.
Tulumello - Z. s.r.l. (avv. Comandè) c. Regione siciliana e altri (Avv. Stato) -
TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Regione siciliana - Mancato esercizio delle competenze
legislative in materia -Norme regolamentari - Rapporto di non contraddizione con
le norme statali di rango primario. Il mancato esercizio, da parte della
Regione Siciliana, delle proprie competenze legislative (cfr. sent. TAR SICILIA,
Palermo, n.273/2010, nella quale si è evidenziato che “La Regione Sicilia, ad
oggi, non ha esercitato la potestà legislativa di dettaglio per il recepimento
dei principi stabiliti dal d. lgs. n° 387 del 2003, nè per il recepimento della
direttiva n. 2001/77/CE”) , comporta - sia per il rispetto del principio di
legalità sostanziale, sia per il rispetto del principio di gerarchia fra le
fonti - che le norme regolamentari da essa emanate tendenti a disciplinare
l’estensione e le modalità delle attività amministrative propedeutiche al
rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e l’esercizio di impianti di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili , si pongano in rapporto di
non contraddizione con le sovrastanti norme di rango primario (statali). Pres.
Monteleone, Est. Tulumello - Z. s.r.l. (avv. Comandè) c. Regione siciliana e
altri (Avv. Stato) - TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Ordinamenti regionali anche a statuto speciale -
Assenza di normativa di esecuzione degli obblighi comunitari - Fonte legislativa
- Natura suppletiva - L. n. 11/2005 - Parametro di legittimità degli atti
regolamentari regionali - D. lgs. n. 387/2003 - L. n. 239/2004. Pur in
difetto di un’espressa qualificazione del carattere cedevole delle norme del
d.lgs. n° 387/2003 e della legge n° 239/2004 negli ordinamenti regionali anche a
Statuto speciale privi di normativa di esecuzione degli obblighi comunitari, la
fonte legislativa statale assume natura suppletiva ai sensi della legge n°
11/2005 e, come tale, si applica anche per la disciplina di dettaglio, nelle
more dell’esercizio della potestà legislativa regionale concorrente. A ciò
consegue che il parametro di legittimità degli atti regolamentari regionali
emanati in materia va rinvenuto nella legislazione statale dettata con il d. lgs.
n° 387/2003 e con la legge n° 239/2004”. Pres. Monteleone, Est. Tulumello - Z.
s.r.l. (avv. Comandè) c. Regione siciliana e altri (Avv. Stato) - TAR
SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti di produzione di energia eolica - Regime di
disponibilità delle aree interessate - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Art. 1
d.P.R. 327/2001 - PEARS - Violazione della norma statale. Dal combinato
disposto dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e dell’art. 1 del d.P.R. 327/2001
discende che la qualificazione legale degli impianti di produzione di energia
eolica implica un regime della disponibilità delle relative aree incompatibile
con quello posto dal PEARS: più in particolare, il legislatore statale,
imprimendo a tali impianti la qualificazione di “opere di pubblica utilità
indifferibili ed urgenti”, ha inteso consentire la loro realizzazione anche
oltre e al di là della limitazione costituita dalla attuale disponibilità
dell’area in capo al richiedente l’autorizzazione, scindendo chiaramente i due
profili. La norma regionale ha invece posto l’uno quale condizione dell’altro:
con ciò violando all’evidenza la regola posta dalla norma primaria di rango
statale. Pres. Monteleone, Est. Tulumello - Z. s.r.l. (avv. Comandè) c. Regione
siciliana e altri (Avv. Stato)- TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 febbraio
2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Rapporto tra attività di produzione di energia e
capacità della rete di trasmissione - PEARS - Istanza di autorizzazione -
Comunicazione circa la capacità ricettiva della rete da parte del gestore -
Requisito necessario ai fini dell’assenso - Illegittimità. Nella disciplina
posta dalla norma statale di cui all’art. 3, c. 1 del d.lgs. n. 79/99, attuativa
della direttiva 1996/92/CE, è la capacità della rete di trasmissione a dovere
essere funzionale all’attività di produzione di energia, e non viceversa. Ciò
risulta del resto sia da un dato ontologico, sia soprattutto dal preciso limite
che la norma pone ad un eventuale rifiuto del gestore: che può essere
legittimamente connesso soltanto al rispetto delle regole tecniche, e delle
condizioni tecnico-economiche fissate dall’Autorità di settore (e non dal
gestore della rete, o dalla Regione). Il punto 3 del PEARS, che subordina l’assentibilità
dell’istanza di autorizzazione alla presentazione di una comunicazione, da parte
del gestore della rete, circa la capacità ricettiva di quest’ultima in relazione
all’energia prodotta dall’impianto autorizzando, invece, nel fare riferimento
alla valutazione operata dal gestore, introduce un ulteriore limite
all’esercizio di un’attività che invece la normativa comunitaria, e quella
statale che l’ha attuata, vogliono espressamente essere liberalizzata.Pres.
Monteleone, Est. Tulumello - Z. s.r.l. (avv. Comandè) c. Regione siciliana e
altri (Avv. Stato) - TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti per la produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili - Autorizzazione - Conferenza di servizi - Legittimazione alla
partecipazione al procedimento - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Rinvio alle
modalità procedimentali ex L. n. 241/90 - Partecipazione di amministrazioni non
titolari di competenze in ordine alla materia - Illegittimità - Fattispecie:
PEARS - Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali. Il rinvio alle
modalità procedimentali stabilite dalla legge n. 241 del 1990, di cui all’art.
12, c. 4 del d.lgs. n. 387/2003, evidentemente anche in punto di legittimazione
alla partecipazione al procedimento, esclude che possa introdursi con norma
regolamentare una deroga che consenta la partecipazione di amministrazioni non
titolari di competenze in relazione all’affare da deliberare. Sicchè è
illegittima la norma del PEARS nella parte in cui implica la partecipazione alla
conferenza di servizi della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali, e la
valutazione solo in quella sede della esistenza o meno di un titolo che ne
giustifica l’intervento. Oltre alla diretta violazione della invocata normativa
statale di rango primario, relativa alla disciplina del procedimento di
autorizzazione, è peraltro evidente come un simile intervento costituirebbe
esercizio di un potere privo - in assenza di un vincolo - di fondamento legale,
almeno in una fattispecie di conferenza di servizi decisoria quel’è quella
disciplinata dall’art. 12 del d. lgs 387/2003 (cui del resto la norma
regolamentare impugnata espressamente si richiama). Pres. Monteleone, Est.
Tulumello - Z. s.r.l. (avv. Comandè) c. Regione siciliana e altri (Avv. Stato) -
TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Misure di compensazione ex art. 1, c. 4, lett. f) L.
n. 239/2004 - Individuazione su base regionale - Limiti - Fonte legislativa.
Le eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale
(art. 1, comma 4, lettera f), della legge n. 239 del 2004), nella misura in cui
possono essere individuate su base regionale, vanno disciplinate con legge (in
questo senso Corte costituzionale, sentenza n. 282 del 2009), e non con atto
amministrativo regolamentare. Pres. Monteleone, Est. Tulumello - Z. s.r.l. (avv.
Comandè) c. Regione siciliana e altri (Avv. Stato) - TAR SICILIA, Palermo,
Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Autorizzazione unica - PEARS - Garanzia assicurativa a
tutela di un eventuale credito del gestore - Adempimento propedeutico all’esame
dell’istanza di autorizzazione - Illegittimità. La previsione di una
garanzia assicurativa, a tutela di un eventuale credito del gestore,di cui al
punto 2), lett. d), della delibera approvativa del P.E.A.R.S., quale adempimento
propedeutico all’esame dell’istanza di autorizzazione unica, non appare
funzionale alla tutela di alcun interesse pubblico, giuridicamente ritenuto
meritevole di tutela sulla base della disciplina del settore, e men che mai di
un interesse di cui sia titolare l’amministrazione regionale. Pres. Monteleone,
Est. Tulumello - Z. s.r.l. (avv. Comandè) c. Regione siciliana e altri (Avv.
Stato) - TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti di energia da fonte rinnovabile - Art. 12
d.lgs. n. 387/2003 - Localizzazione in zona agricola - Valutazione di
compatibilità territoriale specifica. Il punto 20) della delibera
approvativa del P.E.A.R.S., nella parte in cui prevede che “L’autorizzazione per
la realizzazione di impianti di energia da fonte rinnovabile su terreni agricoli
non può essere rilasciata ove essi non siano dichiarati dalla Amministrazione
compatibili con la valorizzazione delle produzioni agroalimentari locali e la
tutela della biodiversità e del patrimonio culturale e del paesaggio rurale” non
esclude che gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili
vengano ubicati in zona agricola, ma si preoccupa di rendere compatibile, in
quel caso, la localizzazione dell’impianto con peculiari esigenze legate alla
vocazione del territorio. Non può dunque parlarsi di un contrasto con l’art. 12
del d.lgs. n. 387/2003, né può farsi discendere dal disposto del citato art. 12,
comma 7, l’indiscriminata possibilità di localizzare detti impianti in zona
agricola, indipendentemente dalla valutazione di compatibilità territoriale
specifica. Pres. Monteleone, Est. Tulumello - Z. s.r.l. (avv. Comandè) c.
Regione siciliana e altri (Avv. Stato) - TAR SICILIA, Palermo, Sez. II - 9
febbraio 2010, n. 1775
DIRITTO DELL’ENERGIA - Impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili
- Previsione di una distanza minima tra impianti - Illegittimità. E’
illegittima la previsione di una distanza minima da osservarsi tra impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili. Valgono per questo tipo di
previsione le considerazioni che la giurisprudenza ha da tempo espresso a
proposito della legittimità del potere regolamentare comunale in materia di
localizzazione sul territorio di impianti elettromagnetici e stazioni radio
base, e della finalità reale cui rispondono previsioni generalizzate di distanze
minime particolarmente impeditive, del tutto avulse dalla concreta verifica
dello stato dei luoghi (in questo senso, ex multis, T.A.R. Abruzzo Pescara, sez.
I, 23 maggio 2009 , n. 375). Pres. Monteleone, Est. Tulumello - Z. s.r.l. (avv.
Comandè) c. Regione siciliana e altri (Avv. Stato) - TAR SICILIA, Palermo,
Sez. II - 9 febbraio 2010, n. 1775
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 01775/2010 REG.SEN.
N. 01010/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1010 del 2009, integrato da motivi
aggiunti, proposto dalla Zefira S.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Comandè, con domicilio eletto
presso il predetto difensore in Palermo, via N. Morello n.40;
contro
Regione Sicilia, Giunta regionale siciliana, Regione Sicilia Assessorato
Industria, Regione Sicilia Assessorato Territorio ed Ambiente, Regione Sicilia
Assessorato Territorio ed Ambiente - Dipartimento Ambiente, Servizio II Via-Vas,
in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e
difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici,
in Palermo, via A. De Gasperi 81, sono domiciliati per legge;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Daniele Monachino e Luigi Monachino, rappresentati e difesi dall'avv. Alberto
Cutaia, con domicilio eletto presso l’avv. Armando Buttitta in Palermo, piazza
S. Cuore 3;
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia:
quanto al ricorso introduttivo:
del D.P.R.S. del 9 marzo 2009, con il quale è stata emanata la delibera di
Giunta Regionale n. 1 del 3 febbraio 2009, recante “Piano energetico ambientale
regionale siciliano (P.E.A.R.S.) – Approvazione”;
della delibera di Giunta Regionale Siciliana n. 1 del 3 febbraio 2009, emanata
con il suddetto decreto, relativamente ai seguenti punti: 2, lett. b) e d),
nonché penultimo capoverso; 3, 4, 6, 7, 10, 20, 21;
del verbale della conferenza di Servizi del 31 marzo 2009, nella parte in cui
non si è proceduto alla rimessione alla Giunta di Governo della decisione in
ordine alla istanza di autorizzazione ex art. 12 d. lgs. 387/2003, presentata
dalla società ricorrente, in attesa della valutazione circa l’applicabilità a
tale istanza del P.E.A.R.S.;
della nota del Dirigente del Servizio V.I.A. - V.A.S. del Dipartimento Ambiente
dell'Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente prot. n. 24984 del 31 marzo
2009, con la quale è stato espresso parere negativo di compatibilità ambientale;
di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
della nota prot. n. 29484 del 24 luglio 2009, con la quale l’Assessorato
regionale Industria, Dipartimento Regionale dell’Industria e delle Miniere, ha
richiesto alla odierna ricorrente di provvedere alla integrazione della
documentazione relativa al progetto di impianto eolico da realizzarsi nel
territorio di Paternò e Centuripe, in esecuzione di quanto disposto dal punto 2
della delibera di G.R. n. 1/2009.
Visti il ricorso introduttivo, ed il connesso ricorso per motivi aggiunti, con i
relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Sicilia, Giunta regionale
siciliana, Regione Sicilia Assessorato Industria, Regione Sicilia Assessorato
Territorio ed Ambiente, Regione Sicilia Assessorato Territ. ed Ambiente -Dipart.
Ambiente Serv. II Via-Vas;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 dicembre 2009 il dott. Giovanni
Tulumello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame, notificato il 26 maggio 2009, e depositato il
successivo 4 giugno, la società ricorrente ha depositato i provvedimenti
indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione regionale intimata, depositando
memoria e documenti.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 30 luglio 2009, e
depositato il successivo 31 luglio, la società ricorrente ha altresì impugnato
la nota prot. n. 29484 del 24 luglio 2009.
Con ordinanza n. 851/2009, la Sezione ha accolto la domanda di sospensione
cautelare degli effetti dei provvedimenti impugnati.
Detto provvedimento è stato riformato in sede di appello cautelare
dall’ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione
Siciliana, n. 1038/2009, con la seguente motivazione: “nella comparazione dei
contrapposti interessi appare meritevole di prevalente considerazione il danno
grave ed irreparabile dedotto dall’appellante amministrazione regionale, con
riferimento all’interesse pubblico specifico affidato alle sue cure”.
In data 10 dicembre 2009 veniva depositato un atto di intervento ad adiuvandum
dei signori Daniele Monachino e Luigi Monachino, imprenditori operanti nel
settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
In prossimità dell’udienza di discussione sia la società ricorrente che
l’amministrazione resistente depositavano memoria.
Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza
del 22 dicembre 2009.
Il presente giudizio ha ad oggetto una serie di provvedimenti relativi al
procedimento di autorizzazione di un impianto eolico da realizzarsi da parte
della società ricorrente nel territorio dei comuni di Paternò e Centuripe,
avviato da un’istanza presentata alla Regione Siciliana dalla società ricorrente
fin dall’ 11 agosto 2004.
Il ricorso introduttivo si rivolge inoltre anche contro alcune previsioni del
Piano energetico ambientale regionale siciliano (P.E.A.R.S.), approvato con
delibera di Giunta Regionale n. 1 del 3 febbraio 2009, in quanto ritenute
(dall’amministrazione) applicabili alla fattispecie dedotta.
Nell’ordine logico delle questioni va dunque preliminarmente esaminata la
censura – comune ai motivi nn. 2, 3, 4 e 13 del ricorso introduttivo, e al terzo
motivo del ricorso per motivi aggiunti – con cui la parte ricorrente lamenta
l’illegittima applicazione dell’impugnato P.E.A.R.S. ai procedimenti
amministrativi avviati anteriormente alla sua entrata in vigore.
In argomento va anzitutto esaminata la questione – anch’essa dedotta nel quarto
motivo del ricorso introduttivo – relativa alla natura giuridica del P.E.A.R.S.
Sul punto ritiene il collegio che, in applicazione dell’orientamento
giurisprudenziale già espresso da questo Tribunale Amministrativo (sentenza n.
1632 del 2009), alle disposizioni del P.E.A.R.S. vada riconosciuta natura
formalmente amministrativa, ma sostanzialmente normativa, vale a dire natura
regolamentare.
La sentenza da ultimo citata, infatti, resa in sede di impugnazione del decreto
assessoriale n. 123 del 28 aprile 2005, avente ad oggetto “Criteri relativi ai
progetti per la realizzazione degli impianti industriali per la produzione di
energia mediante lo sfruttamento del vento”, ha chiarito che “Non appare invero
discutibile che le disposizioni de quibus hanno la caratteristica della novità -
introducendo condizioni e prescrizioni ulteriori rispetto a quelle fino a quel
momento esistenti per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di un
impianto eolico - della generalità e dell’astrattezza; in definitiva si
atteggiano quali vere e proprie norme di carattere secondario.”
Avendo il Piano oggi impugnato contenuto pressoché identico – dal punto di vista
della materia disciplinata, e delle modalità di disciplina della stessa –
rispetto al decreto assessoriale n. 123 del 28 aprile 2005, non può che
rinviarsi in senso adesivo alle considerazioni ora riportate, e concludere sul
punto nel senso della natura regolamentare del Piano impugnato.
Da tale conclusione derivano due conseguenze: sul piano della gerarchia delle
fonti, la subordinazione dei contenuti normativi del piano alle fonti del
diritto di rango primario; sul piano della successione temporale della
disciplina dei procedimenti amministrativi afferenti la materia regolata dal
piano, la qualificazione del piano stesso come ius superveniens rispetto alle
istanze già presentate.
Mentre il primo dei cennati profili incide sul giudizio di validità dei
contenuti disciplinari introdotti dal P.E.A.R.S. (cui pure si riferiscono alcune
delle censure proposte nel presente giudizio), il secondo opera sul piano
diacronico, delimitando l’efficacia temporale delle nuove prescrizioni secondo
la regola scolpita dall’artt. 10 e 11 delle preleggi (Consiglio di Stato
adunanza generale, 6 luglio 1995 , n. 30).
Ne consegue che l’amministrazione regionale illegittimamente ha scrutinato le
istanze di autorizzazione ex art. 12 del d. lgs. 387/2003, presentate prima
della pubblicazione nella G.U.R.S. del 27 marzo 2009 del Piano impugnato,
secondo le regole – procedimentali o sostanziali- portate da detto piano.
Va peraltro aggiunto che – come dedotto dalla parte ricorrente – il profilo di
illegittimità in proposito è duplice, per quelle istanze che, alla data di
entrata in vigore del P.E.A.R.S., erano state presentate da più di centottanta
giorni.
In questa seconda ipotesi, infatti, ricorrente nel caso di specie, già il fatto
della mancata pronuncia sull’istanza di autorizzazione entro il termine finale
stabilito dalla norma primaria, configura una forma di illegittimità lesiva
delle posizioni d’interesse dei soggetti che hanno presentato l’istanza di
autorizzazione, come in più occasioni ricordato anche da questa Sezione (da
ultimo con le sentenze n. 1539 e n. 1691 del 2009).
All’inadempimento dell’amministrazione, consistito nel non aver esitato una
istanza di autorizzazione entro il termine previsto, si aggiunge nel caso in
esame la pretesa della stessa amministrazione di assoggettare alle nuove norme
regolamentari, in violazione dell’art. 11 delle preleggi, fattispecie
autorizzatorie che risultano tuttora non definite proprio in conseguenza di
detto inadempimento (e per le quali, dunque, un problema di applicazione del
P.E.A.R.S. non si sarebbe posto ove l’amministrazione avesse rispettato il
citato art. 12 del d. lgs. 387/2003).
La vicenda dedotta nel presente giudizio è, sul punto, particolarmente
emblematica, dal momento che l’istanza della società ricorrente è stata assunta
al protocollo dell’Assessorato regionale Territorio ed Ambiente con il n. 53259
dell’11 agosto 2004.
Dalla superiore conclusione discende anzitutto la fondatezza del secondo motivo
del ricorso introduttivo, che censura la nota del Dirigente del Servizio V.I.A.
- V.A.S. del Dipartimento Ambiente dell'Assessorato Regionale Territorio ed
Ambiente prot. n. 24984 del 31 marzo 2009, con la quale è stato espresso parere
negativo di compatibilità ambientale, per incompatibilità del progetto con le
previsioni del nuovo P.E.A.R.S.
Detta nota va pertanto annullata perché illegittima, rimanendo assorbito il
primo motivo, rivolto contro il medesimo provvedimento, ma per altro profilo di
illegittimità.
Analogamente, in accoglimento del terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti,
va annullata la nota prot. n. 29484 del 24 luglio 2009, dell’Assessorato
regionale Industria, Dipartimento Regionale dell’Industria e delle Miniere,
anche in questo caso con assorbimento degli altri motivi proposti contro il
medesimo provvedimento, ma per altri profili di illegittimità.
Allo stesso modo va annullato il punto 2), penultimo capoverso della delibera
approvativa del P.E.A.R.S., impugnata con il terzo motivo del ricorso
introduttivo, per violazione dell’art. 12 del d. lgs. 387/2003, laddove dispone
che la documentazione prevista dallo stesso art. 2 vada “prodotta anche per
istanze per le quali siano in corso o indette le Conferenze di Servizi che non
abbiano assunto le determinazioni conclusive alla data di adozione del presente
provvedimento”: l’unitarietà del procedimento di rilascio dell’autorizzazione
prevista dal citato art. 12 non consente infatti di ritenere legittima
l’individuazione come discrimen temporale dell’ambito applicativo della nuova
disciplina l’avvenuta convocazione o meno della conferenza di servizi, altro
essendo il profilo considerato dirimente dalla norma di rango primario (il già
ricordato rispetto del termine di centottanta giorni).
Residuano a questo punto le censure proposte dalla società ricorrente contro
alcune disposizioni del P.E.A.R.S.
Appare tuttavia al collegio come preliminare, la questione della permanenza in
capo alla parte ricorrente dell’interesse a coltivare tali censure, dopo che
l’annullamento dei provvedimenti sopra richiamati comporta l’inapplicabilità
dello stesso P.E.A.R.S. all’istanza dalla stessa presentata nel 2004.
Va in proposito rammentato che – come risulta dagli atti - la società ricorrente
opera nel settore della produzione di energia mediante fonti rinnovabili nel
territorio della Regione Siciliana, e che il piano di cui si discute ha, per le
considerazioni sopra esposte, natura regolamentare.
Circa l’interesse ad impugnare l’atto regolamentare indipendentemente dall’atto
applicativo, la giurisprudenza, anche di recente, ha affermato il principio per
cui nel caso in cui un atto di natura regolamentare contenga delle disposizioni
impositive di precisi obblighi o divieti, le quali si pongano pertanto come
immediatamente precettive e direttamente lesive della posizione di tutti i
soggetti interessati, costoro hanno non solo la facoltà di impugnarlo
autonomamente rispetto all’atto applicativo (a quel punto, meramente
consequenziale), ma anche uno specifico onere in tal senso, posto che l’assetto
d’interessi censurato in quanto illegittimo, e lamentato in quanto lesivo, è
direttamente posto dalla norma regolamentare (in questo senso, da ultimo,
Consiglio di Stato, sez. V, decisione 7 ottobre 2009 n. 6165 ).
Avuto riguardo a tale principio, e al contenuto di parte delle norme del
P.E.A.R.S. censurate (che sarà illustrato in sede di esame di ciascuna specifica
censura), ritiene il collegio che la società ricorrente mantenga l’interesse
allo scrutinio della legittimità di tali norme pur a seguito dell’accoglimento
della censura precedentemente esaminata: quanto meno sotto il profilo della
stretta connessione fra l’attività imprenditoriale dalla stessa esercitata e
l’incisiva conformazione del diritto d’iniziativa economica – in subiecta
materia - portata dalle disposizioni regolamentari impugnate (ad eccezione di
singole e specifiche norme regolamentari, per le quali detto interesse – come si
dirà – non sussiste, in ragione del contenuto delle norme medesime).
In via di prima approssimazione, può dirsi che sicuramente producono un
immediato effetto lesivo le disposizioni regolamentari:
che sul piano formale, possono qualificarsi come autosufficienti dal punto di
vista applicativo, perché non necessitano della intermediazione – per la
produzione dell’effetto giuridico ritenuto lesivo – di un ulteriore atto;
che sul piano sostanziale, risultano direttamente conformative della posizione
giuridica dei soggetti richiedenti l’autorizzazione, in quanto lo spazio di
discrezionalità lasciato all’amministrazione per la loro applicazione non
comporta la possibilità di operare significative scelte decisionali in merito al
rilascio o meno dell’autorizzazione medesima, in considerazione dell’estensione
dello spazio di predeterminazione della successiva attività amministrativa.
Tali sono, esemplificativamente, le disposizioni regolamentari che disciplinano
la documentazione da produrre a corredo dell’istanza di autorizzazione unica,
nonché quelle che disciplinano il procedimento di localizzazione degli impianti
autorizzabili.
Prima di passare all’esame analitico di tali censure, va affrontata una
questione in qualche modo pregiudiziale e comune alle stesse: quella del riparto
di competenze fra lo Stato e la Regione Siciliana nella materia in questione.
La memoria dell’Avvocatura dello Stato in più punti sottolinea la competenza
legislativa esclusiva della Regione in materia di paesaggio, facendone
discendere la legittimità – in punto di riparto di attribuzioni - dell’esercizio
delle competenze (regolamentari) oggetto del presente giudizio.
Sul piano della identificazione degli interessi pubblici che vengono in
considerazione in questa materia, occorre muovere dall’esame della sentenza n.
364 del 2006 della Corte costituzionale, che ha precisato che la normativa
relativa alle procedure autorizzative in materia di impianti di energia eolica
dev’essere ricondotta alla materia “produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia”, di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., con ciò
ponendo in evidenza come la stessa incide primariamente sull’interesse della
collettività alla produzione energetica, e rifiutando la prospettazione proposta
dalla Regione resistente, secondo la quale il riferimento costituzionale
primario sarebbe stato da individuare nelle materie della “tutela dell’ambiente”
e del “governo del territorio”.
L’impatto territoriale degli impianti per la produzione di energia eolica,
sicuramente rilevante e tale da giustificare l’esercizio dei poteri urbanistici
e paesaggistici, non è tuttavia un elemento da considerare in via esclusiva,
dovendo l’attività in parola tener conto altresì (e principalmente)
dell’interesse nazionale – costituzionalmente rilevante - all’approvvigionamento
energetico (per di più, in forme non inquinanti).
Di questa esigenza la giurisprudenza amministrativa si era già fatta carico,
rilevando come “Nel caso in esame, si tratta di realizzare, con una cospicua
spesa, una importante opera pubblica volta a incrementare la produzione
energetica anche con fonti rinnovabili. Sussistono quindi i presupposti affinché
in base al principio di proporzionalità, si affermi la necessità, elusa dal
provvedimento sindacale, della precisa indicazione delle ragioni ostative al
rilascio della autorizzazione paesaggistica, al fine appunto di eliminare
sproporzioni fra la tutela dei vincoli e la finalità di pubblico interesse
sotteso alla produzione ed utilizzazione dell'energia elettrica, rientrante,
quest'ultima, nei servizi di pubblica utilità ed il cui potenziamento
costituisce obiettivo specifico dell'amministrazione di settore” (T.A.R.
Campania Napoli, sez. I, 22 giugno 2001, n. 2883).
La Corte costituzionale ha poi ribadito che in questa materia si intrecciano sia
le competenze relative alla produzione, trasporto e distribuzione dell’energia,
sia quelle relative alla tutela della concorrenza, nella sentenza n. 88 del
2009, resa sul giudizio di legittimità costituzionale, in via principale,
dell'articolo 2, comma 158, lettere a) e c) e comma 165 della legge 24 dicembre
2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2008).
Nella sentenza n. 166 del 2009, la Corte costituzionale ha rimarcato la
rilevanza di questa materia anche in relazione alla tutela dell’ambiente e del
paesaggio.
Da ultimo la Corte costituzionale, nella sentenza n. 282 del 2009, ha chiarito
che “L’energia prodotta da impianti eolici e fotovoltaici è ascrivibile al
novero delle fonti rinnovabili, come si evince dalla lettura dell’art. 2 della
direttiva n. 2001/77/CE e dell’art. 2, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo n. 387 del 2003. La normativa internazionale, quella comunitaria e
quella nazionale manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili, nel
senso di porre le condizioni per una adeguata diffusione dei relativi impianti.
In particolare, in ambito europeo una disciplina così orientata è rinvenibile
nella citata direttiva n. 2001/77/CE e in quella più recente del 23 aprile 2009,
n. 2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione
dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva
abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), che ha confermato questa
impostazione di fondo. In ambito nazionale, la normativa comunitaria è stata
recepita dal decreto legislativo n. 387 del 2003, il cui art. 12 enuncia, come
riconosciuto da questa Corte, i princìpi fondamentali in materia (così la
sentenza n. 364 del 2006). Ulteriori princìpi fondamentali sono stati fissati,
anche in questo ambito, dalla legge n. 239 del 2004 che ha realizzato «il
riordino dell’intero settore energetico, mediante una legislazione di cornice»
(sentenza n. 383 del 2005)”.
E’ pertanto evidente come l’innegabile coinvolgimento in questa materia degli
interessi pubblici in materia paesaggistica non produce, secondo la richiamata
giurisprudenza costituzionale, l’effetto di attrarre nell’orbita delle
competenze paesaggistiche le attribuzioni relative alla materia medesima.
In ogni caso, ciò che appare troncante è il rilievo che tale disputa, su cui
molto hanno insistito le parti sia nelle difese scritte che in quelle orali,
rischia di risolversi in una questione puramente teorica, dal momento che il
mancato esercizio, da parte regionale, delle competenze legislative rivendicate
comporta – sia per il rispetto del principio di legalità sostanziale, sia per il
rispetto del principio di gerarchia fra le fonti – che le norme regolamentari da
essa emanate tendenti a disciplinare l’estensione e le modalità delle attività
amministrative propedeutiche al rilascio delle autorizzazioni di che trattasi,
si pongano in rapporto di non contraddizione con le sovrastanti norme di rango
primario (statali), alla stregua delle quali va pertanto condotto lo scrutinio
della legittimità delle disposizioni regolamentari censurate.
Come infatti già affermato da questa Sezione nella sentenza n. 273 dell’11
gennaio 2010 (relativa ad un ricorso trattato nella medesima udienza pubblica in
cui è stato discusso e deciso il presente giudizio), “La Regione Sicilia, ad
oggi, non ha esercitato la potestà legislativa di dettaglio per il recepimento
dei principi stabiliti dal d. lgs. n° 387 del 2003, nè per il recepimento della
direttiva n. 2001/77/CE”.
Sempre in tale sentenza, si è altresì ulteriormente precisato che “La
giurisprudenza ha evidenziato il fondamento costituzionale del potere suppletivo
del legislatore statale a fronte dell’inerzia di Regioni, anche a Statuto
speciale, nel recepimento di norme comunitarie (Corte Cost. n° 126 del 24 aprile
1996; Corte Cost. n° 425 del 10 novembre 1999; Cons. Stato, Adunanza Generale n°
2 del 25 febbraio 2002). Tale fondamento, esplicitato, per effetto della legge
costituzionale 18 ottobre 2001 n° 3, dal primo comma dell’art. 117 Cost., è
causalmente riconducibile alla responsabilità sovranazionale e internazionale,
che fa capo integralmente e unitariamente allo Stato-persona per le carenze nel
rispetto dei relativi impegni. In particolare, l’Adunanza Generale del Consiglio
di Stato n° 2 del 25 febbraio 2002 ha ritenuto che:
“- all'attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle
Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, siano
competenti le Regioni e le Province autonome;
- ove le Regioni non abbiano provveduto, sussista il potere dovere dello Stato,
al fine di rispettare i vincoli comunitari, di attuare, attraverso proprie fonti
normative, tali direttive;
- le norme poste dallo Stato in via sostitutiva siano applicabili solo
nell'ambito dei territori delle Regioni e Province autonome che non abbiano
provveduto e siano cedevoli, divengano cioè inapplicabili, qualora le Regioni o
le Province esercitino il potere loro proprio di attuazione della direttiva, nel
territorio di tali Regioni o Province; (...).
Tale previsione del potere sostitutivo (id est, il quinto comma dell’art. 117
Cost.) rende espressa una norma riconducibile agli articoli 11 e 117, primo
comma, della Costituzione e, cioè, al generale potere dovere dello Stato di
rispettare i vincoli comunitari per i quali è responsabile unitariamente”.
Nel caso di specie, in ossequio ai principi costituzionali enucleati dalla
giurisprudenza appena richiamata, deve ritenersi che, pur in difetto di
un’espressa qualificazione del carattere cedevole delle norme del d.lgs. n°
387/2003 e della legge n° 239/2004 negli ordinamenti regionali anche a Statuto
speciale privi di normativa di esecuzione degli obblighi comunitari, la fonte
legislativa statale assuma natura suppletiva ai sensi della legge n° 11/2005 e,
come tale, si applichi anche per la disciplina di dettaglio, nelle more
dell’esercizio della potestà legislativa regionale concorrente. A ciò consegue
che il parametro di legittimità degli atti impugnati con l’odierno ricorso va
rinvenuto nella legislazione statale dettata con il d. lgs. n° 387/2003 e con la
legge n° 239/2004”.
Date le superiori premesse di metodo, vanno allora analiticamente esaminate le
singole censure proposte.
Con il quarto motivo del ricorso introduttivo la società ricorrente contesta la
legittimità del punto 2 lett. b) del Piano, nella parte in cui subordina il
rilascio dell’autorizzazione unica alla produzione di “documentazione attestante
la disponibilità giuridica dell’area di impianto in capo al richiedente”.
La censura deduce, tra l’altro, la violazione dell’art. 12 del d. lgs 387/2003,
e dell’art. 1 del T.U. in materia di espropriazioni, approvato con d.P.R.
327/2001”.
La censura è fondata.
L’art. 12, primo comma, del d.lgs. 387/2003, stabilisce che “Le opere per la
realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere
connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio
degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica
utilità ed indifferibili ed urgenti”.
A sua volta, l’art. 1 del d.P.R. 327/2001 prevede che il potere espropriativo
disciplinato dallo stesso T.U. può essere esercitato – sul piano soggettivo -
anche “a favore di privati”, e – sul piano oggettivo – anche con riguardo a
“beni immobili o (…) diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere
pubbliche o di pubblica utilità”.
Dal combinato disposto delle due disposizioni ora richiamate discende che la
qualificazione legale degli impianti di produzione di energia eolica implica un
regime della disponibilità delle relative aree incompatibile con quello posto
dalla norma regolamentare regionale impugnata: più in particolare, il
legislatore statale, imprimendo a tali impianti la qualificazione di “opere di
pubblica utilità indifferibili ed urgenti”, ha inteso consentire la loro
realizzazione anche oltre e al di là della limitazione costituita dalla attuale
disponibilità dell’area in capo al richiedente l’autorizzazione, scindendo
chiaramente i due profili.
La norma regionale ha invece posto l’uno quale condizione dell’altro: con ciò
violando all’evidenza la regola posta dalla norma primaria di rango statale.
La censura è dunque fondata e va accolta.
Con il quinto motivo del ricorso introduttivo la società ricorrente contesta la
legittimità del punto 3 del Piano, che subordina l’assentibilità dell’istanza
alla presentazione di una comunicazione, da parte del gestore della rete, circa
la capacità ricettiva di quest’ultima in relazione all’energia prodotta
dall’impianto autorizzando.
La censura deduce, tra l’altro, la violazione dell’art. 3, comma 1, del d. lgs.
16 marzo 1999, n. 79.
La censura è fondata.
Come recentemente chiarito, il d.lgs. n. 79/1999, in attuazione della direttiva
1996/92/CE, “ha recepito i principi di liberalizzazione ed apertura del mercato
dell’energia, disponendo che le attività di produzione, importazione,
esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica sono libere, nel rispetto
dei soli obblighi di servizio pubblico (art. 1); le attività di trasmissione,
dispacciamento e distribuzione sono invece svolte in regime di concessione,
sotto la vigilanza dell’Autorità di settore (artt. 3 e ss. e 9 del decreto)”
(Consiglio di Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849/08).
L’art. 3, comma 1, del d. lgs. 16 marzo 1999, n. 79, in particolare, stabilisce
che “Il gestore della rete di trasmissione nazionale (….) ha l'obbligo di
connettere alla rete di trasmissione nazionale tutti i soggetti che ne facciano
richiesta, senza compromettere la continuità del servizio e purché siano
rispettate le regole tecniche di cui al comma 6 del presente articolo e le
condizioni tecnico-economiche di accesso e di interconnessione fissate
dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas. L'eventuale rifiuto di accesso
alla rete deve essere debitamente motivato dal gestore. Il gestore della rete di
trasmissione nazionale fornisce ai soggetti responsabili della gestione di ogni
altra rete dell'Unione europea interconnessa con la rete di trasmissione
nazionale informazioni sufficienti per garantire il funzionamento sicuro ed
efficiente, lo sviluppo coordinato e l'interoperabilità delle reti
interconnesse”.
E’ pertanto evidente nella disciplina posta dalla norma statale di rango
primario, attuativa della direttiva comunitaria, che è la capacità della rete di
trasmissione a dovere essere funzionale all’attività di produzione di energia, e
non viceversa.
Ciò risulta del resto sia da un dato ontologico, sia soprattutto dal preciso
limite che la norma pone ad un eventuale rifiuto del gestore: che può essere
legittimamente connesso soltanto al rispetto delle regole tecniche, e delle
condizioni tecnico-economiche fissate dall’Autorità di settore (e non dal
gestore della rete, o dalla Regione).
La disposizione impugnata, invece, nel fare riferimento alla valutazione operata
dal gestore circa la compatibilità della capacità ricettiva della rete rispetto
alla energia prodotta dall’impianto autorizzando, introduce un ulteriore limite
– peraltro generico: potendo un eventuale giudizio di incompatibilità fra le
variabili suddette essere legato alle più svariate circostanze – all’esercizio
di un’attività che invece la normativa comunitaria, e quella statale che l’ha
attuata, vogliono espressamente essere liberalizzata.
Anche questa censura è quindi fondata, e come tale dev’essere accolta.
Con il sesto motivo del ricorso introduttivo si contesta la legittimità del
punto 4) della delibera approvativa del P.E.A.R.S., nella parte in cui prevede
che le Soprintendenze ai Beni Culturali ed Ambientali “comunicano in sede di
Conferenze dei Servizi, indette ai sensi dell’art. 12 del D. Lgs. n. 387/2003,
se le aree oggetto delle istanze di rilascio di autorizzazione per impianti da
fonte rinnovabile siano sottoposte a vincolo o interessate da avvio di
procedimento per l’apposizione di vincoli, al fine di tutelare compiutamente il
bene paesaggio e il bene ambiente, nonché di salvaguardare il talento visuale di
monumenti e beni culturali, ambientali paesistici”.
La censura contesta la violazione dell’art. 12 del d. lgs. 387/2003, e degli
artt. 146 e 152 del d. lgs. 42/2006.
La censura è fondata.
L’art. 12, comma 3, del citato d. lgs. 387/2003 stabilisce che l’autorizzazione
unica è rilasciata “nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela
dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che
costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico”.
Il successivo comma 4 specifica poi che “L'autorizzazione di cui al comma 3 è
rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le
Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione
e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive
modificazioni e integrazioni”.
Il rinvio alle modalità procedimentali stabilite dalla legge n. 241 del 1990,
evidentemente anche in punto di legittimazione alla partecipazione al
procedimento, esclude che possa introdursi con norma regolamentare una deroga
che consenta la partecipazione di amministrazioni non titolari di competenze in
relazione all’affare da deliberare.
La disposizione impugnata, infatti, per la sua formulazione implica la
necessaria partecipazione al procedimento delle Soprintendenze, e la valutazione
solo in quella sede della esistenza o meno di un titolo che ne giustifica
l’intervento.
A nulla vale, in contrario, sostenere – come ha fatto in sede di discussione
orale l’Avvocatura dello Stato – che in caso di verifica negativa della
rilevanza paesistico-ambientale la Conferenza prosegue senza l’intervento del
rappresentante della Soprintendenza.
Tale evenienza, peraltro non prevista dalla disposizione impugnata, non
salverebbe comunque l’illegittimità della previsione di un allargamento non
giustificato del novero dei soggetti partecipanti.
Oltre alla diretta violazione della invocata normativa statale di rango
primario, relativa alla disciplina del procedimento di autorizzazione, è
peraltro evidente come un simile intervento costituirebbe esercizio di un potere
privo – in assenza di un vincolo - di fondamento legale, almeno in una
fattispecie di conferenza di servizi decisoria quel’è quella disciplinata
dall’art. 12 del d. lgs 387/2003 (cui del resto la norma regolamentare impugnata
espressamente si richiama).
Anche questa censura è pertanto fondata, e come tale dev’essere accolta.
Con il settimo motivo del ricorso introduttivo la società ricorrente contesta la
legittimità dei punti 6 e 7 della delibera approvativa del P.E.A.R.S., nella
parte in cui prevede misure di mitigazione ambientale e di compensazione, senza
stabilire “i criteri di applicazione di siffatte misure idonei a far si che le
stesse garantiscano effettivamente il riequilibrio ambientale e territoriale
delle aree interessate dalla realizzazione degli impianti da autorizzare”.
Si deduce la violazione dell’art. 12, comma 6, del d.lgs. 387/2003, nonché della
legge 239/2004.
La censura è fondata.
Le misure di mitigazione non sono previste dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003; le
misure di compensazione sono dallo stesso (comma 6) espressamente vietate.
L’art. 12, comma 6, del decreto legislativo n. 387 del 2003, stabilisce infatti
che «l’autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di
compensazione a favore delle regioni e delle province».
Va peraltro tenuto presente che secondo l’art. 1, comma 4, lettera f), della
legge n. 239 del 2004, ai fini dell’adeguato equilibrio territoriale nella
localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle
caratteristiche fisiche e geografiche delle singole regioni, anche il
legislatore regionale può prevedere «eventuali misure di compensazione e di
riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi
strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività,
impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale».
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 383 del 2005, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettera f), della legge n.
239 del 2004 limitatamente alle parole «con esclusione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili».
In proposito la stessa Corte costituzionale ha da ultimo chiarito (sentenza n.
282 del 2009) che “Per effetto di tale pronuncia, anche al legislatore regionale
è stata estesa la facoltà di introdurre misure di compensazione nella disciplina
delle fonti rinnovabili di energia, peraltro a condizione che i beneficiari
delle predette misure non siano né le Regioni, né le Province eventualmente
delegate”.
La censura è dunque fondata, non avendo in radice l’amministrazione regionale un
simile potere regolamentare, che è pertanto privo di base normativa.
Appare in ogni caso assorbente il rilievo che simili misure, nella misura in cui
possono essere individuate su base regionale, vadano disciplinate con legge (in
questo senso Corte costituzionale, sentenza n. 282 del 2009), e non con atto
amministrativo regolamentare.
Anche questa censura è dunque fondata, e come tale dev’essere accolta.
Con l’ottavo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente censura –
per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. l) Cost., nonché per eccesso di
potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta – il punto 2), lett. d),
della delibera approvativa del P.E.A.R.S., nella parte in cui richiede che
l’istanza di autorizzazione venga corredata da una “dichiarazione di primaria
Compagnia di Assicurazione della disponibilità alla copertura assicurativa dei
rischi di mancata erogazione del servizio di fornitura di energia elettrica
all’ente gestore di rete”.
La censura non è fondata in relazione alla pretesa violazione del limite
costituzionale del diritto privato: tale limite, che anzitutto opera per la
competenza legislativa regionale e non per quella amministrativa, correttamente
inteso attiene alla impossibilità di frazionare su base geografica la disciplina
legale dei rapporti civilistici.
Altra cosa – qui ricorrente – è invece la previsione, con un atto amministrativo
generale o con un atto amministrativo regolamentare, dell’impegno a
sottoscrivere un contratto di garanzia, la cui disciplina rimane assoggettata
alla normativa statale di diritto comune (senza alcuna violazione dell’art. 117,
comma 2, lett. l), Cost.).
Questo profilo di censura, del resto, se fosse fondato, dovrebbe coerentemente
condurre alla illegittimità di tutti i bandi di gara che prevedono la stipula di
un contratto di garanzia (bancaria o assicurativa), ancorché tale contratto
rimanga disciplinato dalla legge statale.
Fondato è invece il secondo profilo di censura, relativo alla legittimità (e
prima ancora alla esistenza) del potere di imporre la stipula di un simile
contratto quale adempimento propedeutico all’esame dell’istanza di
autorizzazione unica.
I rapporti fra produttore e gestore di energia sono oggetto di una disciplina
pubblicistica che prevede precisi poteri di regolazione dell’Autorità per
l’energia elettrica ed il gas.
Vero è che accanto al (o a causa del) mancato rispetto di tale normativa
pubblicistica, può ipotizzarsi una violazione degli obblighi gravanti sui due
soggetti, rilevante in punto di riparazione patrimoniale: ma la previsione di
una garanzia assicurativa, a tutela di un eventuale credito del gestore, non
appare funzionale alla tutela di alcun interesse pubblico, giuridicamente
ritenuto meritevole di tutela sulla base della disciplina del settore, e men che
mai di un interesse di cui sia titolare l’amministrazione regionale.
La censura, dunque, è per questa parte fondata, e va accolta.
Alle medesime conclusioni il collegio ritiene di dover giungere per quanto
riguarda la censura dedotta con il successivo (nono) motivo del ricorso
introduttivo, con cui si lamenta l’illegittimità – per eccesso di potere per
irragionevolezza ed illogicità manifesta, nonché per indeterminatezza – del
punto 10), ultimo capoverso, della delibera approvativa del P.E.A.R.S., che
prevede l’obbligo della prestazione di “idonee garanzie a favore della Regione”
per l’ipotesi (contemplata dalla rubrica del citato punto 10) di inefficacia
dell’autorizzazione.
In questo caso appare assorbente la censura di eccesso di potere per
indeterminatezza, non essendo affatto chiaro da tale formulazione:
in cosa debba consistere la garanzia da prestare;
rispetto a quel parametro debba compiersi il giudizio di idoneità della garanzia
da prestare;
quale pregiudizio regionale la garanzia dovrebbe coprire od evitare.
Queste censure sono pertanto fondate, nei sensi appena esposti, e vanno quindi
accolte.
Con il decimo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente censura –
per violazione dell’art. 41, comma 1, Cost., e per violazione del principio di
tutela della concorrenza – il punto 12) della delibera approvativa del
P.E.A.R.S., che stabilisce: “la regione promuove la stipula di accordi
procedimentali e provvedi mentali, ex l. 241/90, con i soggetti gestori e
realizzatori degli impianti, per la disciplina della riconversione delle
centrali termoelettriche”.
La censura è così argomentata: “La disposizione su calendata, invero, laddove
intesa nel senso di limitare la stipulazione di tali accordi con i soli soggetti
gestori o realizzatori delle centrali termoelettriche, risulterebbe illegittima
in quanto costituirebbe un canale preferenziale che consentirebbe a tali
soggetti di adivenire all’autorizzazione unica in tempi più brevi rispetto agli
altri operatori del settore e ciò in aperta violazione del principio sancito a
livello comunitario di tutela del diritto alla concorrenza”.
La censura – in applicazione del criterio giurisprudenziale in precedenza
richiamato - è inammissibile per carenza d’interesse attuale a gravare una
disposizione regolamentare che, come del resto evidenziato dalla stessa
argomentazione in chiave dubitativa ed eventuale del mezzo, può assumere una
rilevanza lesiva solo a seguito dell’emanazione di un atto applicativo che
produca l’effetto – non automaticamente riconducibile alla formulazione della
disposizione stessa – lamentato dalla società ricorrente.
Considerazioni di identico tenore valgono per l’undicesimo motivo del ricorso
introduttivo, che va pertanto dichiarato inammissibile, con il quale si impugna
il punto 16 della delibera approvativa del P.E.A.R.S., per effetto del quale la
Regione “si riserva di individuare, anche con separati provvedimenti, le aree
impegnate da una forte concentrazione territoriale di impianti di produzione di
energia da fonte eolica nelle quali il rilascio di nuove autorizzazioni sarà
consentito solo subordinatamente alla previa dismissione di quelli preesistenti
e non in esercizio”.
Anche in questo caso la necessaria intermediazione, per la produzione
dell’effetto lesivo, dell’atto applicativo, impedisce di configurare un
interesse attuale all’impugnazione della clausola regolamentare.
Con il dodicesimo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente
contesta la legittimità del punto 20) della delibera approvativa del P.E.A.R.S.,
nella parte in cui prevede che “L’autorizzazione per la realizzazione di
impianti di energia da fonte rinnovabile su terreni agricoli non può essere
rilasciata ove essi non siano dichiarati dalla Amministrazione compatibili con
la valorizzazione delle produzioni agroalimentari locali e la tutela della
biodiversità e del patrimonio culturale e del paesaggio rurale”.
La disposizione viene censurata per violazione dell’art. 12, comma 7, del d. lgs.
387/2003, che stabilisce che gli impianti in questione possono essere ubicati
anche in zone classificate come agricole dai vigenti piani urbanistici.
La censura è infondata, in quanto le due previsioni hanno un oggetto non
sovrapponibile: in particolare, la disposizione regolamentare impugnata non
esclude che gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili
vengano ubicati in zona agricola, ma si preoccupa di rendere compatibile, in
quel caso, la localizzazione dell’impianto con peculiari esigenze legate alla
vocazione del territorio.
Non può dunque parlarsi di una contrasto fra le due disposizioni: né può farsi
discendere dal disposto del citato art. 12, comma 7, come pretenderebbe la
società ricorrente, l’indiscriminata possibilità di localizzare detti impianti
in zona agricola, indipendentemente dalla valutazione di compatibilità
territoriale specifica.
Altra questione – qui non rilevante – è poi quella dell’eventuale cattivo
esercizio di detto potere di valutazione: laddove l’amministrazione non motivi
adeguatamente e correttamente sulla presenza di fattori ostativi alla
localizzazione, riconducibili alla fattispecie in questione (vicenda che potrà
rilevare in sede di scrutinio di un ipotetico diniego motivato con riferimento
alle esigenze di tutela di cui all’impugnato art. 20).
Con il tredicesimo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente
lamenta infine l’illegittimità del punto 21 della delibera approvativa del
P.E.A.R.S., secondo cui “Gli impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili di potenza superiore a 10 Mw, devono essere realizzati ad una
distanza l’uno dall’altro non inferiore a 10 km. O, comunque, a distanza
congrua, sulla base di adeguata motivazione”.
Vengono dedotti i vizi di eccesso di potere per illogicità manifesta e per
disparità di trattamento, nonché di violazione e falsa applicazione dell’art.
12, comma 7, del d. lgs. 387/2003.
La censura di eccesso di potere appare fondata sotto entrambi i profili.
La distanza minima stabilita – cui corrisponde un evidente vincolo – non risulta
ancorata ad alcun plausibile parametro tecnico o scientifico.
In più, la previsione generalizzata di tale misura per siti anche molto diversi
fra loro, porta inevitabilmente al trattamento eguale di situazioni diverse.
La norma è in realtà funzionale ad interessi solo in parte coincidenti con
quelli legittimanti l’esercizio del potere regolamentare in esame.
Valgono per questo tipo di previsione le considerazioni che la giurisprudenza ha
da tempo espresso a proposito della legittimità del potere regolamentare
comunale in materia di localizzazione sul territorio di impianti
elettromagnetici e stazioni radio base, e della finalità reale cui rispondono
previsioni generalizzate di distanze minime particolarmente impeditive, del
tutto avulse dalla concreta verifica dello stato dei luoghi (in questo senso, ex
multis, T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 23 maggio 2009 , n. 375).
Questa censura è dunque fondata.
Il ricorso dev’essere pertanto accolto, nei sensi e nei limiti di cui alle
motivazioni fin qui esposte.
Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla novità di alcune delle questioni
dedotte, ed all’accoglimento solo parziale del ricorso, per compensare fra le
parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sez. II, definitivamente
pronunciando, accoglie in parte il ricorso in epigrafe, nei limiti di cui in
motivazione, e per l’effetto annulla entro tali limiti i provvedimenti
impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Giovanni Tulumello, Primo Referendario, Estensore
Maria Barbara Cavallo, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/02/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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