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TAR VENETO, Sez. II – 12 gennaio 2010, n. 53

 

DIRITTO DELLE ACQUE - Provvedimenti amministrativi aventi ad oggetto solo indirettamente l’acqua - Giurisdizione del TAR - Fattispecie: autorizzazione all’esercizio di acquacoltura. L’impugnazione di provvedimenti amministrativi che solo indirettamente hanno a che fare con l’acqua, rientra pacificamente nella giurisdizione del giudice amministrativo (fattispecie relativa all’autorizzazione all’esercizio di acquacoltura, che soltanto si esercita in un bacino imbrifero e non ha, invece, ad oggetto l’acqua in sé). Pres. De Zotti, Est. Franco – A. s.r.l. (avv. Grimani) c. Comune di Carmignano di Brenta (avv. Testa). TAR VENETO, Sez. II - 12 gennaio 2010, n. 53

 

 

 

 

N. 00053/2010 REG.SEN.
N. 04034/1996 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


I
ll Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 4034 del 1996, proposto da:
Agroittica Veneta s.r.l., in persona del rappresentate legale in carica Giaretta Pio, rappresentata e difesa dall'avv. Pier Vettor Grimani, con domicilio eletto presso lo studio di questi, in Venezia, S. Croce, 466/G, come da procura a.l. a margine del ricorso,
contro
Comune di Carmignano di Brenta (PD) in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Testa, con domicilio eletto presso l’avv. Franco Zambelli in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22 come da deliberazione di autorizzazione a resistere della G.M. n. 457 del 24.12.96 e procura a.l. a margine della memoria di costituzione,;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 9116 dell’1.10.96, con il quale il sindaco di Carmignano di Brenta ha inflitto la sanzione pecuniaria di £. 469.349.100 ai sensi dell’art. 15 della legge 29.06.39 n. 1497.

Visto il ricorso, notificato il 28.11.96, e depositato preso la segreteria del TAR entro il termine di legge, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Carmignano di Brenta, depositato il 19.06.97;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2009 il dott. Italo Franco e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO


La richiesta (del 20.02.90) di Agroittica s.r.l. di autorizzazione per la sistemazione ambientale di un’area in comune di Carmignano di Brenta – bacino boschi di Camazzola, al fine di esercitarvi l’acquacoltura, ai sensi dell’art. 7 della l. 29.06.39 n. 1497, dopo l’ottenimento dell’autorizzazione da parte del Magistrato alle acque (con atto del 4.05.90), veniva accolta, limitatamente a un primo stralcio, su conforme parere della commissione consultiva ambientale. Non veniva, invece dato favorevole riscontro all’istanza di autorizzazione relativa ad altri stralci, nonostante –si dice- la produzione di cospicua documentazione attestante l’opportunità dell’intervento. Dopo la notifica di una diffida, l’autorizzazione veniva negata, con provvedimento del 26.01.95 su conforme parere della commissione menzionata, per rischio di grave danno all’ambiente, per la modifica della falda freatica e del regime idraulico dell’area di intervento. Tale diniego veniva annullato con sentenza di questo TAR n. 1628/96.
Ciononostante il comune, dopo avere accertato che il fronte di scavo oltrepassava di 60 metri il limite dello stralcio autorizzato e che il materiale estratto ammontava a mc. 93.869,829, irrogava –sulla scorta della stima effettuata dall’UTC, ai sensi dell’art. 15 della l. n. 1497/39, - la sanzione pecuniaria di £. 469.349.100 pari alla maggior somma tra il danno ambientale arrecato e il ricavo realizzato.
Contro siffatta determinazione insorge ora la società interessata con il ricorso in epigrafe, deducendo sei ordini di censure, a partire (primo motivo) dalla violazione della norma che impone la comunicazione dell’avvio del procedimento. Quindi (secondo motivo) si sostiene che sull’area di escavo non insiste alcun vincolo, nemmeno quello contemplato nella legge Galasso.
Si lamenta, altresì, con il terzo motivo, difetto di istruttoria, per l’omessa verifica che lo scavo possa essere stato effettuato da altri. Si aggiunge (quarto mezzo) che l’illegittimità del diniego –accertata da TAR VE n. 1628/96- comporta l’illegittimità della sanzione ex art. 15. Ancora, con il quinto mezzo di impugnazione, si osserva che, nello stesso provvedimento impugnato (e ancora prima, nella sentenza richiamata) si afferma non esservi danno ambientale, per l’invisibilità dell’approfondimento dello scavo, e che l’indennità ex art. 15 presuppone il danno all’ambiente.
Infine, con il sesto motivo si lamenta che la perizia di stima andava comunicata all’interessato, e che solo in caso di adesione alla stessa o di istanza di revisione potesse irrogarsi la sanzione, e che non sono stati indicati i parametri utilizzati per il calcolo.
Si è costituito il comune, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione in favore del TSAP, e quindi l’infondatezza nel merito, sul rilievo che il superamento del limite concernente il primo stralcio è stato accertato dal Magistrato alle acque, soggiungendo che la ricorrente già sapeva che era iniziato il procedimento, come dimostra la comunicazione della Provincia (doc. 9 di parte ricorrente), e che sull’area insiste il vincolo di cui alla “legge Galasso” (150 m. dalla riva del Brenta) e, infine, che la sentenza invocata è successiva al provvedimenti qui impugnato.
Con memoria conclusionale parte ricorrente ribadisce i suoi assunti, aggiungendo che non c’è stato contraddittorio sulla perizia di stima, e che la sanzione è stata calcolata per approssimazione.
All’udienza i difensori comparsi hanno insistito sulle rispettive domande ed eccezioni, dopo di che la causa è stata spedita in decisione.


DIRITTO


1- In via preliminare, pochi cenni vanno dedicati all’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla difesa della p.a. resistente. Secondo detta difesa, la giurisdizione apparterrebbe al Tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP), poiché la controversia impinge nella materia relativa, appunto, alle acque pubbliche.
L’eccezione non ha pregio. Anche, se, infatti, nel caso di specie vi fosse, a monte, una concessione di uso o attingimento dell’acqua da parte dell’autorità demaniale competente –ma così non pare, versandosi, piuttosto, in ipotesi di autorizzazione all’esercizio di acquacoltura che, dunque, soltanto si esercita in un bacino imbrifero e non ha, invece, ad oggetto l’acqua in sé- qui si controverte in tema di autorizzazione a fini paesaggistico- ambientali (o, semmai, congiuntamente, in materia di scavo di materiale argilloso o ghiaioso dal fondo del bacino lacustre), che l’amministrazione provinciale –che a suo tempo aveva rilasciato detta autorizzazione- ha accertato essere stata gestita oltre il limite territoriale assentito. Più precisamente, anzi, si controverte in tema di irrogazione della sanzione (dalla legge chiamata indennità) di cui all’art. 15 della (ora abrogata) legge 29.06.39 n. 1497. Né, a tutto concedere, si discute di regime idrico di una determinata area.
Insomma, nel caso di specie si versa in ipotesi di impugnazione di provvedimenti amministrativi che solo indirettamente hanno a che fare con l’acqua, e che rientrano, pertanto, pacificamente nella giurisdizione del giudice amministrativo.
2- Nel merito il ricorso non può, tutto considerato, ritenersi fondato.
In particolare, la ricorrente non può dire di non essere stata messa al corrente del procedimento di irrogazione dell’indennità di cui si discute. Che la ricorrente fosse stata messa a conoscenza dell’inizio del procedimento di irrogazione della sanzione sub specie di indennità, di cui all’art. 15 della l. n. 1497/39, è attestato dalla nota del 14.06.93 (doc. 9 di parte ricorrente), con la quale la Provincia di Padova comunicava al sindaco di Carmignano di Brenta e alla ricorrente che “con successivo provvedimento verrà irrogata l’indennità determinata ai sensi dell’art. 15 della l. n. 1497/39”. Ma, a parte detta comunicazione, anteriore ai provvedimenti qui impugnati, rileva il fatto che il Magistrato alle acque – Nucleo operativo di Padova, estendeva alla odierna ricorrente la comunicazione dell’accertato “sforamento” del limite fisico di scavo che è all’origine del provvedimento di irrogazione della sanzione (indennità) di cui è causa (cfr. nota prot. 5832 del 21.11.95).
Non può, pertanto, condividersi la censura di omessa comunicazione di avvio del procedimento, mossa con il primo motivo.
3- Quanto all’asserto alla base del secondo mezzo di impugnazione, la p.a. resistente ha eccepito, senza essere stata smentita sul punto, che l’impianto è situato entro la fascia di 150 m. dalla riva del fiume, e, dunque, è soggetta al vincolo di cui alla legge 8.08.85 n. 431 (c.d. legge Galasso). Del resto, con quella stessa comunicazione della Provincia del 14.06.93 (poco addietro richiamata), si comunicava anche l’avvio del procedimento di assoggettamento a detto vincolo.
4- Quanto agli assunti posti a base del terzo motivo, osserva il Collegio che non solo lo stesso è formulato in senso generico e dubitativo, ma che dalla nota del Magistrato alle acque del 21.11.95 più addietro richiamata, si evince che detto organismo ha svolto adeguati accertamenti, dai quali è risultato che lo scavo era andato oltre il limite del primo stralcio di 60 metri.
Anche dette censure, pertanto, debbono considerarsi prive di pregio.
5- Le censure svolte con il quarto mezzo si innestano sul dictum della sentenza di questa Sezione n. 1628/96 (che la p.a. resistente fa notare essere successiva alla data del provvedimento oggetto del presente giudizio), con la quale è stato annullato il diniego di autorizzazione ex art. 7 della l. n. 1497/39.
Tuttavia, come appare evidente, la sentenza riguarda il diniego (e le relative motivazioni) di ampliamento dello scavo, con estensione ad altri stralci (del che si è riferito nella narrativa in fatto che precede). Dunque, si tratta non solo di provvedimento diverso, ma anche, di conseguenza, di questione diversa da quella alla base del contenzioso che ne occupa. Per tali semplici ragioni, la stessa pronuncia giudiziale non rileva ai fini del decidere.
6- Il fatto, poi (e siamo, così, pervenuti ad esaminare il quinto motivo), che nello stesso provvedimento qui impugnato si dia atto non esservi un danno all’ambiente –poiché, in sostanza, l’approfondimento dello scavo non si concretizza in opere o manufatti visibili dall’esterno- non toglie che un danno alle falde possa verificarsi ugualmente (sul punto, invero, nel provvedimento ci si esprime in termini possibilistici). Comunque sia, ciò che appare rilevante, nel dato testuale del menzionato articolo 15, è che, a giudizio dell’autorità competente, possa pretendersi dal trasgressore una somma pari a quella maggiore tra il danno arrecato (alle “bellezze naturali e panoramiche”) e il profitto conseguito mediante la trasgressione.
Ora, che trasgressione vi sia stata –consistente nell’essersi spinta la ricorrente oltre il confine dello stralcio autorizzato di 60 metri con l’estrazione di mc. 93.869,829- è fuori discussione. Del pari incontestata e pacifica appare la realizzazione di un profitto, da correlarsi alla quantità del materiale scavato. Dunque, appare legittima l’irrogazione della sanzione (indennità) corrispondente al profitto realizzato, dal momento che non si sa con certezza se l’attività di escavazione abbia comportato (o comporterà) un danno all’ambiente. Ne segue che anche detta censura si manifesta infondata.
7- Quanto, infine al sesto mezzo di impugnazione –con il quale si lamenta la mancata instaurazione del contraddittorio sulla perizia di stima, nonché la mancata indicazione del parametro di riferimento per il calcolo della somma addebitata- se è vero che, effettivamente, è mancato un contraddittorio sul punto, è anche vero che, al di là della allegazione di un vizio del procedimento, non vengono dalla parte ricorrente additati elementi atti a dimostrare l’eccessività della somma, né si indicano possibili (e più realistici, nella prospettazione attorea) elementi di calcolo o parametri di riferimento.
Pertanto il Collegio ritiene di non potere dare seguito alle deduzioni formulate sul punto nel ricorso.
Conclusivamente, per le ragioni su esposte, il ricorso all’esame deve considerarsi infondato e va, di conseguenza, rigettato.
Le peculiarità della fattispecie –quali si evincono da quanto sopra esposto- giustificano la compensazione integrale fra le parti delle spese e onorari di giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni contraria domanda ed eccezione, lo rigetta.
Compensa integralmente frale parti le spese e onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Italo Franco, Consigliere, Estensore
Brunella Bruno, Referendario


L'ESTENSORE                                  IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/01/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO


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