AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


  AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562

 

 

 

T.A.R. UMBRIA, sez. I - 4 maggio 2010, n. 274


RIFIUTI - Distinzione tra rifiuto e sottoprodotto - Art. 183, c. 1, lett. a) e p) d.lgs. n. 152/2006 - Allegato A - Lista aperta - Concetto del “disfarsi” - Fattispecie: sottoprodotti delle industrie alimentari destinate alla produzione di mangimi. Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), del c.d. “codice dell’ambiente”, deve intendersi per “rifiuto” «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». Atteso che il primo criterio non svolge un ruolo determinante per l’identificazione del rifiuto, in quanto l’elenco contenuto nell’allegato A costituisce una lista aperta, criterio con valore preminente risulta essere quello fondato sul concetto del “disfarsi”. Questo indica una condotta rispetto alla quale è irrilevante se avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto, ovvero tramite il suo recupero. Simmetricamente, al punto p) della norma in esame, sono definiti come “sottoprodotti” “le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi”ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a): tale nozione ricorre allorché sussistano contestualmente tutte le condizioni individuate dalla norma, e vale ad individuare quel materiale che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione non principalmente destinato a produrlo, e del quale l’impresa non ha intenzione di “disfarsi”, ma che intende sfruttare in un differente processo successivo, senza dover attuare trasformazioni preliminari. Si tratta dunque di materiali che, dal punto di vista economico, hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e non sono assoggettati alla disciplina dei rifiuti proprio perché il loro riutilizzo non è eventuale, ma certo. La norma effettua dunque una tipizzazione del materiale di risulta di un processo di produzione, tale da renderlo riconoscibile come rifiuto o come sottoprodotto. (fattispecie in materia di sottoprodotti delle industrie agroalimentari destinati alla produzione di mangimi: “Dalla disamina delle suesposte norme appare evidente la inerenza dei sottoprodotti, e non già dei rifiuti, alla utilizzazione per la produzione di mangimi. E’ infatti l’impresa alimentare che, decidendo in via preventiva di destinare i propri sottoprodotti alla filiera di produzione dei mangimi, ne garantisce il loro riutilizzo sicuro, senza dover fare ricorso a trattamenti o trasformazioni con finalità di risanamento di una materia originariamente non conforme”). Pres. Lignani, Est. Fantini - S.s.n.c. (avv. Giampietro) c. Provincia di Perugia (avv.ti Minciaroni e Valentini), Regione Umbria (avv. Iannotti), A.S.L. n.1 - Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche (avv. Bioli), Ministero Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) - TAR UMBRIA, Perugia, Sez. I - 4 maggio 2010, n. 274

RIFIUTI - Giurisprudenza penale - Distinzione tra residuo di produzione e sottoprodotto. Anche la giurisprudenza penale, al fine di delineare l’ambito di operatività della nozione di rifiuto, ha chiarito che occorre distinguere tra “residuo di produzione”, che è un rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione previa trasformazione, e sottoprodotto, caratterizzato dal certo riutilizzo del bene (in termini, tra le tante, Cass.pen., Sez. III, 14 aprile 2005, n. 20499). Pres. Lignani, Est. Fantini - S.s.n.c. (avv. Giampietro) c. Provincia di Perugia (avv.ti Minciaroni e Valentini), Regione Umbria (avv. Iannotti), A.S.L. n.1 - Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche (avv. Bioli), Ministero Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.) - TAR UMBRIA, Perugia, Sez. I - 4 maggio 2010, n. 274
 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 00274/2010 REG.SEN.
N. 00211/2009 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria

(Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 211 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Splendorini Molini S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore Armando Splendorini, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Giampietro, con domicilio eletto presso T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni, 3;


contro


- Provincia di Perugia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Minciaroni e Chiara Valentini, con i quali è elettivamente domiciliata in Perugia, via Palermo, 106;
- Provincia di Perugia, Area Ambiente e Territorio Servizio Gestione e Controllo Ambientale, in persona del dirigente pro tempore, non costituita in giudizio;
- Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Casimiro Iannotti, con il quale è elettivamente domiciliata in Perugia, corso Vannucci n. 30;
- Regione Umbria, Direzione Regionale Sanità e Servizi Sociali-Servizio VI, in persona del dirigente pro tempore, non costituita in giudizio;
- A.S.L. n.1 - Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Bioli, presso il quale è elettivamente domiciliata in Perugia, via Cesarei n. 8;
- Ministero Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, presso i cui uffici sono pure legalmente domiciliati, alla via degli Offici n. 14;
- Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali - Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti, Direzione Generale Sanità Animale e del Farmaco Veterinario Ufficio VII, in persona dei rispettivi dirigenti pro tempore, non costituiti in giudizio;

nei confronti di

- Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
- Federalimentare - Federazione Italiana dell'Industria Alimentare, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,

1) della nota della Provincia di Perugia, Area Ambiente e Territorio, Servizio Gestione e Controllo Ambientale, prot. U- 0204470 del 16 marzo 2009, avente ad oggetto: “Notifìca della “nota esplicativa sull‘utilizzo dei sottoprodotti originati dal ciclo produttivo dalle industrie agroalimentari destinate alla produzione di mangimi” del Ministero del Lavoro, della Salute, e delle Politiche Sociali” ; 2) del verbale di ispezione del 12 marzo 2009, della A.S.L. n. 1 Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche, presso la Regione Umbria, Direzione Regionale Sanità e Servizi Sociali,. Servizio VI (Programmazione e Gestione degli interventi di Emergenza Sanitaria, Sanità Veterinaria e Sicurezza Alimentare), in persona del dirigente pro tempore; 3) della nota della A.S.L. n. 1, prot. 0008125 del 23 marzo 2009; 4) della nota n. 509 - 12 gennaio 2009/DGSA - P, avente ad oggetto: “trasmissione “nota esplicativa sull‘utilizzo dei sottoprodotti originati dal ciclo produttivo delle industrie agroalimentare destinate alla produzione di mangimi “, del Ministero del Lavoro e della Salute e delle Politiche Sociali, Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti, Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario, Ufficio VII (ex Ministero della Salute); 5) della “Nota esplicativa sull’utilizzo dei sottoprodotti originali dal ciclo produttivo delle industrie agroalimentare destinate alla produzione di mangimi”, del Ministero del Lavoro e della Salute e delle Politiche Sociali, Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti e del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali; Dipartimento delle Politiche Europee e Internazionali; 6) di ogni altro atto presupposto, preordinato, connesso e consequenziale.


Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Perugia, della Regione Umbria, del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, nonchè della A.S.L. n.1;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2010 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


La società ricorrente esercita dal 1978 l’attività di produzione di mangimi per allevamento di animali e strumentalmente a questa l’attività di raccolta e trasporto, stoccaggio, recupero rifiuti-scarti alimentari; l’autorizzazione all’impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi le è stata, da ultimo, rinnovata con determina provinciale in data 4 aprile 2007.

Per quanto attiene agli aspetti igienico-sanitari, ha presentato, in data 17 giugno 2008, istanza di registrazione ai sensi del regolamento CE n. 183 del 2005, con cui ha dichiarato di possedere i requisiti di cui agli allegati II e III dello stesso regolamento comunitario.

In data 12 marzo 2009 si è svolto il sopralluogo della A.S.L. n. 1, Settore Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche, conclusosi con verbale di ispezione, in questa sede gravato, recante diffida dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi origine per la produzione di mangimi nell’impianto di sua proprietà. La diffida è motivata mediante il richiamo alla nota esplicativa del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 12 gennaio 2009.

Con tale “nota esplicativa sull’utilizzo dei sottoprodotti originati dal ciclo produttivo delle industrie agroalimentari destinate alla produzione di mangimi” gli scarti ottenuti nell’ambito di un processo di lavorazione presso un’impresa del settore alimentare e destinati alla produzione di mangimi vengono ricondotti nell’ambito della categoria dei sottoprodotti, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. p), del d.lgs. n. 152 del 2006; ne consegue l’inapplicabilità della disciplina in materia di rifiuti, di cui alla parte IV dello stesso “codice dell’ambiente”. La nota esplicativa è anch’essa gravata e così pure la nota della Provincia di Perugia del 16 marzo 2009 che ne ha curato la notificazione alla ricorrente.

Da tale “nota esplicativa” discende che «nel territorio nazionale non possono essere prodotti mangimi, nonché materie prime per mangimi, derivati dai rifiuti».

Occorre osservare che il comunicato del Ministero della Salute del 2002, che la nota esplicativa intende superare e sostituire, è stato dichiarato dalla Corte di Giustizia UE, con la sentenza 18 dicembre 2007, nella causa n. 195/05, non conforme alla normativa comunitaria, proprio in quanto sottraeva all’applicazione del regime dei rifiuti gli scarti alimentari originati dall’industria agro-alimentare e destinati alla produzione di mangimi, sulla base di una presunzione generale ed astratta.

Deve aggiungersi ancora che la Provincia di Perugia, con la già richiamata nota prot. U-0204470 del 16 marzo 2009, nell’esercizio del proprio potere di autotutela, ha altresì riesaminato, mediante rinvio alla nota ministeriale, l’autorizzazione rilasciata alla Splendorini Molini, invitandola a presentare una nuova relazione tecnica al fine di ottenere il titolo autorizzativo per la parte concernente la gestione dei rifiuti, connessa con l’attività di produzione dei mangimi, ed imponendole di tenere distinte le due attività.

Avverso i suindicati provvedimenti viene esperito il presente ricorso.

In particolare, con riguardo alla “nota esplicativa” del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali deduce i seguenti motivi di diritto :

1) Violazione degli artt. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva 2006/12/CE, dell’art. 3, commi 1 e 5, della direttiva n. 2008/98/CE; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta.

L’assunto del provvedimento ministeriale è dunque quello per cui gli scarti delle industrie agro-alimentari destinati alla produzione di mangimi sono da considerare, sempre e comunque, come sottoprodotti, e quindi non sono rifiuti; di qui la conseguenza che gli scarti alimentari non possono essere trattati e recuperati come materia prima per i mangimi.

Dall’art. 183, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 si desume che il primo elemento indiziante della definizione di rifiuto è l’inclusione nelle categorie elencate nell’All. A; l’elenco, peraltro, non è tassativo, ma puramente esemplificativo. L’all. A, nella parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006, alla voce Q1, fa riferimento ai “residui di produzione o di consumo in appresso non specificati”.

Alla definizione di rifiuto ai sensi del predetto art. 183 concorre anche la considerazione per cui deve trattarsi di sostanza di cui “il detentore si disfi od abbia deciso od abbia l’obbligo di disfarsi”; secondo la giurisprudenza comunitaria la nozione del “disfarsi” deve essere individuata dall’Autorità competente, ovvero dal giudice nazionale, caso per caso, in relazione, cioè, alle circostanze del caso concreto.

La stessa giurisprudenza comunitaria ha invece individuato, quali caratteri della nozione di sottoprodotto, derogatoria rispetto a quella generale di rifiuto, i seguenti requisiti : a) il riutilizzo certo e quindi a tempo prestabilito della materia/sostanza; b) l’assenza di previo trattamento, qualificabile come recupero ovvero che ne modifichi le caratteristiche qualitative originarie; c) il vantaggio economico per chi commercializza o sfrutta il materiale; d) l’assenza di danni alla salute o all’ambiente.

Occorre dunque ritenere che i residui di produzione, di regola, sono da classificare come rifiuti, a meno che non siano riconducibili nella categoria dei sottoprodotti, la cui definizione va oggi rinvenuta nell’art. 183, lett p), del d.lgs. n. 152 del 2006.

Ne consegue che la riconducibilità di una sostanza nella categoria dei sottoprodotti deve avvenire caso per caso, e non può esservi alcuna presunzione ex lege di esclusione dalla nozione di rifiuto di residui provenienti da attività produttive.

Al contrario, nel caso di specie, i residui dell’industria alimentare sarebbero da individuare comunque come sottoprodotti, difformemente da quanto affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza 18 dicembre 2007, in causa C-195, che ha dichiarato l’illegittimità comunitaria del comunicato del Ministero della Salute del 2002 (sostituito dall’impugnata nota esplicativa) che aveva escluso gli scarti alimentari destinati a mangimi dal regime nazionale di gestione dei rifiuti, introducendo una deroga troppo generale alla disciplina di cui alla direttiva 75/442/CE.

2) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 3, comma 1, della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE n. 183/05, del regolamento CE n. 178/2002; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta.

Le conclusioni della nota esplicativa sono dunque in contrasto con le disposizioni comunitarie e nazionali che definiscono la nozione di rifiuto e di sottoprodotto, riferendola ad un giudizio caso per caso, sulla base di una verifica dell’Autorità competente sui presupposti della nozione di sottoprodotto, ma esse contrastano anche con le norme comunitarie in materia di igiene dei mangimi.

Ed infatti le norme del regolamento n. 183/05 hanno ad oggetto sostanze già utilizzabili come mangimi o divenute mangimi, e pertanto non possono ritenersi applicabili anche agli scarti alimentari, da classificare come rifiuti, destinati alla produzione degli stessi mangimi, se ed in quanto tale produzione sia stata “autorizzata” secondo un processo di “recupero” degli originari rifiuti-scarti alimentari, nel rispetto dei requisiti igienico sanitari di produzione dei mangimi.

Occorre evidenziare che la disciplina in materia di trasporto dei rifiuti garantisce, comunque, attraverso il formulario di identificazione, la rintracciabilità di tali sostanze, vale a dire la provenienza delle medesime da un determinato produttore, prevista come principio generale dall’art. 18 del regolamento CE n. 178/02 e dal regolamento CE n. 183/2005. Ciò comporta che l’applicazione delle norme in materia di trasporto dei rifiuti consente di perseguire i medesimi obiettivi delle disposizioni igienico-sanitarie relative ai mangimi, con conseguente infondatezza delle osservazioni contenute nella (pure gravata) nota del Direttore Generale del Ministero n. 509 del 2009, di accompagnamento della “nota esplicativa”, secondo cui l’applicazione delle disposizioni in materia di trasporto di rifiuti agli scarti alimentari comporterebbe gravi rischi per la salute.

Si aggiunga che gli impianti di recupero dei residui alimentari sono autorizzati ai sensi degli artt. 208 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006 e nel’ambito di tale procedimento sono valutati, oltre all’impatto ambientale dell’impianto, anche gli aspetti igienico-sanitari.

Con riferimento, poi, alla nota della Provincia di Perugia prot. U-0204470 del 16 marzo 2009 ed al verbale di ispezione della A.S.L. n. 1, Settore Veterinario, del 12 marzo 2009, la società ricorrente deduce l’illegittimità in via derivata dalla illegittimità delle presupposte nota esplicativa ministeriale e nota di trasmissione del 12 febbraio 2009, ed inoltre i seguenti ulteriori vizi propri :

3) Violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, nell’assunto che è mancata qualsivoglia comunicazione di avvio del procedimento conclusosi con l’annullamento dell’autorizzazione al recupero degli scarti alimentari n. 3015 de 4 aprile 2007, senza che siano stati evidenziati profili di urgenza qualificata.

4) Violazione dell’art. 21 novies della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per irragionevolezza ed illogicità manifesta.

La nota provinciale gravata costituisce il riesame, non adeguatamente motivato, di un atto precedentemente rilasciato, in assenza dei presupposti indicati dalla norma di cui all’art. 21 nonies della legge generale sul procedimento amministrativo, non essendo, in particolare, stato considerato l’affidamento della ricorrente, che ha sostenuto, tra l’altro, ingenti spese per l’adeguamento del proprio impianto alle disposizioni sanitarie ed ambientali di settore.

5) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.

Gli atti impugnati determinano inoltre illegittimi vantaggi per le ditte concorrenti, che godono della presunzione generale e astratta in base alla quale i residui alimentari non sono rifiuti, e quindi anche in assenza di una verifica del caso concreto, ritenuta, al contrario, necessaria dalla giurisprudenza comunitaria.

6) Violazione dell’art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 183 comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva 2006/12/CE, dell’art. 3, comma 1, della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE n. 183 /05, del regolamento CE n. 178/02; eccesso di potere per illogicità manifesta.

L’A.S.L. n. 1, con il verbale del 12 marzo 2009, ha prescritto, tra l’altro, alla ricorrente di approvigionarsi delle “materie prime introdotte come prodotti o sottoprodotti dell’industria alimentare” «esclusivamente da fornitori registrati ai sensi del regolamento CE n. 183/05 - ricevere tali matere prime a mezzo di trasportatori registrati come tali ai sensi del regolamento CE n. 183/05».

Oltre a richiamare quanto precedentemente osservato circa le nozioni di rifiuto e sottoprodotto ed in materia di igiene dei mangimi, che non contemplano specifiche previsioni in materia di trasporto dei residui alimentari, occorre aggiungere che la ricorrente predispone, per ogni lotto di produzione, una scheda dove vengono riportati nel dettaglio i componenti di tutte le materie utilizzate e dalla quale si può individuare la provenienza delle forniture che costituiscono il lotto stesso, e ciò a garanzia della rintracciabilità dei materiali utilizzati per la produzione dei mangimi.

7) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva 91/156/CE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva 2006/12/CE, dell’art. 3, comma 1, della direttiva n. 2008/98/CE; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per illogicità manifesta.

E’ altresì illegittima la prescrizione, contenuta nel verbale della A.S.L. n. 1 in data 12 marzo 2009, che impone alla ricorrente di «effettuare adeguata separazione della attività di produzione mangimi dalla attività di stoccaggio e cernita dei rifiuti per la produzione del prodotto liquido o solido destinato alla biodigestione od altri usi industriali ed energetici alternativi esterni», in quanto presuppone, ancora una volta, l’erronea affermazione che, ai fini della produzione di mangimi, non possono essere utilizzati rifiuti (i quali potrebbero servire solamente per la biodigestione od altre attività di recupero energetico).

Si sono costituiti in giudizio la Regione Umbria, il Ministero del Lavoro e della Salute, nonché il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, la Provincia di Perugia e la Azienda Sanitaria Locale n. 1 chiedendo la reiezione del ricorso.

Con i primi motivi aggiunti la Splendorini Molini S.n.c. ha impugnato la nota A.S.L. prot. n. 0010877 del 24 aprile 2009, avente ad oggetto “osservazioni relative a Manuale del Piano di Autocontrollo della ditta”, deducendone l’illegittimità derivata dai provvedimenti impugnati con il ricorso principale, e richiamando le censure dedotte in quella sede, oltre che i seguenti vizi-motivi propri :

8) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 1, lett. a), della direttiva 2006/12/CE, dell’art. 3, commi 1 e 5, della direttiva n. 2008/98/CE; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta.

La nota gravata conferma le conclusioni del verbale ispettivo del 12 marzo 2009, il quale, nel diffidare la ricorrente dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi origine per la produzione di mangimi nell’impianto di sua proprietà, ha acriticamente recepito le note ministeriali contestate con il ricorso principale, in particolare con il primo motivo, alla cui esposizione, per brevità, si fa rinvio.

9) Violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 1, lett. a), della direttiva n. 75/442/CEE, dell’art. 3, comma 1, della direttiva n. 2008/98/CE, del regolamento CE n. 183/05, del regolamento CE n. 178/2002; eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta.

Le allegazioni sviluppate nel secondo motivo del ricorso principale, e che si intendono qui richiamate, valgono ad evidenziare l’illegittimità dell’impugnata nota che ha imposto alla Splendorini l’osservanza della prescrizione secondo cui «nella stesura del manuale tutte le parti che riguardano l’approvvigionamento delle materie prime riconducibili a “rifiuti” devono essere riviste alla luce delle prescrizioni fornite con verbale ispettivo del 12 marzo 2009 dallo scrivente Servizio, con particolare riferimento alle procedure di selezione dei fornitori adottate», in quanto sono fondate sull’erroneo presupposto che i residui alimentari sono da considerare sottoprodotti e non rifiuti.

10) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.

Assolutamente generica appare la prescrizione sub 3), atteso che i punti critici del processo di fabbricazione sono stati dettagliatamente indicati nel Manuale di autocontrollo predisposto dalla ricorrente nel rispetto di quanto previsto dall’art. 6 del regolamento CE n. 183/05.

Irragionevole ed illogica è poi la prescrizione sub 5), in quanto l’attività dell’impresa ricorrente si svolge nel rispetto delle disposizioni di settore, che impongono ai produttori di mangimi di garantire l’obiettivo della rintracciabilità dei mangimi e delle materie utilizzate per la loro produzione. Allo scopo, la ricorrente predispone un elenco dei fornitori e conserva i documenti di trasporto; gli scarti alimentari vengono poi indicati nell’apposito “registro di scarico/carico rifiuti”. Per i mangimi in uscita, poi, la società ricorrente predispone, per ogni lotto di produzione, una scheda che garantisce la rintracciabilità dei materiali utilizzati per la produzione di mangimi, in osservanza delle disposizioni sanitarie di settore.

Mai contestazione alcuna è stata effettuata dalla Azienda sanitaria; ed anzi, in sede di controllo, è sempre emersa la regolarità della gestione dell’impianto, anche dal punto di vista igienico-sanitario.

11) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per irragionevolezza ed illogicità manifesta e disparità di trattamento.

L’atto impugnato è inoltre illegittimo determinando illeciti vantaggi per le ditte concorrenti, che godono della presunzione generale ed astratta in base alla quale i residui alimentari non sono rifiuti, anche in asenza di una verifica del caso concreto.

Con un secondo atto di motivi aggiunti vengono impugnate la determinazione dirigenziale prot. n. 6998 del 28 luglio 2009 della Provincia di Perugia, avente ad oggetto la modifica dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto per il recupero di rifiuti speciali non pericolosi, nella parte in cui statuisce «1- di confermare per quanto non specificato e/o modificato dal presente atto, tutte le condizioni e le prescrizioni contenute nella determina dirigenziale n. 3015 del 4 aprile 2007; 2- confermare l’inibizione alla produzione di mangimi da rifiuti», nonché la determinazione prot. n. 6935 del 24 luglio 2009, di identico contenuto ed oggetto, non espressamente revocata dalla successiva determina prot. n. 6998 del 28 luglio 2009.

In sintesi, con tali provvedimenti la società esponente è autorizzata alla produzione dall’attività di recupero dei rifiuti di materie prime secondarie per la produzione di biogas, ma resta confermata l’inibizione alla produzione di mangimi da rifiuti.

Deduce l’illegittimità di tali provvedimenti in via derivata dall’invalidità degli atti impugnati con il ricorso principale e con i primi motivi aggiunti, nonché il seguente ulteriore motivo :

12) Violazione del regolamento CE n. 767/2009 del 13 luglio 2009, nonché della decisione della Commissione 2004/217/CE.

L’interpretazione fornita dalle note ministeriali impugnate con il gravame principale, e fatta propria dalle determinazioni dirigenziali provinciali, oggetto anche dei motivi aggiunti, che ribadiscono il divieto della produzione di mangimi dai rifiuti, appare infondata anche alla luce del sopravvenuto regolamento n. 767 del 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 “sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi”, ed il cui obiettivo è quello di garantire “un elevato livello di protezione della salute pubblica”. Tale regolamento ha proceduto all’abrogazione della decisione della Commissione 2004/217/CE, che già prevedeva l’elenco dei materiali, la cui immissione sul mercato ai fini dell’alimentazione animale è vietata, includendo tale elenco nell’allegato III del medesimo regolamento.

In particolare, l’art. 6 del regolamento stabilisce che «i mangimi non contengono o non sono costituiti da materiali la cui immissione sul mercato o il cui uso ai fini dell’alimentazione animale sono soggetti a restrizioni o vietati. L’elenco di tali materiali figura nell’allegato III».

In tale elenco non sono contemplati i rifiuti alimentari che la ricorrente avrebbe intenzione di utilizzare ai fini della produzione di mangimi.

Trova dunque conferma il principio secondo cui non è vietata la produzione di mangimi dagli scarti alimentari, intesi come rifiuti alimentari, a patto che vengano sottoposti ad attività di recupero, autorizzata ai sensi della disciplina sui rifiuti.

Giova ancora evidenziare che il punto 7 dell’allegato III del citato regolamento esclude solamente la liceità dell’impiego di materiali per la produzione di mangimi, costituiti da “imballaggi e parti di imballaggio provenienti dall’utilizzazione di prodotto dell’industria agroalimentare”; in altri termini, il regolamento vieta l’utilizzo dei soli imballaggi provenienti dall’industria alimentare, in quanto nocivi per gli animali, ma non vieta l’utilizzo dei rifiuti dell’industria alimentare, che vanno separati dai rispettivi imballaggi.

Ciò significa che lo scarto alimentare può essere riutilizzato come mangime per animali previa attività di recupero, diretta a rimuovere in toto gli imballaggi (carta, cartone, plastica) che avvolgono imedesimi residui.

All’udienza del 27 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO


1. - La presente controversia concerne la legittimità della riconduzione degli scarti ottenuti nel ciclo di lavorazione effettuato presso le industrie del settore agro-alimentare, e destinati alla produzione di mangimi, nell’ambito della categoria dei sottoprodotti, con conseguente inapplicabilità della disciplina propria dei rifiuti, e contestuale applicazione dei regolamenti CE n. 183/2005 e n. 178/2002, concernenti la specifica disciplina igienico-sanitaria propria dei mangimi.

In particolare, tale assunto è esplicitato nella “nota esplicativa sull’utilizzo dei sottoprodotti originati dal ciclo produttivo dalle industrie agroalimentari destinate alla produzione di mangimi” adottata dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, d’intesa con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e nella nota (di accompagnamento) della Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario-Ufficio VII prot. n. 509 del 12 gennaio 2009. Quest’ultima specifica che, conseguentemente, «nel territorio nazionale non possono essere prodotti mangimi, nonché materie prime per mangimi derivati dai rifiuti, e ciò non solo ovviamente per le ripercussioni igienico sanitarie fortemente negative a cui andrebbe incontro il settore della produzione dei mangimi, ma anche per evitare possibili comportamenti difformi tra gli operatori del settore dei mangimi, tali da creare un’evidente distorsione del mercato connesso alla produzione dei mangimi stessi».

I principi contenuti in tale nota esplicativa sono stati applicati alla ricorrente essenzialmente mediante le prescrizioni contenute nel verbale ispettivo dell’A.S.L. n. 1 in data 12 marzo 2009 con la finale diffida dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi genere per la produzione di mangimi nel proprio impianto, nonché mediante l’atto della Provincia di Perugia, Area Ambiente e Territorio, Servizio Gestione e Controllo Ambientale, del 16 marzo 2009, recante notifica della “nota esplicativa” ministeriale, e contenente, anch’esso, la specifica indicazione del fatto che a seguito dell’emanazione della predetta nota «nel territorio nazionale è vietata la produzione di mangimi, nonché di materie prime per mangimi, derivati da rifiuti», con richiesta di tempestivo “adeguamento” alla Splendorini.

2. - Ad avviso di parte ricorrente, la tesi ministeriale, fatta propria dalle Amministrazioni locali, secondo cui gli scarti delle industrie agro-alimentari destinati alla produzione di mangimi devono essere sempre considerati “sottoprodotti”, viola l’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, e contrasta con la giurisprudenza comunitaria che richiede un accertamento “caso per caso”, senza consentire una sottrazione generalizzata di tali sostanze dal regime nazionale di gestione dei rifiuti, che possono dunque, a certe condizioni, divenire materia prima per la produzione di mangimi attraverso l’attività di recupero.

L’argomento, sviluppato specialmente con il primo motivo del ricorso principale, non appare meritevole di positiva valutazione.

Anzitutto, sotto il primo profilo, occorre considerare che, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), del c.d. “codice dell’ambiente”, deve intendersi per “rifiuto” «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». Atteso che il primo criterio non svolge un ruolo determinante per l’identificazione del rifiuto, in quanto l’elenco contenuto nell’allegato A costituisce una lista aperta, come dimostra la categoria Q16, criterio con valore preminente risulta essere quello fondato sul concetto del “disfarsi”. Questo indica una condotta rispetto alla quale è irrilevante se avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto, ovvero tramite il suo recupero.

Simmetricamente, al punto p) della norma in esame, sono definiti come “sottoprodotti” «le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni : 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato».

Tale nozione ricorre allorché sussistano contestualmente tutte le condizioni individuate dalla norma, e vale ad individuare quel materiale che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione non principalmente destinato a produrlo, e del quale l’impresa non ha intenzione di “disfarsi”, ma che intende sfruttare in un differente processo successivo, senza dover attuare trasformazioni preliminari.

Si tratta dunque di materiali che, dal punto di vista economico, hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e non sono assoggettati alla disciplina dei rifiuti proprio perché il loro riutilizzo non è eventuale, ma certo.

Dalla disamina delle suesposte norme appare evidente la inerenza dei sottoprodotti, e non già dei rifiuti, alla utilizzazione per la produzione di mangimi. E’ infatti l’impresa alimentare che, decidendo in via preventiva di destinare i propri sottoprodotti alla filiera di produzione dei mangimi, ne garantisce il loro riutilizzo sicuro, senza dover fare ricorso a trattamenti o trasformazioni con finalità di risanamento di una materia originariamente non conforme.

Anche la giurisprudenza penale, al fine di delineare l’ambito di operatività della nozione di rifiuto, ha chiarito che occorre distinguere tra “residuo di produzione”, che è un rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione previa trasformazione, e sottoprodotto, caratterizzato dal certo riutilizzo del bene (in termini, tra le tante, Cass.pen., Sez. III, 14 aprile 2005, n. 20499).

La norma effettua dunque una tipizzazione del materiale di risulta di un processo di produzione, tale da renderlo riconoscibile come rifiuto o come sottoprodotto.

Solamente la destinazione del sottoprodotto all’impresa produttrice di mangimi animali (che rientrano nella catena alimentare umana) consente il rigoroso rispetto degli obblighi previsti dalla normativa igienico-sanitaria esistente in materia, fornendo anche le garanzie di tracciabilità.

2.1. - Quanto poi alla portata della sentenza della Corte di Giustizia 18 dicembre 2007, in causa C-195, che ha dichiarato l’illegittimità comunitaria, tra l’altro, del comunicato del Ministero della Salute del 2002 (sostituito dalla nota ministeriale in questa sede gravata), appare condivisibile la lettura proposta dalle Amministrazioni resistenti secondo cui il fondamento di razionalità della decisione (cfr. in particolare i punti 49-52) è quello di garantire che l’applicabilità della direttiva rifiuti, a tutela della salute dei cittadini, non trovi deroghe automatiche per sottoprodotti della produzione alimentare, in assenza dei requisiti imposti dalla norma, e precedentemente ricordati.

L’invocato accertamento “caso per caso” opera dunque in senso diverso da quello rappresentato da parte ricorrente, non potendosi prescindere dalle oggettive caratteristiche tipologiche del bene, ragione per cui i residui alimentari trattati sono rifiuti, e dunque non possono essere utilizzati per la produzione dei mangimi, in quanto non rispettano i prescritti requisiti di igiene.

3. - Con il secondo motivo viene poi dedotta la erronea applicazione delle norme in materia di igiene dei mangimi, assumendosi che la disciplina sul trasporto dei rifiuti garantisce la rintracciabilità delle sostanze, costituente principio informatore dei regolamenti comunitari n. 178/02 e n. 183/2005, con conseguente indifferenza del regime giuridico applicabile.

Anche tale censura deve essere disattesa.

Ed invero, ferma restando l’ineliminabile componente di valutazione tecnica della nota ministeriale, ispirata ovviamente al principio di precauzione, non può prescindersi dal rilevare che esiste una normativa specifica sul trasporto dei mangimi o delle sostanze destinate alla produzione dei medesimi (applicabile cioè a tutta la filiera di produzione dei mangimi), che è diversa da quella sul trasporto dei rifiuti.

A livello comunitario, si ha il regolamento CE n. 183/2005 del 12 gennaio 2005, che, in particolare, all’art. 6 (sistema di analisi di rischio e punti critici di controllo-HACCP), prescrive che «gli operatori del settore dei mangimi che effettuano operazioni diverse da quelle di cui all’articolo 5, paragrafo 1, pongono in atto, gestiscono e mantengono una procedura scritta permanente o procedure basate sui principi HACCP», nel rispetto dei principi fissati al secondo comma, ed all’allegato II fornisce dettagliate indicazioni in ordine al trasporto ed allo stoccaggio dei mangimi.

Nell’ambito interno vige poi la legge 15 febbraio 1963, n. 281 (disciplina della preparazione e del commercio dei mangimi), nonché il d.lgs. 17 agosto 1999, n. 360, di recepimento delle direttive comunitarie relative alla circolazione di materie prime per mangimi.

Ne deriva un differente, rispetto a quello, pur autorizzato e controllato, dei rifiuti, regime di trasporto delle materie prime destinate alla produzione dei mangimi registrati ai sensi del regolamento CE n. 183/05.

Sembra inoltre potersi aggiungere che l’ulteriore assunto di parte ricorrente, secondo cui sussiste comunque un divieto di trasporto contemporaneo, su di uno stesso mezzo, dei rifiuti tossici e nocivi e di altri tipi di rifiuti e merci, non garantisce i pertinenti requisiti in materia di igiene, potendo i rifiuti presentare cariche batteriche, contaminazioni da muffe o micotossine, ovvero ancora chimiche; ciò in quanto i mezzi che trasportano i rifiuti sono “generici”, a differenza di quelli che contengono materie prime per mangimi od i mangimi stessi, che sono destinati esclusivamente a tale fine.

4. - Le considerazioni che precedono impongono la reiezione anche del quinto, del sesto e del settimo motivo del ricorso principale, con cui si censurano le prescrizioni contenute nel verbale in data 12 marzo 2009 dell’A.S.L. n. 1-Settore Veterinario, le quali risultano pertanto legittime.

Va solo aggiunto, con riguardo alla dedotta disparità di trattamento, che tale figura sintomatica dell’eccesso di potere, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, a fronte di scelte discrezionali dell’Amministrazione, è ravvisabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato (tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 959; Sez. VI, 23 settembre 2009, n. 5671).

La ricorrente non dimostra peraltro la disparità di trattamento, ma la afferma genericamente; di contro, dalla memoria di costituzione della Regione (pag. 4) sembra desumersi che la ditta Splendorini Molini sia l’unica in Italia a produrre mangimi destinati ad uso zootecnico a partire dai rifiuti, anziché da prodotti o sottoprodotti.

5. - Il terzo ed il quarto motivo di gravame concernono la nota della Provincia di Perugia del 16 marzo 2009; con tali motivi viene dedotta la violazione degli artt. 7 e 21 novies della legge n. 241 del 1990.

Le censure non appaiono meritevoli di positiva valutazione.

E’ anzitutto opportuno ricostruire la portata del provvedimento, che è di partecipazione della nota ministeriale, con invito alla società ricorrente di adeguarsi alla medesima per la produzione di mangimi presso il proprio impianto; coerentemente con ciò viene richiesto alla medesima di «formulare una nuova relazione connessa all’attività di produzione di mangimi da svolgere in maniera separata e disgiunta da quella di messa in riserva e trasformazione dei rifiuti presso il vostro impianto, relazione da inoltrare … al fine di ottenere la legittima autorizzazione relativa alla parte concernente la gestione dei rifiuti», con l’avvertenza che deve ritenersi superata (inefficace) la precedente autorizzazione per la parte riguardante la produzione di mangimi da rifiuti.

Più che annullamento in senso stretto, la nota in questione costituisce atto di comunicazione della “nota esplicativa ministeriale”, con richiesta di adeguamento, ed adozione di una misura, con valenza precipuamente cautelare, di sospensione, o, se si preferisce, di “privazione degli effetti” della precedente autorizzazione, in attesa della presentazione, da parte della società, di una relazione esplicativa della propria attività produttiva dei mangimi conforme all’assetto ordinamentale.

Se così è, non occorreva la comunicazione di avvio del procedimento, anche in considerazione del contenuto vincolato della statuizione provinciale, e del fatto che non ne risultano, neppure in tale sede, contestati i presupposti fattuali; in ogni caso troverebbe applicazione l’art. 21 octies, comma 2, primo alinea, della legge n. 241 del 1990.

Seppure, per quanto premesso, non sembra applicabile alla fattispecie in esame l’art. 21 nonies sull’annullamento d’ufficio, resta la considerazione della non irragionevolezza dell’esercizio del potere, che è motivato, in definitiva, dall’interesse pubblico a garantire adeguate condizioni di igiene nella produzione dei mangimi, e quindi un elevato livello di protezione dei consumatori degli alimenti, oggetto di una ponderazione, a monte, che ha trovato proporzionata attuazione nella nota provinciale.

6. - Deriva da quanto esposto che il ricorso principale deve essere respinto in quanto infondato.

7. - Procedendo alla disamina dei primi motivi aggiunti, esperiti avverso la nota dell’A.S.L. n. 1, Servizio Veterinario di Igiene degli Allevamenti e Produzioni Zootecniche, del 24 aprile 2009, avente ad oggetto “osservazioni relative a Manuale del Piano di Autocontrollo della ditta Splendorini Molini”, il corredo motivazionale precedente, posto a fondamento della reiezione del ricorso principale, impone di disattendere, oltre che i vizi di illegittimità derivata, anche la prima, la seconda e la quarta censura (rubricate sub nn. 8, 9 e 11), che sono meramente reiterative di motivi già svolti con il ricorso principale.

Per quanto concerne, poi, il terzo motivo aggiunto (rubricato sub 10), che si indirizza essenzialmente nei confronti della terza e della quinta “osservazione”, richiedenti rispettivamente un più dettagliato controllo dei punti critici del processo di fabbricazione, ed una specificazione maggiore del rapporto tra lotto di produzione e lotto assegnato al mangime al momento del carico, la ricorrente ne deduce l’illegittimità per difetto di motivazione e di istruttoria.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

Ed invero le “osservazioni” in questione sono attuative delle “linee guida” ministeriali; anche solo dal punto di vista logico, si intende che la preclusione della produzione di mangimi da rifiuti comporta la necessità di adeguare il manuale di autocontrollo, concepito dall’azienda in funzione di un differente processo produttivo.

In particolare, l’osservazione n. 3 relativa ad un maggiore controllo dei punti critici persegue la verosimile finalità di imporre l’indicazione delle materie utilizzate nel processo di produzione, onde escludere un persistente utilizzo dei rifiuti.

Con riguardo, poi, all’osservazione n. 5, sembra potersi rilevare che il rispetto della normativa sulla rintracciabilità dei prodotti in entrata ed in uscita dallo stabilimento non consente necessariamente di individuare il collegamento tra il lotto di produzione e quello assegnato al mangime, ovvero, in ultima analisi, di controllare quale sia il lotto di materia prima con il quale è stato realizzato un lotto di mangime. Mentre il divieto di utilizzare rifiuti nella produzione di mangimi impone inevitabilmente di “tracciare” la materia prima utilizzata.

8. - Di conseguenza anche i primi motivi aggiunti devono essere disattesi, in quanto infondati.

9.- Con i secondi motivi aggiunti vengono poi impugnate le determinazioni della Provincia di Perugia n. 6998 del 28 luglio 2009 e n. 6935 del 24 luglio 2009, di “modifica dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di recupero dei rifiuti speciali non pericolosi”, adottata su istanza della società ricorrente, che mantengono la inibizione, per la stessa società, alla produzione di mangimi da rifiuti.

Vanno disattesi, alla luce di quanto esposto, i motivi con cui si deducono vizi di invalidità derivata dalla illegittimità degli atti presupposti, mentre deve essere scrutinato il motivo con cui si deduce la violazione del regolamento CE n. 767/2009 del 13 luglio 2009.

9.1. - In particolare, evidenzia la società ricorrente che gli atti gravati, i quali precludono la produzione di mangimi da rifiuti, si pongono in contrasto anche con il sopravvenuto regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n.767 del 13 luglio 2009, dettante norme sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi, il cui art. 6, letto in relazione all’allegato III, conferma la possibilità che i rifiuti alimentari siano componente costitutiva dei mangimi, e vieta solamente l’utilizzo degli imballaggi provenienti dall’industria alimentare.

Premesso che non vi è interesse all’impugnativa della determina dirigenziale n. 6935 del 24 luglio 2009, che è stata revocata con determina n. 6989 del successivo 28 luglio 2009, e poi sostituita con la (pure gravata) delibera n. 6998 dello stesso 28 luglio, ritiene il Collegio che anche tale censura debba essere disattesa, e ciò consente di prescindere dalla disamina dell’eccezione di inammissibilità svolta dall’A.S.L. n. 1 con riferimento al contenuto meramente confermativo del provvedimento gravato.

Anzitutto, occorre considerare che il regolamento in questione è applicabile solamente dal primo settembre 2010 (art. 33); sebbene tale elemento sia risolutivo ai fini del decidere, risultando ogni procedimento amministrativo regolato dal principio del tempus regit actum , può aggiungersi che, rispetto alla questione oggetto di controversia, è differente la sfera oggettiva di applicazione, riguardando (il regolamento) l’armonizzazione delle condizioni di immissione sul mercato e di uso dei mangimi.

Deve inoltre ritenersi come non appaia comunque risolutiva la circostanza per cui i rifiuti alimentari non sono inclusi dall’allegato III tra i materiali vietati, in quanto, a parte il fatto che lo sono gli “imballaggi e parti d’imballaggio provenienti dall’utilizzazione di prodotti dell’industria agroalimentare”, chiarisce il decimo considerando che «l’esistenza di un tale allegato non dovrebbe, tuttavia, essere interpretata in modo tale che tutte le sostanze ivi non comprese possano, in quanto tali, essere considerate sicure».

In altri termini, è la stessa normativa comunitaria a chiarire la portata dell’”elenco di materiali la cui immissione sul mercato o il cui uso ai fini dell’alimentazione animale sono soggetti a restrizioni o vietati a norma dell’art. 6”, precisando che non tutte le sostanze nello stesso non contemplate possano ritenersi sicure, e quindi utilizzabili al fine di produrre mangimi.

Ne consegue che, in linea di principio, può ritenersi che l’utilizzazione delle materie non comprese nell’elenco (tra cui i rifiuti agroalimentari), nella produzione di mangimi, risulta consentita nel rispetto della disciplina di settore, la quale impone che siano vocate a tale utilizzo sin dal momento della loro produzione, assumendo dunque la consistenza di prodotto, o di sottoprodotto.

10. - In conclusione, alla stregua di quanto premesso, il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere respinti.

La complessità delle questioni trattate, caratterizzate da un elevato tasso tecnico, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria respinge il ricorso ed i motivi aggiunti.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Luigi Cardoni, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/05/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
 



  AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562


 Vedi altre: SENTENZE PER ESTESO


Ritorna alle MASSIME della sentenza  -  Approfondisci con altre massime: GIURISPRUDENZA  -  Ricerca in: LEGISLAZIONE  -  Ricerca in: DOTTRINA

www.AmbienteDiritto.it