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TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8
 

RIFIUTI - INQUINAMENTO - Art. 17, cc 3 e 9 d.lgs. n. 22/97 - Qualifica di “responsabile” - Indagine specifica Conduzione - Ente dotato del potere di diffida - Organo tecnico - Invito a provvedere - Provvedimento distinto. La qualifica di “responsabile” di cui all’art. 17, cc. 3 e 9 del d.lgs. n. 22/97, comportando ingenti oneri anche di natura economica, deve essere frutto di indagine specifica che comporta una completa e puntuale ricognizione di comportamenti, commissivi o anche solo omissivi, di tipo antigiuridico che hanno dato luogo alle conseguenze negative per l’ambiente (TAR Toscana, Sez. I, 1.8.01, n. 1318). Tale indagine deve essere svolta dall’ente dotato del potere di diffida, anche avvalendosi di organi terzi, e non può essere una mera conseguenza dell’invito a provvedere sollecitato dall’organo tecnico se questo non ha fornito elementi idonei a ricondurre in maniera inconfutabile la situazione riscontrata ad un determinato soggetto come individuato. Se è vero infatti che in materia ambientale l’ente locale competente è tenuto a promuovere ogni iniziativa prevista dalle normative vigenti a tutela del bene collettivo sulla base di indagini e sollecitazioni delle agenzie tecniche preposte, è pur vero che ciò non sta a significare che l’ente locale debba pedissequamente conformarsi ai suggerimenti dell’organo tecnico ma solo che debba avviare il relativo procedimento con tutte le garanzie previste dalla l.n. 241/1990 sempre che non sussistano ragioni di celerità e urgenza, da richiamare comunque nel relativo provvedimento. L’”atto dovuto” in questa materia non è quindi il provvedimento invocato dall’agenzia tecnica ma è quello conseguente all’avvio del procedimento rivolto, comunque, al necessario contraddittorio con il soggetto interessato, soprattutto se il provvedimento in questione culminerebbe in specifiche e, spesso, gravose incombenze e imposizioni (TAR Toscana, Sez. II, 6.5.09, n. 766; nonché 30.7.87, n. 647). Pres. Nicolosi, Est. Correale - Curatela fallimento M. (avv. Uccelli) c. Comune di Montescudaio (avv. Chiti) - TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8

INQUINAMENTO - Art. 17, c. 3 d.lgs. n. 22/97 - Accertamento della responsabilità - Presunzioni ex art. 2727 c.c. - Principio dell’”id quod plerumque accidit”. L’accertamento della responsabilità dell’inquinamento di cui all’art. 17, comma 3, d.lgs. n. 22/97 e all’art. 8, D.M. n. 471/99 deve essere rigorosa e, pur se non fondata su elementi di prova diretti e contestuali all’evento, molto spesso difficili da acquisire, può essere individuata a carico dell’effettivo soggetto autore dell’inquinamento in base anche a profili indiretti riscontrabili con presunzioni semplici ex art. 2727 c.c. in relazione a indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo il principio dell’”id quod plerumque accidit” che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (Cons. Stato, Sez. V, 16.6.09, n. 3885). Pres. Nicolosi, Est. Correale - Curatela fallimento M. (avv. Uccelli) c. Comune di Montescudaio (avv. Chiti) - TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8

INQUINAMENTO - Impresa fallita - Ordine di bonifica impartito al curatore - Illegittimità - Ragioni - Principio del “chi inquina paga” - Operatività sotto la vigenza del d.lgs. n. 22/97.
In materia di inquinamento, in caso di impresa fallita, è illegittimo l’ordine di bonifica a carico del curatore, che costituirebbe un sovvertimento del principio comunitario del c.d. “chi inquina paga”, scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l’inquinamento, fermo restando il coinvolgimento della Curatela stessa in caso di prosecuzione dell’attività (Cons. Stato, Sez. V, n. 3885 cit. e 29.7.03, n. 4328; TAR Sardegna, Sez. II, 11.3.08, n. 395; TAR Lazio, Lt, 12.3.05, n. 304; TAR Abruzzo, Aq, 17.12.04, n. 1393; TAR Toscana, Sez. II, 1.8.01, n. 1318). Il principio del “chi inquina paga” era operante anche sotto la vigenza dell’art. 17 d.lgs n. 22/97 (ora sostanzialmente riproposto negli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152/2006) in quanto da interpretarsi in senso sostanzialistico di un principio immanente in materia di prevenzione e riparazione di danno ambientale (TAR Campania, Na, Sez. V, 3.7.09, n. 3727; TAR Lombardia, Mi, Sez. IV, 7.9.07, n. 5782 e Sez. I, 8.11.04, n.5681). Pres. Nicolosi, Est. Correale - Curatela fallimento M. (avv. Uccelli) c. Comune di Montescudaio (avv. Chiti) - TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8

INQUINAMENTO - Bonifica - Onere risarcitorio - L.r. Toscana n. 25/98, art. 20 - Interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata - Proprietario dell’area inquinata - Responsabile dell’inquinamento. L’art. 20 della L.r. Toscana n. 25/98, per essere comunitariamente e costituzionalmente orientata, deve essere interpretata nel senso conforme alla normativa statale, atteso che il principio del c.d. “chi inquina paga” era operante come indirizzo precettivo già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 e la responsabilità per inquinamento non può desumersi, in maniera oggettiva, dal semplice rapporto dominicale con il bene inquinato in tutti i procedimenti amministrativi in corso, laddove non si sono prodotti diritti quesiti o comunque effetti definitivi (TAR Campania, Na, Sez. V, 3.7.09, n. 3727 e Cons. Stato, Sez. cons. atti normativi, 5.11.2007, n.3838). Di conseguenza, al proprietario del bene non può in alcun modo essere applicata la normativa relativa al responsabile dell’inquinamento, che adossa a quest’ultimo l’intero onere risarcitorio (derivante dalle spese sostenute) per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale. Pres. Nicolosi, Est. Correale - Curatela fallimento M. (avv. Uccelli) c. Comune di Montescudaio (avv. Chiti) - TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8

INQUINAMENTO - Bonifica - Conseguenze ricadenti sul proprietario dell’area - Onere economico equivalente al valore del bene - Principio di proporzionalità. Sul “proprietario”, ai sensi dell’art. 17, cc 10 e 11 del d.lgs. n. 22/97, può ricadere - ove il medesimo non provveda direttamente ritenendo preferibile evitare le conseguenze sul “suo” bene nell’ipotesi che intenda metterlo in circolazione alienandolo con gli strumenti previsti dall’ordinamento - unicamente l’onere economico equivalente al valore del bene stesso, per renderlo effettivamente nuovamente utilizzabile, e non altro. Tale conclusione risponde anche all’applicazione del principio generale di proporzionalità, principio che, come è noto, si attaglia particolarmente alla materia delle limitazioni del diritto di proprietà, della attività di autotutela, delle ordinanze di necessità ed urgenza, delle irrogazione di sanzioni e, appunto, della tutela ambientale (Cons. Stato, Sez. IV, 22.3.2005, n. 1195) ed in base ad esso la Pubblica Amministrazione deve adottare la soluzione idonea ed adeguata comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti e si risolve, in buona sostanza, nell'affermazione secondo cui le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare ( Cons. Stato, sez. VI, 6.3.2007, n. 1736). Pres. Nicolosi, Est. Correale - Curatela fallimento M. (avv. Uccelli) c. Comune di Montescudaio (avv. Chiti) - TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8

INQUINAMENTO - Bonifica - Responsabile dell’inquinamento e proprietario dell’area - Differenze. La differenza tra il responsabile dell’inquinamento e il proprietario dell’area inquinata, quanto alle conseguenze di cui ciascuno deve rispondere, consiste nel fatto che il primo deve rispondere dell’intero costo delle operazioni necessarie alla messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale anche se poste in essere, in seguito alla sua inerzia, dal Comune o dalla Regione, anche se superano il valore del bene, mentre il costo che deve sopportare il secondo non può che limitarsi al valore del bene stesso. Pres. Nicolosi, Est. Correale - Curatela fallimento M. (avv. Uccelli) c. Comune di Montescudaio (avv. Chiti) - TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8

INQUINAMENTO - Decreto Ronchi e D.M. n. 471/99 - Nozione di inquinamento - Riferimento alla porzione di territorio comprensiva delle diverse matrici ambientali - Suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee - Art. 840 c.c. - Proprietà - Estensione al sottosuolo - Determinazione del valore del bene -Necessaria ricomprensione del sottosuolo.
Il c.d. “decreto Ronchi” ed il collegato D.M. n. 471/99 (in particolare l’art. 17, commi 1, 2, 4, 6 bis, d.lgs. cit. e l’art. 2 D.M. cit.), in relazione alla nozione di “inquinamento” facevano riferimento alla sua realizzazione sul relativo “sito” - e non solo sul terreno superficiale - inteso quale area o porzione di territorio intesa nelle diverse matrici ambientali e comprensiva anche delle “eventuali” strutture edilizie ed impiantistiche presenti in cui si riscontrano livelli di contaminazione o alterazioni chimiche, fisiche o biologiche del “suolo o del sottosuolo o delle acque superficiali o “sotterranee” tali da determinare un pericolo per la salute pubblica. Lo stesso D.M. n. 471/99, richiamando la nozione di bonifica, faceva riferimento all’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel “sottosuolo”, nelle acque superficiali o “sotterranee”, chiarendo ulteriormente che la stessa doveva interessare tutte le matrici ambientali coinvolte, dato che senza un’efficace depurazione della falda non sarebbe possibile certificare gli interventi di bonifica del soprasuolo. Così pure l’art. 17, comma 1, lett.a) e c-bis), d.lgs. faceva riferimento ai suoli ed alle “acque sotterranee” in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti, con ciò confermando che le operazioni di bonifica e quelle ad esse correlate riguardano il generale inquinamento del sito e non solo il terreno superficiale insito in esso. In più, la proprietà, come noto in base ai principi civilistici di cui all’art. 840, comma 1, c.c., si estende anche al sottosuolo con tutto ciò che vi si contiene, in applicazione del noto brocardo secondo cui la proprietà si estende “usque ad inferos et usque ad sidera”. Il limite del “valore del bene”, quindi, non può che considerare tali principi, ritenendo il sottosuolo parte integrante del bene stesso nel caso di specie. Pres. Nicolosi, Est. Correale - Curatela fallimento M. (avv. Uccelli) c. Comune di Montescudaio (avv. Chiti) - TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8

INQUINAMENTO - Bonifica - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 - Costituzione dell’onere reale sull’area da sottoporre a bonifica - Qualità di socio accomandatario - Titolarità del diritto di proprietà sull’area interessata - Esclusione. La qualità di socio accomandatario di una società non può far considerare il soggetto titolare del diritto di proprietà invece riconducibile alla compagine sociale, tenuto conto che, nella fattispecie considerata dall’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97, non si fa riferimento ad alcuna obbligazione personale del proprietario ma esclusivamente alla costituzione di un onere reale sull’area da sottoporre a bonifica. Pres. Nicolosi, Est. Correale - Curatela fallimento M. (avv. Uccelli) c. Comune di Montescudaio (avv. Chiti) - TAR TOSCANA, Sez. II - 8 gennaio 2010, n. 8

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 00008/2010 REG.SEN.
N. 01417/2004 REG.RIC.
N. 00731/2007 REG.RIC.
N. 00732/2007 REG.RIC.
N. 00906/2007 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)


 

 

ha pronunciato la presente


SENTENZA


1) Sul ricorso numero di registro generale 1417 del 2004, proposto da:
Curatela del Fallimento Ditta Roberto Massini, in persona del Curatore pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Alberto Uccelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Eugenio Dalli Cardillo in Firenze, via Camporeggi n. 3;


contro


il Comune di Montescudaio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Mario Pilade Chiti, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Firenze, via Lorenzo il Magnifico n. 83;

nei confronti di

Roberto Massini e Erre Emme S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Renzo Grassi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luca Capecchi in Firenze, via Bonifacio Lupi n. 20;


2) Sul ricorso numero di registro generale 731 del 2007, proposto da:
Soc. Erre Emme di Giacomo Massini e C. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni Calugi e Silvano Di Rosa, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Firenze, via Gino Capponi n. 26;


contro


- la Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dagli avv. Lucia Bora e Barbara Mancino, con domicilio eletto presso le medesime in Firenze, Avvocatura Regionalele, P. Unita' Italiana n. 1;
- il Comune di Montescudaio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Mario Pilade Chiti, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Firenze, via Lorenzo il Magnifico n. 83;
- il Comune di Cecina, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
- l’A.R.P.A.T. Dipartimento Provinciale di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
- l’A.R.P.A.T. Dipartimento Provinciale di Livorno, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
- la Provincia di Pisa, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio
- l’Autorita' Ambito Territoriale Ottimale N. 5 Toscana Costa, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio
- l’Azienda U.S.L. N. 6 Livorno, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
- la Provincia di Livorno, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

nei confronti di

- A.S.A. Azienda Servizi Ambientali S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Giunti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marzia Bonagiusa in Firenze, via Faentina n. 227;
- Fra.Si S.n.c. Photoceramica di Barrecca Francesco & C. e Costruzioni di Franco S.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non costituite in giudizio;


3) Sul ricorso numero di registro generale 732 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giacomo Massini, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Calugi e Silvano Di Rosa, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Firenze, via Gino Capponi n. 26;


contro


- la Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dagli avv. Lucia Bora e Barbara Mancino, con domicilio eletto presso le medesime in Firenze, Avvocatura Regionalele, P. Unita' Italiana n. 1;
- il Comune di Montescudaio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Mario Pilade Chiti, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Firenze, via Lorenzo il Magnifico n. 83;
- il Comune di Cecina, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
- l’A.R.P.A.T. Dipartimento Provinciale di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
- l’A.R.P.A.T. Dipartimento Provinciale di Livorno, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
- la Provincia di Pisa, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio
- l’Autorita' Ambito Territoriale Ottimale N. 5 Toscana Costa, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio
- l’Azienda U.S.L. N. 6 Livorno, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
- la Provincia di Livorno, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

nei confronti di

- A.S.A. Azienda Servizi Ambientali S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Giunti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marzia Bonagiusa in Firenze, via Faentina 227;
- Roberto Massini e Mario Agujari, non costituiti in giudizio;


4) Sul ricorso numero di registro generale 906 del 2007, proposto da:
Curatela del Fallimento Ditta Roberto Massini, in persona del Curatore pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Luciano Barsotti, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Firenze, via di Camporeggi n. 3;


contro


la Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dagli avv. Lucia Bora e Barbara Mancino, con domicilio eletto presso le medesime in Firenze, Avvocatura Regionale, P. Unita' Italiana n. 1;

per l'annullamento

1) quanto al ricorso n. 1417 del 2004:

dell'ordinanza n. 16 del Sindaco del Comune di Montescudaio, datata 30.04.2004 e notificata il 3.5.2004, con la quale si è intimato, tra gli altri, al Curatore del Fallimento della ditta Massini di porre in essere tutti i comportamenti e le azioni finalizzate alla messa in sicurezza dei rifiuti contenuti in circa 80 fusti con l'avviamento delle procedure di bonifica previste dalla normativa vigente; nonchè di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente anche se, allo stato, incognito, ivi compresa, per quanto di competenza e per quanto possa occorrere, la successiva nota 11.06.2004 del Sindaco del Comune di Montescudaio, notificata il 13.06.2004.

2) quanto ai ricorsi n. 731 del 2007 e n. 732 del 2007:

del decreto n. 720 del 16.02.2007 del Dirigente della Direzione generale politiche territoriali ed ambientali - Area di coordinamento tutela dell'acqua e del territorio - Settore ufficio regionale per la tutela dell'acqua e del territorio di Prato, Pistoia e Arezzo della Regione Toscana, recante l'approvazione del Progetto preliminare per la bonifica del sito inquinato di Montescudaio (Pi); della nota prot. n. A00-6RT-55899-124-033-001 del 26-02.2007, del medesimo Dirigente, di trasmissione del predetto decreto alla Soc. Erre Emme s.a.s., "ai sensi dell'art. 17, comma 10 e 11, D.Lgs. 22/1997 e dell'art. 8, D.P.R. 471/99, nonchè ai sensi dell'art. 20 L.R. 25/98"; di ogni altro atto o provvedimento, presupposto, consequenziale o comunque connesso, tra cui il Verbale della Conferenza dei Servizi tenutasi il 19.12.2006 presso gli uffici della Regione Toscana, relativa all'approvazione del progetto preliminare per la bonifica del sito inquinato da organoalogenati in Comune di Montescudaio, tra le seguente amministrazioni: URTAT di Pistoia; Regione Toscana - Area Rifiuti e bonifiche; ASL 6 Bassa Val di Cecina; Comune di Cecina; ARPAT di Livorno; ARPAT di Pisa; Provincia di Pisa; Comune di Montescudaio.

3) quanto ai motivi aggiunti di cui al ricorso n. 732 del 2007:

della nota prot. n. A00-GRT-170231-124-047 del 25.06.2007 del Dirigente dell'Ufficio Regionale per la tutela del territorio di Pistoia, prato e Arezzo, inviata al Sig. Giacomo Massini a rettifica della nota del 26.02.2007 sopra citata.

4) quanto al ricorso n. 906 del 2007:

del decreto n. 720/16.2.2007 del Dirigente URTT Ing. G.Fianchisti, con il quale si è approvato il progetto preliminare per la bonifica del sito inquinato di Montescudaio (Pi) e della nota 26.02.2007 prot. 55898 con la quale si è trasmesso il decreto di cui sopra "ai sensi dell'art. 17 comma 9 D.Lgs. 22/1997 e dell'art. 8 D.P.R. 471/99, nonchè dell'art. 20 L.R. 25/98";

nonchè di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente anche se, allo stato, incognito.


Visti i ricorsi, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione nei giudizi nn. 1417/04, 731/07 e 732/07 del Comune di Montescudaio, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione nel giudizio n. 1417/04 di Massini Roberto ed Erre Emme S.a.s., con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione nei giudizi nn. 731/07, 732/07 e 906/07 della Regione Toscana e nei giudizi nn. 731/07 e 732/07 dell’A.S.A. Azienda Servizi Ambientali S.p.A., con le relative documentazioni;
Visti i motivi aggiunti notificati nel ricorso n. 732/07;
Vista l’ordinanza collegiale di questa Sezione n. 87/09 pronunciata nel giudizio n. 1417/04;
Viste le memorie difensive delle parti e l’ulteriore documentazione depositate nei singoli giudizi;
Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore nell'udienza pubblica del 5 novembre 2009 il Primo Referendario Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO


In seguito ad alcune specifiche comunicazioni relative alla presenza di rifiuti su un’area ricadente nel territorio del Comune di Montescudaio, sulla quale vi era stata una pregressa attività di conceria e di lavanderia, si dava luogo a sopralluoghi da parte della Polizia Municipale e dell’ARPAT. In particolare, in data 2 aprile 2004 era riscontrata la presenza di 80 fusti abbandonati, sia in plastica che in metallo, con all’interno liquido, in alcuni casi anche sversato nel terreno sottostante. In un successivo e più dettagliato sopralluogo, in data 27 aprile 2004, alla presenza di funzionari dell’ARPAT e di altre amministrazioni competenti, era riscontrata sul sito occupato dalla “Ex Conceria Massini” la presenza di vapori di trielina nel bocca-pozzo presente all’interno dello stabilimento nonchè di una concentrazione di organoalogenati superiore a 2000 microgrammi/litro e la presenza dei suddetti fusti in pessimo stato di conservazione. In data 28 aprile 2004, quindi, l’ARPAT comunicando l’esito dei sopralluoghi, invitava il Sindaco del Comune di Montescudaio a provvedere ai sensi dell’art. 14, comma 3, d.lgs. n. 22/97, allora in vigore, nei confronti del ritenuto responsabile dell’abbandono dei rifiuti, sig. Roberto Massini, nei confronti del ritenuto responsabile dello stoccaggio, il Curatore del Fallimento della ditta Roberto Massini nel frattempo dichiarato, in solido con il legale rappresentante della Erre Emme sas, proprietaria dell’area stessa in quel momento.

Il Sindaco del Comune di Montescudaio adottava, quindi, l’ordinanza n. 16 del 30 aprile 2004 con la quale, ricordando che fino al Fallimento dichiarato nel 1995 l’area era stata sede dell’attività di conceria della ditta Roberto Massini e che attualmente era di proprietà della Erre Emme di Massini dr. Giacomo & C. s.a.s, ordinava al sig. Roberto Massini, nella sua qualità di titolare e legale rappresentante della ditta fallita nel 1995 quale responsabile della produzione ed abbandono dei rifiuti, al dr. Gennaro Tudisco, quale Curatore del Fallimento della ditta Roberto Massini, quale responsabile dello stoccaggio dei rifiuti stessi nel periodo successivo al fallimento fino alla cessione dell’area, in solido con il sig. Giacomo Massini, quale attuale proprietario dell’area stessa come socio accomandatario della Erre Emme sas, di porre in essere tutti i comportamenti e le azioni finalizzate alla messa in sicurezza dei rifiuti contenuti in circa 80 fusti e smaltimento degli stessi, provvedendo in particolare ad avviare, in considerazione del pericolo reale di inquinamento, le procedure di bonifica ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 22/97, a comunicare nelle successive 48 ore, gli interventi di messa in sicurezza adottati ed in fase di esecuzione, a trasmettere, entro i trenta giorni successivi, il Piano di caratterizzazione predisposto ai sensi del D.M. n. 471/99.

Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 1 luglio 2004 e depositato il successivo 13 luglio, rubricato al n.r.g. 1417/2004, la Curatela del Fallimento della ditta Roberto Massini chiedeva l’annullamento di tale ordinanza e dei provvedimenti correlati, lamentando quanto segue.

“1) Violazione ed errata applicazione artt. 17 D.LGS. 5.2.1997 n. 22 – artt. 8 e 18 D.M. n. 471/1999”.

L’art. 17, comma 3, d.lgs. n. 22/97 nonché l’art. 8, comma 2, D.M. n. 471/99, richiamati nel provvedimento impugnato, facevano riferimento al responsabile dell’inquinamento quale soggetto onerato delle incombenze di cui alla messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale.

La Curatela ricorrente, quindi, evidenziava che proprio in seguito all’entrata in vigore del D.M. n. 471/99, l’onere di effettuare la bonifica non spetta al Curatore fallimentare della ditta cui è riconducibile l’attività di inquinamento e il Comune può soltanto domandare l’ammissione al passivo delle spesa sostenuta non potendo giungere invece ad ordinarla direttamente alla stessa Curatela, cui non è configurabile una condotta colposa o dolosa nell’avere causato l’illecito amministrativo.

Anche per quel che riguardava l’art. 14 del d.lgs. n. 22/97 in relazione all’ipotesi di abbandono di rifiuti, il principio operativo era il medesimo, per cui l’ordine di relativo smaltimento non poteva indiscriminatamente rivolgersi al proprietario dell’area, il quale rimaneva onerato solo ai fini della costituzione di onere reale sulla medesima area e dell’esistenza del conseguente privilegio speciale immobiliare sulle relative spese, nelle sole ipotesi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale per le operazioni di inquinamento di cui dell’art. 17, commi 3, 10 e 11, d.lgs. n. 22/97.

Nel caso di specie, inoltre, non era stata accertata la responsabilità della Curatela nell’abbandono di rifiuti né tantomeno nel conseguente inquinamento, non avendo la stessa provveduto a stoccare alcunché nell’area in questione, di cui aveva perso la disponibilità per legittima alienazione a terzi.

“2) Violazione art. 17 D.Lgs. n. 22/1999 e artt. 8 e 18 D.M. n. 471/1999 sotto altro profilo. Eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti.”.

La Curatela non poteva essere oggetto di ordinanze sindacali finalizzate alla bonifica di aree per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo integralmente riconducibile all’impresa fallita né la disponibilità successiva dei beni fallimentari poteva comportare l’obbligo di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica, tenuto anche conto che la Curatela non è mai stata autorizzata all’esercizio provvisorio, che l’area era stata dapprima affittata alla Società Giemme snc, dal 24 gennaio 1996 al luglio 1999, e successivamente alienata alla Erre Emme sas di Giacomo Massini, dal 2 maggio 2001, con la conseguenza che mai attività di stoccaggio di rifiuti, quali gli ottanta fusti rinvenuti dall’ARPAT, era stata effettuata dalla Curatela o era alla stessa riconducibile.

“3) Violazione art. 3 e art. 10 L. 241/1990. eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria”.

Il Sindaco, nell’adottare l’ordinanza impugnata, non aveva tenuto conto che la Curatela, nel riscontrare la nota del 10 marzo 2004 con cui era stata preavvisato l’accesso al fine di verificare la sussistenza dei fusti in questione, aveva specificato di non aver dato luogo ad alcuna attività nell’area in questione a partire dal 1995, momento della dichiarazione del Fallimento, ma si era limitato a recepire acriticamente l’invito rivolto dall’ARPAT ad adottare un’ordinanza anche nei confronti del Curatore fallimentare.

Si costituivano in giudizio la Erre Emme s.a.s. e il sig. Roberto Massini, chiedendo la reiezione del ricorso ed evidenziando, preliminarmente, di ritenere necessaria la chiamata in causa della Regione Toscana, in quanto interessata, ai sensi dell’art. 15 R.D. n. 642/1907 all’insinuazione del passivo fallimentare per il recupero delle relative spese di messa in sicurezza e bonifica sostenute.

Nel frattempo, nelle more della decisione del ricorso, in assenza di bonifica e ripristino effettuato dai soggetti intimati, in relazione alla situazione di inquinamento, era dapprima approvato dalla Regione Toscana, con decreto n. 3678 del 23 giugno 2005, il Piano di Caratterizzazione del sito inquinato nel Comune di Montescudaio predisposto dall’URTAT di Pistoia, erano quindi svolte le indagini ivi previste, tra l’ottobre 2005 e il giugno 2006, era redatto il Progetto Preliminare dall’URTAT di Pistoia ed era svolta la relativa conferenza di servizi, che nella seduta del 19 dicembre 2006 esprimeva parere favorevole alla relativa approvazione.

Con decreto dirigenziale regionale n. 720 del 16 febbraio 2007, era quindi approvato il Progetto Preliminare, specificando che il medesimo era notificato, ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs. n. 22/97 e dell’art. 8 del d.P.R. n. 471/99 – poi trasfusi nell’art. 242 del d.lgs. n. 152/06 – e dell’art. 20 l.r. Toscana n. 25/98, ai soggetti responsabili dell’inquinamento in parola nonché, ai sensi dell’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. cit. ai soggetti proprietari delle aree interessate dagli interventi di bonifica.

Nello specifico, tale decreto risultava trasmesso al dr. Giacomo Massini, al sig. Roberto Massini e alla Erre Emme s.a.s, con due distinte note del 26 febbraio 2007 in cui si specificava che la trasmissione era effettuata, per i primi due, ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs. n. 22/97 e dell’art. 8 d.P.R. n. 471/99 nonché dell’art. 20 l.r. n. 25/98, per la seconda, ai sensi dell’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97 e dell’art. 8 d.P.R. n. 471/99 nonché dell’art. 20 l.r. n. 25/98.

Con distinti ricorsi a questo Tribunale, notificati il 30 aprile 2007 e depositati il successivo 11 maggio, rubricati rispettivamente al n.r.g. 731/07 e 732/07, la Erre Emme di Giacomo Massini e C. s.a.s. e il dr. Giacomo Massini in proprio, chiedevano l’annullamento di tale decreto e degli atti correlati indicati in epigrafe, lamentando quanto segue.

A) In riferimento al ricorso n. 731/07:

“ I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; dell’art. 8 del d.m. 25 ottobre 1999, n. 471; dell’art. 20 della legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 e degli artt. 38 e ss. del decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 25 febbraio 2004, n. 14/R e degli artt. 239 e seguenti del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (già art. 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36) e dell’art. 1 del d.p.r. 18 febbraio 1999, n. 238. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; difetto e contraddittorietà della motivazione. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e del travisamento dei fatti; sviamento. In subordine: illegittimità costituzionale delle norme di legge sopra indicate per violazione degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione”.

Richiamando il contenuto della normativa di cui all’art. 17, comma 10, d.lgs. n. 22/97 (oggi di cui all’art. 253 d.lgs. n. 152/2006) ed all’art. 20 l.r. n. 25/98, la ricorrente evidenziava che era posto a carico del proprietario dell’area inquinata solo l’onere reale sulla medesima, dovendosi altrimenti concludere per l’illegittimità costituzionale delle stesse.

Il richiamo all’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97, contenuto nella nota di trasmissione del decreto impugnato, faceva quindi propendere per l’individuazione a carico della ricorrente del solo onere reale in questione, cui la stessa non intendeva d’altronde sottrarsi, avendo già collaborato, dal 2004, con le Autorità competenti al fine di superare l’inquinamento riscontrato sul terreno.

Le spese per la bonifica integrale dell’area - in special modo, per quella delle acque sotterranee e della falda interessata - non erano quindi imponibili alla ricorrente, che era solo l’attuale proprietaria dell’area ma non la responsabile dell’inquinamento e su tale area poteva gravare esclusivamente l’onere reale relativo alla necessità di ricondurre il bene alla sua specifica destinazione d’uso ma non al rimborso integrale delle spese di bonifica, anche del sottosuolo, le cui acque sotterranee, inoltre, appartengono allo Stato e sono beni di interesse pubblico.

L’intervento di bonifica di cui al progetto preliminare approvato, invece, non aveva lo scopo di rendere utilizzabile l’area in questione secondo la sua specifica destinazione d’uso ma aveva il fine di superare integralmente la situazione di inquinamento che coinvolgeva un’area estremamente vasta, anche in relazione alla falda e al sottosuolo interessati.

L’onere di tale attività di bonifica, quindi, non poteva essere posto a carico del proprietario, incolpevole, di una limitata porzione del territorio interessato, considerato anche che l’inquinamento derivante dallo scorrimento di acqua è difficilmente individuabile nella sua origine e la relativa bonifica potrebbe interessare un territorio molto vasto corrispondente ai luoghi in cui la medesima fluisce.

“II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; dell’art. 8 del d.m. 25 ottobre 1999, n. 471; dell’art. 20 della legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 e degli artt. 38 e ss. del decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 25 febbraio 2004, n. 14/R. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del principio del giusto procedimento. Difetto di istruttoria e di motivazione; violazione delle norme tecniche del D.M. 471/99”.

La società ricorrente non era stata informata dell’avvio del procedimento di approvazione del progetto di bonifica di competenza regionale e la sua partecipazione avrebbe potuto limitare il suo coinvolgimento nella bonifica nei sensi sopra illustrati.

Inoltre, pur partecipando, su sua richiesta, alla conferenza di servizi del 7 luglio 2006, non era stata invitata a quella seguente del 19 dicembre 2006 di approvazione del progetto. Né risultava comunicato alla società ricorrente il decreto del 23 giugno 2005 con il quale era stato approvato il Piano di caratterizzazione.

Infine, contraddittoria appariva alla ricorrente la conclusione della Regione, la quale nella Relazione tecnica descrittiva del Progetto approvato, specificava che la legislazione italiana non definisce i limiti di concentrazione per il TCE e il PCE per poi riferirsi alla normativa statunitense che prevede la necessità di ricondurre la presenza dei gas interstiziali entro specifici valori.

B) In riferimento al ricorso n. 732/07:

“I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, in particolare commi 2 e 9, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; dell’art. 8 del d.m. 25 ottobre 1999, n. 471; dell’art. 20 della legge regionale 18 maggio 1998, n. 25. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; difetto assoluto di motivazione. Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto dell’istruttoria e travisamento”.

Il ricorrente era del tutto estraneo alle attività che, secondo le risultanze dell’istruttoria, avrebbero provocato l’inquinamento, per cui non era invocabile l’art. 17, comma 9, d.lgs. n. 22/97 nei suoi confronti.

Né era fatto cenno ad attività inquinanti riconducibili a lui personalmente posteriori al 2001, dopo che la Erre Emme sas, di cui il ricorrente era accomandatario, era divenuta proprietaria del relativo compendio immobiliare, tenuto conto che il ricorrente stesso non aveva neanche mai collaborato nella ditta paterna Roberto Massini, titolare della conceria cui era ricondotto parte dell’inquinamento e dichiarata fallita nel 1995.

Il ricorrente, quindi, non poteva essere individuato quale responsabile dell’inquinamento, ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs. n. 22/97.

“II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; dell’art. 8 del d.m. 25 ottobre 1999, n. 471; dell’art. 20 della legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 e degli artt. 38 e ss. del decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 25 febbraio 2004, n. 14/R. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del principio del giusto procedimento. Difetto di istruttoria e di motivazione; violazione delle norme tecniche del D.M. 471/99”.

Il ricorrente proponeva censure di contenuto sostanziale analoghe a quelle di cui al secondo motivo del ricorso n. 731/07, evidenziando la mancata partecipazione al procedimento e la contraddittorietà dell’istruttoria svolta dall’Amministrazione nell’individuare limiti di concentrazione per il TCE e il PCE.

Si costituiva in giudizio la Regione Toscana, sia nel ricorso n. 731/07 che nel ricorso n. 732/07, chiedendo la reiezione degli stessi e analogamente faceva l’A.S.A. Azienda Servizi Ambientali s.p.a., cui erano stati notificati entrambi i ricorsi.

Nelle more, era inviata al dr. Giacomo Massini la nota regionale del 25 giugno 2007 con la quale, a rettifica della precedente del 26 febbraio 2007 con la quale era trasmesso il decreto regionale n. 720/2007, si precisava che quest’ultimo doveva intendersi a lui notificato ai sensi dell’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97.

Con motivi aggiunti al ricorso n. 732/07, quindi, il dr. Giacomo Massini chiedeva l’annullamento anche di tale nota, lamentando:

“I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, in particolare commi 10 e 11, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; dell’art. 8 del d.m. 25 ottobre 1999, n. 471; dell’art. 20 della legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 e dell’art. 253 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; difetto assoluto di motivazione. Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto dell’istruttoria e travisamento”.

Il dr. Giacomo Massini non era proprietario delle aree interessate dal procedimento di bonifica, che invece erano della Erre Emme sas, di cui lui era solo il socio accomandatario al quale non erano riconducibili diritti e obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2313 c.c.

Inoltre, l’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/07 non individuava alcuna obbligazione di natura personale a carico del proprietario incolpevole ma solo un onere reale sulle aree da bonificare.

“II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; dell’art. 8 del d.m. 25 ottobre 1999, n. 471; dell’art. 20 della legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 e degli artt. 38 e ss. del decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 25 febbraio 2004, n. 14/R e degli artt. 239 e seguenti del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (già art. 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36) e dell’art. 1 del d.p.r. 18 febbraio 1999, n. 238. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; difetto e contraddittorietà della motivazione. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e del travisamento dei fatti; sviamento. In subordine: illegittimità costituzionale delle norme di legge sopra indicate per violazione degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione”.

Il motivo coincideva, in sostanza, con il primo motivo del ricorso n. 731/07 ed alla relativa, precedente, esposizione si rimanda.

“III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; dell’art. 8 del d.m. 25 ottobre 1999, n. 471; dell’art. 20 della legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 e degli artt. 38 e ss. del decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 25 febbraio 2004, n. 14/R. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del principio del giusto procedimento. Difetto di istruttoria e di motivazione; violazione delle norme tecniche del D.M. 471/99”.

Il motivo coincideva, in sostanza, con il secondo motivo del ricorso n. 731/07 ed alla relativa, precedente, esposizione si rimanda.

Il decreto dirigenziale regionale n. 720 del 16 febbraio 2007 era stato, nel frattempo, inviato anche al Curatore del Fallimento della Ditta Roberto Massini, con nota del 26 febbraio 2007, in cui si specificava che lo stesso era trasmesso ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs. n. 22/97 e dell’art. 8 d.P.R. n. 471/99 nonché ai sensi dell’art. 20 l.r. n. 25/98.

Con ricorso a questo Tribunale, notificato l’8 maggio 2007, depositato il successivo 6 giugno e rubricato al n.r. 906/2007, anche la Curatela chiedeva l’annullamento del decreto in questione, lamentando:

“1) Violazione ed errata applicazione artt. 17 D.LGS. 5.2.1997 n. 22 – artt. 8 e 18 D.M. n. 471/1999 – Art. 20 L.R.T. n. 25/1998. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e travisamento dei fatti”.

Richiamando i fatti alla base del provvedimento in questione e la normativa applicata, la Curatela ricorrente ribadiva di non potere essere considerata responsabile dell’inquinamento e che il decreto impugnato non poteva essere comunicato per tale ragione ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs. n. 22/97 come invece effettuato, dato che non era configurabile una condotta colposa o dolosa che avesse dato luogo al fatto antigiuridico, dato che la Curatela non risponde della condotta del fallito..

“2) Violazione art. 17 D.lgs. n. 22/1999 e artt. 8 e 18 D.M. n. 471/1999 e L.R. T. n. 25/1998 (art. 20) sotto altro profilo. Eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti sotto altro profilo”.

La Curatela non era neanche proprietaria dell’area, in carico a terzi sin dal 1995, e non le poteva essere imputato neanche l’abbandono di rifiuti, non potendole essere addossato l’onere di adottare particolari comportamenti attivi legati alla eventuale disponibilità dei beni del fallito, non avendo neanche mai ricevuto l’autorizzazione all’”esercizio provvisorio”.

“3) Violazione dell’art. 3 e art. 10 L. 241/1990. Eccesso di potere per difetto assoluto e/o insufficienza di istruttoria”.

Il provvedimento impugnato non teneva conto della pregressa comunicazione effettuata dalla Curatela al Sindaco del Comune di Montescudaio con la quale si chiarivano le circostanze sopra evidenziate e l’inimputabilità di alcunché alla Curatela, con conseguente carenza di motivazione e istruttoria anche sotto tale profilo.

Si costituiva in giudizio la Regione Toscana, chiedendo la reiezione del ricorso.

In prossimità della pubblica udienza del 16 aprile 2009, fissata per tutti i quattro giudizi, tutte le parti costituite depositavano memorie ad ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.

Trattenute la cause in decisione, con l’ordinanza collegiale indicata in epigrafe, questa Sezione riteneva necessario acquisire ulteriore documentazione anche per decidere le cause, previa disposta riunione, con unica sentenza.

In data 5 ottobre 2009, si costituiva nei quattro giudizi il Comune di Montescudaio, chiedendo la reiezione dei ricorsi.

Acquisita la documentazione di cui all’ordinanza sopra richiamata, alla nuova udienza pubblica del 5 novembre 2009, previo deposito di memorie da parte della parti costituite, le cause erano nuovamente trattenute in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, in primo luogo, richiama e conferma la disposta riunione dei ricorsi in epigrafe, attesa la connessione oggettiva e soggettiva degli stessi , al fine di deciderli con un’unica sentenza.

Passando all’esame dei singoli ricorsi, il Collegio rileva che con quello n.r.g. 1417/04, la Curatela del Fallimento della ditta Roberto Massini censura, in sostanza, l’ordinanza impugnata nella parte in cui ritiene la sua responsabilità nella produzione della situazione di inquinamento dell’area, originata anche dall’abbandono dei fusti ivi ritrovati.

Ebbene, sotto tale profilo, il ricorso è fondato.

Esaminando il provvedimento impugnato, infatti, il Collegio rileva che lo stesso – nonostante la comunicazione dell’ARPAT del 28 aprile 2004, richiamata nelle sue stesse premesse, facesse riferimento all’adozione di un provvedimento ex art. 14, comma 3, d.lgs. n. 22/97 allora in vigore relativo all’abbandono incontrollato di rifiuti – è stato adottato inequivocabilmente ai sensi dell’art. 17, commi 3 e 9, d.lgs. cit. nonché dell’art. 8 del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, con ciò evidenziando che l’attenzione del Comune si era incentrata esclusivamente sulla situazione di inquinamento riscontrato e sulla necessità di porre in essere le necessarie e urgenti misure di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, effettivamente oggetto del dispositivo in esso contenuto, e non sull’abbandono di rifiuti.

Devono quindi essere applicati i principi che la giurisprudenza ha elaborato in ordine alla corretta applicazione dell’art. 17, commi 3 e 9, d.lgs. cit. e dell’art. 8 D.M. cit. nei confronti dei soggetti interessati.

In tal senso il Collegio non ritiene necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Regione Toscana invocato dalla Erre Emme sas e dal dr. Massini, considerato che il presente è un giudizio di legittimità orientato nei confronti di un provvedimento il cui potere di adozione è riconosciuto dalla norma esclusivamente in capo al Comune senza alcun coinvolgimento dell’ente regionale, che non ha alcuna posizione qualificata per essere ritenuta parte necessaria del giudizio o tanto meno controinteressata nello stesso, rilevando il suo interesse solo sotto un profilo patrimoniale che risulta tutelato in altra sede.

In merito all’applicazione dell’art. 17, commi 3 e 9, d.lgs n. 22/97, il quale prevedeva che gli interventi tesi a porre rimedio alla situazione di inquinamento erano intimati al responsabile, anche se in maniera accidentale (art. 17, comma 2, d.lgs. cit.), dell’inquinamento – ed analogamente disponeva l’art. 8 D.M. n. 471/99 – il Collegio evidenzia che tale qualifica di “responsabile”, comportando ingenti oneri anche di natura economica, deve essere frutto di indagine specifica che comporta una completa e puntuale ricognizione di comportamenti, commissivi o anche solo omissivi, di tipo antigiuridico che hanno dato luogo alle conseguenze negative per l’ambiente (TAR Toscana, Sez. I, 1.8.01, n. 1318).

Inoltre, questa stessa Sezione, recentemente, ha specificato che tale indagine deve essere svolta dall’ente dotato del potere di diffida, anche avvalendosi di organi terzi, e non può essere una mera conseguenza dell’invito a provvedere sollecitato dall’organo tecnico se questo non ha fornito elementi idonei a ricondurre in maniera inconfutabile la situazione riscontrata ad un determinato soggetto come individuato. La Sezione, in merito, ha ritenuto di precisare che, in materia ambientale, se è vero che l’ente locale competente è tenuto a promuovere ogni iniziativa prevista dalle normative vigenti a tutela del bene collettivo in questione sulla base di indagini e sollecitazioni delle agenzie tecniche preposte, è pur vero che ciò non sta a significare che l’ente locale debba pedissequamente conformarsi ai suggerimenti dell’organo tecnico ma solo che debba avviare il relativo procedimento con tutte le garanzie previste dalla l.n. 241/1990 sempre, beninteso, che non sussistano ragioni di celerità e urgenza, da richiamare comunque nel relativo provvedimento.

L’”atto dovuto” in questa materia non è quindi il provvedimento invocato dall’agenzia tecnica ma è quello conseguente all’avvio del procedimento rivolto, comunque, al necessario contraddittorio con il soggetto interessato, soprattutto se il provvedimento in questione culminerebbe in specifiche e, spesso, gravose incombenze e imposizioni (TAR Toscana, Sez. II, 6.5.09, n. 766; nonché 30.7.87, n. 647).

Ebbene, già in sede di riscontro alla nota comunale in data 10 marzo 2004 con cui era richiesta l’autorizzazione per l’accesso all’area al fine di accertare il contenuto dei fusti ivi segnalati, la stessa Curatela aveva avuto modo di specificare di non avere la proprietà dell’area né di avere mai gestito la presenza di tali fusti, dato che dopo il fallimento dichiarato nel 1995, l’area fu pressoché immediatamente oggetto di affitto di azienda alla Giemme srl e poi di alienazione alla Erre Emme sas dal 2001.

Tali circostanze, note al Comune prima dell’adozione del provvedimento impugnato, potevano ben essere facilmente accertate in istruttoria procedimentale da parte di quest’ultimo e risultano anche documentate nel presente giudizio laddove risulta depositata copia del contratto di affitto di azienda del 24 gennaio 1996 tra la Curatela e la Giemme srl, già locataria dell’azienda dal 20 dicembre 1995, ove era specificato che il complesso aziendale con i suoi accessori e pertinenze era consegnato nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, che l’affittuaria aveva accertato, previa ricognizione, l’efficienza e idoneità dei beni e delle strutture in genere all’esercizio dell’attività industriale, che la Curatela era esonerata da ogni onere di ordinaria e straordinaria manutenzione e che, all’art 3, l’affittuaria oltre agli obblighi di depurazione e smaltimento derivante dalla sua produzione, si obbligava anche a provvedere a sua cura e spese alla depurazione e quindi allo scarico delle acque di risulta, che attualmente si trovano nelle vasche di raccolta, “…nonché allo smaltimento dei fanghi relitti dalla produzione della ditta fallita”.

In giudizio è stata depositata, poi, anche copia del decreto di trasferimento del giudice delegato al Fallimento del complesso immobiliare in questione, in data 13 giugno 2001, alla Erre Emme srl, compreso il terreno di pertinenza.

Ne risulta, quindi, che sicuramente la Curatela, in assenza di elementi idonei a provare il contrario, non ha sostanzialmente mai gestito l’azienda e il complesso immobiliare dalla data di dichiarazione del Fallimento, non essendo d’altronde neanche mai stata autorizzata all’esercizio provvisorio.

Non si comprende quindi, come l’ARPAT e, pedissequamente, il Comune di Montescudaio abbiano ritenuto in maniera pressoché perentoria che la Curatela sia stata “responsabile dello stoccaggio dei rifiuti stessi nel periodo successivo al fallimento fino alla cessione dell’area”, non prendendo in considerazione che l’area stessa era stata ceduta in affitto sin dal gennaio 1996.

Né i sopralluoghi dell’aprile 2004 – di cui è stato acquisito il contenuto con l’ordinanza istruttoria indicata in epigrafe - apportano elementi in senso favorevole alla conclusione dell’amministrazione comunale, dato che si limitano prendere atto di una situazione di degrado riscontrabile a quel momento e non rilevano alcun aspetto idoneo a ritenere la responsabilità della Curatela nel senso prospettato, ritenendo invece di dare luogo a “prime ipotesi e azione concertate”, tutte orientate nei confronti dell’attività a suo tempo dalla “conceria Massini” e dalla “Lavanderia La Rapida”, nulla osservando in ordine al momento in cui risulti originato inquinamento dallo stoccaggio dei fusti.

E’ sì osservato, nel verbale del 27 aprile 2004, che “…lo stato di conservazione dei bidoni è pessimo, sono sostanzialmente abbandonati, alcuni mostrano perdite di liquido”, con presenza nel terreno di TCE e PCE, e che “…Lo stato di manutenzione ambientale è pessimo nell’intero complesso industriale..” ma ciò, evidentemente riferito all’aprile 2004, senza fornire elementi idonei a individuare il momento di origine dell’inquinamento da cattivo stoccaggio.

Il Comune, quindi, nell’ordinanza impugnata, senza alcun approfondimento, ha ritenuto la Curatela responsabile dello stoccaggio, senza considerare quanto da questa già comunicatogli in precedenza, da cui risulta oggettivamente che l’area e l’azienda non erano state nella sua disponibilità sin dal dicembre 1995-gennaio 1996.

Il Comune non ha in alcun modo preso in considerazione, quindi, che la Giemme srl non solo aveva acquisito la disponibilità dell’area ma si era anche impegnata a sua cura e spese alla depurazione e scarico delle acque di risulta presenti nelle vasche di raccolto e, soprattutto, allo smaltimento dei fanghi relitti dalla produzione della ditta fallita nonché alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile.

Se, quindi, risultava dal verbale del 27 aprile 2004 che lo stato di conservazione dei bidoni era “pessimo” così come “pessimo” ero lo stato di “manutenzione ambientale”, non si comprende da quali elementi il Comune di Montescudaio abbia ritenuto che tale stato – e quindi il cattivo stoccaggio dei bidoni – sia da imputare esclusivamente alla Curatela, che non ha praticamente mai gestito l’area.

Sotto tale profilo, perciò, appare fondato quanto lamentato dalla ricorrente nei tre motivi di ricorso, dato che l’accertamento della responsabilità dell’inquinamento di cui all’art. 17, comma 3, d.lgs. n. 22/97 e all’art. 8, D.M. n. 471/99 – non avendo adottato il Comune l’ordinanza impugnata per abbandono di rifiuti ex art. 14 d.lgs. cit. come pure era stato prospettato dall’ARPAT – deve essere rigorosa e, pur se non fondata su elementi di prova diretti e contestuali all’evento, molto spesso difficili da acquisire, può essere individuata a carico dell’effettivo soggetto autore dell’inquinamento in base anche a profili indiretti riscontrabili con presunzioni semplici ex art. 2727 c.c. in relazione a indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo il principio dell’”id quod plerumque accidit” che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (Cons. Stato, Sez. V, 16.6.09, n. 3885).

Nel caso di specie, però, per quanto dedotto, non risultano tali presunzioni semplici né indizi gravi, precisi e concordanti al fine di individuare la responsabilità dello stoccaggio a carico della Curatela, sussistendo semmai tali elementi a fondamento della conclusione contraria, di esonero dalla responsabilità dello stoccaggio in questione, considerando che la situazione di inquinamento riscontrata, data dalla fuoriuscita di liquido da bidoni sostanzialmente abbandonati agli agenti atmosferici, appare verosimilmente verificatasi con il trascorrere del tempo e quindi riconducibile più a coloro che hanno gestito l’area dopo la cessione da parte della Curatela, avvenuta pressoché immediatamente dopo la dichiarazione di Fallimento della ditta Roberto Massini.

Di conseguenza, fondati appaiono anche il secondo motivo di ricorso sotto il profilo della contestata situazione di responsabilità in quanto la Curatela non era, al 2004, proprietaria dell’area né l’aveva gestita dal dicembre 1995, e il terzo motivo di ricorso, in ordine alla carenza di istruttoria per non aver considerato il Comune la situazione precedente al 2004 come indicata dalla Curatela nella nota di riscontro alla comunicazione del 10 marzo 2004 sopra ricordata.

Né possono condividersi le tesi difensive espresse dal Comune di Montescudaio nonchè della Erre Emme sas e del sig. Massini.

Si ricorda infatti che, in base al contenuto del provvedimento impugnato, la Curatela è stata ritenuta, ai sensi dell’art. 17, comma 3, d.lgs. n. 22/97, esclusivamente responsabile dello stoccaggio dei rifiuti nel periodo successivo al fallimento fino alla cessione dell’area, ritenendosi invece la produzione ed abbandono dei rifiuti stessi a carico del solo sig. Roberto Massini.

Non è stata individuata né mai contestata, quindi, la (eventuale) responsabilità della Curatela per la “produzione” del rifiuto ed il conseguente “abbandono” per cui non rilevano, a tal fine, i richiami operati dalle parti intimate in ordine alla riconducibilità alla condizione di continuità fra la Curatela e l’imprenditore dichiarato fallito se, come nel caso di specie, alla medesima Curatela è contestato non l’operato riconducibile al fallito ma un’attività specifica, legata a quanto compiuto dopo la dichiarazione di fallimento.

A ciò si aggiunga che la più recente corrente giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire, ha precisato che in materia di inquinamento – e si ricorda nuovamente che il contenuto dell’ordinanza impugnata richiama l’art. 17 d.lgs. e non l’art. 14 d.lgs cit. – in caso di impresa fallita è illegittimo l’ordine di bonifica a carico del curatore, che costituirebbe un sovvertimento del principio comunitario del c.d. “chi inquina paga”, scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l’inquinamento, fermo restando il coinvolgimento della Curatela stessa in caso di prosecuzione dell’attività (Cons. Stato, Sez. V, n. 3885 cit. e 29.7.03, n. 4328; TAR Sardegna, Sez. II, 11.3.08, n. 395; TAR Lazio, Lt, 12.3.05, n. 304; TAR Abruzzo, Aq, 17.12.04, n. 1393; TAR Toscana, Sez. II, 1.8.01, n. 1318).

Poiché il principio del “chi inquina paga” era operante anche sotto la vigenza dell’art. 17 d.lgs n. 22/97 (ora sostanzialmente riproposto negli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152/2006) in quanto da interpretarsi in senso sostanzialistico di un principio immanente in materia di prevenzione e riparazione di danno ambientale (TAR Campania, Na, Sez. V, 3.7.09, n. 3727; TAR Lombardia, Mi, Sez. IV, 7.9.07, n. 5782 e Sez. I, 8.11.04, n.5681), ne consegue che la Curatela, nel caso di specie, non può essere ritenuta responsabile di un inquinamento riconducibile esclusivamente all’imprenditore fallito e non ad un suo specifico comportamento successivo alla dichiarazione di decozione dell’impresa.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso n. 1417/04 deve essere accolto.

Le spese seguono la soccombenza del Comune di Montescudaio e sono liquidate come da dispositivo, con compensazione per il resto con la Erre Emme sas e con il dr. Giacomo Massini, sussistendone giusti motivi.

Passando all’esame dei ricorsi nn. 731/07 e 732/07, il Collegio evidenzia che analogo metodo, di considerazione del contenuto letterale del provvedimento impugnato, deve essere seguito.

Considerando il ricorso n. 731/07, si rileva che il decreto n. 720/07 ivi impugnato specifica ai punti 3 e 4 del dispositivo che lo stesso doveva essere notificato sia ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs. n. 22/97 e dell’art. 8 D.M. n. 471/99 (poi trasfusi negli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152/06) nonché dell’art. 20 l.r. n. 25/98 al responsabile dell’inquinamento, così come, ai sensi dell’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. cit. e dell’art. 8 D.M. cit. (poi trasfusi nell’art. 253 d.lgs. n. 152/06) nonché dell’art. 20 l.r. n. 25/98, ai soggetti proprietari delle aree interessate dagli interventi di bonifica così come perimetrale nel Progetto preliminare approvato.

Che nei confronti della ricorrente Erre Emme sas sia stata scelta quest’ultima forma di notificazione si evince inequivocabilmente dalla relativa nota di trasmissione del 26 febbraio 2007, in cui è specificato che la stessa avveniva “…ai sensi dell’art. 17, comma 10 e 11, D.Lgs. 22/1997 e dell’art. 8 DPR 471/99, nonché ai sensi dell’art. 20 L.R. 25/98”, con la conseguenza di indicare che la Regione Toscana riteneva di coinvolgere nella procedura la Erre Emme sas non quale responsabile dell’inquinamento ma esclusivamente quale proprietaria dell’area.

Deve quindi al caso di specie applicarsi quanto previsto dal suddetto art. 17, comma 10 e 11, d.lgs. n. 22/97 e dall’art. 8 DM n. 471/99 (oggi trasfusi negli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152/06) oltre a quanto previsto anche nell’art. 20 l.r. n. 25/98.

Come noto, l’art. 17 cit., ai commi in questione, prevede che “le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale nonché la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza costituiscono onere reale sulle aree inquinate di cui ai commi 2 e 3…Le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree inquinate nonché per la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza, ai sensi dei commi 2 e 3, sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. Le predette spese sono altresì assistite da privilegio generale mobiliare”. Analogamente dispone in sostanza l’art. 8, comma 3, DPR n. 471/99, secondo il quale “L 'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 10 e 11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni”.

Più generica è la disposizione dell’art. 20 l.r. Toscana n. 25/98, che accorpa le due ipotesi, limitandosi ad affermare che la bonifica e/o messa in sicurezza competono al soggetto che ha provocato l’inquinamento in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento dell’area.

Sul punto, comunque, il Collegio ritiene che tale norma, per essere comunitariamente e costituzionalmente orientata, come anche osservato dalla società ricorrente a pag. 14 del ricorso, deve essere interpretata nel senso conforme alla normativa statale ora evidenziata, atteso che il principio del c.d. “chi inquina paga” era operante come indirizzo precettivo già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 e la responsabilità per inquinamento non può desumersi, in maniera oggettiva, dal semplice rapporto dominicale con il bene inquinato in tutti i procedimenti amministrativi in corso, laddove non si sono prodotti diritti quesiti o comunque effetti definitivi (TAR Campania, Na, Sez. V, 3.7.09, n. 3727 e Cons. Stato, Sez. cons. atti normativi, 5.11.2007, n.3838).

Di conseguenza, al proprietario del bene non può in alcun modo essere applicata la normativa relativa al responsabile dell’inquinamento, che adossa a quest’ultimo l’intero onere risarcitorio (derivante dalle spese sostenute) per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale.

Chiarito ciò, il Collegio ritiene necessario – anche sotto il profilo conformativo per la p.a. che può rivestire la presente pronuncia – specificare che se la normativa di cui all’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97 e l’altra ad essa collegata sopra richiamata fanno riferimento all’apposizione dell’onere reale e all’introduzione del relativo privilegio in sede esecutiva, la conseguenza non può logicamente essere quella che vede il proprietario tenuto a corrispondere tutte le spese sostenute per le suddette attività necessarie per porre rimedio all’inquinamento riscontrato.

Sul “proprietario”, quindi può ricadere – ove il medesimo non provveda direttamente ritenendo preferibile evitare le conseguenze sul “suo” bene nell’ipotesi che intenda metterlo in circolazione alienandolo con gli strumenti previsti dall’ordinamento – unicamente l’onere economico equivalente al valore del bene stesso, per renderlo effettivamente nuovamente utilizzabile, e non altro.

Tale conclusione, già prospettata da giurisprudenza con cui il Collegio concorda, risponde anche all’applicazione del principio generale di proporzionalità, principio che, come è noto, si attaglia particolarmente alla materia delle limitazioni del diritto di proprietà, della attività di autotutela, delle ordinanze di necessità ed urgenza, delle irrogazione di sanzioni e, appunto, della tutela ambientale (Cons. Stato, Sez. IV, 22.3.2005, n. 1195) ed in base ad esso la Pubblica Amministrazione deve adottare la soluzione idonea ed adeguata comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti e si risolve, in buona sostanza, nell'affermazione secondo cui le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare ( Cons. Stato, sez. VI, 6.3.2007, n. 1736).

Opinando diversamente non si individuerebbe la differenza tra le conseguenze di cui deve rispondere il “responsabile” e quelle di cui deve rispondere il “proprietario”, se non coincidente.

Secondo l’interpretazione normativa che al Collegio appare più logica e costituzionalmente orientata, il primo, infatti, deve rispondere dell’intero costo delle operazioni necessarie alla messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale anche se poste in essere, in seguito alla sua inerzia, dal Comune o dalla Regione, anche se superano il valore del bene, mentre il costo che deve sopportare il secondo non può che limitarsi al valore del bene stesso.

Se, come giustamente osservato nelle sue difese anche dalla Regione Toscana, la norma di cui all’art. 10, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97 ha funzione di “garanzia” per l’ente territoriale che realizza, in via sostitutiva ed a proprie spese, le operazioni di bonifica e le altre collegate, tale garanzia non può estendersi oltre il valore del bene di riferimento.

Chiarito ciò, il Collegio rileva che la stessa società ricorrente, nell’illustrare il primo motivo di ricorso, afferma di non volersi nè potersi sottrarre a tale onere ma di ritenerlo limitato alle spese di bonifica del solo terreno, escludendo le acque sotterranee e la relativa falda interessate dall’inquinamento, come la stessa aveva in effetti già compiuto ai fini di una ristrutturazione urbanistica in essere.

Il Collegio in merito osserva, però, che la tesi della società ricorrente non appare convincente.

Il c.d. “decreto Ronchi” ed il collegato D.M. n. 471/99 (in particolare l’art. 17, commi 1, 2, 4, 6 bis, d.lgs. cit. e l’art. 2 D.M. cit.), applicabili all’epoca del provvedimento impugnato, in relazione alla nozione di “inquinamento” facevano riferimento alla sua realizzazione sul relativo “sito” – e non solo sul terreno superficiale – inteso quale area o porzione di territorio intesa nelle diverse matrici ambientali e comprensiva anche delle “eventuali” strutture edilizie ed impiantistiche presenti in cui si riscontrano livelli di contaminazione o alterazioni chimiche, fisiche o biologiche del “suolo o del sottosuolo o delle acque superficiali o “sotterranee” tali da determinare un pericolo per la salute pubblica. Lo stesso D.M. n. 471/99, richiamando la nozione di bonifica, faceva riferimento all’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel “sottosuolo”, nelle acque superficiali o “sotterranee”, chiarendo ulteriormente che la stessa doveva interessare tutte le matrici ambientali coinvolte, dato che senza un’efficace depurazione della falda non sarebbe possibile certificare gli interventi di bonifica del soprasuolo, come condivisibilmente osservato dalla Regione Toscana nella sua ultima memoria. Così pure l’art. 17, comma 1, lett.a) e c-bis), d.lgs. faceva riferimento ai suoli ed alle “acque sotterranee” in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti, con ciò confermando che le operazioni di bonifica e quelle ad esse correlate riguardano il generale inquinamento del sito e non solo il terreno superficiale insito in esso.

In più, osserva il Collegio, la proprietà, come noto in base ai principi civilistici di cui all’art. 840, comma 1, c.c., si estende anche al sottosuolo con tutto ciò che vi si contiene, in applicazione del noto brocardo secondo cui la proprietà si estende “usque ad inferos et usque ad sidera”.

Il su ricordato limite del “valore del bene”, quindi, non potrà che considerare tali principi, ritenendo il sottosuolo parte integrante del bene stesso nel caso di specie.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il primo motivo di ricorso risulta infondato secondo la prospettazione di parte ricorrente, fermo restando – per quanto illustrato – che essa è tenuta nei confronti della p.a. nei soli limiti del valore di mercato dell’area di sua proprietà.

Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con il quale la Erre Emme sas lamenta la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento regionale di approvazione del progetto di bonifica, e del precedente piano di caretterizzazione, nonostante il suo spontaneo contributo allo stesso in sede interprovinciale e comunale, nonché l’erronea considerazione in ordine all’individuazione di limiti di concentrazione di TCE e PCE nella matrice gassosa.

In merito il Collegio osserva che la normativa non prevede l’obbligatoria partecipazione del privato alla conferenza di servizi, essendo questa un modulo procedimentale di semplificazione amministrativa nell’esercizio del relativo potere pubblico.

Inoltre, risulta che la Erre Emme sas sia stata destinataria dell’atto di comunicazione di presa d’atto dell’11 giugno 2004 da parte del Comune di Montescudaio dell’inadempimento all’ordinanza n. 16/04 e dell’avvio del procedimento di messa in sicurezza e bonifica d’ufficio, come confermato anche dalla Regione Toscana con la nota 23 novembre 2004 pure ad essa indirizzata.

Risulta poi che la stessa abbia comunque fornito il suo apporto procedimentale, preso in considerazione dalla Regione, come da documento allegato al verbale della stessa conferenza di servizi del 19 dicembre 2006 per la quale la ricorrente lamenta di non essere stata invitata.

Né possono avere ingresso nelle presente sede le considerazioni tecniche in ordine ai contaminanti da TCE e PCE in forma gassosa sia perché esse rilevano su scelte discrezionali dalla p.a. non delibabili nella presente sede sia perché la bonifica è inerente a molte altre diverse componenti inquinanti e il provvedimento impugnato si limita a trasmettere il relativo progetto preliminare come approvato.

Alla luce di quanto illustrato e nei limiti specificati, quindi, il provvedimento impugnato è legittimo ed il ricorso n. 731/07 deve essere rigettato, con compensazione integrale delle spese tra tutte le parti costituite, attesa la specificità della fattispecie.

Passando all’esame del ricorso n. 732/07, il Collegio rileva che lo stesso, orientato a chiedere l’annullamento del medesimo provvedimento nonché, nei motivi aggiunti, della successiva nota regionale di rettifica, è proposto dal dr. Giacomo Massini “in proprio”.

Il Collegio rileva che sul primo motivo - con cui il ricorrente lamentava che la notificazione del provvedimento impugnato era stata effettuata ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs. n. 22/97, quindi ritenendolo “responsabile” dell’inquinamento – e salvo quanto sarà detto sui motivi aggiunti, deve essere dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il medesimo provvedimento è stato rinotificato, come da nota del 25 giugno 2007, ai sensi dell’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. cit., con ciò facendo ritenere che il ricorrente sia stato coinvolto nel procedimento non come responsabile dell’inquinamento ma quale “proprietario” dell’area ed agli esclusivi fini dell’apposizione dell’onere reale, come considerato in precedenza.

Sul secondo motivo di ricorso, che riprende le medesime considerazioni espresse nel secondo motivo del ricorso n. 731/07, il Collegio non può che fare rimando a quanto già illustrato in proposito in precedenza per evidenziarne l’infondatezza, atteso che risulta che lo stesso ricorrente ha partecipato alla conferenza di servizi del 7 luglio 2006, anche se in qualità di legale rappresentante della Erre Emme sas e non vi erano ragioni che impedivano un suo apporto procedimentale anche, eventualmente, a livello personale, che non vi è comunque un obbligo di partecipazione ai privati alla conferenza di servizi, che le scelte discrezionali della p.a. non sono delibabili nella presente sede, in relazione alle modalità di individuazione della concentrazione di TCE e PCE.

Fondati si palesano, invece, i motivi aggiunti.

Risulta infatti la violazione di legge, di cui essenzialmente all’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97, nonché all’art. 8 D.M. n. 471/99 e all’art. 20 l.r. n. 25/98, e l’eccesso di potere per carenza dei presupposti lamentati dal dr. Massini, in quanto il medesimo non è il proprietario dell’area in questione, invece della Erre Emme sas, ricorrente infatti a tale scopo, per quanto sopra illustrato, nel ricorso n. 731/07.

La sua qualità di socio accomandatario di quest’ultima società non lo può far considerare titolare del diritto di proprietà invece riconducibile alla compagine sociale, tenuto conto che – per quanto più volte sopra evidenziato – nella fattispecie considerata dall’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97 non si fa riferimento ad alcuna obbligazione personale del proprietario ma esclusivamente alla costituzione di un onere reale sull’area da sottoporre a bonifica.

Non si comprende, quindi, a quale titolo il provvedimento impugnato sia stato notificato anche al dr. Giacomo Massini, che non risulta proprietario dell’area da bonificare.

Né si può opporre che il coinvolgimento del ricorrente sia avvenuto per la sua qualità di socio accomandatario della Erre Emme sas, poiché, come si evince dalla lettura delle note del 26 febbraio 2007 e del 25 giugno 2007 che accompagnavano le trasmissioni del decreto regionale n. 720 del 16 febbraio 2007, queste erano state indirizzate al “sig. Giacomo Massini”, senza ulteriori specificazioni della sua qualità. Inoltre, dato che il decreto regionale in questione era stato già comunicato autonomamente alla proprietaria Erre Emme sas – che infatti ha provveduto ad impugnarlo – non si comprende a quale fine fosse stata ritenuta necessaria una nuova comunicazione ex art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/97 cit.

Sul punto, infine, non possono ritenersi condivisibili le difese dalla Regione Toscana, che si incentrano su una ritenuta responsabilità per l’inquinamento, che è esclusa per la stessa circostanza che la medesima Regione, correggendo la precedente comunicazione ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs cit., ha provveduto a specificare che la trasmissione del decreto n. 720/05 era effettuata esclusivamente ai sensi dell’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. cit., escludendo quindi il coinvolgimento del ricorrente quale “responsabile” dell’inquinamento.

Il carattere assorbente del primo dei motivi aggiunti comporta direttamente l’accoglimento degli stessi.

Le spese seguono la soccombenza della Regione Toscana e sono liquidate come in dispositivo mentre possono compensarsi, sussistendone giusti motivi, con l’A.S.A. e con il Comune di Montescudaio, considerato anche che quest’ultimo si è soffermato in giudizio esclusivamente sui provvedimenti da esso assunti.

Parimenti fondato è il ricorso n. 906/2007, con il quale anche il Fallimento della ditta Roberto Massini chiede l’annullamento del decreto regionale n. 720/05.

Le motivazioni alla base delle conclusioni in tal senso del Collegio sono, sostanzialmente, le medesime che hanno indotto all’accoglimento del ricorso n. 1417/04 e ad esse si rimanda.

In questa occasione, infatti, a differenza di quanto accaduto nelle fattispecie descritte nei ricorsi nn. 731/07 e 732/07 – ove la trasmissione del decreto regionale è avvenuta esclusivamente ai sensi dell’art. 17, commi 10 e 11, d.lgs. n. 22/07 con conseguente coinvolgimento dei soggetti interessati esclusivamente come (ritenuti tali per il dr. Giacomo Massini) proprietari dell’area inquinata – il provvedimento in questione, come si rileva dalla nota regionale del 26 febbraio 2007 depositata in giudizio, è stato indirizzato al dr. Gennaro Tudisco, evidentemente quale Curatore del Fallimento della ditta Roberto Massini, ai sensi dell’art. 17, comma 9, d.lgs. cit, ritenendo quindi il Fallimento “responsabile” dell’inquinamento.

Su tali basi, però, come detto, il Collegio non può fare a meno di richiamare quanto già dedotto in relazione al ricorso n. 1417/04.

Infatti, come sopra evidenziato ed alla cui dettagliata esposizione si rimanda, dalla documentazione in atti risulta che il Fallimento ricorrente non ha mai direttamente gestito l’area in questione ed il relativo stoccaggio e/o abbandono di 80 fusti ivi ritrovati in pessime condizioni, in quanto la stessa area risulta ceduta a terzi già dal dicembre 1995-gennaio 1996, fino alla definitiva acquisizione da parte della Erre Emme sas.

Né dall’esame dell’ulteriore documentazione acquisita in seguito all’ordinanza istruttoria indicata in epigrafe risultano elementi che possano indurre alla conclusione per la quale sia stato individuato con certezza il momento in cui tale deterioramento dei fusti sia individuabile, lasciando ritenere che lo stesso sia stato causato essenzialmente dal trascorre del tempo, in periodo presumibilmente successivo al 1995, anno in cui è stato dichiarato il Fallimento della ditta Roberto Massini.

Non sussistendo elementi certi – ma neanche presunzioni semplici o indizi precisi, gravi e concordanti secondo la conclusione sopra richiamata di cui a Cons. Stato, Sez. V, 16.6.09, n. 3885 – che possano avere indotto la Regione Toscana a ritenere il Fallimento responsabile dell’inquinamento per il periodo successivo al 1995 neanche potrebbe ritenersi la medesima responsabilità per l’attività posta in essere dal fallito.

Infatti, come sopra evidenziato, la più recente corrente giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire, ha precisato che, in materia di inquinamento, in caso di impresa fallita è illegittimo l’ordine di bonifica a carico del curatore, che costituirebbe un sovvertimento del principio comunitario del c.d. “chi inquina paga”, scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l’inquinamento, fermo restando il coinvolgimento della Curatela stessa solo in caso di prosecuzione dell’attività (Cons. Stato, Sez. V, n. 3885 cit. e 29.7.03, n. 4328; TAR Sardegna, Sez. II, 11.3.08, n. 395; TAR Lazio, Lt, 12.3.05, n. 304; TAR Abruzzo, Aq, 17.12.04, n. 1393; TAR Toscana, Sez. II, 1.8.01, n. 1318).

Poiché il principio del “chi inquina paga” era operante anche sotto la vigenza dell’art. 17 d.lgs n. 22/97 (ora sostanzialmente riproposto negli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152/2006) in quanto da interpretarsi in senso sostanzialistico di un principio immanente in materia di prevenzione e riparazione di danno ambientale (TAR Campania, Na, Sez. V, 3.7.09, n. 3727; TAR Lombardia, Mi, Sez. IV, 7.9.07, n. 5782 e Sez. I, 8.11.04, n.5681), ne consegue che la Curatela, nel caso di specie, non può essere ritenuta responsabile di un inquinamento riconducibile esclusivamente all’imprenditore fallito e non ad un suo specifico comportamento successivo alla dichiarazione di decozione dell’impresa, atteso che non risulta neanche l’autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’attività aziendale.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, anche il ricorso n. 906/07 deve essere accolto per quanto dedotto, in misura assorbente, con il primo e secondo motivo di ricorso.

Le spese seguono la soccombenza della Regione Toscana e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione 2^, riuniti i ricorsi in epigrafe:

1) accoglie il ricorso n. 1417/04 e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nella parte in cui è diretto al fallimento ricorrente. Condanna il Comune di Montescudaio a corrispondere al fallimento ricorrente le spese di lite, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge e l’importo versato per il contributo unificato; compensa per il resto con le altre parti costituite;

2) rigetta il ricorso n. 731/07, con spese compensate;

3) dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso originario n. 732/07;

4) accoglie i motivi aggiunti di cui al ricorso n. 732/07 e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nella parte in cui è diretto nei confronti del ricorrente. Condanna la Regione Toscana a corrispondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge e l’importo versato per il contributo unificato; compensa per il resto con le altre parti costituite.

5) accoglie il ricorso n. 906/07 e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nella parte in cui è diretto nei confronti del fallimento ricorrente. Condanna la Regione Toscana a corrispondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge e l’importo versato per il contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del 5 novembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Ivo Correale, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/01/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO

 



 

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