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T.A.R. VENETO, Sez. II - 24 marzo 2010, n. 945


CAVE E MINIERE - Regione Veneto - Art. 21 L.r. n. 44/82 - Cave - Manufatti e impianti direttamente connessi con i lavori di coltivazione - Norma eccezionale - Interpretazione restrittiva - Fattispecie. L'art. 21 della l.r. del Veneto n. 44/1982, nella parte in cui prevede l'obbligatorietà del rilascio della concessione edilizia per i manufatti e gli impianti direttamente e strettamente connessi con i lavori di coltivazione, costituendo eccezione al sistema, rappresenta una norma di tipo eccezionale: in quanto tale, essa deve essere interpretata restrittivamente (Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 2007 , n. 3705). Da ciò discende che la previsione normativa suddetta non può trovare applicazione nei confronti di un’istanza di sanatoria avente ad oggetto manufatti originariamente connessi con la coltivazione di una cava, ma successivamente destinati ad uso industriale (lavorazione di materiali anche non provenienti dalla cava). Pres. De Zotti, Est. Bruno - B. s.p.a. (avv.ti Borella, Sartorato e Stivanello Gussoni) c. Comune di Paese (avv.ti Ronfini e Stradiotto). TAR VENETO, Sez. II - 24 marzo 2010, n. 945
 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 00945/2010 REG.SEN.
N. 00773/1996 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 773 del 1996, proposto dalla Biasuzzi Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Alberto Borella, Guido Sartorato e Franco Stivanello Gussoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, Dorsoduro, 3593;

contro

il Comune di Paese, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Ronfini e Carlo Stradiotto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia-Mestre, via Riviera Magellano, 5;

per l'annullamento

delle note del Comune di Paese, prot. nn. 4003 e 4005 del 1° dicembre 1995, nelle parti in cui, dopo essere stata accolta la domanda di condono edilizio per i lavori di impianto di lavorazione e confezionamento degli asfalti e di lavorazione degli inerti si è specificato che “trattasi di manufatto connesso con l’attività di cava per la quale si applica l’ultimo comma dell’art. 21 della l.r. 7 settembre 1982, n.44” ed inoltre è stato ritenuto non doversi rilasciare il certificato di agibilità” e di ogni altro atto conseguente e presupposto.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Paese, in persona del Sindaco pro tempore;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2010 la dott.ssa Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


La Biasuzzi Spa è proprietaria di una cava di estrazione di ghiaia, denominata “Cava Padernello”, sita nel Comune di Paese, in via Vercelli, insistente su area catastalmente censita al fg. n.32 (ex D/X), mapp. nn. 8, 9, 58, 10, 23, 14, 24, 27, 12, 13, 20, 21, 19, 30, 31, cui si aggiungono, i mapp. nn. 610, 61, 57, 4 e, in parte, 9 e 62 che, secondo quanto riferito dalla suddetta società, fanno parte dell’area di pertinenza della cava ma non sono ricompresi nell’autorizzazione regionale di escavazione.

Nella prefata area di pertinenza, a sostegno dell’attività estrattiva, sono stati realizzati alcuni manufatti ed impianti, strettamente connessi con i lavori di coltivazione della cava.

Per le mutate esigenze riferite alla varietà e quantità dell’attività di lavorazione, i suddetti manufatti hanno, nel tempo, perso il carattere di stretta connessione con l’attività estrattiva esercitata in loco e sono stati destinati alla trasformazione degli inerti provenienti da altri siti ovvero reperiti sul mercato.

Proprio perché non più pertinenziali all’attività di coltivazione della cava e, dunque, non ricompresi nell’esenzione dalla concessione edilizia prevista dall’art. 21 della l.r. n.44 del 1982, la società ricorrente ha presentato due istanze di condono edilizio, rispettivamente riferite all’impianto di lavorazione e confezionamento degli asfalti ed a quello degli inerti.

Nelle suddette istanze, la società ha specificato espressamente, anche con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, che “l’opera costituisce abuso edilizio in quanto, pur essendo l’opera sopra descritta soggetta ad autorizzazione regionale (……) e, in quanto tale, in base alle prescrizioni dell’art. 21 della l.r. 7 dicembre 1982, n.44 - “Norme per la disciplina delle aree di cava”, è ammissibile la realizzazione su di essa di opere e manufatti direttamente e strettamente connessi con i lavori di coltivazione, nel caso specifico viene lavorato materiale proveniente anche da altri punti di estrazione della stessa ditta o da cave di terzi”, sicché, a motivo della destinazione industriale dei manufatti, ne è stata richiesta la sanatoria.

Con le note prot. nn. 4003 e 4005 del 1° dicembre 1995, l’Amministrazione ha comunicato l’accoglimento delle istanze precisando, tuttavia, che “trattasi di manufatto connesso con l’attività di cava per la quale si applica l’ultimo comma dell’art. 21 della l.r. 7 settembre 1982, n.44” ed escludendo, inoltre, il rilascio del certificato di agibilità”.

Con ricorso introdotto del presente giudizio, iscritto al n. 773 del 1996, la società Biasuzzi ha agito per l’annullamento delle suddette note nonché di ogni altro atto conseguente e presupposto.

Il Comune di Paese si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

All’udienza del 15 gennaio 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.


DIRITTO


1.Preliminarmente il Collegio deve esaminare le eccezioni di inammissibilità dedotte dalla difesa dell’Amministrazione resistente.

La suddetta difesa, infatti, sostiene, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso cumulativo, a motivo dell’insussistenza di alcuna connessione procedimentale tra i due provvedimenti impugnati relativi a due autonome domande di condono edilizio.

Il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale più risalente teso ad escludere l’ammissibilità del ricorso cumulativo - al fine di evitare sia una confusione tra controversie del tutto diverse, con conseguente aggravio del processo, sia l’elusione delle disposizioni fiscali - nelle fattispecie in cui ricorra esclusivamente una connessione soggettiva tra i due atti impugnati.

Pur rimanendo ancorata, almeno a livello di principio, alla regola secondo la quale il ricorso cumulativo è ammissibile solo in presenza di una connessione oggettiva, la giurisprudenza ha individuato, negli ultimi decenni, una serie di circostanze in cui può ritenersi sussistente una connessione tra provvedimenti tale da giustificare il cumulo processuale delle relative impugnative, avallando una valutazione della connessione in termini di ragionevolezza e giustizia sostanziale.

E’ stato, su tali basi, sostenuto che il ricorso cumulativo deve essere ammesso nei casi in cui le domande proposte siano riconducibili al medesimo rapporto ovvero quando gli atti si fondino su identici presupposti e la loro valutazione dipenda dalla soluzione di identiche questioni o, ancora, quando tra gli atti impugnati sussista un nesso procedimentale o di preordinazione funzionale o logica tale da rendere gli stessi, componenti di un quadro provvedimentale unitamente lesivo dell’interesse del ricorrente( cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 12 novembre 1990, n.955; Cons. St., sez. VI, 13 gennaio 1999, n.17; Cons. St., sez. V, 15 ottobre 1986, n.536).

La stessa giurisprudenza, anche in tempi più recenti, ha sottolineato che il ricorso cumulativo è sempre ammissibile ogni qualvolta sussista tra i provvedimenti impugnati un vincolo di connessione che legittimerebbe la riunione dei ricorsi (Consiglio Stato , sez. VI, 17 settembre 2009, n. 5548; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 17 settembre 2009, n. 1705) e che, nel processo amministrativo, in assenza di una espressa disciplina dell'istituto della connessione, il principio secondo il quale il ricorso giurisdizionale dev'essere diretto contro un solo atto, oppure contro atti distinti ma tra loro collegati, si fonda sulla necessità di evitare la confusione tra controversie del tutto diverse, come quando in un solo giudizio confluiscano atti che difettino di ogni collegamento e che attengano a rapporti sostanziali diversificati: in tale ottica, l'esistenza di fattispecie connesse, idonee ad essere proposte con ricorso cumulativo, va assunta in termini di ragionevolezza, giustizia sostanziale e razionalità, senza formalismi ed in modo da non cagionare un inutile aggravio di adempimenti procedurali a carico di chi intenda tutelarsi avverso atti, ritenuti non legittimi, della p.a. (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 18 dicembre 2008, n. 4667).

Alla luce di tale indirizzo, al quale questo Collegio aderisce, l’eccezione di inammissibilità deve essere rigettata, posto che, nella fattispecie oggetto di giudizio, i provvedimenti gravati non solo si fondano su identici presupposti, sicché la loro valutazione richiede la soluzione di identiche questioni, ma incidono, altresì, sul medesimo rapporto.

Del pari infondata si palesa la seconda eccezione di inammissibilità con cui la difesa dell’Amministrazione resistente ha dedotto la carenza di interesse, in quanto i provvedimenti sono, comunque, favorevoli e, quindi, la lesività potrebbe configurarsi solo in relazione al successivo provvedimento di concessione in sanatoria che contenga la precisazione impugnata.

Come correttamente rilevato dalla difesa della ricorrente, infatti, i provvedimenti impugnati solo in apparenza presentano un contenuto favorevole ma, nella sostanza e, soprattutto, in relazione al contenuto dell’istanza presentata dalla società, si qualificano come dinieghi di sanatoria e non in termini di accoglimenti condizionati; l’Amministrazione comunale, infatti, nel negare l’autonomia dei manufatti rispetto all’attività di coltivazione della cava si è espressa in termini negativi rispetto a quanto rappresentato nella domanda di condono edilizio, nella quale espressamente si afferma l’abusività delle opere per il venir meno del vincolo diretto con lo svolgimento dell’attività di coltivazione e, quindi, l’immediata e diretta lesività del provvedimento sussiste ed è stata, fondatamente percepita come tale.

2.Sempre in via preliminare il Collegio deve scrutinare l’eccezione di improcedibilità del ricorso dedotta dalla difesa dell’Amministrazione resistente, a motivo della sopravvenuta carenza di interesse, posto che, successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio, la ricorrente ha presentato alcune denunce di inizio attività, riferite a varianti tecnologiche degli impianti, nelle quali i medesimi manufatti oggetto della domanda di condono sono stati definiti quali impianti direttamente e strettamente connessi con l’attività estrattiva, ai sensi dell’art. 21 della l.r. n. 44 del 1982.

Per ammissione della stessa ricorrente, la circostanza per cui la società ha dichiarato, in sede di presentazione dei progetti di manutenzione e modifica, che gli impianti rientravano nella previsione dell’art. 21 della l.r. n. 44 del 1982 e quindi la loro stretta connessione con l’attività di cava, è stata imposta dal contenuto dei provvedimenti in questa sede impugnati: in altri termini, la società, al fine di potere eseguire gli interventi oggetto di DIA, non potendo sostenere che i manufatti erano stati sanati per le ragioni già sopra evidenziate, ha dichiarato la permanenza della correlazione rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 21 della legge regionale sopra richiamata.

Ne consegue che, a prescindere dagli effetti di tale dichiarazione - peraltro riproduttiva di quanto già asserito in sede di presentazione della domanda di condono - ed impregiudicate le determinazioni che l’Amministrazione comunale riterrà eventualmente di adottare in ordine al consolidamento delle suddette DIA, non è possibile sostenere il venir meno dell’interesse al ricorso, emergendo, per contro, la concretezza e l’attualità dell’interesse fatto valere dalla ricorrente che mira al conseguimento di una sanatoria delle opere, in quanto non più correlate all’attività di coltivazione di cava e funzionali allo svolgimento dell’attività industriale.

3. Procedendo all’esame del merito del ricorso, il Collegio ne rileva la fondatezza.

Prioritario ed assorbente si palesa l’esame della prima censura, con la quale è stata lamentata la violazione dell’art. 4 della l. n. 15 del 1968 nonché dell’art. 21 della l.r. n.44 del 1982 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione e travisamento.

Nello specifico, la difesa della ricorrente evidenzia come dall’istanza di condono emerga che i manufatti oggetto della stessa, non più connessi con l’attività di coltivazione della cava, sono stati destinati per la lavorazione di materiali, anche non provenienti dalla cava della ricorrente e che, dunque, divenuti per tale ragione abusivi, in quanto non legittimati ai sensi dell’art. 21 della l.r. n.44 del 1982, non avrebbero più potuto essere utilizzati nel quadro del processo produttivo.

La stessa difesa si duole dell’illegittima determinazione dell’Amministrazione che non avrebbe tenuto conto della reale situazione venutasi a determinare e che, in mancanza di una adeguata istruttoria, avrebbe ritenuto connessi ,ai sensi della l.r. n. 44 del 1982, manufatti che tale connessione più non avevano in quanto nel tempo ne era stata mutata la destinazione. Viene specificato, inoltre, che il titolo edilizio era stato richiesto solo per sanare la modifica della destinazione d’uso delle opere, atteso che le stesse già esistevano a metà degli anni ’70, in epoca nella quale non era necessaria alcuna concessione edilizia, tant’è che la l.r. n. 36 del 1975 non conteneva alcuna prescrizione analoga a quella contenuta nell’art. 21 della l. r. n. 44 del 1982.

La censura è fondata.

Le istanze presentate dalla ricorrente hanno uno specifico oggetto e trovano fondamento nell’esigenza di sanare opere che avevano cessato di avere una connessione con l’attività di coltivazione della cava e che, pertanto, non potevano più essere ricomprese nell’ambito di applicazione dell’art. 21 della l.r. n. 44 del 1982, ai sensi del quale: “Il provvedimento previsto dall’art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, è necessario solo per i manufatti e gli impianti direttamente e strettamente connessi con i lavori di coltivazione. Il suo rilascio è obbligatorio ed è subordinato esclusivamente al possesso del provvedimento provinciale previsto all’art. 16 della presente legge. Tali manufatti e impianti dovranno essere asportati o demoliti dopo la cessazione dell’attività autorizzata, fatta salva la facoltà di una loro diversa utilizzazione consentita dagli strumenti urbanistici vigenti.”

Infatti, come rilevato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, alla quale il Collegio aderisce, l'art. 21 della l.r. del Veneto n. 44/1982, nella parte in cui prevede l'obbligatorietà del rilascio della concessione edilizia per i manufatti e gli impianti direttamente e strettamente connessi con i lavori di coltivazione, costituendo eccezione al sistema, rappresenta una norma di tipo eccezionale: in quanto tale, essa deve essere interpretata restrittivamente (Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 2007 , n. 3705).

Da ciò discende che la previsione normativa suddetta non può trovare applicazione nella fattispecie in esame nella quale dalle due istanze e dalla documentazione presentata dalla società ricorrente ed allegata alle domande di sanatoria, espressamente emerge la destinazione ad un uso industriale dei manufatti, un tempo direttamente e strettamente connessi con i lavori di coltivazione.

Ciò è sufficiente a dimostrare una evidente carenza nell’istruttoria condotta dall’Amministrazione comunale e, conseguentemente, il difetto di motivazione dei provvedimenti gravati, i quali non solo presentano un oggetto difforme da quello indicato nelle istanze di sanatoria ma non evidenziano, altresì, l’effettuazione della necessaria valutazione in ordine alla possibilità di conservazione dei manufatti e di una loro utilizzazione diversa in conformità agli strumenti urbanistici.

Il vizio di difetto di istruttoria e di motivazione, nei termini sopraesposti, assorbe le ulteriori censure.

Per tali ragioni il ricorso deve essere accolto.

4.Le spese di causa seguono la soccombenza e sono quantificate nella misura di cui al dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna il Comune di Paese alla rifusione, in favore della parte ricorrente, delle spese e delle competenze di causa che liquida in € 2.000,00 (duemila) di cui € 400,00 per spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorai, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Marina Perrelli, Referendario

Brunella Bruno, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE                                    IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO



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