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1974-9562
T.A.R. VENETO, Sez. II - 24 marzo 2010, n. 945
CAVE E MINIERE - Regione Veneto - Art. 21 L.r. n. 44/82 - Cave - Manufatti e
impianti direttamente connessi con i lavori di coltivazione - Norma eccezionale
- Interpretazione restrittiva - Fattispecie. L'art. 21 della l.r. del Veneto
n. 44/1982, nella parte in cui prevede l'obbligatorietà del rilascio della
concessione edilizia per i manufatti e gli impianti direttamente e strettamente
connessi con i lavori di coltivazione, costituendo eccezione al sistema,
rappresenta una norma di tipo eccezionale: in quanto tale, essa deve essere
interpretata restrittivamente (Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 2007 , n.
3705). Da ciò discende che la previsione normativa suddetta non può trovare
applicazione nei confronti di un’istanza di sanatoria avente ad oggetto
manufatti originariamente connessi con la coltivazione di una cava, ma
successivamente destinati ad uso industriale (lavorazione di materiali anche non
provenienti dalla cava). Pres. De Zotti, Est. Bruno - B. s.p.a. (avv.ti Borella,
Sartorato e Stivanello Gussoni) c. Comune di Paese (avv.ti Ronfini e Stradiotto).
TAR VENETO, Sez. II - 24 marzo 2010, n. 945
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00945/2010 REG.SEN.
N. 00773/1996 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 773 del 1996, proposto dalla Biasuzzi
Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dagli avv. Alberto Borella, Guido Sartorato e Franco Stivanello Gussoni, con
domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, Dorsoduro, 3593;
contro
il Comune di Paese, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dagli avv. Luigi Ronfini e Carlo Stradiotto, con domicilio eletto presso lo
studio di quest’ultimo in Venezia-Mestre, via Riviera Magellano, 5;
per l'annullamento
delle note del Comune di Paese, prot. nn. 4003 e 4005 del 1° dicembre 1995,
nelle parti in cui, dopo essere stata accolta la domanda di condono edilizio per
i lavori di impianto di lavorazione e confezionamento degli asfalti e di
lavorazione degli inerti si è specificato che “trattasi di manufatto connesso
con l’attività di cava per la quale si applica l’ultimo comma dell’art. 21 della
l.r. 7 settembre 1982, n.44” ed inoltre è stato ritenuto non doversi rilasciare
il certificato di agibilità” e di ogni altro atto conseguente e presupposto.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Paese, in persona del
Sindaco pro tempore;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2010 la dott.ssa Brunella
Bruno e uditi per le parti i difensori come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La Biasuzzi Spa è proprietaria di una cava di estrazione di ghiaia, denominata
“Cava Padernello”, sita nel Comune di Paese, in via Vercelli, insistente su area
catastalmente censita al fg. n.32 (ex D/X), mapp. nn. 8, 9, 58, 10, 23, 14, 24,
27, 12, 13, 20, 21, 19, 30, 31, cui si aggiungono, i mapp. nn. 610, 61, 57, 4 e,
in parte, 9 e 62 che, secondo quanto riferito dalla suddetta società, fanno
parte dell’area di pertinenza della cava ma non sono ricompresi
nell’autorizzazione regionale di escavazione.
Nella prefata area di pertinenza, a sostegno dell’attività estrattiva, sono
stati realizzati alcuni manufatti ed impianti, strettamente connessi con i
lavori di coltivazione della cava.
Per le mutate esigenze riferite alla varietà e quantità dell’attività di
lavorazione, i suddetti manufatti hanno, nel tempo, perso il carattere di
stretta connessione con l’attività estrattiva esercitata in loco e sono stati
destinati alla trasformazione degli inerti provenienti da altri siti ovvero
reperiti sul mercato.
Proprio perché non più pertinenziali all’attività di coltivazione della cava e,
dunque, non ricompresi nell’esenzione dalla concessione edilizia prevista
dall’art. 21 della l.r. n.44 del 1982, la società ricorrente ha presentato due
istanze di condono edilizio, rispettivamente riferite all’impianto di
lavorazione e confezionamento degli asfalti ed a quello degli inerti.
Nelle suddette istanze, la società ha specificato espressamente, anche con
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, che “l’opera costituisce abuso
edilizio in quanto, pur essendo l’opera sopra descritta soggetta ad
autorizzazione regionale (……) e, in quanto tale, in base alle prescrizioni
dell’art. 21 della l.r. 7 dicembre 1982, n.44 - “Norme per la disciplina delle
aree di cava”, è ammissibile la realizzazione su di essa di opere e manufatti
direttamente e strettamente connessi con i lavori di coltivazione, nel caso
specifico viene lavorato materiale proveniente anche da altri punti di
estrazione della stessa ditta o da cave di terzi”, sicché, a motivo della
destinazione industriale dei manufatti, ne è stata richiesta la sanatoria.
Con le note prot. nn. 4003 e 4005 del 1° dicembre 1995, l’Amministrazione ha
comunicato l’accoglimento delle istanze precisando, tuttavia, che “trattasi di
manufatto connesso con l’attività di cava per la quale si applica l’ultimo comma
dell’art. 21 della l.r. 7 settembre 1982, n.44” ed escludendo, inoltre, il
rilascio del certificato di agibilità”.
Con ricorso introdotto del presente giudizio, iscritto al n. 773 del 1996, la
società Biasuzzi ha agito per l’annullamento delle suddette note nonché di ogni
altro atto conseguente e presupposto.
Il Comune di Paese si è costituito in giudizio per resistere al gravame.
All’udienza del 15 gennaio 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1.Preliminarmente il Collegio deve esaminare le eccezioni di inammissibilità
dedotte dalla difesa dell’Amministrazione resistente.
La suddetta difesa, infatti, sostiene, in primo luogo, l’inammissibilità del
ricorso cumulativo, a motivo dell’insussistenza di alcuna connessione
procedimentale tra i due provvedimenti impugnati relativi a due autonome domande
di condono edilizio.
Il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale più risalente teso ad
escludere l’ammissibilità del ricorso cumulativo - al fine di evitare sia una
confusione tra controversie del tutto diverse, con conseguente aggravio del
processo, sia l’elusione delle disposizioni fiscali - nelle fattispecie in cui
ricorra esclusivamente una connessione soggettiva tra i due atti impugnati.
Pur rimanendo ancorata, almeno a livello di principio, alla regola secondo la
quale il ricorso cumulativo è ammissibile solo in presenza di una connessione
oggettiva, la giurisprudenza ha individuato, negli ultimi decenni, una serie di
circostanze in cui può ritenersi sussistente una connessione tra provvedimenti
tale da giustificare il cumulo processuale delle relative impugnative, avallando
una valutazione della connessione in termini di ragionevolezza e giustizia
sostanziale.
E’ stato, su tali basi, sostenuto che il ricorso cumulativo deve essere ammesso
nei casi in cui le domande proposte siano riconducibili al medesimo rapporto
ovvero quando gli atti si fondino su identici presupposti e la loro valutazione
dipenda dalla soluzione di identiche questioni o, ancora, quando tra gli atti
impugnati sussista un nesso procedimentale o di preordinazione funzionale o
logica tale da rendere gli stessi, componenti di un quadro provvedimentale
unitamente lesivo dell’interesse del ricorrente( cfr., ex multis, Cons. St.,
sez. VI, 12 novembre 1990, n.955; Cons. St., sez. VI, 13 gennaio 1999, n.17;
Cons. St., sez. V, 15 ottobre 1986, n.536).
La stessa giurisprudenza, anche in tempi più recenti, ha sottolineato che il
ricorso cumulativo è sempre ammissibile ogni qualvolta sussista tra i
provvedimenti impugnati un vincolo di connessione che legittimerebbe la riunione
dei ricorsi (Consiglio Stato , sez. VI, 17 settembre 2009, n. 5548; T.A.R.
Lombardia Brescia, sez. II, 17 settembre 2009, n. 1705) e che, nel processo
amministrativo, in assenza di una espressa disciplina dell'istituto della
connessione, il principio secondo il quale il ricorso giurisdizionale dev'essere
diretto contro un solo atto, oppure contro atti distinti ma tra loro collegati,
si fonda sulla necessità di evitare la confusione tra controversie del tutto
diverse, come quando in un solo giudizio confluiscano atti che difettino di ogni
collegamento e che attengano a rapporti sostanziali diversificati: in tale
ottica, l'esistenza di fattispecie connesse, idonee ad essere proposte con
ricorso cumulativo, va assunta in termini di ragionevolezza, giustizia
sostanziale e razionalità, senza formalismi ed in modo da non cagionare un
inutile aggravio di adempimenti procedurali a carico di chi intenda tutelarsi
avverso atti, ritenuti non legittimi, della p.a. (T.A.R. Emilia Romagna Bologna,
sez. II, 18 dicembre 2008, n. 4667).
Alla luce di tale indirizzo, al quale questo Collegio aderisce, l’eccezione di
inammissibilità deve essere rigettata, posto che, nella fattispecie oggetto di
giudizio, i provvedimenti gravati non solo si fondano su identici presupposti,
sicché la loro valutazione richiede la soluzione di identiche questioni, ma
incidono, altresì, sul medesimo rapporto.
Del pari infondata si palesa la seconda eccezione di inammissibilità con cui la
difesa dell’Amministrazione resistente ha dedotto la carenza di interesse, in
quanto i provvedimenti sono, comunque, favorevoli e, quindi, la lesività
potrebbe configurarsi solo in relazione al successivo provvedimento di
concessione in sanatoria che contenga la precisazione impugnata.
Come correttamente rilevato dalla difesa della ricorrente, infatti, i
provvedimenti impugnati solo in apparenza presentano un contenuto favorevole ma,
nella sostanza e, soprattutto, in relazione al contenuto dell’istanza presentata
dalla società, si qualificano come dinieghi di sanatoria e non in termini di
accoglimenti condizionati; l’Amministrazione comunale, infatti, nel negare
l’autonomia dei manufatti rispetto all’attività di coltivazione della cava si è
espressa in termini negativi rispetto a quanto rappresentato nella domanda di
condono edilizio, nella quale espressamente si afferma l’abusività delle opere
per il venir meno del vincolo diretto con lo svolgimento dell’attività di
coltivazione e, quindi, l’immediata e diretta lesività del provvedimento
sussiste ed è stata, fondatamente percepita come tale.
2.Sempre in via preliminare il Collegio deve scrutinare l’eccezione di
improcedibilità del ricorso dedotta dalla difesa dell’Amministrazione
resistente, a motivo della sopravvenuta carenza di interesse, posto che,
successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo del presente
giudizio, la ricorrente ha presentato alcune denunce di inizio attività,
riferite a varianti tecnologiche degli impianti, nelle quali i medesimi
manufatti oggetto della domanda di condono sono stati definiti quali impianti
direttamente e strettamente connessi con l’attività estrattiva, ai sensi
dell’art. 21 della l.r. n. 44 del 1982.
Per ammissione della stessa ricorrente, la circostanza per cui la società ha
dichiarato, in sede di presentazione dei progetti di manutenzione e modifica,
che gli impianti rientravano nella previsione dell’art. 21 della l.r. n. 44 del
1982 e quindi la loro stretta connessione con l’attività di cava, è stata
imposta dal contenuto dei provvedimenti in questa sede impugnati: in altri
termini, la società, al fine di potere eseguire gli interventi oggetto di DIA,
non potendo sostenere che i manufatti erano stati sanati per le ragioni già
sopra evidenziate, ha dichiarato la permanenza della correlazione rilevante ai
fini dell’applicazione dell’art. 21 della legge regionale sopra richiamata.
Ne consegue che, a prescindere dagli effetti di tale dichiarazione - peraltro
riproduttiva di quanto già asserito in sede di presentazione della domanda di
condono - ed impregiudicate le determinazioni che l’Amministrazione comunale
riterrà eventualmente di adottare in ordine al consolidamento delle suddette
DIA, non è possibile sostenere il venir meno dell’interesse al ricorso,
emergendo, per contro, la concretezza e l’attualità dell’interesse fatto valere
dalla ricorrente che mira al conseguimento di una sanatoria delle opere, in
quanto non più correlate all’attività di coltivazione di cava e funzionali allo
svolgimento dell’attività industriale.
3. Procedendo all’esame del merito del ricorso, il Collegio ne rileva la
fondatezza.
Prioritario ed assorbente si palesa l’esame della prima censura, con la quale è
stata lamentata la violazione dell’art. 4 della l. n. 15 del 1968 nonché
dell’art. 21 della l.r. n.44 del 1982 e l’eccesso di potere per difetto di
istruttoria, difetto di motivazione e travisamento.
Nello specifico, la difesa della ricorrente evidenzia come dall’istanza di
condono emerga che i manufatti oggetto della stessa, non più connessi con
l’attività di coltivazione della cava, sono stati destinati per la lavorazione
di materiali, anche non provenienti dalla cava della ricorrente e che, dunque,
divenuti per tale ragione abusivi, in quanto non legittimati ai sensi dell’art.
21 della l.r. n.44 del 1982, non avrebbero più potuto essere utilizzati nel
quadro del processo produttivo.
La stessa difesa si duole dell’illegittima determinazione dell’Amministrazione
che non avrebbe tenuto conto della reale situazione venutasi a determinare e
che, in mancanza di una adeguata istruttoria, avrebbe ritenuto connessi ,ai
sensi della l.r. n. 44 del 1982, manufatti che tale connessione più non avevano
in quanto nel tempo ne era stata mutata la destinazione. Viene specificato,
inoltre, che il titolo edilizio era stato richiesto solo per sanare la modifica
della destinazione d’uso delle opere, atteso che le stesse già esistevano a metà
degli anni ’70, in epoca nella quale non era necessaria alcuna concessione
edilizia, tant’è che la l.r. n. 36 del 1975 non conteneva alcuna prescrizione
analoga a quella contenuta nell’art. 21 della l. r. n. 44 del 1982.
La censura è fondata.
Le istanze presentate dalla ricorrente hanno uno specifico oggetto e trovano
fondamento nell’esigenza di sanare opere che avevano cessato di avere una
connessione con l’attività di coltivazione della cava e che, pertanto, non
potevano più essere ricomprese nell’ambito di applicazione dell’art. 21 della
l.r. n. 44 del 1982, ai sensi del quale: “Il provvedimento previsto dall’art. 1
della legge 28 gennaio 1977, n. 10, è necessario solo per i manufatti e gli
impianti direttamente e strettamente connessi con i lavori di coltivazione. Il
suo rilascio è obbligatorio ed è subordinato esclusivamente al possesso del
provvedimento provinciale previsto all’art. 16 della presente legge. Tali
manufatti e impianti dovranno essere asportati o demoliti dopo la cessazione
dell’attività autorizzata, fatta salva la facoltà di una loro diversa
utilizzazione consentita dagli strumenti urbanistici vigenti.”
Infatti, come rilevato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, alla quale
il Collegio aderisce, l'art. 21 della l.r. del Veneto n. 44/1982, nella parte in
cui prevede l'obbligatorietà del rilascio della concessione edilizia per i
manufatti e gli impianti direttamente e strettamente connessi con i lavori di
coltivazione, costituendo eccezione al sistema, rappresenta una norma di tipo
eccezionale: in quanto tale, essa deve essere interpretata restrittivamente
(Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 2007 , n. 3705).
Da ciò discende che la previsione normativa suddetta non può trovare
applicazione nella fattispecie in esame nella quale dalle due istanze e dalla
documentazione presentata dalla società ricorrente ed allegata alle domande di
sanatoria, espressamente emerge la destinazione ad un uso industriale dei
manufatti, un tempo direttamente e strettamente connessi con i lavori di
coltivazione.
Ciò è sufficiente a dimostrare una evidente carenza nell’istruttoria condotta
dall’Amministrazione comunale e, conseguentemente, il difetto di motivazione dei
provvedimenti gravati, i quali non solo presentano un oggetto difforme da quello
indicato nelle istanze di sanatoria ma non evidenziano, altresì, l’effettuazione
della necessaria valutazione in ordine alla possibilità di conservazione dei
manufatti e di una loro utilizzazione diversa in conformità agli strumenti
urbanistici.
Il vizio di difetto di istruttoria e di motivazione, nei termini sopraesposti,
assorbe le ulteriori censure.
Per tali ragioni il ricorso deve essere accolto.
4.Le spese di causa seguono la soccombenza e sono quantificate nella misura di
cui al dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda sezione, respinta
ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in
premessa, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.
Condanna il Comune di Paese alla rifusione, in favore della parte ricorrente,
delle spese e delle competenze di causa che liquida in € 2.000,00 (duemila) di
cui € 400,00 per spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorai, oltre
i.v.a. e c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Marina Perrelli, Referendario
Brunella Bruno, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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