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T.A.R. VENETO, Sez. II - 11 febbraio 2010, n. 453



DIRITTO URBANISTICO - Distanze legali - Muro di contenimento - Natura di “costruzione” ai fini di cui all’art. 873 c.c. - Parte compresa tra le fondamenta e il livello del fondo superiore - Esclusione - Parte del muro realizzata oltre il piano del fondo sovrastante - Costruzione in senso tecnico-giuridico. In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 10 gennaio 2006, n. 145). Pres. De Zotti, Est. Bruno - G.V. e altro (avv.ti Sella, Lugoboni e Cappelletto) c. Comune di Costermano (n.c.). TAR VENETO, Sez. II - 11 febbraio 2010, n. 453

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N.  00453/2010 REG.SEN.
N. 01208/2008 REG.RIC.
N. 02495/2008 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 1208 del 2008, proposto da Giorgio Vaccari e Maria Grazia Totola, rappresentati e difesi dagli avv. A. Domenico Sella, Elisa Lugoboni e Marco Cappelletto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, P.le Roma 521;

contro

il Comune di Costermano , in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Giuliano Laveder e Rita De Toffol, rappresentati e difesi dagli avv. Erika Perbellini e Mauro Papandrea, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia-Mestre, viale Garibaldi, 89;
Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, non costituita in giudizio;


Sul ricorso numero di registro generale 2495 del 2008, proposto da Giuliano Laveder e Rita De Toffol, rappresentati e difesi dagli avv. Erika Perbellini e Mauro Papandrea, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia-Mestre, viale Garibaldi, 89;;

contro

il Comune di Costermano , in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Giorgio Vaccari e Maria Grazia Totola, rappresentati e difesi dagli avv. A. Domenico Sella, Elisa Lugoboni e Marco Cappelletto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, P.le Roma 521;
Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 1208 del 2008:

del permesso di costruire n.9475 dell’11 aprile 2008 (n. prot. richiesta 1382, pratica U.T. n.1883- GPE 08P/1382- DOC.1) rilasciato dal Comune di Costermano a Giuliano Laveder e Rita De Toffol, relativo alla “realizzazione di terrazza scoperta e modifiche interne a fabbricato” sito in loc. Pisson 16 di Costermano ed ivi catastalmente censito alla sez. un., fg. 5, m.n. 545 e dei relativi progetti allegati nonché per l’annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente, anche non conosciuto, compreso il parere del Responsabile dell’Area Tecnica n. 9475 del 5 marzo 2008;

quanto al ricorso n. 2495 del 2008:

dei provvedimenti prot.n. 5623 del 9 ottobre 2008; prot. n. 5623/e dell’11 settembre 2008, dell’ordinanza n.5 del 5 maggio 2008 e di ogni altro atto del procedimento presupposto, connesso ovvero consequenziale nonché per il risarcimento dei danni cagionati ai ricorrenti;


Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Giuliano Laveder e Rita De Toffol;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Giorgio Vaccari e Maria Grazia Totola;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2009 la dott.ssa Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori come da verbale.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


Con ricorso iscritto al n. 1208/08 Giorgio Vaccari e Maria Grazia Totola - proprietari nel Comune di Costermano, in località Pizzon, di un immobile e della relativa area pertinenziale - hanno agito in giudizio per l’annullamento del permesso di costruire n.9475 dell’11 aprile 2008 (n. prot. richiesta 1382, pratica U.T. n.1883- GPE 08P/1382- DOC.1) rilasciato dal Comune di Costermano ai coniugi Giuliano Laveder e Rita De Toffol, relativo alla “realizzazione di terrazza scoperta e modifiche interne a fabbricato” e dei relativi progetti allegati nonché per l’annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero conseguente, compreso il parere del Responsabile dell’Area Tecnica n. 9475 del 5 marzo 2008.

L’immobile cui si riferisce il suddetto permesso di costruire confina con quello dei coniugi Vaccari- Totola, costituendo parte di un unico articolato complesso abitativo diviso in varie unità.

Avverso il provvedimento gravato gli odierni ricorrenti hanno dedotto una serie di censure che si appuntano, tra l’altro, sulla erronea qualificazione dell’intervento come muro di contenimento, sulla violazione delle distanze legali e delle norme urbanistiche ed edilizie di P.R.G. e di attuazione nonché della normativa in materia paesaggistica, trattandosi, peraltro, di opera da realizzare in un sito di pregio e di interesse comunitario.

Il Comune di Costermano non si è costituito in giudizio per resistere al gravame mentre si sono costituiti i controinteressati.

In data 5 maggio 2008, il Comune ha adottato una ordinanza con la quale ha disposto la sospensione dei lavori avviati dai coniugi Laveder- De Toffol, a motivo dell’asserita difformità degli stessi rispetto al progetto assentito ed alle norme di P.R.G..

Successivamente, in data 21 luglio 2008, Giuliano Laveder e Rita De Toffol hanno presentato al Comune una domanda di variante.

Tale istanza è stata riscontrata dall’Amministrazione comunale con due provvedimenti, prot. n. 5623/e dell’11 settembre 2008 e n.5623 del 9 ottobre 2008, con i quali è stata comunicata ai coniugi Laveder- De Toffol la sospensione, in via cautelativa, della pratica edilizia .

Questi provvedimenti (ordinanza n.5 del 5 maggio 2008; provvedimento prot. n. 5623 del 9 ottobre 2008 e provvedimento prot. n. 5623/e dell’11 settembre 2008) sono stati impugnati dal Laveder e dalla De Toffol con ricorso iscritto al n. 2495/08.

Il Comune non si è costituito in giudizio per resistere al gravame mentre si sono costituiti i coniugi Giorgio Vaccari e Maria Grazia Totola , in qualità di controinteressati.

All’udienza del 12 novembre 2009 i ricorsi sono stati trattenuti per la decisione.


DIRITTO


1.Preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei giudizi per deciderli con un’unica sentenza - come, peraltro, richiesto dai difensori delle stesse parti - sussistendo connessione sia soggettiva che oggettiva; i provvedimenti impugnati con il ricorso iscritto al n. 2495 del 2008, proposto dai coniugi Laveder e De Toffol si riferiscono a provvedimenti inerenti all’intervento edilizio oggetto del permesso di costruire impugnato dai coniugi Vaccari- Totola con il ricorso iscritto al n. 2495 del 2008.

2.In relazione a quest’ultimo ricorso, il Collegio, deve procedere, prioritariamente, allo scrutinio dell’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva e di interesse, sollevata dalla difesa dei controinteressati.

Più in particolare, la difesa dei coniugi Laveder - De Toffol fonda l’eccezione sulla circostanza che i ricorrenti avrebbero prestato per iscritto il consenso alla realizzazione dell’opera assentita con il permesso di costruire gravato nonché, con specifico riferimento al difetto di legittimazione, sulla circostanza che gli stessi non potrebbero essere considerati confinanti nel senso proprio del termine, in quanto non sono proprietari del terreno che confina con la terrazza oggetto del titolo edilizio né possono accedervi.

L’eccezione è infondata e deve essere disattesa.

L’atto di assenso al quale fa riferimento la difesa dei controinteressati non consente in alcun modo di escludere l’interesse ad agire dei ricorrenti; per un verso si osserva che l’atto (v. all. 6 delle produzioni documentali della difesa dei coniugi Laveder - De Toffol nel giudizio introdotto con il secondo dei ricorsi riuniti) si riferisce, genericamente, alla realizzazione “di una terrazza scoperta al confine con altra proprietà”, sicché non possono ritenersi inclusi i più articolati e consistenti interventi eseguiti, per altro verso l’atto è contestato dalla difesa dei ricorrenti - la quale ha, peraltro, fatto riserva di agire anche in sede civile per l’accertamento dell’invalidità dello stesso - in considerazione della sussistenza di un vizio del consenso, della violazione dei doveri di correttezza e buona fede e dell’oggetto limitato dell’atto di assenso.

Oltre a ciò deve essere anche sottolineato che se un valido atto di assenso può costituire, a certe condizioni, una deroga alle norme civilistiche sulle distanze non può certamente esimere dal necessario rispetto della normativa urbanistica ed edilizia.

Le censure fatte valere dai ricorrenti, peraltro, non si riferiscono solo alla violazione della normativa sulle distanze legali ma involgono una serie di profili di illegittimità in relazione ai quali può certamente ritenersi sussistente l’interesse ad agire dei ricorrenti.

Ciò può essere apprezzato anche esaminando il profilo della legittimazione attiva, condizione che risulta sussistente considerando che l’immobile dei controinteressati confina con quello dei ricorrenti, costituendo parte di un unico articolato complesso abitativo diviso in varie unità.

La legittimazione attiva emerge per tabulas dalla documentazione versata in atti (all. 17 e 29 delle produzioni documentali di parte ricorrente nonché reperti fotografici e progetti uniti al permesso di costruire), evidenziandosi una situazione vieppiù significativa rispetto allo stabile collegamento ed alla “vicinitas”, che pure vengono dalla costante giurisprudenza ritenuti criteri sufficienti a fondare la legittimazione alla proposizione del ricorso.

Per indirizzo giurisprudenziale consolidato, infatti, il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare (cfr. ex multis, Cons. St. , sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2908).

Alla luce di quanto esposto, dunque, risultano dimostrati l’interesse ad agire e la legittimazione dei coniugi Vaccari- Totola, con conseguente ammissibilità del ricorso introduttivo del presente giudizio.

3.Il Collegio deve, a questo punto, procedere all’esame della prima censura proposta avverso il provvedimento gravato con la quale la difesa dei ricorrenti ha dedotto l’eccesso di potere sotto vari profili tra i quali il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti e l’erronea qualificazione dell’opera nonché la violazione della normativa edilizia ed urbanistica.

Più nel dettaglio, viene contestata la qualificazione dell’opera in termini di muro di contenimento, evidenziandosi come dall’esame dello stato preesistente dei luoghi e, in specie, dalla trascurabile pendenza del terreno, sia possibile inferire l’assenza di un dislivello tale da comportare una esigenza di contenimento, non sussistendo alcun pericolo di frane e smottamenti.

A sostegno di tale ricostruzione la difesa dei ricorrenti evidenzia, tra l’altro, che la pendenza minimale del terreno risulta, peraltro, “diluita” su una lunghezza di sei metri circa e che le aperture presenti nel muro, necessarie ad assicurare l’areazione della cantina posta al piano seminterrato, non sono compatibili con la pretesa funzione di sostegno e contenimento del muro medesimo.

Esclusa la qualificazione come muro di contenimento l’opera dovrebbe essere ricompresa tra gli interventi di nuova costruzione, con conseguente necessità, peraltro, dell’osservanza delle norme sulle distanze legali.

La stessa difesa sottolinea, ancora, che il livello e la pendenza dei suoli è stato artificialmente creato dai controinteressati, come desumibile da una dettagliata analisi delle caratteristiche dell’opera e, soprattutto, dalla circostanza che immediatamente “a monte” del manufatto si pone un viale lastricato su una superficie perfettamente orizzontale e pianeggiante mentre, più a valle, la finestra della cantina al di sotto della porta (cfr. progetto allegato al permesso di costruire: “stato di fatto”- prospetto ovest) giace su un segmento già pianeggiante, a circa due metri dal confine. Gli stessi controinteressati non hanno fatto mai riferimento nel permesso di costruire, nelle relazioni e nei progetti allegati, ad un muro di contenimento ma, anzi, nell’istanza tesa ad ottenere il titolo edilizio, si contempla espressamente un “intervento di nuova costruzione”. Ad ulteriore conferma della ricostruzione operata, parte ricorrente ha prodotto una perizia redatta da un consulente di fiducia nella quale vengono evidenziati una serie di elementi (tra i quali struttura, dimensioni, funzione, materiali utilizzati) comprovanti la natura di struttura edilizia vera e propria dell’opera in contestazione comportante, peraltro, la creazione di volumi nuovi e, in quanto tale, non autorizzabile perché non compatibile con gli interventi consentiti dalle norme di P.R.G. e dalla normativa urbanistica ed edilizia della zona che esclude l’edificazione sulle aree -come quella sulla quale insiste l’opera - destinate a verde vincolato ricomprese nel centro storico. Analoghe considerazioni vengono sviluppate anche con riferimento alla qualificazione risultante dal provvedimento gravato della struttura edilizia composta da pilastri in cemento armato in termini di “terrazza scoperta” e di “pergolato”, evidenziandosi la non conformità con la normativa applicabile alla fattispecie.

Il motivo di ricorso è fondato.

Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che l’esame della documentazione in atti porta ad escludere la possibilità di qualificare l’opera in contestazione in termini di muro di contenimento.

Prima di procedere all’analisi degli specifici elementi idonei ad escludere, nella fattispecie in esame, la suddetta qualificazione, è opportuno sottolineare che, per giurisprudenza ormai consolidata, in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 10 gennaio 2006, n. 145).

Nella fattispecie in esame tanto l’esame degli elaborati progettuali allegati all’istanza di permesso di costruire quanto i reperti fotografici riferiti allo stato preesistente dei luoghi portano ad escludere la sussistenza di un dislivello significativo del terreno, emergendo esclusivamente una minima pendenza assolutamente inidonea a determinare una esigenza di contenimento al fine di prevenire frane e smottamenti del terreno.

L’opera, inoltre, non risulta rispondente alle esigenze sottese alla realizzazione di un muro di contenimento, sia per le caratteristiche strutturali, trattandosi di struttura aperta concepita - come risulta, peraltro, dalla stessa relazione tecnica dell’Arch. Laveder del 20 febbraio 2008, allegata alla domanda di permesso di costruire - per consentire una “buona areazione della cantina posta al piano seminterrato” sia per i materiali, essendo stato impiegato cemento armato e non, come peraltro prescritto nel titolo edilizio, il muro in sasso, possibilmente a secco.

Il dislivello è stato artatamente creato dai controinteressati, con la conseguenza che l’opera realizzata si sostanzia in una nuova costruzione in relazione alla quale non è, peraltro, ammessa alcuna deroga alle disposizioni sulle distanze legali.

La qualificazione in termini di muro di contenimento, come correttamente rilevata dalla difesa dei ricorrenti, non può essere utilizzata in modo improprio al fine di legittimare interventi di diversa natura e di produrre, nella sostanza, un effetto elusivo delle disposizioni urbanistiche ed edilizie.

A prescindere dalla circostanza che le prescrizioni contenute nel titolo edilizio non sono state rispettate dai controinteressati - come, peraltro, comprovato dalla presentazione di una domanda di permesso di costruire in variante - dalla qualificazione dell’intervento quale nuova costruzione (e non quale muro di contenimento) discende un evidente contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia applicabile alla fattispecie.

L’immobile oggetto dell’intervento ricade in ZTO A, centro storico, sottoposta ad un elevato livello di protezione e, nello specifico, l’opera viene a ricadere in area classificata a verde privato vincolato (all. 22 e 23 delle produzioni documentali di parte ricorrente) per la quale l’art. 1.10 delle N.T.A. al P.R.G. prevede l’inedificabilità , ad eccezione di specifiche ipotesi che non ricorrono nella fattispecie oggetto del presente giudizio.

Né tanto meno è possibile considerare la copertura (come pure asserito, con formulazione peraltro contraddittoria, nel parere reso dal Responsabile dell’area tecnica, prot. n. 9475 del 5 marzo 2008, in all. 9 delle produzioni documentali di parte ricorrente) quale “pergolato aperto”, trattandosi di struttura complessa, con pilastri in cemento armato che, in considerazione delle caratteristiche costruttive, lascia piuttosto preconizzare, secondo canoni di logica induttiva, lo sviluppo di ulteriore attività edificatoria.

In tale quadro deve essere anche esaminato l’ulteriore profilo, riferito all’applicazione della normativa dettata in materia di protezione delle bellezze naturali.

L’immobile oggetto degli interventi in contestazione ricade, come sopra evidenziato, in ZTO A centro storico e, specificamente, l’area interessata dalle opere è inedificabile e destinata a verde privato vincolato (all. 21, 23 e 30 delle produzioni documentali di parte ricorrente), essendo inserita in un contesto particolarmente tutelato sotto il profilo paesaggistico-ambientale, stante la sussistenza di numerosi interventi dichiarativi di vincolo nelle immediate vicinanze.

Ciò risulta in maniera chiara dall’esame della cartografia riferita alle zone significative (all. 23 delle produzioni documentali di parte ricorrente) nonché dai decreti con i quali è stato dichiarato il notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale, tra cui anche la località Pizzone (all. 25, 26 e 27 delle produzioni documentali di parte ricorrente).

Vero è che l’art. 142 del dl lgs. n. 42 del 2004, confermando le previgenti disposizioni di analogo contenuto, contempla, al secondo comma, alcune eccezioni, escludendo l’operatività del vincolo legale per tutte le aree che, alla data del 6 settembre 1985, si trovassero in determinate condizioni e, tra queste, per quelle classificate dagli strumenti urbanistici come zone A. Tali zone vengono definite dal D.M. 2 aprile 1968 come “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.

Tuttavia tale esclusione trova la sua ratio nella circostanza che, per queste zone, con gli strumenti urbanistici si è già autonomamente proceduto ad una ricognizione degli elementi di rilevo storico, paesistico ed ambientale ed alla individuazione del relativo regime vincolistico.

Erronea si palesa, dunque, l’affermazione della difesa dei controinteressati tesa a sostenere che, nell’area interessata dagli interventi, il livello di protezione sarebbe più basso.

Il livello di protezione è quello che risulta dalla normativa urbanistica ed edilizia comunale specificamente riferita a tale zona che, per le aree destinate a verde privato vincolato, non consente l’esecuzione degli interventi in contestazione.

Ciò vale di per sé ad evidenziare l’illegittimità del provvedimento gravato, anche a prescindere dalla circostanza, che, in occasione di una precedente richiesta di titolo edilizio per apportare modifiche interne all’immobile, i coniugi Laveder- De Toffol hanno richiesto ed ottenuto l’autorizzazione ambientale; nel relativo verbale delle commissione ambientale del 5 settembre 2996, n. 9043 si afferma espressamente che “l’intervento ricade in zona di vincolo ambientale ed è obbligatorio l’esame della richiesta da parte della CEC integrata da due esperti” (all. 10/A delle produzioni documentali della difesa dei coniugi Vaccari- Totola nel giudizio promosso con il secondo dei ricorsi riuniti).

4.Da quanto sopra esposto deriva anche la fondatezza del secondo motivo di ricorso con il quale i ricorrenti deducono la violazione della normativa sulle distanza legali; per un verso, infatti, le caratteristiche dell’opera non consentono di escluderne la rilevanza in termini di “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. e, sotto altro profilo, l’atto di assenso, come evidenziato al capo 2 della presente pronuncia, è inidoneo a fondare una deroga alla disciplina sulle distanze legali, anche in considerazione della sua genericità e, comunque, della non riferibilità all’intervento concretamente posto in essere dai controinteressati.

6.In relazione alle ulteriori censure dedotte avverso il provvedimento gravato il Collegio ritiene di procedere ad assorbimento, non potendo derivare ai ricorrenti alcuna utilità ulteriore rispetto a quella già conseguita in esito alle considerazioni sopra svolte.

7. Il Collegio deve, a questo punto, procedere all’esame del secondo dei ricorsi riuniti con il quale i coniugi Laveder - De Toffol hanno impugnato l’ordinanza n. 5 del 5 maggio 2008 con la quale è stata disposta la sospensione dei lavori oggetto del permesso di costruire n.9475 dell’11 aprile 2008 nonché i provvedimenti, prot.n. 5623 del 9 ottobre 2008 e prot. n. 5623/e dell’11 settembre 2008, con i quali l’Amministrazione comunale, a riscontro della domanda di concessione edilizia in variante dagli stessi presentata in data 21 luglio 2008, ha comunicato la sospensione, in via cautelativa, della pratica edilizia .

8. Quanto all’impugnazione dell’ordinanza n. 5 del 5 maggio 2008 il Collegio - anche a prescindere dall’eccezione di tardività proposta dalla difesa dei controinteressati - evidenzia, aderendo ad orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in materia (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 24 luglio 2008, n. 9321; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 21 dicembre 2007, n. 16488), che, non vi è interesse all'impugnazione giurisdizionale di un'ordinanza di sospensione dei lavori abusivi divenuta inefficace per decorso del termine di 45 giorni previsto dall'articolo 27, commi 3, del D.P.R. n. 380/2001. Al momento della proposizione del presente gravame l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori era già divenuta inefficace per effetto del decorso del termine suddetto, sicché l’assenza di una lesione prodotta dal provvedimento impugnato determina, conseguentemente, l’inammissibilità del gravame per difetto di interesse.

9 In relazione all’impugnazione dei provvedimenti, prot.n. 5623 del 9 ottobre 2008 e prot. n. 5623/e dell’11 settembre 2008, con i quali l’Amministrazione comunale, a riscontro della domanda di concessione edilizia in variante dagli stessi presentata in data 21 luglio 2008, ha comunicato la sospensione, in via cautelativa, della pratica edilizia il Collegio non può che rilevarne l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse.

Occorre evidenziare, infatti, che i ricorrenti hanno presentato una domanda di permesso di costruire in variante al titolo edilizio n.9475 dell’11 aprile 2008, al fine di adeguare l’intervento alle prescrizioni impartite dall’ufficio tecnico comunale che erano rimaste inadempiute.

L’illegittimità del suddetto titolo edilizio ed il suo conseguente annullamento determina il venir meno dell’interesse al ricorso.

10 Quanto alla domanda risarcitoria il Collegio la dichiara inammissibile in quanto generica e, comunque, infondata per carenza di una situazione giuridica tutelabile, alla luce dell’annullamento del permesso di costruire n.9475 dell’11 aprile 2008.

12 Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono determinate nella misura di cui al dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati, previa loro riunione:

accoglie il ricorso n. 1208 del 2008 e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato;

dichiara in parte inammissibile ed in parte improcedibile il ricorso n. 2495 del 2008 quanto alle domande di annullamento mentre dichiara inammissibile la domanda risarcitoria.

In relazione al ricorso n.1208 del 2008 condanna il Comune di Costermano alla rifusione delle spese di giudizio in favore dei ricorrenti, liquidandole complessivamente in euro 2.000,00 di cui € 200,00 per spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a.

In relazione al ricorso n. 2495 del 2008:

condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di giudizio in favore dei controinteressati, liquidandole complessivamente in euro 2.000,00 di cui € 200,00 per spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a;

nulla sulle spese nei confronti del Comune.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Italo Franco, Consigliere

Brunella Bruno, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE                                 IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO



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