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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. UMBRIA, sez. I - 4 maggio 2010, n. 274
RIFIUTI - Distinzione tra rifiuto e sottoprodotto - Art. 183, c. 1, lett. a)
e p) d.lgs. n. 152/2006 - Allegato A - Lista aperta - Concetto del “disfarsi” -
Fattispecie: sottoprodotti delle industrie alimentari destinate alla produzione
di mangimi. Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), del c.d. “codice
dell’ambiente”, deve intendersi per “rifiuto” «qualsiasi sostanza od oggetto che
rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente
decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di
disfarsi». Atteso che il primo criterio non svolge un ruolo determinante per
l’identificazione del rifiuto, in quanto l’elenco contenuto nell’allegato A
costituisce una lista aperta, criterio con valore preminente risulta essere
quello fondato sul concetto del “disfarsi”. Questo indica una condotta rispetto
alla quale è irrilevante se avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto,
ovvero tramite il suo recupero. Simmetricamente, al punto p) della norma in
esame, sono definiti come “sottoprodotti” “le sostanze ed i materiali dei quali
il produttore non intende disfarsi”ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a):
tale nozione ricorre allorché sussistano contestualmente tutte le condizioni
individuate dalla norma, e vale ad individuare quel materiale che deriva da un
processo di fabbricazione o di estrazione non principalmente destinato a
produrlo, e del quale l’impresa non ha intenzione di “disfarsi”, ma che intende
sfruttare in un differente processo successivo, senza dover attuare
trasformazioni preliminari. Si tratta dunque di materiali che, dal punto di
vista economico, hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi
trasformazione, e non sono assoggettati alla disciplina dei rifiuti proprio
perché il loro riutilizzo non è eventuale, ma certo. La norma effettua dunque
una tipizzazione del materiale di risulta di un processo di produzione, tale da
renderlo riconoscibile come rifiuto o come sottoprodotto. (fattispecie in
materia di sottoprodotti delle industrie agroalimentari destinati alla
produzione di mangimi: “Dalla disamina delle suesposte norme appare evidente la
inerenza dei sottoprodotti, e non già dei rifiuti, alla utilizzazione per la
produzione di mangimi. E’ infatti l’impresa alimentare che, decidendo in via
preventiva di destinare i propri sottoprodotti alla filiera di produzione dei
mangimi, ne garantisce il loro riutilizzo sicuro, senza dover fare ricorso a
trattamenti o trasformazioni con finalità di risanamento di una materia
originariamente non conforme”). Pres. Lignani, Est. Fantini - S.s.n.c. (avv.
Giampietro) c. Provincia di Perugia (avv.ti Minciaroni e Valentini), Regione
Umbria (avv. Iannotti), A.S.L. n.1 - Settore Veterinario Igiene degli
Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche (avv. Bioli), Ministero Lavoro, della
Salute e delle Politiche Sociali e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) - TAR
UMBRIA, Perugia, Sez. I - 4 maggio 2010, n. 274
RIFIUTI - Giurisprudenza penale - Distinzione tra residuo di produzione e
sottoprodotto. Anche la giurisprudenza penale, al fine di delineare l’ambito
di operatività della nozione di rifiuto, ha chiarito che occorre distinguere tra
“residuo di produzione”, che è un rifiuto, pur suscettibile di eventuale
utilizzazione previa trasformazione, e sottoprodotto, caratterizzato dal certo
riutilizzo del bene (in termini, tra le tante, Cass.pen., Sez. III, 14 aprile
2005, n. 20499). Pres. Lignani, Est. Fantini - S.s.n.c. (avv. Giampietro) c.
Provincia di Perugia (avv.ti Minciaroni e Valentini), Regione Umbria (avv.
Iannotti), A.S.L. n.1 - Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle
Produzioni Zootecniche (avv. Bioli), Ministero Lavoro, della Salute e delle
Politiche Sociali e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) - TAR UMBRIA, Perugia,
Sez. I - 4 maggio 2010, n. 274
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00274/2010 REG.SEN.
N. 00211/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 211 del 2009, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Splendorini Molini S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore
Armando Splendorini, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Giampietro, con
domicilio eletto presso T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni, 3;
contro
- Provincia di Perugia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Massimo Minciaroni e Chiara Valentini, con i quali è
elettivamente domiciliata in Perugia, via Palermo, 106;
- Provincia di Perugia, Area Ambiente e Territorio Servizio Gestione e Controllo
Ambientale, in persona del dirigente pro tempore, non costituita in giudizio;
- Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa
dall’avv. Casimiro Iannotti, con il quale è elettivamente domiciliata in
Perugia, corso Vannucci n. 30;
- Regione Umbria, Direzione Regionale Sanità e Servizi Sociali-Servizio VI, in
persona del dirigente pro tempore, non costituita in giudizio;
- A.S.L. n.1 - Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni
Zootecniche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’avv. Vincenzo Bioli, presso il quale è elettivamente domiciliata in
Perugia, via Cesarei n. 8;
- Ministero Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Ministero delle
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in persona dei rispettivi Ministri
pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura distrettuale dello
Stato di Perugia, presso i cui uffici sono pure legalmente domiciliati, alla via
degli Offici n. 14;
- Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali - Dipartimento
per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti,
Direzione Generale Sanità Animale e del Farmaco Veterinario Ufficio VII, in
persona dei rispettivi dirigenti pro tempore, non costituiti in giudizio;
nei confronti di
- Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in
giudizio;
- Federalimentare - Federazione Italiana dell'Industria Alimentare, in persona
del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
1) della nota della Provincia di Perugia, Area Ambiente e Territorio, Servizio
Gestione e Controllo Ambientale, prot. U- 0204470 del 16 marzo 2009, avente ad
oggetto: “Notifìca della “nota esplicativa sull‘utilizzo dei sottoprodotti
originati dal ciclo produttivo dalle industrie agroalimentari destinate alla
produzione di mangimi” del Ministero del Lavoro, della Salute, e delle Politiche
Sociali” ; 2) del verbale di ispezione del 12 marzo 2009, della A.S.L. n. 1
Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche,
presso la Regione Umbria, Direzione Regionale Sanità e Servizi Sociali,.
Servizio VI (Programmazione e Gestione degli interventi di Emergenza Sanitaria,
Sanità Veterinaria e Sicurezza Alimentare), in persona del dirigente pro
tempore; 3) della nota della A.S.L. n. 1, prot. 0008125 del 23 marzo 2009; 4)
della nota n. 509 - 12 gennaio 2009/DGSA - P, avente ad oggetto: “trasmissione
“nota esplicativa sull‘utilizzo dei sottoprodotti originati dal ciclo produttivo
delle industrie agroalimentare destinate alla produzione di mangimi “, del
Ministero del Lavoro e della Salute e delle Politiche Sociali, Dipartimento per
la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti,
Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario, Ufficio VII
(ex Ministero della Salute); 5) della “Nota esplicativa sull’utilizzo dei
sottoprodotti originali dal ciclo produttivo delle industrie agroalimentare
destinate alla produzione di mangimi”, del Ministero del Lavoro e della Salute e
delle Politiche Sociali, Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la
Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti e del Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e Forestali; Dipartimento delle Politiche Europee e
Internazionali; 6) di ogni altro atto presupposto, preordinato, connesso e
consequenziale.
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Perugia, della
Regione Umbria, del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali
e del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, nonchè della
A.S.L. n.1;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2010 il Cons. Stefano
Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente esercita dal 1978 l’attività di produzione di mangimi per
allevamento di animali e strumentalmente a questa l’attività di raccolta e
trasporto, stoccaggio, recupero rifiuti-scarti alimentari; l’autorizzazione
all’impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi le è stata, da ultimo,
rinnovata con determina provinciale in data 4 aprile 2007.
Per quanto attiene agli aspetti igienico-sanitari, ha presentato, in data 17
giugno 2008, istanza di registrazione ai sensi del regolamento CE n. 183 del
2005, con cui ha dichiarato di possedere i requisiti di cui agli allegati II e
III dello stesso regolamento comunitario.
In data 12 marzo 2009 si è svolto il sopralluogo della A.S.L. n. 1, Settore
Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche, conclusosi
con verbale di ispezione, in questa sede gravato, recante diffida
dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi origine per la produzione di mangimi
nell’impianto di sua proprietà. La diffida è motivata mediante il richiamo alla
nota esplicativa del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche
Sociali del 12 gennaio 2009.
Con tale “nota esplicativa sull’utilizzo dei sottoprodotti originati dal ciclo
produttivo delle industrie agroalimentari destinate alla produzione di mangimi”
gli scarti ottenuti nell’ambito di un processo di lavorazione presso un’impresa
del settore alimentare e destinati alla produzione di mangimi vengono ricondotti
nell’ambito della categoria dei sottoprodotti, ai sensi dell’art. 183, comma 1,
lett. p), del d.lgs. n. 152 del 2006; ne consegue l’inapplicabilità della
disciplina in materia di rifiuti, di cui alla parte IV dello stesso “codice
dell’ambiente”. La nota esplicativa è anch’essa gravata e così pure la nota
della Provincia di Perugia del 16 marzo 2009 che ne ha curato la notificazione
alla ricorrente.
Da tale “nota esplicativa” discende che «nel territorio nazionale non possono
essere prodotti mangimi, nonché materie prime per mangimi, derivati dai
rifiuti».
Occorre osservare che il comunicato del Ministero della Salute del 2002, che la
nota esplicativa intende superare e sostituire, è stato dichiarato dalla Corte
di Giustizia UE, con la sentenza 18 dicembre 2007, nella causa n. 195/05, non
conforme alla normativa comunitaria, proprio in quanto sottraeva
all’applicazione del regime dei rifiuti gli scarti alimentari originati
dall’industria agro-alimentare e destinati alla produzione di mangimi, sulla
base di una presunzione generale ed astratta.
Deve aggiungersi ancora che la Provincia di Perugia, con la già richiamata nota
prot. U-0204470 del 16 marzo 2009, nell’esercizio del proprio potere di
autotutela, ha altresì riesaminato, mediante rinvio alla nota ministeriale,
l’autorizzazione rilasciata alla Splendorini Molini, invitandola a presentare
una nuova relazione tecnica al fine di ottenere il titolo autorizzativo per la
parte concernente la gestione dei rifiuti, connessa con l’attività di produzione
dei mangimi, ed imponendole di tenere distinte le due attività.
Avverso i suindicati provvedimenti viene esperito il presente ricorso.
In particolare, con riguardo alla “nota esplicativa” del Ministero del Lavoro,
della Salute e delle Politiche Sociali deduce i seguenti motivi di diritto :
1) Violazione degli artt. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del
2006, dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett.
a), della direttiva 2006/12/CE, dell’art. 3, commi 1 e 5, della direttiva n.
2008/98/CE; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta.
L’assunto del provvedimento ministeriale è dunque quello per cui gli scarti
delle industrie agro-alimentari destinati alla produzione di mangimi sono da
considerare, sempre e comunque, come sottoprodotti, e quindi non sono rifiuti;
di qui la conseguenza che gli scarti alimentari non possono essere trattati e
recuperati come materia prima per i mangimi.
Dall’art. 183, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 si desume che il
primo elemento indiziante della definizione di rifiuto è l’inclusione nelle
categorie elencate nell’All. A; l’elenco, peraltro, non è tassativo, ma
puramente esemplificativo. L’all. A, nella parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006,
alla voce Q1, fa riferimento ai “residui di produzione o di consumo in appresso
non specificati”.
Alla definizione di rifiuto ai sensi del predetto art. 183 concorre anche la
considerazione per cui deve trattarsi di sostanza di cui “il detentore si disfi
od abbia deciso od abbia l’obbligo di disfarsi”; secondo la giurisprudenza
comunitaria la nozione del “disfarsi” deve essere individuata dall’Autorità
competente, ovvero dal giudice nazionale, caso per caso, in relazione, cioè,
alle circostanze del caso concreto.
La stessa giurisprudenza comunitaria ha invece individuato, quali caratteri
della nozione di sottoprodotto, derogatoria rispetto a quella generale di
rifiuto, i seguenti requisiti : a) il riutilizzo certo e quindi a tempo
prestabilito della materia/sostanza; b) l’assenza di previo trattamento,
qualificabile come recupero ovvero che ne modifichi le caratteristiche
qualitative originarie; c) il vantaggio economico per chi commercializza o
sfrutta il materiale; d) l’assenza di danni alla salute o all’ambiente.
Occorre dunque ritenere che i residui di produzione, di regola, sono da
classificare come rifiuti, a meno che non siano riconducibili nella categoria
dei sottoprodotti, la cui definizione va oggi rinvenuta nell’art. 183, lett p),
del d.lgs. n. 152 del 2006.
Ne consegue che la riconducibilità di una sostanza nella categoria dei
sottoprodotti deve avvenire caso per caso, e non può esservi alcuna presunzione
ex lege di esclusione dalla nozione di rifiuto di residui provenienti da
attività produttive.
Al contrario, nel caso di specie, i residui dell’industria alimentare sarebbero
da individuare comunque come sottoprodotti, difformemente da quanto affermato
dalla Corte di Giustizia con la sentenza 18 dicembre 2007, in causa C-195, che
ha dichiarato l’illegittimità comunitaria del comunicato del Ministero della
Salute del 2002 (sostituito dall’impugnata nota esplicativa) che aveva escluso
gli scarti alimentari destinati a mangimi dal regime nazionale di gestione dei
rifiuti, introducendo una deroga troppo generale alla disciplina di cui alla
direttiva 75/442/CE.
2) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006,
dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 3, comma 1,
della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE n. 183/05, del regolamento CE
n. 178/2002; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta.
Le conclusioni della nota esplicativa sono dunque in contrasto con le
disposizioni comunitarie e nazionali che definiscono la nozione di rifiuto e di
sottoprodotto, riferendola ad un giudizio caso per caso, sulla base di una
verifica dell’Autorità competente sui presupposti della nozione di
sottoprodotto, ma esse contrastano anche con le norme comunitarie in materia di
igiene dei mangimi.
Ed infatti le norme del regolamento n. 183/05 hanno ad oggetto sostanze già
utilizzabili come mangimi o divenute mangimi, e pertanto non possono ritenersi
applicabili anche agli scarti alimentari, da classificare come rifiuti,
destinati alla produzione degli stessi mangimi, se ed in quanto tale produzione
sia stata “autorizzata” secondo un processo di “recupero” degli originari
rifiuti-scarti alimentari, nel rispetto dei requisiti igienico sanitari di
produzione dei mangimi.
Occorre evidenziare che la disciplina in materia di trasporto dei rifiuti
garantisce, comunque, attraverso il formulario di identificazione, la
rintracciabilità di tali sostanze, vale a dire la provenienza delle medesime da
un determinato produttore, prevista come principio generale dall’art. 18 del
regolamento CE n. 178/02 e dal regolamento CE n. 183/2005. Ciò comporta che
l’applicazione delle norme in materia di trasporto dei rifiuti consente di
perseguire i medesimi obiettivi delle disposizioni igienico-sanitarie relative
ai mangimi, con conseguente infondatezza delle osservazioni contenute nella
(pure gravata) nota del Direttore Generale del Ministero n. 509 del 2009, di
accompagnamento della “nota esplicativa”, secondo cui l’applicazione delle
disposizioni in materia di trasporto di rifiuti agli scarti alimentari
comporterebbe gravi rischi per la salute.
Si aggiunga che gli impianti di recupero dei residui alimentari sono autorizzati
ai sensi degli artt. 208 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006 e nel’ambito di tale
procedimento sono valutati, oltre all’impatto ambientale dell’impianto, anche
gli aspetti igienico-sanitari.
Con riferimento, poi, alla nota della Provincia di Perugia prot. U-0204470 del
16 marzo 2009 ed al verbale di ispezione della A.S.L. n. 1, Settore Veterinario,
del 12 marzo 2009, la società ricorrente deduce l’illegittimità in via derivata
dalla illegittimità delle presupposte nota esplicativa ministeriale e nota di
trasmissione del 12 febbraio 2009, ed inoltre i seguenti ulteriori vizi propri :
3) Violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, nell’assunto che è
mancata qualsivoglia comunicazione di avvio del procedimento conclusosi con
l’annullamento dell’autorizzazione al recupero degli scarti alimentari n. 3015
de 4 aprile 2007, senza che siano stati evidenziati profili di urgenza
qualificata.
4) Violazione dell’art. 21 novies della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere
per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per irragionevolezza ed
illogicità manifesta.
La nota provinciale gravata costituisce il riesame, non adeguatamente motivato,
di un atto precedentemente rilasciato, in assenza dei presupposti indicati dalla
norma di cui all’art. 21 nonies della legge generale sul procedimento
amministrativo, non essendo, in particolare, stato considerato l’affidamento
della ricorrente, che ha sostenuto, tra l’altro, ingenti spese per l’adeguamento
del proprio impianto alle disposizioni sanitarie ed ambientali di settore.
5) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per
irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.
Gli atti impugnati determinano inoltre illegittimi vantaggi per le ditte
concorrenti, che godono della presunzione generale e astratta in base alla quale
i residui alimentari non sono rifiuti, e quindi anche in assenza di una verifica
del caso concreto, ritenuta, al contrario, necessaria dalla giurisprudenza
comunitaria.
6) Violazione dell’art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 183 comma 1,
lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, lett. a), della
direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva 2006/12/CE,
dell’art. 3, comma 1, della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE n. 183
/05, del regolamento CE n. 178/02; eccesso di potere per illogicità manifesta.
L’A.S.L. n. 1, con il verbale del 12 marzo 2009, ha prescritto, tra l’altro,
alla ricorrente di approvigionarsi delle “materie prime introdotte come prodotti
o sottoprodotti dell’industria alimentare” «esclusivamente da fornitori
registrati ai sensi del regolamento CE n. 183/05 - ricevere tali matere prime a
mezzo di trasportatori registrati come tali ai sensi del regolamento CE n.
183/05».
Oltre a richiamare quanto precedentemente osservato circa le nozioni di rifiuto
e sottoprodotto ed in materia di igiene dei mangimi, che non contemplano
specifiche previsioni in materia di trasporto dei residui alimentari, occorre
aggiungere che la ricorrente predispone, per ogni lotto di produzione, una
scheda dove vengono riportati nel dettaglio i componenti di tutte le materie
utilizzate e dalla quale si può individuare la provenienza delle forniture che
costituiscono il lotto stesso, e ciò a garanzia della rintracciabilità dei
materiali utilizzati per la produzione dei mangimi.
7) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006,
dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett. a),
della direttiva 91/156/CE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva 2006/12/CE,
dell’art. 3, comma 1, della direttiva n. 2008/98/CE; eccesso di potere per
difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per illogicità manifesta.
E’ altresì illegittima la prescrizione, contenuta nel verbale della A.S.L. n. 1
in data 12 marzo 2009, che impone alla ricorrente di «effettuare adeguata
separazione della attività di produzione mangimi dalla attività di stoccaggio e
cernita dei rifiuti per la produzione del prodotto liquido o solido destinato
alla biodigestione od altri usi industriali ed energetici alternativi esterni»,
in quanto presuppone, ancora una volta, l’erronea affermazione che, ai fini
della produzione di mangimi, non possono essere utilizzati rifiuti (i quali
potrebbero servire solamente per la biodigestione od altre attività di recupero
energetico).
Si sono costituiti in giudizio la Regione Umbria, il Ministero del Lavoro e
della Salute, nonché il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e
Forestali, la Provincia di Perugia e la Azienda Sanitaria Locale n. 1 chiedendo
la reiezione del ricorso.
Con i primi motivi aggiunti la Splendorini Molini S.n.c. ha impugnato la nota
A.S.L. prot. n. 0010877 del 24 aprile 2009, avente ad oggetto “osservazioni
relative a Manuale del Piano di Autocontrollo della ditta”, deducendone
l’illegittimità derivata dai provvedimenti impugnati con il ricorso principale,
e richiamando le censure dedotte in quella sede, oltre che i seguenti
vizi-motivi propri :
8) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006,
dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett. a),
della direttiva 2006/12/CE, dell’art. 3, commi 1 e 5, della direttiva n.
2008/98/CE; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta.
La nota gravata conferma le conclusioni del verbale ispettivo del 12 marzo 2009,
il quale, nel diffidare la ricorrente dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi
origine per la produzione di mangimi nell’impianto di sua proprietà, ha
acriticamente recepito le note ministeriali contestate con il ricorso
principale, in particolare con il primo motivo, alla cui esposizione, per
brevità, si fa rinvio.
9) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006,
dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 3, comma 1,
della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE n. 183/05, del regolamento CE
n. 178/2002; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta.
Le allegazioni sviluppate nel secondo motivo del ricorso principale, e che si
intendono qui richiamate, valgono ad evidenziare l’illegittimità dell’impugnata
nota che ha imposto alla Splendorini l’osservanza della prescrizione secondo cui
«nella stesura del manuale tutte le parti che riguardano l’approvvigionamento
delle materie prime riconducibili a “rifiuti” devono essere riviste alla luce
delle prescrizioni fornite con verbale ispettivo del 12 marzo 2009 dallo
scrivente Servizio, con particolare riferimento alle procedure di selezione dei
fornitori adottate», in quanto sono fondate sull’erroneo presupposto che i
residui alimentari sono da considerare sottoprodotti e non rifiuti.
10) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per
irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.
Assolutamente generica appare la prescrizione sub 3), atteso che i punti critici
del processo di fabbricazione sono stati dettagliatamente indicati nel Manuale
di autocontrollo predisposto dalla ricorrente nel rispetto di quanto previsto
dall’art. 6 del regolamento CE n. 183/05.
Irragionevole ed illogica è poi la prescrizione sub 5), in quanto l’attività
dell’impresa ricorrente si svolge nel rispetto delle disposizioni di settore,
che impongono ai produttori di mangimi di garantire l’obiettivo della
rintracciabilità dei mangimi e delle materie utilizzate per la loro produzione.
Allo scopo, la ricorrente predispone un elenco dei fornitori e conserva i
documenti di trasporto; gli scarti alimentari vengono poi indicati nell’apposito
“registro di scarico/carico rifiuti”. Per i mangimi in uscita, poi, la società
ricorrente predispone, per ogni lotto di produzione, una scheda che garantisce
la rintracciabilità dei materiali utilizzati per la produzione di mangimi, in
osservanza delle disposizioni sanitarie di settore.
Mai contestazione alcuna è stata effettuata dalla Azienda sanitaria; ed anzi, in
sede di controllo, è sempre emersa la regolarità della gestione dell’impianto,
anche dal punto di vista igienico-sanitario.
11) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per
irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.
L’atto impugnato è inoltre illegittimo determinando illeciti vantaggi per le
ditte concorrenti, che godono della presunzione generale ed astratta in base
alla quale i residui alimentari non sono rifiuti, anche in asenza di una
verifica del caso concreto.
Con un secondo atto di motivi aggiunti vengono impugnate la determinazione
dirigenziale prot. n. 6998 del 28 luglio 2009 della Provincia di Perugia, avente
ad oggetto la modifica dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto per il
recupero di rifiuti speciali non pericolosi, nella parte in cui statuisce «1- di
confermare per quanto non specificato e/o modificato dal presente atto, tutte le
condizioni e le prescrizioni contenute nella determina dirigenziale n. 3015 del
4 aprile 2007; 2- confermare l’inibizione alla produzione di mangimi da
rifiuti», nonché la determinazione prot. n. 6935 del 24 luglio 2009, di identico
contenuto ed oggetto, non espressamente revocata dalla successiva determina prot.
n. 6998 del 28 luglio 2009.
In sintesi, con tali provvedimenti la società esponente è autorizzata alla
produzione dall’attività di recupero dei rifiuti di materie prime secondarie per
la produzione di biogas, ma resta confermata l’inibizione alla produzione di
mangimi da rifiuti.
Deduce l’illegittimità di tali provvedimenti in via derivata dall’invalidità
degli atti impugnati con il ricorso principale e con i primi motivi aggiunti,
nonché il seguente ulteriore motivo :
12) Violazione del regolamento CE n. 767/2009 del 13 luglio 2009, nonché della
decisione della Commissione 2004/217/CE.
L’interpretazione fornita dalle note ministeriali impugnate con il gravame
principale, e fatta propria dalle determinazioni dirigenziali provinciali,
oggetto anche dei motivi aggiunti, che ribadiscono il divieto della produzione
di mangimi dai rifiuti, appare infondata anche alla luce del sopravvenuto
regolamento n. 767 del 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio
2009 “sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi”, ed il cui obiettivo è
quello di garantire “un elevato livello di protezione della salute pubblica”.
Tale regolamento ha proceduto all’abrogazione della decisione della Commissione
2004/217/CE, che già prevedeva l’elenco dei materiali, la cui immissione sul
mercato ai fini dell’alimentazione animale è vietata, includendo tale elenco
nell’allegato III del medesimo regolamento.
In particolare, l’art. 6 del regolamento stabilisce che «i mangimi non
contengono o non sono costituiti da materiali la cui immissione sul mercato o il
cui uso ai fini dell’alimentazione animale sono soggetti a restrizioni o
vietati. L’elenco di tali materiali figura nell’allegato III».
In tale elenco non sono contemplati i rifiuti alimentari che la ricorrente
avrebbe intenzione di utilizzare ai fini della produzione di mangimi.
Trova dunque conferma il principio secondo cui non è vietata la produzione di
mangimi dagli scarti alimentari, intesi come rifiuti alimentari, a patto che
vengano sottoposti ad attività di recupero, autorizzata ai sensi della
disciplina sui rifiuti.
Giova ancora evidenziare che il punto 7 dell’allegato III del citato regolamento
esclude solamente la liceità dell’impiego di materiali per la produzione di
mangimi, costituiti da “imballaggi e parti di imballaggio provenienti
dall’utilizzazione di prodotto dell’industria agroalimentare”; in altri termini,
il regolamento vieta l’utilizzo dei soli imballaggi provenienti dall’industria
alimentare, in quanto nocivi per gli animali, ma non vieta l’utilizzo dei
rifiuti dell’industria alimentare, che vanno separati dai rispettivi imballaggi.
Ciò significa che lo scarto alimentare può essere riutilizzato come mangime per
animali previa attività di recupero, diretta a rimuovere in toto gli imballaggi
(carta, cartone, plastica) che avvolgono imedesimi residui.
All’udienza del 27 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. - La presente controversia concerne la legittimità della riconduzione degli
scarti ottenuti nel ciclo di lavorazione effettuato presso le industrie del
settore agro-alimentare, e destinati alla produzione di mangimi, nell’ambito
della categoria dei sottoprodotti, con conseguente inapplicabilità della
disciplina propria dei rifiuti, e contestuale applicazione dei regolamenti CE n.
183/2005 e n. 178/2002, concernenti la specifica disciplina igienico-sanitaria
propria dei mangimi.
In particolare, tale assunto è esplicitato nella “nota esplicativa sull’utilizzo
dei sottoprodotti originati dal ciclo produttivo dalle industrie agroalimentari
destinate alla produzione di mangimi” adottata dal Ministero del Lavoro, della
Salute e delle Politiche Sociali, d’intesa con il Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e Forestali, e nella nota (di accompagnamento) della
Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario-Ufficio VII
prot. n. 509 del 12 gennaio 2009. Quest’ultima specifica che, conseguentemente,
«nel territorio nazionale non possono essere prodotti mangimi, nonché materie
prime per mangimi derivati dai rifiuti, e ciò non solo ovviamente per le
ripercussioni igienico sanitarie fortemente negative a cui andrebbe incontro il
settore della produzione dei mangimi, ma anche per evitare possibili
comportamenti difformi tra gli operatori del settore dei mangimi, tali da creare
un’evidente distorsione del mercato connesso alla produzione dei mangimi
stessi».
I principi contenuti in tale nota esplicativa sono stati applicati alla
ricorrente essenzialmente mediante le prescrizioni contenute nel verbale
ispettivo dell’A.S.L. n. 1 in data 12 marzo 2009 con la finale diffida
dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi genere per la produzione di mangimi nel
proprio impianto, nonché mediante l’atto della Provincia di Perugia, Area
Ambiente e Territorio, Servizio Gestione e Controllo Ambientale, del 16 marzo
2009, recante notifica della “nota esplicativa” ministeriale, e contenente,
anch’esso, la specifica indicazione del fatto che a seguito dell’emanazione
della predetta nota «nel territorio nazionale è vietata la produzione di
mangimi, nonché di materie prime per mangimi, derivati da rifiuti», con
richiesta di tempestivo “adeguamento” alla Splendorini.
2. - Ad avviso di parte ricorrente, la tesi ministeriale, fatta propria dalle
Amministrazioni locali, secondo cui gli scarti delle industrie agro-alimentari
destinati alla produzione di mangimi devono essere sempre considerati
“sottoprodotti”, viola l’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. 3 aprile
2006 n. 152, e contrasta con la giurisprudenza comunitaria che richiede un
accertamento “caso per caso”, senza consentire una sottrazione generalizzata di
tali sostanze dal regime nazionale di gestione dei rifiuti, che possono dunque,
a certe condizioni, divenire materia prima per la produzione di mangimi
attraverso l’attività di recupero.
L’argomento, sviluppato specialmente con il primo motivo del ricorso principale,
non appare meritevole di positiva valutazione.
Anzitutto, sotto il primo profilo, occorre considerare che, ai sensi dell’art.
183, comma 1, lett. a), del c.d. “codice dell’ambiente”, deve intendersi per
“rifiuto” «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate
nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si
disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». Atteso che il primo
criterio non svolge un ruolo determinante per l’identificazione del rifiuto, in
quanto l’elenco contenuto nell’allegato A costituisce una lista aperta, come
dimostra la categoria Q16, criterio con valore preminente risulta essere quello
fondato sul concetto del “disfarsi”. Questo indica una condotta rispetto alla
quale è irrilevante se avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto, ovvero
tramite il suo recupero.
Simmetricamente, al punto p) della norma in esame, sono definiti come
“sottoprodotti” «le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende
disfarsi ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), che soddisfino tutti i
seguenti criteri, requisiti e condizioni : 1) siano originati da un processo non
direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin
dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del
processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e
definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a
garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali
qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per
l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere
sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per
soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3),
ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un
valore economico di mercato».
Tale nozione ricorre allorché sussistano contestualmente tutte le condizioni
individuate dalla norma, e vale ad individuare quel materiale che deriva da un
processo di fabbricazione o di estrazione non principalmente destinato a
produrlo, e del quale l’impresa non ha intenzione di “disfarsi”, ma che intende
sfruttare in un differente processo successivo, senza dover attuare
trasformazioni preliminari.
Si tratta dunque di materiali che, dal punto di vista economico, hanno valore di
prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e non sono assoggettati
alla disciplina dei rifiuti proprio perché il loro riutilizzo non è eventuale,
ma certo.
Dalla disamina delle suesposte norme appare evidente la inerenza dei
sottoprodotti, e non già dei rifiuti, alla utilizzazione per la produzione di
mangimi. E’ infatti l’impresa alimentare che, decidendo in via preventiva di
destinare i propri sottoprodotti alla filiera di produzione dei mangimi, ne
garantisce il loro riutilizzo sicuro, senza dover fare ricorso a trattamenti o
trasformazioni con finalità di risanamento di una materia originariamente non
conforme.
Anche la giurisprudenza penale, al fine di delineare l’ambito di operatività
della nozione di rifiuto, ha chiarito che occorre distinguere tra “residuo di
produzione”, che è un rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione
previa trasformazione, e sottoprodotto, caratterizzato dal certo riutilizzo del
bene (in termini, tra le tante, Cass.pen., Sez. III, 14 aprile 2005, n. 20499).
La norma effettua dunque una tipizzazione del materiale di risulta di un
processo di produzione, tale da renderlo riconoscibile come rifiuto o come
sottoprodotto.
Solamente la destinazione del sottoprodotto all’impresa produttrice di mangimi
animali (che rientrano nella catena alimentare umana) consente il rigoroso
rispetto degli obblighi previsti dalla normativa igienico-sanitaria esistente in
materia, fornendo anche le garanzie di tracciabilità.
2.1. - Quanto poi alla portata della sentenza della Corte di Giustizia 18
dicembre 2007, in causa C-195, che ha dichiarato l’illegittimità comunitaria,
tra l’altro, del comunicato del Ministero della Salute del 2002 (sostituito
dalla nota ministeriale in questa sede gravata), appare condivisibile la lettura
proposta dalle Amministrazioni resistenti secondo cui il fondamento di
razionalità della decisione (cfr. in particolare i punti 49-52) è quello di
garantire che l’applicabilità della direttiva rifiuti, a tutela della salute dei
cittadini, non trovi deroghe automatiche per sottoprodotti della produzione
alimentare, in assenza dei requisiti imposti dalla norma, e precedentemente
ricordati.
L’invocato accertamento “caso per caso” opera dunque in senso diverso da quello
rappresentato da parte ricorrente, non potendosi prescindere dalle oggettive
caratteristiche tipologiche del bene, ragione per cui i residui alimentari
trattati sono rifiuti, e dunque non possono essere utilizzati per la produzione
dei mangimi, in quanto non rispettano i prescritti requisiti di igiene.
3. - Con il secondo motivo viene poi dedotta la erronea applicazione delle norme
in materia di igiene dei mangimi, assumendosi che la disciplina sul trasporto
dei rifiuti garantisce la rintracciabilità delle sostanze, costituente principio
informatore dei regolamenti comunitari n. 178/02 e n. 183/2005, con conseguente
indifferenza del regime giuridico applicabile.
Anche tale censura deve essere disattesa.
Ed invero, ferma restando l’ineliminabile componente di valutazione tecnica
della nota ministeriale, ispirata ovviamente al principio di precauzione, non
può prescindersi dal rilevare che esiste una normativa specifica sul trasporto
dei mangimi o delle sostanze destinate alla produzione dei medesimi (applicabile
cioè a tutta la filiera di produzione dei mangimi), che è diversa da quella sul
trasporto dei rifiuti.
A livello comunitario, si ha il regolamento CE n. 183/2005 del 12 gennaio 2005,
che, in particolare, all’art. 6 (sistema di analisi di rischio e punti critici
di controllo-HACCP), prescrive che «gli operatori del settore dei mangimi che
effettuano operazioni diverse da quelle di cui all’articolo 5, paragrafo 1,
pongono in atto, gestiscono e mantengono una procedura scritta permanente o
procedure basate sui principi HACCP», nel rispetto dei principi fissati al
secondo comma, ed all’allegato II fornisce dettagliate indicazioni in ordine al
trasporto ed allo stoccaggio dei mangimi.
Nell’ambito interno vige poi la legge 15 febbraio 1963, n. 281 (disciplina della
preparazione e del commercio dei mangimi), nonché il d.lgs. 17 agosto 1999, n.
360, di recepimento delle direttive comunitarie relative alla circolazione di
materie prime per mangimi.
Ne deriva un differente, rispetto a quello, pur autorizzato e controllato, dei
rifiuti, regime di trasporto delle materie prime destinate alla produzione dei
mangimi registrati ai sensi del regolamento CE n. 183/05.
Sembra inoltre potersi aggiungere che l’ulteriore assunto di parte ricorrente,
secondo cui sussiste comunque un divieto di trasporto contemporaneo, su di uno
stesso mezzo, dei rifiuti tossici e nocivi e di altri tipi di rifiuti e merci,
non garantisce i pertinenti requisiti in materia di igiene, potendo i rifiuti
presentare cariche batteriche, contaminazioni da muffe o micotossine, ovvero
ancora chimiche; ciò in quanto i mezzi che trasportano i rifiuti sono
“generici”, a differenza di quelli che contengono materie prime per mangimi od i
mangimi stessi, che sono destinati esclusivamente a tale fine.
4. - Le considerazioni che precedono impongono la reiezione anche del quinto,
del sesto e del settimo motivo del ricorso principale, con cui si censurano le
prescrizioni contenute nel verbale in data 12 marzo 2009 dell’A.S.L. n.
1-Settore Veterinario, le quali risultano pertanto legittime.
Va solo aggiunto, con riguardo alla dedotta disparità di trattamento, che tale
figura sintomatica dell’eccesso di potere, secondo il costante indirizzo
giurisprudenziale, a fronte di scelte discrezionali dell’Amministrazione, è
ravvisabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di
assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato (tra le tante, Cons.
Stato, Sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 959; Sez. VI, 23 settembre 2009, n. 5671).
La ricorrente non dimostra peraltro la disparità di trattamento, ma la afferma
genericamente; di contro, dalla memoria di costituzione della Regione (pag. 4)
sembra desumersi che la ditta Splendorini Molini sia l’unica in Italia a
produrre mangimi destinati ad uso zootecnico a partire dai rifiuti, anziché da
prodotti o sottoprodotti.
5. - Il terzo ed il quarto motivo di gravame concernono la nota della Provincia
di Perugia del 16 marzo 2009; con tali motivi viene dedotta la violazione degli
artt. 7 e 21 novies della legge n. 241 del 1990.
Le censure non appaiono meritevoli di positiva valutazione.
E’ anzitutto opportuno ricostruire la portata del provvedimento, che è di
partecipazione della nota ministeriale, con invito alla società ricorrente di
adeguarsi alla medesima per la produzione di mangimi presso il proprio impianto;
coerentemente con ciò viene richiesto alla medesima di «formulare una nuova
relazione connessa all’attività di produzione di mangimi da svolgere in maniera
separata e disgiunta da quella di messa in riserva e trasformazione dei rifiuti
presso il vostro impianto, relazione da inoltrare … al fine di ottenere la
legittima autorizzazione relativa alla parte concernente la gestione dei
rifiuti», con l’avvertenza che deve ritenersi superata (inefficace) la
precedente autorizzazione per la parte riguardante la produzione di mangimi da
rifiuti.
Più che annullamento in senso stretto, la nota in questione costituisce atto di
comunicazione della “nota esplicativa ministeriale”, con richiesta di
adeguamento, ed adozione di una misura, con valenza precipuamente cautelare, di
sospensione, o, se si preferisce, di “privazione degli effetti” della precedente
autorizzazione, in attesa della presentazione, da parte della società, di una
relazione esplicativa della propria attività produttiva dei mangimi conforme
all’assetto ordinamentale.
Se così è, non occorreva la comunicazione di avvio del procedimento, anche in
considerazione del contenuto vincolato della statuizione provinciale, e del
fatto che non ne risultano, neppure in tale sede, contestati i presupposti
fattuali; in ogni caso troverebbe applicazione l’art. 21 octies, comma 2, primo
alinea, della legge n. 241 del 1990.
Seppure, per quanto premesso, non sembra applicabile alla fattispecie in esame
l’art. 21 nonies sull’annullamento d’ufficio, resta la considerazione della non
irragionevolezza dell’esercizio del potere, che è motivato, in definitiva,
dall’interesse pubblico a garantire adeguate condizioni di igiene nella
produzione dei mangimi, e quindi un elevato livello di protezione dei
consumatori degli alimenti, oggetto di una ponderazione, a monte, che ha trovato
proporzionata attuazione nella nota provinciale.
6. - Deriva da quanto esposto che il ricorso principale deve essere respinto in
quanto infondato.
7. - Procedendo alla disamina dei primi motivi aggiunti, esperiti avverso la
nota dell’A.S.L. n. 1, Servizio Veterinario di Igiene degli Allevamenti e
Produzioni Zootecniche, del 24 aprile 2009, avente ad oggetto “osservazioni
relative a Manuale del Piano di Autocontrollo della ditta Splendorini Molini”,
il corredo motivazionale precedente, posto a fondamento della reiezione del
ricorso principale, impone di disattendere, oltre che i vizi di illegittimità
derivata, anche la prima, la seconda e la quarta censura (rubricate sub nn. 8, 9
e 11), che sono meramente reiterative di motivi già svolti con il ricorso
principale.
Per quanto concerne, poi, il terzo motivo aggiunto (rubricato sub 10), che si
indirizza essenzialmente nei confronti della terza e della quinta
“osservazione”, richiedenti rispettivamente un più dettagliato controllo dei
punti critici del processo di fabbricazione, ed una specificazione maggiore del
rapporto tra lotto di produzione e lotto assegnato al mangime al momento del
carico, la ricorrente ne deduce l’illegittimità per difetto di motivazione e di
istruttoria.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
Ed invero le “osservazioni” in questione sono attuative delle “linee guida”
ministeriali; anche solo dal punto di vista logico, si intende che la
preclusione della produzione di mangimi da rifiuti comporta la necessità di
adeguare il manuale di autocontrollo, concepito dall’azienda in funzione di un
differente processo produttivo.
In particolare, l’osservazione n. 3 relativa ad un maggiore controllo dei punti
critici persegue la verosimile finalità di imporre l’indicazione delle materie
utilizzate nel processo di produzione, onde escludere un persistente utilizzo
dei rifiuti.
Con riguardo, poi, all’osservazione n. 5, sembra potersi rilevare che il
rispetto della normativa sulla rintracciabilità dei prodotti in entrata ed in
uscita dallo stabilimento non consente necessariamente di individuare il
collegamento tra il lotto di produzione e quello assegnato al mangime, ovvero,
in ultima analisi, di controllare quale sia il lotto di materia prima con il
quale è stato realizzato un lotto di mangime. Mentre il divieto di utilizzare
rifiuti nella produzione di mangimi impone inevitabilmente di “tracciare” la
materia prima utilizzata.
8. - Di conseguenza anche i primi motivi aggiunti devono essere disattesi, in
quanto infondati.
9.- Con i secondi motivi aggiunti vengono poi impugnate le determinazioni della
Provincia di Perugia n. 6998 del 28 luglio 2009 e n. 6935 del 24 luglio 2009, di
“modifica dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di recupero dei
rifiuti speciali non pericolosi”, adottata su istanza della società ricorrente,
che mantengono la inibizione, per la stessa società, alla produzione di mangimi
da rifiuti.
Vanno disattesi, alla luce di quanto esposto, i motivi con cui si deducono vizi
di invalidità derivata dalla illegittimità degli atti presupposti, mentre deve
essere scrutinato il motivo con cui si deduce la violazione del regolamento CE
n. 767/2009 del 13 luglio 2009.
9.1. - In particolare, evidenzia la società ricorrente che gli atti gravati, i
quali precludono la produzione di mangimi da rifiuti, si pongono in contrasto
anche con il sopravvenuto regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio
n.767 del 13 luglio 2009, dettante norme sull’immissione sul mercato e sull’uso
dei mangimi, il cui art. 6, letto in relazione all’allegato III, conferma la
possibilità che i rifiuti alimentari siano componente costitutiva dei mangimi, e
vieta solamente l’utilizzo degli imballaggi provenienti dall’industria
alimentare.
Premesso che non vi è interesse all’impugnativa della determina dirigenziale n.
6935 del 24 luglio 2009, che è stata revocata con determina n. 6989 del
successivo 28 luglio 2009, e poi sostituita con la (pure gravata) delibera n.
6998 dello stesso 28 luglio, ritiene il Collegio che anche tale censura debba
essere disattesa, e ciò consente di prescindere dalla disamina dell’eccezione di
inammissibilità svolta dall’A.S.L. n. 1 con riferimento al contenuto meramente
confermativo del provvedimento gravato.
Anzitutto, occorre considerare che il regolamento in questione è applicabile
solamente dal primo settembre 2010 (art. 33); sebbene tale elemento sia
risolutivo ai fini del decidere, risultando ogni procedimento amministrativo
regolato dal principio del tempus regit actum , può aggiungersi che, rispetto
alla questione oggetto di controversia, è differente la sfera oggettiva di
applicazione, riguardando (il regolamento) l’armonizzazione delle condizioni di
immissione sul mercato e di uso dei mangimi.
Deve inoltre ritenersi come non appaia comunque risolutiva la circostanza per
cui i rifiuti alimentari non sono inclusi dall’allegato III tra i materiali
vietati, in quanto, a parte il fatto che lo sono gli “imballaggi e parti
d’imballaggio provenienti dall’utilizzazione di prodotti dell’industria
agroalimentare”, chiarisce il decimo considerando che «l’esistenza di un tale
allegato non dovrebbe, tuttavia, essere interpretata in modo tale che tutte le
sostanze ivi non comprese possano, in quanto tali, essere considerate sicure».
In altri termini, è la stessa normativa comunitaria a chiarire la portata
dell’”elenco di materiali la cui immissione sul mercato o il cui uso ai fini
dell’alimentazione animale sono soggetti a restrizioni o vietati a norma
dell’art. 6”, precisando che non tutte le sostanze nello stesso non contemplate
possano ritenersi sicure, e quindi utilizzabili al fine di produrre mangimi.
Ne consegue che, in linea di principio, può ritenersi che l’utilizzazione delle
materie non comprese nell’elenco (tra cui i rifiuti agroalimentari), nella
produzione di mangimi, risulta consentita nel rispetto della disciplina di
settore, la quale impone che siano vocate a tale utilizzo sin dal momento della
loro produzione, assumendo dunque la consistenza di prodotto, o di
sottoprodotto.
10. - In conclusione, alla stregua di quanto premesso, il ricorso ed i motivi
aggiunti devono essere respinti.
La complessità delle questioni trattate, caratterizzate da un elevato tasso
tecnico, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria respinge il ricorso ed i
motivi aggiunti.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Luigi Cardoni, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/05/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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