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TRIBUNALE DI SALERNO, UFFICIO DEL
G.I.P. -
21 dicembre 2010 n. 683
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso
d’ufficio - Rilascio di un’autorizzazione - Inosservanza del dovere di compiere
l’istruttoria per verificare la sussistenza delle condizioni richieste -
Violazione di legge - Art. 3 L. n. 241/1990. L’inosservanza del dovere di
compiere un'adeguata istruttoria diretta ad accertare la sussistenza delle
condizioni richieste per il rilascio di un'autorizzazione (nella specie,
permesso di costruire) è idonea ad integrare la violazione di legge, rilevante
ai fini della sussistenza del reato di abuso di ufficio, dal momento che
l’istruttoria amministrativa è comunque imposta da una norma generale sul
procedimento amministrativo, prevista dalla L. 7 agosto 1990. n. 241, art. 3,
costituendo una fase procedimentale essenziale e incidente direttamente sul
momento finale della decisione, in cui i diversi interessi, pubblici, collettivi
e privati, devono essere ponderati (Cass, Sez. 6^, 4 novembre 2004, n. 69,
Palascino; Sez. 6^, 7 aprile 2005, n. 18149, Fabbri). G.I.P. Lerose - Imp.
Ca.Gr. e altri - TRIBUNALE DI SALERNO, UFFICIO DEL G.I.P. - 21 dicembre
2010, n. 683
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Violazione di strumenti urbanistici - Integrazione
del reato di abuso di ufficio - Possibilità - Fondamento. La violazione di
strumenti urbanistici, pur non potendosi questi configurare come norme di legge
o di regolamento, può integrare il reato di abuso d'ufficio, in quanto
rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale
in materia urbanistica, alla quale deve farsi comunque riferimento quale dato
strutturale della fattispecie delittuosa di cui all'art. 323 c.p. (Cass. Sez. 6,
25 gennaio 2007, n. 11620, Pellegrino). G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Concorso del privato -
Presupposti - Presentazione della sola istanza relativi ad un atto rivelatosi
poi illegittimo - Insufficienza. Ai fini della configurabilità del concorso
del privato nel reato di abuso di ufficio, anche se destinatario dell'ingiusto
vantaggio patrimoniale, è necessaria la dimostrazione che questi abbia posto in
essere una condotta causalmente rilevante nella realizzazione della fattispecie
criminosa, partecipando con comportamenti diretti a determinare o ad istigare il
pubblico ufficiale ovvero accordandosi con quest'ultimo (Sez. 6A, 25 maggio
1995, n. 2140, Tontoli). Di conseguenza deve escludersi ogni forma di concorso
nel caso in cui il privato si limiti alla presentazione della semplice istanza
relativa a un atto che, nel concreto, risulti illegittimo (tra le tante v., Sez.
6, 12 luglio 2000. Margini). G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri -
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Delitti contro la P.A. - Concorso del privato nel
delitto di abuso d'ufficio - Mera coincidenza tra la richiesta del privato e il
provvedimento posto in essere dal pubblico funzionario - Idoneità ad integrare
il concorso - Esclusione - Ragioni. In tema di delitti contro la P.A., al
fine di affermare la sussistenza del concorso del privato nel reato di abuso di
ufficio, la prova che I'atto amministrativo è il risultato della collusione tra
privato e pubblico funzionario non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra
la richiesta del primo e il provvedimento posto in essere dal secondo, essendo
invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra le parti o
altri dati di contorno dimostrino che la presentazione della domanda è stata
preceduta, accompagnata o seguita da un'intesa col Pubblico funzionario, o
comunque da pressioni dirette a sollecitarlo, ovvero a persuaderlo al compimento
dell'atto illegittimo e, nonostante ciò, venga adottato; va infatti considerato
che il privato, contrariamente al pubblico funzionario, non è tenuto a conoscere
le norme che regolano l’attività di quest'ultimo, nè a conoscere le situazioni
attinenti l’ufficio che possano condizionare la legittimità dell’atto(conf., ex
plurimis, Cass. sez. 6 12/2003). G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri -
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso documentale - Natura plurioffensiva. Il
falso documentale ha natura plurioffensiva: l'obiettivo generalmente perseguito
dal falsario non èinfatti quello precipuo dell'offesa della fede pubblica, bensì
lo scopo ulteriore cui è diretta l’attività criminosa, onde il falso finisce in
genere con l'aggredire gli specifici interessi di volta in volta lesi dall'uso
del documento falsificato. G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri -
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso materiale e falso ideologico - Differenza.
Laddove il falso materiale attiene generalmente alla forma esteriore del
documento, aggredendo il carattere della genuinità dell'atto, il falso
ideologico, o falso intellettuale, attiene invece al contenuto di veridicità di
un atto materialmente integro, ossia si identifica con dichiarazioni menzognere,
aggredendo quindi la veridicità del documento. G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e
altri - TRIBUNALE DI SALERNO, UFFICIO DEL G.I.P. - 21 dicembre 2010, n.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso ideologico - Dolo richiesto per il
perfezionamento del reato - Dolo generico. Il dolo richiesto al fine del
perfezionarsi del reato di falso ideologico è quello generico, consistente nella
volontarietà e consapevolezza della falsa attestazione, non essendo invece
richiesto nè l’animus nocendi, ne l’animus decipendi G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr.
e altri - TRIBUNALE DI SALERNO, UFFICIO DEL G.I.P. - 21 dicembre 2010,
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso ideologico - Occultamento della situazione
reale - Necessità. Il falso ideologico presuppone necessariamente
l'occultamento della situazione reale. La condotta criminosa è scindibile in 2
momenti: I'attestazione del fatto non vero e I'occultamento di quello vero.
Quando l'attestazione del fatto- pur incompleta o minimizzata- consente di
pervenire all'individuazione del fatto vero, essa non può essere ritenuta falsa
(Cass., V, 17/4/92, Montalbano). G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - falso in atto pubblico - Bene tutelato - Affidamento
nella corrispondenza al vero delle informazioni contenute nell’atto. Nel
falso ideologico in atto pubblico il bene tutelato è quello dell'affidamento che
chi prende cognizione dell'atto fa nella corrispondenza al vero
dell'informazione che l'atto contiene, secondo il significato comunemente dato
alle espressioni utilizzate in quel determinato contesto. Non è necessario , ai
fini della rilevanza penale, nè la determinazione di un danno ulteriore per
l'amministrazione, né il pregiudizio derivante dalla lesione di un interesse
probatorio connesso all’oggetto materiale della condotta di falsificazione
(S.C., sez. V,21/1 1/96, Meloro) G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri -
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Oggetto del reato - Soggetti
attivi - Reato proprio non esclusivo - Attuazione per interposta persona -
Concorso nel reato dell’extraneus. L'abuso di ufficio è fattispecie legale
volta a reprimere quei fatti illeciti che si concretizzano nell'esercizio
distorto e strumentale di un pubblico ufficio, ovvero delle potestà
pubblicistiche connesse all'esercizio dell'ufficio, al fine della realizzazione
di un ingiusto vantaggio patrimoniale, o del danno ingiusto, perseguito
attraverso la violazione di norme o regolamenti. Oggetto del reato è la lesione
del buon funzionamento della P.A.. Quanto ai soggetti attivi del reato, trattasi
di tipica figura di reato proprio ma non esclusivo, onde a ciò consegue la
possibilità di attuare il fatto tipico anche per interposta persona e la
applicabilità del concorso nel reato dell'extraneus - secondo i principi
generali dell'istituto del concorso di persone nel reato- senza tuttavia che
tale apporto dell'extraneus possa essere considerato imprescindibile per la
configurazione dell'illecito. G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri -
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Art- 323 c.p. - Violazione di norme
di leggi o regolamento - Atto amministrativo illegittimo per violazione di legge
- Differenza. Il novellato art. 323 c.p. richiede espressamente, al fine del
configurarsi dell’elemento oggettivo del reato, che i'ingiusto danno o vantaggio
venga perseguito mediante la violazione di norme di legge o di regolamento,
concetto questo che non va confuso con quello, più ampio, di atto amministrativo
illegittimo per violazione di legge, atteso che il termine legge riportato
dall'art. 26 del T.U. sul C.d S.- e cui si riferisce il vizio dell'atto
amministrativo- include non solo le fonti primarie di produzione del diritto, ma
anche qualunque altro atto o fatto che costituisca fonte normativa in senso
lato, mentre invece non possono ricomprendersi nella previsione dell'art. 323
c.p. le fonti normative diverse da quelle primarie e secondarie. Il concetto di
violazione di legge come vizio dell'atto amministrativo è invece più ristretto
di quello cui si riferisce l’art. 323 cp, atteso che quest’ultimo si riferisce
non necessariamente , o esclusivamente, - come nel caso del vizio dell'atto-
alla attività del p.u. che si sia tradotta in atti amministrativi, bensì a
qualsivoglia attività o comportamenti posti in essere in violazione di legge,
pur se non tradottisi in atti amministrativi. G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Condotta punibile - Azione od
omissione. In tema di abuso di ufficio, l’attuale previsione normativa,
presupponendo la violazione di una norma di legge o di regolamento, che a sua
volta può contenere un obbligo di agire a carico del pubblico funzionario,
consente la punibilità di un abuso commesso sia con una condotta attiva che
omissiva. Laddove infatti è sancito un obbligo di agire a carico del funzionario
pubblico, l'eventuale omissione perpetrata, se diretta a procurare un vantaggio
ingiusto, non può che determinare la responsabilità dello stesso. G.I.P.
Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri - TRIBUNALE DI SALERNO, UFFICIO DEL G.I.P.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Art. 323 c.p. - Vantaggio ingiusto
- Doppia condizione - “Non iure” e “contra ius”. Affinchè il vantaggio
previsto dall'art. 323 c.p. possa considerarsi ingiusto, occorre la doppia
condizione che esso sia prodotto "non iure" e inoltre che sia " contra ius",
vale a dire che risultato dell'abuso si presenti come contrario all'ordinamento
giuridico G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri - TRIBUNALE DI SALERNO,
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Dolo intenzionale. In tema
di abuso d’ufficio, il dolo intenzionale può correttamente intendersi integrato
dalla coscienza e volontà non solo del fatto tipico, e dunque delle specifiche
modalità di causazione dell'evento (violazione di norme ecc.), ma anche
dell'evento di danno o di ingiusto vantaggio, risultando invece irrilevante il
movente, ossia la motivazione induce il soggetto a perseguire la realizzazione
del reato come fine della condotta. G.I.P. Lerose - Imp. Ca.Gr. e altri -
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N.7823/2007 R. G. N. R.
N.8742/2009 R.G. GIP
Sentenza n. 693/10
TRIBUNALE Dl SALERNO
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
SENTENZA DI PROSCIOGLIMENTO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
II Giudice Dr.ssa Giovanna Lerose
all'udienza preliminare del 18/11/2010
nel procedimento penale n. 8742/2009 GIP
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di
1)CAPONE Grazia nata a Mercato San Severino (SA) il 26/06/956, residente in
Montecorvino Rovella (SA) al Corso Cavour nr. 170;
Assente;
difesa di fiducia dagli avv.ti Daiberto PETRONE e Prof Pasquale RAGO – Presenti
2)SALERNO Carmine, nato a Battipaglia il 12/01/1966 e residente in Montecorvino
Rovella, via Nebuiana n. 120;
Presente
difeso di fiducia 'avv. to Marco Salerno con studio in Cava dei Tirreni
Presente;
3)CARRAFIELLO Paolo, nato a Salerno il 20/06/1 968 e residente in Montecorvino
Rovella alla via c.da Fiatano n.5;Presente
difeso di fiducia avv.Arturo Vassallo del foro di Salerno- Presente
4)CIOFFI Alterisio, nato a San Cipriano Picentino ii 08/11/1944 e residente in
Montecorvino Rovella alla via Trifone n. 1;Assente
difeso di fiducia dall'avv.Michele Tedesco del foro di Salerno-presente:
5)BARATTOLO Eustachio, nato a Montecorvino Rovella il 06/03/1953 ed ivi
residente alla via Nebulana n. 3;Assente
difeso di fiducia dal prof avv. Pasquale RAGO del foro di Salerno - Presente
IMPUTATI
CAPONE Grazia, BARATTOLO Eustachio:
A) del reato di cui artt. 110 e 483 c.p. perche, in concorso tra loro, CAPONE
Grazia quale committente ed istigatore, BARATTOLO Eustachio, ingegnere
incaricato da Capone Grazia, esecutore materiale, presentavano in data
18/10/2005 Denuncia di Inizio Attività prot. 16675 per la realizzazione di in
muro di sostegno recinzione con retrostante rilevato in terra, nella quale
asseveravano contrariamente al vero la conformità degli interventi alla
disciplina edilizia ed urbanistica vigente, in particolare attestavano
falsamente che le opere potevano essere realizzate mediante DIA e che la
destinazione urbanistica dell'area prevista dallo strumento urbanistico era di
tipo "B" residenziale; fatti non conformi al vero in quanto la realizzazione
delle opere di sostegno con conseguente formazione di rilevato in terra,
comportando modifica permanente del suolo in edificato, deve intendersi come
attività di "nuova costruzione" soggetta, ex. art. 10 D.P.R. 380/01, al
preventivo rilascio del Permesso di Costruire e non può essere realizzata
mediante DIA; inoltre la destinazione d'uso del suolo prevista dallo strumento
urbanistico vigente era di "Spazi pubblici a verde attrezzato e non", sul quale
"sono consentite solo attrezzature pubbliche inerenti al carattere di zona"
dunque, non consentita era l’edificazione di opere private.
Commesso in Montecorvino Rovella il 18/10/2005
CAPONE Grazia e SALERNO Carmine, CIOFFI Alterisio:
B) del reato di cui agli artt. 110, 362, 323 co. 1 e 2 c.p. per avere, in
concorso tra loro, CAPONE GRAZIA quale istigatore, SALERNO Carmine quale
responsabile dell'Area Tecnica del comune di Montecorvino Rovella, e CIOFFI
Alterisio, quale responsabile del procedimento:
- omesso — Salerno Carmine e Cioffi Alterisio di concerto con l'interessata
Capone Grazia volutamente di prestare la dovuta vigilanza sull'attività edilizia
commissionata da Capone Grazia in violazione dei loro doveri d'ufficio e degli
artt. 20 e 27 DPR n. 380/2001 e in violazione del regolamento edilizio (che
prevedeva che !'area interessata da intervento edilizio fosse destinata a verde
pubblico e attrezzature);
- omesso — Salerno Carmine e Cioffi Alterisio di concerto con l'interessata
Capone Grazia - di emanare diffida a non effettuare i lavori nei trenta giorni
dalla presentazione della DIA prot. 16675 del 18/10/2005 (benché nella stessa
fosse asseverato contrariamente al vero che l’intervento era realizzabile
mediante DIA e che le opere in progetto erano compatibili con la disciplina
urbanistica, atteso che le opere in progetto sono soggette, ex art. 10 D.P.R.
380/01 a permesso di costruire e non a DIA. e che, in ogni caso la destinazione
urbanistica dell'area prevede la realizzazione esclusiva di "attrezzature
pubbliche");
- omesso - Salerno Carmine e Cioffi Alterisio di concerto con i'interessata
Capone Grazia - di informare l’autorità giudiziaria in merito alle false
attestazioni contenute nella DIA. in violazione dell'art. 362 c.p. di cui erano
a conoscenza;
- tanto al fine di procurare vantaggio patrimoniale all'interessata Capone
Grazia, la quale, traeva vantaggio dalle omissioni di cui sopra recintando ad
uso proprio un'area altrimenti destinata ad uso pubblico (ossia a verde e
attrezzature pubbliche).
Reati commessi in esecuzione di in medesimo disegno criminoso ex art. 81 cpv C.
p. in Montecorvino Rovella it 18/11/2005
Capone Grazia, Barattolo Eustachio:
C) del reato di cui all'artt. 110 483 61 n. 2 c.p. perché, in concorso tra loro,
CAPONE Grazia quale committente ed istigatore, BARATTOLO Eustachio, ingegnere,
quale esecutore materiale, presentavano in data 27/06/2006 istanza per il
rilascio di permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione di un muro
di sostegno con retrostante rilevato in terra, attestando falsamente che la
destinazione urbanistica dell'area prevista dallo strumento urbanistico era di
tipo "B" - residenziale; fatto non conforme al vero in quanto la destinazione
d'uso del suolo prevista dallo strumento -urbanistico vigente era di "Spazi
pubblici a verde attrezzato e non", e per le quali "sono consentite solo
attrezzature pubbliche inerenti al carattere di zona" e, quindi, non era
consentita l'edificazione di opere private.
Con I'aggravante di avere commesso reato al fine di eseguire quello di falso
ideologico in permesso di costruire di cui al successivo capo di imputazione.
Commesso in Montecorvino Rovella il 27/06/2006
Capone Grazia, Carrafiello Paolo, Cioffi Alterisio:
D) del reato di cui agli artt. 110 — 323 co. 1 e 2 c.p. e per aver eseguito, in
concorso tra loro, CAPONE GRAZIA quale istigatore, CARRAFIELLO Paolo quale
responsabile dell'Area Tecnica del comune di Montecorvino Rovella, CIOFFI
Alterisio quale responsabile del procedimento, abusando del loro ufficio (Carrafiello
Paolo e Cioffi Alterisio previo concerto con Capone Grazia), rilasciavano
volutamente a Capone Grazia il permesso di costruire in sanatoria n. 66/2006 col
quale veniva assentita, in violazione dello strumento urbanistico e del relativo
regolamento edilizio ed omettendo volutamente la dovuta vigilanza sull'attività
edilizia edificando in violazione degli artt. 20 e 27 DPR n. 380; la costruzione
di un muro di sostegno con retrostante rilevato su di un suolo la cui
destinazione urbanistica prevede la realizzazione esclusiva di "attrezzature
pubbliche";
- tanto al fine di procurare vantaggio patrimoniale all'interessata Capone
Grazia, la quale, traeva vantaggio dalle omissioni di cui sopra recintando ad
uso proprio un'area altrimenti destinata ad uso pubblico (ossia a verde e
attrezzature pubbliche).
Reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ex art. 81 cpv
C.p. in Montecorvino Rovella il 13/09/2006
CAPONE Grazia; CARMINE Salerno;CARRAFIELLO Paolo; CIOFFI Alterisio; BARATTOLO
Eustachio;
E) del reato di cui all'art. 110 c.p. e 44 lett. b) D.P.R. n° 380/2001 per
avere, in concorso o cooperazione fra loro eseguito o fatto eseguire, nelle
rispettive qualità, in assenza del permesso di costruire in quanto
illegittimamente rilasciato, attività edilizie consistite nella costruzione, su
suolo ubicato in Montecorvino Rovella, via Cavour,ex S.S. 164, (già via Ponte
Mileo) n. 172, ed individuato in catasto al foglio 15 particella n. 801, di un
muro di sostegno in cemento armato, di altezza variabile da 2.80 m a 1.75 m con
un antistante dente di circa 70 cm di profondità che rileva rispetto alla
cunetta della sede stradale di circa 45 cm con posa in opera a tergo degli
stessi di tre serbatoi, e successivo rinterro degli stessi.
CAPONE Grazia; CARMINE Salerno;CARRAFIELLO Paolo; CIOFFI Alterisio; BARATTOLO
Eustachio;
F) del reato di cui all'art. 110 c.p. ed agli artt. 93 e 95 D.P.R. n°380/2001
per aver eseguito, in concorso tra loro, i lavori indicati al capo A) in zona
sismica senza darne preavviso scritto alto Sportello Unico, omettendo il
contestuale deposito dei progetti presso quest'ultimo Ufficio ed omettendo di
attenersi ai criteri tecnico-descrittivi per le zone sismiche;
Commessi in Montecorvino Rovella in data antecedente e prossima al 7/11/2006.
IN CUI SONO PERSONE OFFESE DAL REATO:
1 Comune di Montecorvino Rovella (SA) in persona del sindaco pro-tempore;
2 Avv. Pasquale SALERNO nato ad Acerno (SA) il 17.11.1948 con studio e residenza
in Montecorvino Rovella (SA) alla via Cavour nr. 172.
FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
A seguito di deposito della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di
Capone Grazia + 4, veniva fissata l’udienza preliminare del 23/2/2010 ove,. alla
presenza di tutti i difensori di fiducia degli imputati, nonchè degli imputati
Salerno C., Carrafiello P. e Cioffi A. e nella contumacia di Capone G. e
Barattolo E., alla presenza altresì della p.o. denunciante, Pasquale Salerno, la
trattazione del procedimento subiva un primo rinvio all'udienza del 4/3/2010. a
seguito di istanza di termini a difesa del difensore di fiducia dell'imputato
Salerno Carmine, in pari data investito di mandato difensivo. Nella successiva
udienza di marzo, su richiesta del difensore, avv. M. Tedesco, e con il
sostanziale accordo del PM e delle altre parti, veniva richiesta integrazione
istruttoria, mediante nomina di perito, al fine di accertare la disciplina
urbanistica in vigore con riferimento alla zona interessata dalle opere oggetto
di contestazione. Il Giudice. dott. Di Nicola, ritenendo di accogliere la
richiesta di integrazione istruttoria ai sensi dell'art. 422 c.p.p., al fine di
accertare dati che potevano rivelarsi determinanti per una pronuncia di non
luogo a procedere, anche alla luce dei rilievi tecnici operati con memorie
scritte depositate in udienza, individuava quale consulente di ufficio l’ing. M.
Romano e disponeva un rinvio della trattazione alla udienza del 13/4/2010, per
il conferimento dell'incarico peritale e la formulazione dei quesiti. In detta
udienza, nella assenza o contumacia degli imputati, alla presenza dell'avv. Rago
- nominato di fiducia per il primo e ultimo imputato – dei sostituti processuali
degli altri difensori e del solo denunciante, P. Salerno, aveva luogo
l’accettazione della nomina, il conferimento dell'incarico peritale e la
formulazione dei quesiti nei termini di cui al verbale di udienza, cui ci si
riporta, vertenti essenzialmente su una indagine relativa agli strumenti
urbanistici e norme di salvaguardia esistenti nel Comune di Montecorvino Rovella,
con specifico riferimento alla zona interessata dai lavori di cui alla
contestazione, e altresì su un vaglio di correttezza tecnica degli esiti della
consulenza disposta dal PM, sulla quale si era costruita la ipotesi accusatoria,
disponendo quindi rinvio della trattazione alla udienza del 1/7/2010. Attesa poi
l'astensione dall’attività giudiziaria dichiarata per tale data, cui i
magistrati dichiaravano di aderire, veniva operato ulteriore rinvio alla data
del 19/10/2010.
Nelle more si aveva quindi il trasferimento ad altro Ufficio del giudice
originariamente titolare del procedimento e I'assegnazione dello stesso a questo
magistrato che, alla indicata udienza, procedeva all’esame del c.t.u. sui
quesiti formulati. Il consulente, dal canto suo, si riportava ai termini della
relazione scritta depositata in atti, evidenziando in sintesi in udienza che, a
suo parere, le opere realizzate – con particolare riguardo al muro di
contenimento a tergo della costruzione- non potevano ritenersi assentibili nè
con permesso a costruire originario, nè con permesso in sanatoria, in quanto
equiparabili a " nuova costruzione " e realizzate in zona cd. bianca in quanto
priva di destinazione urbanistica. A domanda dei difensori e presa visione della
documentazione da questi prodotta, il consulente specificava inoltre che
effettivamente lungo la stessa strada risultavano assentite, nel corso degli
anni, altre opere del tutto similari a quelle oggetto di contestazione.
Indi i difensori di alcuni degli imputati depositavano documentazione ed infine
tutti 1 difensori porgevano le rispettive conclusioni nei termini di cui al
verbale di udienza, cui ci si riporta in questa sede.
Veniva infine disposto un ulteriore breve rinvio, per consentire una replica al
PM, alla udienza del 18/11/2010.
In delta udienza, il PM rinunciava alla richiesta replica e quindi questo
Giudice si ritirava in camera di consiglio per deliberare e dava successivamente
lettura della sentenza di non luogo a procedere nei confronti di tutti gli
imputati, con riserva di successivo deposito della motivazione nel termine di
giorni 45.
Sulla scorta delle emergenze di cui al corredo processuale, questa giudice
perveniva alla determinazione dell’attuale pronuncia di non luogo a procedere
nei confronti degli imputati, per le motivazioni ed argomentazioni di cui
appresso.
Va innanzitutto precisato che agli attuali imputati venivano contestati reati di
falso e abuso, oltre che le connesse violazioni urbanistiche ed edilizie.
In particolare, la Capone Grazia, proprietaria e committente delle opere avrebbe
agito quale istigatrice in primis in concorso con il Barattolo Eustachio,
ingegnere da lei incaricato ed esecutore materiale dei reati , in quanto, in
data 18/5/2010, era stata presentata D.I.A. n. 16675 per la realizzazione di un
muro di sostegno, attestando falsamente (capo A della rubrica) la conformità
dell'intervento agli strumenti urbanistici, laddove la falsità era integrata
dall'aver asseverato che trattavasi di opere assentibili con DIA e che la
destinazione urbanistica dell'area era di tipo B, ossia residenziale, fatto non
vero nella contestazione, in quanto il tipo di intervento realizzato — opere di
sostegno con formazione di rilevato in terra — determinando una modifica
permanente del suolo, era da intendersi come "nuova costruzione” assoggettata
pertanto a permesso a costruire, ed inoltre la destinazione d'uso del suolo
prevista dallo strumento urbanistico era quella di "spazi pubblici a verde
attrezzato" e non quella residenziale.
Ai medesimi imputati, nelle qualità già dette, era contestato l'ulteriore falso
ideologico del capo C) della rubrica, consistito nell'avere presentato, in data
27/6/2006, una istanza di rilascio di permesso a costruire in sanatoria per la
realizzazione del medesimo muro di sostegno nella zona retrostante il manufatto
abitativo, attestando falsamente che la destinazione urbanistica del suolo era
di tipo B, ossia residenziale, fatto non vero in quanto era invece quella di
"spazi pubblici a verde attrezzato" Fatto aggravato dal nesso teleologico con il
reato di cui al successivo capo di imputazione.
La Capone era poi imputata per reati di abuso di ufficio, commessi in concorso
con il responsabile del procedimento amministrativo, Cioffi Alterisio, e con il
responsabile p.t. di Area Tecnica del Comune di Montecorvino Rovella che, nel
novembre 2005, veniva individuato nel Salerno Carmine (capo B) e, nel settembre
2006, nel Carrafiello Paolo (capo D della rubrica), in quanto i tecnici
competenti avrebbero omesso volutamente di prestare la dovuta vigilanza
sull’attività edilizia della Capone, in violazione dei loro doveri di ufficio,
del R.E. e degli artt. 20 e 27 del DPR 380/2001, omettendo in particolare, nel
capo B, di emanare diffida a non effettuare i lavori non assentibili descritti
nella DIA, omettendo altresì di informare l’A.G. delle false attestazioni al
fine di procurare un illecito vantaggio patrimoniale alla Capone e rilasciando
invece alla Capone, nel capo D), il permesso di costruire in sanatoria n.
66/2006, omettendo quindi la dovuta vigilanza sull'attività edilizia ed
edificatoria, consentendole cosi di recintare ad uso proprio un'area altrimenti
destinata ad uso pubblico, ossia a verde e attrezzature pubbliche.
Infine a tutti gli imputati venivano ascritte le violazioni urbanistiche ed
edilizie dei capi E) ed F), in quanto in concorso tra loro, nei rispettivi
ruoli, avrebbero realizzato il muro di sostegno de quo in assenza di permesso a
costruire, in quanto illegittimamente rilasciato e senza darne il preavviso
scritto, nonchè omettendo il deposito dei progetti, al competente Ufficio.
Fatti questi ultimi contestati nel novembre del 2006, ma in realtà commessi
nell'ottobre del 2005. epoca di realizzazione dei lavori de quibus.
Tanto premesso, va doverosamente rimarcato che le imputazioni ascritte agli
attuali imputati si inseriscono in una dibattuta questione amministrativa
attinente sia il regime giuridico applicabile ai muri di
recinzione-contenimento, sia alle cd. Zone bianche
Invero basti ricordare che la vicenda processuale in oggetto originava da
esposto denuncia dell'avv. Pasquale Salerno, proprietario di immobile confinante
con quello della Capone Grazia, il quale, con una serie di denunce, evidenziava
le questioni amministrative in parte poi recepite dal c.t. del Pm e fatte
proprie dall'organo della accusa con la formulazione delle attuali imputazioni.
Risulta quindi in atti informativa dei CC di Montecorvino Rovella del 12/11/2008
con allegati verbali di s.i. rese dagli attuali imputati e documentazione
acquisita presso il Comune.
Da tali atti risulta che la tesi a discarico addotta, sin dalle prime indagini,
dall'imputato Salerno Carmine, coinvolto nei fatti di reato nella qualità di
responsabile dell'area tecnica, era di essersi limitato ad assegnare la pratica
al Cioffi, individuato quale responsabile del procedimento e di essersi quindi
affidato alle sue valutazioni. Il Salerno inoltre evidenziava che, in data
28/4/2006, a seguito di ulteriore DIA presentata dalla Capone, in variante ai
lavori già eseguiti, essendosi reso conto che l'opera prevedeva il contenimento
di terreni, aveva diffidato la richiedente dal dare inizio ai lavori e che, in
seguito a tale diffida, la Capone aveva quindi presentato un'istanza di permesso
in sanatoria. Evidenziava inoltre che, alla data del 28/4/2006, egli non era più
a capo dell'area tecnica, avendo data le dimissioni il 31/3/2006.
Il Carrafiello, dal canto suo, dichiarava di essere subentrato al Salerno quale
capo Area tecnica del Comune per il periodo dal dall’aprile al 30/6/2006 e che
in tale periodo non aveva autorizzato alcun intervento relativo alle opere in
contestazione, essendosi limitato a trasmettere la DIA di variante del 28/4/2006
al responsabile del procedimento, Cioffi A.; quanto invece al suo intervento
nella istruttoria del procedimento, egli aveva avallato la diffida ai lavori del
9/5/2006 e anzi, a fronte della relazione della P.M. di Montecorvino del
4/5/2006, riferita a lavori eseguiti in difformità dalla DIA dell'anno 2005,
egli stesso aveva diffidato il prosieguo dei lavori e comminato la sanzione
amministrativa pecuniaria ai sensi dell'art. 37 del DPR 380/2001 (cfr diffida a
firma del geom. Cioffi e ing. Carrafiello in atti).
Dichiarava infine di essere estraneo ai successivi atti amministrativi adottati,
ivi inclusi quelli di cui alla incolpazione del capo D), non ricoprendo più alla
data del 13/9/2006 — il ruolo di capo area tecnica.
Il Barattolo invece, quale ingegnere e consulente della committente, dichiarava
che la recinzione che circonda lo stabile della Capone ricadeva in parte in zona
omogenea B e in parte in zona classificata quale “verde attrezzato”, ma per
quanto attiene il vincolo imposto su quest'ultima parte, risalendo lo stesso ad
oltre 30 anni prima, esso era da ritenersi decaduto, onde le opere realizzate
dovevano ritenersi regolarmente eseguite . Egli dichiarava anche che, per quanto
attiene la mancata acquisizione del parere della Provincia, trattandosi di
strada consegnata dall'ANAS al Comune nell'anno 1999, essa era da ritenersi di
competenza comunale, onde non era richiesto alcun parere o nulla osta
provinciale e infine dichiarava che, trattandosi di muro di sostegno, le
prescrizioni della normativa vigente erano state regolarmente rispettate con il
deposito dei calcoli strutturali agli uffici del Genio civile e regolare
collaudo delle opere e riferiva ancora che, per il livellamento del terreno
adiacente al muro di sostegno, era stato presentata una richiesta di permesso di
costruire in sanatoria a seguito della emissione di ordinanza di sospensione dei
lavori e diffida alla prosecuzione delle opere, mentre solo successivamente era
stata presentata un ulteriore DIA di variante di assestamento.
Effettivamente – si osserva - risultano acquisiti in atti il certificato di
collaudo statico recante il depositato presso gli Uffici del Genio civile (cfr
deposito del 13/6/2007 n. prat. 0530835), circostanza questa sulla quale si
fonda, con riferimento alla condotta di reato di cui al capo F), la pronuncia di
non luogo a procedere per insussistenza dei fatti di reato ascritti a tutti gli
imputati .
La tesi dell'ing. Barattolo veniva sostenuta anche dal geom. Cioffi,
responsabile del procedimento. il quale, in sede di s.i., ribadiva la tesi della
intervenuta decadenza del vincolo di "verde attrezzato" imposto sul terreno de
quo, essendo decorsi oltre 30 anni dalla approvazione del P.d.F., vincolo che
comunque avrebbe impedito la edificazione e non la recinzione e confermava
altresì la non necessità del parere della Provincia, atteso che la strada
prospiciente il fabbricato era stata consegnata al Comune (cfr. documentazione
allegata inerente tali circostanze )
Il c.t. del Pm, nella relazione depositata in atti, svolgeva quindi le sue
osservazioni, fondanti le incolpazioni a carico degli attuali imputati nei
termini di cui appresso:
quanto alla descrizione delle opere eseguite in proprietà Capone, osservava che
le opere consistevano nella realizzazione di muri in c.a. lungo i lati
nord-est-sud del lotto... più in dettaglio i muri ad est e sud, quest’ultimo
realizzato lungo il confine con proprietà Salerno, erano stati eseguiti a
sostegno di un terrapieno ottenuto mediante riporto di terreno a tergo degli
stessi, cosicchè essi si trovavano a svolgere funzione di contenimento e
sostegno delle terre...su un fronte di circa 25 mt e altezza variabile da 2,80 a
1,75 mt...inoltre il terreno antistante il fabbricato era interessato da opere
di terrazzamento realizzate anch'esse mediante esecuzione di muri in c.a. e
sistemazione a verde..., il tutto come da allegata documentazione fotografica
che ritraeva sia lo stato dei luoghi antecedente, sia quello successivo.
Il c.t. proseguiva evidenziando che lo strumento urbanistico ancora oggi in
vigore nel Comune interessato è il P.d.F., essendo stato adottato ma non ancora
approvato il P.R.G.
La particella interessata ai lavori de quibus risultava classificata dal vigente
P.d.F. come zona omogenea B2 per circa 720 mq e, per rimanenti 500 mq – in cui
rientrano i lavori edili di recinzione e sistemazione , come "spazi pubblici a
verde attrezzato e non " , per i quali lo strumento prevede che sono consentite
solo attrezzature pubbliche inerenti al carattere di zona.
Seguiva quindi la ricostruzione dei titoli abilitativi e relativi procedimenti
amministrativi interessanti il lotto in questione, sia con riferimento alla casa
per civile abitazione della Capone, sia alle residue opere realizzate, ivi
compresi i muri di recinzione e contenimento di cui alla contestazione.
Con riguardo a questi ultimi, il c.t. evidenziava che, dal momento che detti
muri non svolgevano solo il ruolo di recinzione ma anche quello di contenimento
del terreno a tergo, con conseguente modifica permanente dello stato dei
luoghi,detta attività andava individuata come nuova costruzione ai sensi
dell'art. 10 del DPR 380/2001 . Oltre a ciò, il c.t. osservava come il
progettista non avesse correttamente individuato la zona oggetto di intervento,
contrassegnando nei grafici una zona adiacente a quella effettiva e
descrivendola come zona omogenea di tipo B anzicchè come zona destinata a spazi
pubblici e verde attrezzato secondo le previsioni del P.d.F. ovvero come area a
verde privato secondo le previsioni del P.R.G....
Nonostante questo – osserva il c.t. – la DIA presentata il 18/10/2005 non veniva
diffidata nei 30 gg., e acquisiva validità e anzi, in data 28/4/2006, veniva
presentata una ulteriore DIA in variante alla precedente, a seguito della quale
tuttavia, svolta l’attività istruttoria tecnica e amministrativa, veniva emessa
diffida a iniziare i lavori in quanto il tecnico si era reso conto della
funzione di contenimento dei muri realizzati, ma ancora una volta al tecnico
sfuggiva l’errore di individuazione nella classificazione della destinazione
dell’area ... Infine, a seguito di accertamenti della P.M in data 4/5/2006,
emergevano le difformità della DIA e quindi la Capone presentava istanza di
permesso a costruire in sanatoria per lavori già eseguiti, ai sensi dell'art. 36
l.cit, sempre sul presupposto che l'opera ricadesse in zona B2. Seguiva quindi
il permesso a costruire in sanatoria e poi nuovi accertamenti che registravano
ulteriori difformità e quindi la presentazione in data 18/12/2006 di una
ulteriore DIA in sanatoria per variante in corso d'opera, laddove invece -
sostiene il c.t.- essendo stata emessa una ordinanza di sospensione dei lavori
per difformità edilizie. andava richiesto un nuovo permesso a costruire in
sanatoria ex art. 36, previo versamento di oblazione .
Il Ct ribadiva infine le violazioni poi trasfuse nel capo F) della rubrica,
ossia il mancato deposito agli Uffici del Genio civile del progetto e dei
calcoli strutturali e l'errata individuazione dell'area di sedime del lotto e
della zonizzazione prevista dal vigente strumento urbanistico.
La tesi del c.t. dell’accusa riceveva contestazioni a mezzo di consulenze di
parte – allegate a memorie difensive depositate alla udienza del 1/7/2010 -
nelle quali, in sostanza, si eccepiva sia l'intervenuta decadenza del vincolo di
verde attrezzato sull'area de qua, affermando che la Capone in realtà aveva
realizzato opere di verde privato, sia la circostanza che le opere realizzate
dalla Capone risultavano essere del tutto similari a quelle realizzate in una
serie di fabbricati posizionati sulla stessa strada, ivi incluso quello del
denunciante.
Si sosteneva dunque che, a seguito della decadenza del vincolo, l'area avrebbe
ripreso automaticamente lo jus aedificandi inerente il diritto del proprietario.
Inoltre si osservava che, pur volendo accedere alla tesi per cui, in mancanza di
norme di salvaguardia, la mancata rinnovazione dei vincoli decaduti avrebbe
determinato la individuazione della zona quale "zona bianca", in una tale zona i
muri realizzati, sulla scorta delle norme richiamate in consulenza, potevano
esserlo sulla base di una semplice DIA .
Tali argomentazioni venivano ulteriormente argomentate e sostenute con ulteriore
materiale documentale a discarico, che veniva prodotto e allegato agli atti.
Alla luce di tali discordanti valutazioni tecniche e amministrative il Giudice
procedente opportunamente disponeva integrazioni istruttorie a mezzo della
nomina del c.t. di ufficio , ing. Romano, il quale operava una complessiva
rivalutazione della vicenda nei termini appresso riportati.
In particolare. quanto ai procedimenti amministrativi esperiti e elle opere
effettivamente realizzate, il c.t.u. li riassumeva nei termini di cui appresso:
...le opere eseguite della sig.ra Capone Grazia in località Ponte Mileo del
Comune di Montecorvino Rovella, sul suolo ubicato al foglio n. 15, particella
n.9, in dipendenza dei vari provvedimenti tecnico amministrativi rilasciati
dall'Amministrazione Comunale sotto le seguenti:
- Concessione edilizia n. 19/99 del 27.05.1999: costruzione di un fabbricato per
civile abitazione, con prescrizioni;
- Dichiarazione di Inizio Attività del 18.10.2005: recinzione della porzione di
fondo circostante il fabbricato assentito con la concessione edilizia n. 19/99,
mediante la realizzazione di un muro in c.a., di altezza massima mt 3.00 e
sovrastante recinzione metallica di altezza mt 1.50; realizzazione dell’acceso
principale al piazzale antistante il fabbricato ed il garage, mediante cancello
automatico; sistemazione del terreno antistante il fabbricato, da destinare
parte a giardino ornamentale e parte a stradine di accesso. E' da riferire che
dal grafico allegato alla documentazione progettuale, sezione A-A, si evince che
a tergo del muro di recinzione veniva previsto di realizzare un terrapieno, di
altezza pari a mt. 3.00;
- Dichiarazione di Inizio Attività del 28.04.2006: la D.I.A. era in variante
alla D.I.A. del 18.10.2005 e prevedeva la realizzazione di una diversa
ubicazione dell'accesso principale al piazzale antistante il fabbricato ed il
garage; la sistemazione nella zona retrostante il muro prospiciente la strada
provinciale di n. 3 serbatoi interrati per la raccolta delle acque piovane, da
utilizzare per l'irrigazione, completamente interrati. Tale D.I.A. non aveva
però seguito a causa della diffida inoltrata dall'U.T.C. in data 09.05.2006,
nota n. 6855, sia per carenza documentale, sia perchè l'Ufficio riscontrava che
la realizzazione dei muri si configurava come esecuzione di muri di sostegno e
non di recinzione, con considerevole riporto di terreno per livellamento
piazzale, per cui. secondo I'Ufficio. l’opera era da assoggettare al regime del
Permesso di Costruire (attribuendo indirettamente all'intervento la qualifica di
nuova costruzione). In verità, la funzione del muro, almeno quello prospiciente
la strada ex provinciale. come muro di sostegno per il terrapieno di
livellamento del piazzale e dei giardini, era già manifesta nella D.I.A. del
18.10.2005.
- P.d.C. n. 66/2006 del 27.06.2006: In data 27.04.2006, la Polizia Municipale
del Comune di Montecorvino Rovella, nelle persone del C.te Donato Salvato, del
V.le Luigi Aitoro e del Brigadiere Angelo Pizzuti, accertava l'esecuzione di
lavori in difformità della D.I.A. del 18.05.2005. Tali difformità,
sostanzialmente, riguardavano una diversa ubicazione del varco di accesso alla
proprietà della strada ex provinciale, e una maggiore altezza del muro ubicato
sul confine lato sud- ovest. In data 11.05.2006, pertanto veniva irrogata la
sanzione amministrativa pecuniaria di € 516,00, oltre a diffida al proseguimento
dei lavori, con atto n. 7033 dell'Ing. Carrafiello quale Capo Area Tecnica del
Comune di Montecorvino Rovella. In data 13.093.2006 veniva presentata, ai sensi
dell'articolo 10 e dell'articolo 36 del D.P.R. 380/2001, una richiesta di
variante ed accertamento di conformità. con la quale, oltre a sanare le opere
oggetto di sanzione pecuniaria, già realizzate, si richiedeva di poter apportare
alcune modifiche alla D.I.A. del 18.10.2005, afferenti una diversa sistemazione
del terreno antistante il fabbricato (prospetto frontale), da destinare a
giardino ed a zona di accesso al fabbricato ed una diversa realizzazione dei
muri di recinzione. In particolare, la sistemazione a terrazzamenti dei livelli
esistenti, prevedeva la realizzazione di un terrapieno, di altezza variabile da
mt 1.50, in prossimità del varco di accesso al fabbricato, ad un'altezza di mt
2.95, in prossimità del confine con la proprietà Salerno- Pinto. Veniva inoltre
prevista la realizzazione dei tre serbatoi interrati, già richiesta con la
D.I.A. del 28.04.2006, che non aveva avuto seguito. L'istanza risultava oggetto
di P.d.C. ( o, per meglio dire, accertamento di conformità ex articolo 36 del
D.P.R. 380/2001 e P.d.C. per opere ulteriori) n. 66/2006 in data 13.09.2006, a
firma del Dirigente dell'Ufficio tecnico — Area II. Il ricorso all'articolo 36
del D.P.R. 380/2001 ( e comunque il rilascio di P.d.C.) stava ad indicare che
I'Ufficio aveva riscontrato, nell’opera proposta, i caratteri di nuova
costruzione, second() quanto previsto dall'articolo 10 del D.P.R. 380/2001.
- Dichiarazione di Inizio Attività del 18.12.2006 — La D.I.A. veniva presentata
in variante al P.d.C. n. 66/2006, per recepire la realizzazione di alcuni muri
di contenimento dei terrazzamenti, una diversa sistemazione dei terrazzamenti
assentiti, ed infine una diversa altezza dei muri. In particolare, il muro
prospiciente la strada ex provinciale risultava avere una quota di mt 3.18,
rispetto alla sede stradale e mt 2.83 rispetto alla quota cordolo ANAS, per poi
degradare fino ad 1.60 m fino al varco di accesso al fabbricato. Essa era
conseguente ad un ordine di sospensione dei lavori, emesso dall'Ufficio, a
seguito del riscontro di tali difformità. Tale D.I.A., singolarmente, non veniva
ne proposta, nè ammessa, come accertamento di conformità ex articolo 37 el
D.P.R. 380/2001, pur essendo le opere in essa indicate già eseguite.
In definitiva. le opere oggetto delle vane procedure tecnico-amministrative
sopra elencate hanno riguardato:
- la realizzazione di muri di cinta e recinzione, con funzione di muri di
sostegno del terreno retrostante, lungo la strada ex provinciale, e lungo il
confine con la proprietà Salerno- Pinto, lato Sud-Ovest, dell'altezza massima di
circa mt 3.00;
- la realizzazione di muretti di contenimento dei terrazzamenti del piazzale
retrostante la recinzione, con alcune scalette di accesso;
- la sistemazione del terreno antistante il fabbricato di cui alla concessione
edilizia n.19/1999, in parte a giardino ornamentale ed in parte a piazzale di
accesso alla case, con varco nella recinzione mediante cancello. La sistemazione
del giardino richiedeva il livellamento del pendio naturale del fondo.
- la sistemazione di n. 3 vasche interrate in cemento, per irrigazione.
QUANTO ALLE PREVISIONI DELLO STRUMENTO URBANISTICO DEL COMUNE DI MONTECO VINO
ROVELLA , SI OSSERVAVA:
… il Comune di Montecorvino Rovella non è dotato, alto stato attuale di Piano
Regolatore Generale o Piano Urbano Comunale, ex lege regionale n. 16/2004, ma
unicamente di Programma di Fabbricazione. approvato con Decreto del Presidente
della Giunta Regionale della Campania n. 2065 del 29.07.1978.
Risulta altresì vigente il Regolamento Edilizio, approvato dal Presidente della
Provincia di Salerno con decreto n. 29134 in data 18.07.2003, pubblicato sul
B.U.R.C. n. 37 dell' 11.08.2003.
Il territorio comunale rientra nell'ambito del Bacino Regionale Destra Sele,
giusta L.R. 07.02.1994,n.8 ed interessato dal Piano Stralcio dell'Autorità di
Bacino Destra Sele, pubblicato sul B.U.R.C. n. 51 del 28.10.2002. In data
27.02.2003, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 3, veniva adottato il
Piano Regolatore Generale. Tale Piano veniva approvato con prescrizioni della
Amministrazione Provinciale di Salerno con deliberazione consiliare n. 13 del
03.04.2007 e successivamente lo strumento urbanistico veniva trasmesso alla
Regione Campania per il controllo di conformità di cui alla Legge Regionale
20.03.1982, n. 14, Tit.II, paragrafo 5. La Regione Campania, con relazione
istruttoria n. 674958 del 10.10.2007 del Servizio Piani Comunali del Settore
Urbanistico, concludeva ritenendo che iI P.R.G. del Comune di Montecorvino
RoveIla potesse essere ammesso al visto di conformità.. con le condizioni
riportate nell'atto istruttorio.
La portata delle prescrizioni impartite dalla Regione Campania risultava però
tale, secondo l'Amministrazione Comunale, che il Comune non si adeguava alle
stesse, ritenendole stravolgenti dello strumento urbanistico adottato, sicchè
procedeva a dichiararne la decadenza ed a avviare la procedura per la redazione
di un nuovo strumento urbanistico ( Piano Urbanistico Comunale) in osservanza
della subentrata Legge Regionale n. 16/2004. Attualmente la redazione del P.U.C.
è ancora in itinere, sicchè, allo stato attuale, l'unico strumento urbanistico
vigente e II P.d.F.. corredato dal Regolamento Edilizio.
Ciò stante, per quanto di interesse, è da riferire che dalla data del 27.02.2003
e fino alla data del 26.02.2006. risultavano vigenti le norme di salvaguardia.
in relazione all'adozione del P.R.G.. poi decaduto1
Per quanto di interesse, l'area interessata dai lavori edili oggetto di causa,
consistenti in opere di recinzione e sistemazione del lotto, distinto in catasto
terreni al foglio n.15, mappale n. 9, risulta avere la seguente destinazione
d'uso secondo il Programma di Fabbricazione tuttora vigente:
- parte in zona B2 – residenziale di completamento con indice di fabbricabilità
fondiaria mc/mq 3.00. distacco dai confini ml 5.00 e dai fabbricati ml 10.00, ed
in rapporto all'altezza rispettivamente 1/2 e 1/1, con altezza massima mt 14.00.
Come si evince dal calcolo delle superfici allegato alla Concessione Edilizia n.
19/1999. a firma del progettista architetto Maria Carmela Turco, la zone B2
avrebbe un'estensione di mq 720. a forma pressoché rettangolare di larghezza
media mt 34.50 e profondità media mt 21.00;
- parte in area vincolata dal Piano di Fabbricazione a Spazi Pubblici e verde
attrezzato e non. dell'estensione di mq 500, a forma pressoché rettangolare, con
larghezza pari a mt 35.00 e profondità di circa mt 14.00.
Circa la natura urbanistica dell'area destinata a spazi pubblici, verde
attrezzato e non, come da Programma di Fabbricazione, si ritiene prioritario
definire la natura del vincolo imposto alla proprietà da tale destinazione
prevista dal P.d.F.
Preliminarmente, si osserva che della Tabella dei Tipi edilizi, allegata al
P.d.F. ( AII.4), la zona in questione non è individuata come una zona omogenea,
ex art. 2 del D.M. 1444/1968, che nella fattispecie avrebbe dovuto coincidere
con la Zona F –parte del territorio destinata ad attrezzature ed impianti di
interesse generale. Essa invece indicata con la lettera P e nelle relative norme
di legge l'indicazione: (sono consentite solo attrezzature pubbliche inerenti al
carattere di zona. Valgono le norme di zona omogenea cui l'attrezzatura si
riferisce. Appare incontrovertibile a chi scrive che il P.d.F. vigente nel
Comune di Montecorvino Rovella non attribuisca pertanto alle zone P un carattere
di zona omogenea, ai sensi del citato D.M. 1444/1968, bensì un vincolo di
destinazione ad attrezzatura, quale pertinenza dell'area omogenea di
riferimento, nella fattispecie Zona B. sottozona B2. Da ciò discende, secondo
questo perito, che il carattere del vincolo imposto sull'area in questione non
sia di natura conformativa, bensì di natura espropriativa e quindi ablativa.
Si ritiene cioè che la destinazione ad attrezzature di servizio pubblico ( come
da definizione del P.d.F. supra riportata), costituisca un vincolo ablatorio, di
localizzazione e non di zonizzazione, ed in quanto tale, sia venuto meno alla
scadenza del termine quinquennale di efficacia del vincolo, di cui all'articolo
2, legge 19.11.1968, n. 1187, come peraltro previsto dalla Legge Regione
Campania n. 16/2004. articolo 38. comma I.
Il vincolo, infatti, come è noto, ha la durata di 5 anni da quando diventa
efficace lo strumento di apposizione ( giusta il disposto dell'articolo 2 della
Legge 1187/1968)2 ed entro tale termine può essere emanato, come .statuisce il
comma 2 dell'art. 9 del D.P.R. 327/2001, il provvedimento che comporta la
dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.
Appare pertanto indiscutibile che. poiché nel lasso di 5 anni dalla data di
approvazione del P.d.F. l'area di sedime destinata ad attrezzature pubbliche.
ricadente all'interno della particella n. 9 del foglio 15, non era stata
espropriata per la realizzazione delle attrezzature pubbliche, la relativa
indicazione del P.d.F., in merito all'apposizione di vincolo su tale area
preordinato all'espropriazione ed alla inedificabilità, aveva perso la sua
efficacia.
Ciò stante, alla decadenza del vincolo, a norma de!l'articolo 7 della legge n.
1150 del 1942, come sostituito dall'articolo 1 della legge n. 1187 del 1968,
sussisteva l'obbligo per il Comune di pianificare urbanisticamente tale area,
mediante una variante allo strumento urbanistico, o per meglio dire
un'integrazione, in modo da determinare quali norme di pianificazione fossero da
attribuire alla zona non pianificata. Tale obbligo non ha normativamente,
termini precisi, anche se i principi di imparzialità e buona amministrazione
imporrebbero un carattere di tempestività.
Di fatto. il Comune di Montecorvino Rovella ottemperava a tale obbligo,anche se
tardivamente, con l'adozione del P.R.G., intervenuta in data 27.02.2003, con
deliberazione di C.C. n.3.
Con il nuovo strumento urbanistico, l’area destinata ad attrezzature pubbliche,
di riferimento per la zona omogenea B2, veniva destinata a Zona Territoriale
Omogenea G4, verde privato (All.5).
Dalle norme di attuazione del P.U.C. (All. 6) si evince che tale area risultava
inedificabile. Su di essa erano consentiti solo interventi di manutenzione
ordinaria e straordinaria degli edifici esistenti, e come pertinenza esclusiva
delle abitazioni, potevano essere costruiti impianti per la pratica sportiva ad
uso privato senza volumetrie, annessi alle abitazioni ( forni, depositi,
lavanderie ecc.) per una superficie coperta massima di mq 6.00 ed un'altezza
utile di mt 2.40. In definitiva, le prescrizioni previste dal P.U.C. per la zona
omogenea G4 ( verde privato) appaiono trasformare il vincolo esistente da
ablatorio a conformativo, consentendo un minimo di edificazione, ancorchè non a
titolo residenziale3
La prescrizione del nuovo strumento urbanistico, ovviamente, avrebbe assume
piena efficacia, con la sostituzione e l'abrogazione delle precedenti norme
urbanistiche, solo con I'approvazione formale della stessa ( mai intervenuta,
per quanto in precedenza riferito), mentre, nel transitorio, vigevano le norme
di salvaguardia di cui alla legge 1902/1952 e alla Legge Regione Campania n.
16/2004, con la conseguenza che, per il lasso di tempo di tre anni dalla data di
adozione dello strumento urbanistico ( comma 2, articolo 10, L.R. Campania n.
16/2004), le edificazioni richieste dovevano essere conformi al P.d.F vigente e
non in contrasto con il P.R.G. adottato.
Circa il vincolo, sancito dal P.d.F., sull’area, di localizzazione delle
attrezzature pubbliche, nel periodo di vigenza delle norme di salvaguardia del
P.R.G. adottato ( ed all’attualità, atteso che il P.R.G. non è stato approvato)
è da riferire che esso risultava decaduto, a norma del gin citato articolo 2
della Legge 1187/1968, ma, al contempo, la suddetta area non aveva nemmeno
acquisito la nuova destinazione prevista dal P.R.G.
In tale lasso temporale, quindi, l'area in oggetto risultava priva di
pianificazione urbanistica ( in gergo tecnico, la stessa viene definita come
zona bianca) , ma, ovviamente, non pub essere considerata giuridicamente
inesistente.
La disciplina delle aree prive di pianificazione urbanistica, come è noto, è
dettata sia dalla legge nazionale che da quella regionale. Secondo il testo
unico dell'edilizia n. 380/2001, articolo 9, nei comuni sprovvisti di strumenti
urbanistici, e quindi nelle aree prive di pianificazione urbanistica, assimilate
a tale condizione, sono consentiti, nei centri abitati,4 interventi di
manutenzione e restauro delle costruzioni esistenti. La norma nazionale fa pere
salvi i limiti più restrittivi fissati dalle leggi regionali, come sancito
all'articolo 9 del citato D.P.R. 380/2001.
In Regione Campania, vige la Legge 16/2004, che all'articolo 38, comma 3,
recita:
A seguito della scadenza dei vincoli di cui al comma 1 si applicano nelle zone
interessate, i limiti di edificabilità previsti della legge regionale 20 marzo
1982, n.17.
I vincoli di cui al comma 1, sono individuati dal predetto testo normativo, che
recita:
1. Le previsioni del PUC ( o PRG, o P.d.F.) nella parte in cui incidono su beni
determinati e assoggettano beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione
o a vincoli che comportano l’inedificabilità, perdono efficacia se, entro cinque
anni dalla data di approvazione del PUC, non é stato emanato il provvedimento
che comporta la dichiarazione di pubblica utilità.
In definitiva, quindi, il disposto coordinato dei commi 1 e 3 dell'articolo 38
della Legge Regionale n. 1612004 e dell'articolo 9 del D.P.R. 380/2001,
chiarisce e norma che:
alla scadenza del vincolo preordinato all'esproprio, imposto dal P.d.F., Ia
destinazione urbanistica prevista dal P.d.F. medesimo perde di efficacia, e la
zona diventa priva di pianificazione urbanistica ( c.d. zona bianca):
il regime edificatorio di tale area è assoggettato, giusta comma 3 dell'articolo
38 della L.R. Campania n. 16/2004, e comma 1 dell'articolo 9 del D.P.R.
380/2001, ai limiti di edificabilità previsti dalla Legge Regione Campania n. 17
del 20.03.1982, per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici.
In pratica, la potenzialità edificatoria delle zone bianche viene assimilata.
dalla Legge Regione Campania n. 16/2004, a quella delle area dei Comuni
sprovvisti di strumento urbanistico
La Legge Regione Campania n. 17 del 20.03.1982, all'articolo 4, recita:
ARTICOLO 4
Limiti di edificabilità
Nei Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici approvati:
a) all' interno dei centri abitati, definiti ai sensi del precedente art. 3. e
vietato ogni intervento
edilizio, ad eccezione delle opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, di
restauro,
di risanamento conservativo e di ristrutturazione, che non comportino aumento
delle volumetrie e delle superfici utili preesistenti;
b) all' esterno dei centri abitati, definiti ai sensi del precedente art. 3,
l’edificazione a scopo
residenziale è soggetta alla limitazione di metri cubi 0,03 per ogni metro
quadrato di area
edificabile; per le opere strettamente accessorie all'attività agricola è
consentito un indice di fabbricabilità aggiuntivo pari a 0.07 me mq; in questo
caso il rilascio della concessione edilizia è subordinato alla trascrizione, a
cura del concessionario,di un atto che vincoli all' attività agricola la
destinazione dei fabbricati in progetto.
Salva l’applicazione obbligatoria delle misure di salvaguardia, di cui alla
legge 3 novembre 1952, n. 1902 e successive modificazioni e integrazioni, le
limitazioni che precedono hanno efficacia fino alla data di entrata in vigore
del Piano Regolatore generale, da adottare ai sensi dell' art. 1 della presente
legge, e non si applicano nei confronti degli intervenuti volti alla
realizzazione di edifici e strutture pubbliche, o opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, di programmi per edilizia residenziale pubblica,nonchè
dei piani e degli interventi previsti dalla legge statale 17 maggio 1981, n.
219.
Le superfici coperte degli edifici o dei complessi produttivi non possono
superare un ottavo dell' area di proprietà . In ogni caso per le opera di
interesse pubblico di cui all' art. 16 della legge 6 agosto 1967, n. 765,
esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, a consentita la
realizzazione del sottosuolo di opere accessorie (quali garage, sala convegno,
ristorante, etc.), purchè completamente interrate e di attrezzature
complementari (quali piscine, campi da gioco e simili),purchè non comportino I'
aggiunta di nuovi volumi.
Per i Comuni di cui al I comma del presente articolo, i quali abbiano adottato e
trasmesso per I' approvazione lo strumento urbanistico generale, trascorso un
anno dall' entrata in vigore della presente legge, o fino all' approvazione
dello stesso, la concessione o l’autorizzazione edilizia è soggetta alle
limitazioni di cui all' art. 17, commi I, II e III della legge 6 agosto 1967, n.
765, purchè non in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico
adottato.
Per i piani già presentati alla data di entrata in vigore delta presente legge,
il termine di cui al comma precedente decorre dalla stessa data.
Ciò; stante. dalla lettura della norma, si evince che, nelle aree prive di
pianificazione urbanistica, ubicate all'interno dei centri abitati, risultano
ammessi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, ovvero di
ristrutturazione, che avvengano senza incremento di volume o di superficie.
In definitiva, è convinzione di questo perito, che:
alla scadenza quinquennale del vincolo di esproprio e di inedificabilità
gravante sulla porzione di particella n. 9, foglio 15, del Comune di
Montecorvino Rovella, destinata dal P.d.F. approvato in data 29.07.1978 a
attrezzature pubbliche, le prescrizioni di destinazione operanti in forza del
citato strumento urbanistico, avevano perso efficacia, a norma dell'articolo 2
della Legge 1187/1968 e dell'articolo 38, 1° comma della Legge Regionale della
Campania n. 16/2004;
in conseguenza della perdita di efficacia di tale normazione urbanistica, I'area
in questione veniva a essere priva di pianificazione urbanistica e diveniva
pertanto zona bianca, per la quale vigevano i limiti di edificabilità previsti
dalla normativa nazionale e regionale, per i Comuni sprovvisti di strumento
urbanistico;
tale area, priva di pianificazione urbanistica, vedeva quindi limitata la sua
capacita edificatoria, in ragione delle norme nazionali e regionali, fino
all'approvazione della nuova destinazione urbanistica;
sul Comune pendeva obbligo di procedere alla nuova pianificazione urbanistica
dell'area in questione, obbligo che il Comune assolveva con l'adozione del
P.R.G., di cui alla Delibera di Consiglio Comunale n. 03 del 27.02.2003. in
ragione della quale, il vincolo ablatorio insistente su tale area veniva
trasformato in vincolo conformativo, modificando l' area stessa in zona G4,
destinata a verde privato, e suscettibile di una minima capacità edificatoria.
pertinenziale rispetto alle abitazioni esistenti. Tale destinazione non diveniva
però efficace a seguito della mancata approvazione del P.R.G.
sulla base delle limitazioni imposte dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo
4 della Legge Regionale n. 17/1983, gli interventi ammessi sulla particella n.
9, nella parte destinata originariamente a attrezzature pubbliche, risultavano
essere quelli di manutenzione ordinaria , straordinaria e ristrutturazione, con
esclusione di interventi di nuova edificazione;
parimenti, anche a norma dell'articolo 9, comma 1, sulla predetta area potevano
essere eseguiti solo interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e
restauro e risanamento conservativo, con esclusione degli interventi di nuova
costruzione, nell'accezione di cui alla lettera e) dell'articolo 3 , comma I del
D.P.R. 380/2001
Come si è avuto modo di riferire in precedenza, il territorio comunale di
Montecorvino Rovella, ricade inoltre nella disciplina normativa del piano
stralcio per l'assetto idrogeologico, redatto dall'Autorità di Bacino regionale
Destra Sele. Nei Piano Stralcio per l’assetto idrogeologico, adottato
dall'Autorità di Bacino Regionale Destra Sele, e pubblicato sul B.U.R.C. n. 51
del 28.10.2002, l'area in questione non è però classificata nè come zona di
pericolosità frana, nè a rischio frana, cosi come si evince dalle seguenti
planimetrie tratte dal sito Internet dell' Autorità di Bacino Regionale Destra
Sele, ( cartografia 1:5000) indicanti le zone a pericolosità frana e a rischio
frana ( in bianco sono le zone non soggette a pericolosità frane e a rischio
frane).
La precisazione si rende necessaria in quanto nella documentazione a corredo
della D.I.A. n. 16675 del 18.10.2005 ( Allegato VI alla Consulenza del P.M.) ,
l'area in questione viene indicata come area a pericolosità P3 e a rischio
elevato R3, per cui alla documentazione a corredo veniva allegata dalla sig.ra
Capone Grazia uno studio di compatibilità geologica, a firma del dott. geologo
Antonio Senese, redatto a norma degli artt. 25 e 41 della Disciplina Normativa
per il Piano Stralcio per l’assetto Idrogeologico, mentre lo stesso Comune di
Montecorvino Rovella, nella nota datata 07.11.2006, prot. n. 1184 ( Allegato VI
alla Consulenza del P.M.), indica per la zona in questione un grado di
pericolosita P2.
Secondo il citato Piano di Bacino, la definizione delle aree a rischio P3, P2 e
R3, risulta essere la seguente:- area a pericolosità elevata P3, ovvero un'unita
territoriale priva di franosità attiva o quiescente, ma caratterizzata da
fattori predisponenti alla genesi di fenomeni franosi e/o evolutivi con
intensità e magnitudo elevata, nonchè franosità attiva o quiescente con segni di
riattivazione recenti ( di epoca storica), comprensivo dell'ambito morfologico
della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da : zona di
alimentazione/ rialimentazione, d'innesco, di transito e di ampliamento di frana
con massima intensità reale o attesa bassa; aree a pericolosita P2 , ovvero
un’unità territoriale caratterizzata da fattori predisponenti alla genesi di
fenomeni franosi e/o evolutivi caratterizzati da intensità bassa o da intensità
elevata, ma magnitudo media, nonchè franosità attiva o quiescente, con evidenza
di riattivazioni recenti ( di epoca storica), comprensivo dell'ambito
morfologico della zona di frana in atto e/o quiescente, costituito da: zona di
alimentazione/rialimentazione, d'innesco, di transito e di ampliamento di frana
con massima intensità reale o in attesa bassa; - area rischio elevato R3, ovvero
aree per le quali sono possibili problemi per l'incolumità delle persone, danni
funzionali agli edifici ed alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli
stessi, l'interruzione delle attività socio economiche e danni rilevanti al
patrimonio ambientale.
In ogni caso, la questione assume valenza solo formale, ma non sostanziale, per
quanta attiene ai fatti per cui è causa. infatti, anche nell'ipotesi che l'area
in questione ricada effettivamente in Zona R3, come desunto dal dott. Senese, in
relazione ad una cartografia di dettaglio delle planimetrie 1:25.000, non
ufficialmente disponibile sul sito dell'Autorità di Bacino ( anzi difforme da
quella ivi pubblicata), I'intervento proposto dalla sig.ra Capone. e relativo
alla sistemazione esterna del lotto, mediante muri di recinzione, di
contenimento, sistemazione a terrazzamenti ecc., risulterebbe compatibile con la
Disciplina Normativa di cui alla delibera del Comitato Istituzionale n. 80 del
17.10.2002, aggiornata a seguito delle modifiche interpretative adottate dal
Comitato Istituzionale con delibera n. 18 del 14.03.2003. L'articolo 25 di tale
testo normativo, infatti, recante Interventi consentiti nelle aree a rischio
elevato da frana ( R3), prevede, nel rimandare all'articolo 23 del medesimo
testo, la possibilità di realizzare (articolo 23- comma 1- lettera f) gli
interventi di sistemazione e manutenzione di superficie scoperte di edifici
esistenti, con l’obbligo di redigere uno studio di compatibilità geologica
asseverato, come di fatto operato nel caso in esame, con il documento redatto
dal dott. Senese.
Infine, l'area interessata dai lavori confina con la ex strada statale 164.
attualmente Strada Provinciale n. 164. Tale strada, a norma dell'articolo 2,
comma 7 del C.d.S. – D. Lgs. 285-30.04.1992, in data 25.05.1999, veniva
consegnata dall'ANAS al Comune di Montecorvino Rovella. nella persona dell'Ing.
Vece Giuseppe, rappresentante del Comune di Montecorvino Rovella. delegato dal
Sindaco. Tale strada, pertanto, alla data dei lavori che interessano. ed
all’attualità. risultava e risulta essere di proprietà comunale5
Ai sensi del comma 4 e del comma 5 dell'articolo 28 del D.P.R. 16.12.1992, n.495
( Regolamento di Attuazione del Codice della Strada), per la strada in
questione, intesa come strada extra urbana secondaria di tipo "C". interna al
centro abitato, non sono stabilite distanze minime dal confine stradale, ai fini
della sicurezza della circolazione. per la costruzione di muri di cinta di
qualsiasi natura e consistenza, laterali alla sede stradale. Ciò stante, nessun
vincolo gravava. in dipendenza dell’adiacenza del lotto alla strada. sull'area
oggetto dell'edificazione in questione.
Il perito argomentava quindi :
Appare a chi scrive che sia la normativa nazionale, che la normativa regionale e
quella locale ( dettata dallo strumento urbanistico) siano concordi nel ritenere
che la realizzazione di recinzioni e muri di cinta possa intervenire mediante
D.I.A., assimilando gli stessi ad interventi di manutenzione straordinaria,
ovvero ristrutturazione edilizia.
Nessun riferimento, se non in linea generale, si trova invece nel suddetto
quadro normativo, relativo a muri di data con funzione di muro di sostegno, e
alla sistemazione di terreni, mediante terrazzamenti. L'articolo 10 del D.P.R.
380/2001 subordina a P.d.C. gli interventi di nuova costruzione nel mentre il
primo capoverso dell'articolo 4 del R.E., sopra riportato, subordina a
concessione edilizia ( oggi P.d.C.) (...) ogni attività comportante
trasformazione urbanistica e edilizia del territorio comunale.
Ciò stante, appare necessario definite se la sistemazione di un'area esterna,
mediante modifica dei terrazzamenti, e realizzazione di muri di recinzione con
funzione di sostegno, possa configurare o meno una nuova costruzione e/o come
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
L'articolo 3 del D.P.R. 380/2001, recante Definizione degli interventi edilizi,
al comma 1, lettera c) definisce quali interventi di nuova costruzione, quelli
di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio non rientranti nelle
categorie definite alle lettere precedenti del medesimo comma ( manutenzione
ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo,
ristrutturazione edilizia) e comunque considera interventi di nuova costruzione:
Stando alla definizione della lettera e.I sono pertanto considerati interventi
di nuova costruzione tutti gli interventi di costruzione di manufatti edilizi
fuori terra, con esclusione di quelli pertinenziali, ove non ricadenti nella
casistica di cui alla lettera e-6.
Ciò stante l'attenzione di questo perito si è spostata a verificare se la
realizzazione di muri di sostegno, e del conseguente intervento di sistemazione
del terreno, possa intendersi quale intervento pertinenziale all'edificio
principale.
In merito, corre obbligo precisare che esiste ampia giurisprudenza in materia,
che attribuisce alla edificazione di muri di sostegno la definizione di nuova
costruzione, qualora gli stessi siano conseguenti ad attività antropica di
modifica del pendio naturale dei fondi.
Si cita a solo titolo esemplificativo:
- la sentenza del Consiglio di Stato , sezione quinta del 28.06.2000, n. 3637
che afferma che le opere, se pure autorizzate, per la costruzione di muri di
sostegno in cemento armato, che modificano l'assetto fisico naturale del
terreno, devono farsi rientrare in quelle di "nuova costruzione" soggette alle
regole urbanistiche concernenti le distanze fra costruzioni.
Ancora. la Cassazione, sezione III penale, con recentissima sentenza n. 15370
del 22.04.2010, ha ulteriormente sancito che è necessario il permesso di
costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta
di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo, ed è destinato a trasformare
durevolmente l'area impegnata, e pertanto, in quanto tale, va considerato come
intervento di nuova costruzione.
D'altra parte, è da rilevare che it C.T.P. Ing.lannicelli, ha prodotto, nella
propria relazione in difesa di Capone Grazia, che si rimette in uno aria
presente Perizia,( AII.9) ed in allegato alla stessa (Allegato n.8 alla C.T.P.
lannicelli), Ordinanza del Tribunale Civile di Salerno, III Sezione Civile,
Presidente dott. Pagano, nella quale il Collegio, richiamando una sentenza della
Cassazione del 15.06.2001, n. 8144, ha ritenuto, proprio nel caso specifico
della proprietà Capone Grazia. che il muro in questione. pur svolgendo una
funzione di contenimento del terrapieno, non vada considerato come nuova
costruzione a norma dell’articolo 878 del Codiece Civile, pur avendo una
facciata non isolata e altezza superiore a metri tre, trattandosi di fondi con
dislivello, sicchè la funzione di muro di recinzione, nello specifico non
potrebbe prescindere da quella di contenimento. La sentenza della Cassazione
citata nell'Ordinanza del Tribunale di Salerno afferma che :
“………nel caso, peraltro, di fondi a dislivello, nei quali adempiendo il muro
anche ad una funzione di sostegno e contenimento del terrapieno o della
scarpata, una faccia non si presenta di norma come isolata e l’altezza può anche
superare i tre metri, se tale è l’altezza del terrapieno o della scarpata;
pertanto, non può essere considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza
delle distanze legali il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a
delimitare il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del
declivio naturale, mentre nel caso di dislivello di origine artificiale deve
essere considerato costruzione in senso tecnico - giuridico il muro che assolve
in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un
terrapieno creato dall'opera dell'uomo…” (Cassazione civile , sez. II, 15 giugno
2001, n. 8144).
L'elemento determinante, secondo la citata sentenza, sarebbe quindi l'origine.
artificiale o meno, del dislivello costituente il terrapieno: quando trattasi di
dislivello naturale, adempiendo il muro anche ad una funzione di sostegno e di
contenimento del terreno, esso non è da considerare costruzione ai fini
dell'osservanza delle distanze legali. Da ciò deriverebbe anche che il
provvedimento autorizzativo, per coerenza, non dovrebbe essere P.d.C. ( che
altrimenti sarebbe rilasciato in deroga allo strumento urbanistico, il che
ovviamente non sarebbe possibile).
Se al contrario, il dislivello derivasse dall'opera dell'uomo. allora il
terrapieno ed il relativo muro sarebbero da considerarsi vere e proprie
costruzioni in senso tecnico giuridico, come affermato dalla medesima Cassazione
Civile, con precedenti pronunciamenti:
In altri termini, questo perito ha maturato la convinzione che il principio che
ha ispirato la Cassazione, nella sentenza richiamata dal Tribunale di Salerno e
nelle altre sopra citate, sia nella distinzione tra "muri di contenimento", non
configuranti costruzione ai sensi dell' articolo 873 del codice civile, e
quindi, in senso lato non soggetti a P.d.C., laddove chiamati a supportare
pendii naturali e a proteggere quindi frane o smottamenti dei fondi, e manufatti
che invece sono assumibili come nuove costruzioni, quando il terrapieno, che è
servito e protetto dal muro, sia stato realizzato dall'uomo, ovvero sia stato
accentuato, mutando la natura dei luoghi. Appare evidente che, nel caso che ci
occupa, l'esame della documentazione fotografica prodotta in precedenza, e
relativa allo stato di fatto, prima e dopo l'intervento, I'esito del
sopralluogo, I'esame degli atti progettuali prodotti, evidenziano sia l’entità
dell'opera che la sua natura, ed in particolare la modifica del pendio, con l’accentuamento
del terrapieno e il riempimento a tergo del muro, finalizzato ad uniformare la
quota di calpestio del giardino, in due diversi terrazzamenti, sicchè, nella
fattispecie, appare incontrovertibile a questo perito che il muro in questione
non sia chiamato semplicemente ad evitare smottamenti o frane derivanti da un
dislivello naturale, (per la cui funzione sarebbe bastato un manufatto di ben
più modeste dimensioni e già esistente) ma tale dislivello,ed il muro di
conseguenza, è stato determinato da una significativa modifica del pendio
naturale esistente, per una funzione diversa (realizzazione del giardino e del
piazzale), sicchè sia il terrapieno che il muro sono da considerarsi a tutti gli
effetti quale nuova costruzione.
Del resto, anche l'articolo 2 del regolamento edilizio del Comune di
Montecorvino Rovella ( AII.8) recante Definizioni , al punto 66 intende quali
Pertinenze : Pertinenze - Sono quelle cose che servono a far funzionare la cosa
principale, anche quando queste non siano collegate fisicamente, ma mantengono
un nesso funzionale. Ciò stante il muro in questione. non ha un nesso funzionale
esclusivamente con I'abitazione ( per l'assunta funzione di recinzione), ma è
connesso strutturalmente al terrapieno realizzato per il livellamento del
giardino, sicchè, in senso stretto, non può essere considerato, nemmeno a norma
del Regolamento Edilizio, quale pertinenza.
Le opere realizzate, hanno prodotto un oggetto completamente diverso e nuovo,
rispetto al preesistente (realizzazione di giardino orizzontale, in luogo di
pendio acclive), ed una trasformazione edilizia e, alla luce di tutto quanto
sopra esposto, sono pertanto da ritenersi nuova costruzione.
In definitiva, ed in conclusione della disamina effettuata, questo perito
ritiene che:
- gli interventi per cui è causa, consistenti sostanzialmente in un muro di
recinzione avente anche funzione di sostegno del terrapieno retrostante,
conseguente ad azione di livellamento del pendio naturale, per l'ottenimento di
piani orizzontali per la sistemazione del giardino e del piazzale di accesso
all'abitazione, configurano una nuova costruzione cosi come definita
dall'articolo 3 del D.P.R. 380/2001, ed in quanto tali. rientrano
nell'elencazione di cui all'articolo 10 del medesimo D.P.R. 380/2001;
- l'attribuzione della tipologia di nuova costruzione discende, secondo questo
perito, dall'esame della documentazione fotografica dello stato preesistente,
rispetto allo stato attuale, come visionato in sede di accesso, e in precedenza
parimenti documentato fotograficamente, e dall'esame dei grafici progettuali. Da
tali atti appare inequivocabile che la realizzazione del muro non sia a sostegno
del pendio naturale, ma conseguente ad intervento umano di consistente modifica
dello stato dei luoghi;
- quanto osservato da questo perito appare pienamente congruente con la
giurisprudenza della Suprema Corte, espressa sia in sede civile che in sede
penale. La realizzazione del muro di recinzione con funzione di sostegno del
terrapieno, in quanto conseguente a modellazione artificiale del pendio
naturale, finalizzata a modifica significative dello stato del luoghi, e a
trasformazione edilizia dello stesso, sottrae infatti l'opera dalla categoria
delle pertinenze, per attribuirgli funzione e ruolo autonomo, indipendente dal
fabbricato principale cui l'opera si riferisce e dalla residuale funzione di
recinzione del fondo, la cui acclività risulta essere stata sostanzialmente
modificata dall'intervento antropico.
E' da precisare, come verrà meglio indicato nel seguito della presente Relazione
di Perizia, che Ia tipologia di nuova costruzione degli interventi in questione,
rendeva gli stessi incompatibili con le condizioni urbanistiche dell'area ( zona
bianca) non definite. Come si e avuto infatti modo di riferire, nelle zone
bianche. incluse all’interno del perimetro del centro abitato, non sono ammesse
nuove costruzioni.
Da qui discende che, nel caso in esame, l’intervento non era assentibile nè con
D.I.A., nè con P.d.C., in quanto incompatibile con la non definizione
urbanistica dell'area.
………..
In merito al punto 1, questo perito non condivide quanto asserito dal C.T.U.. Si
è infatti avuto ampiamente modo di chiarire che la destinazione a spazi pubblici
a verde attrezzato e non dell'area in questione non costituiva vincolo
confomativo, conseguente ad una destinazione dell'area in questione a Zona
Territoriale Omogenea ai sensi del D.M. 1444/1968, ed in quanto tale non legato
ad una scadenza temporale, bensì un vincolo ablatorio, finalizzato
all'esproprio, ed ampiamente decaduto temporalmente, all’atto dell'edificazione
delle suddette opere. Lo stato attuale dell'area di sedime, sotto il profilo
-urbanistico, risultava quindi quello di un'area priva di destinazione
urbanistica. cosiddetta zona bianca, e ricadendo all'interno del centro abitato,
sulla stessa potevano essere eseguiti interventi di manutenzione ordinaria,
manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, nell'accezione
di cui alle lettere a), b), c) del comma 1 dell’articolo 3 del D.P.R. 380/2001,
cosi come sancito dall'articolo 9 del D.P.R. 380/2001. L'intervento in oggetto,
come si è avuto modo di chiarire nel corso del paragrafo n.2, si configura
invece come nuova costruzione e quindi, è in ragione di tale tipologia non
poteva essere realizzato sull’area priva di destinazione urbanistica. In altri
termini, se gli interventi si fossero limitati alla recinzione del fondo, senza
la sistemazione artificiale del pendio, e la livellazione dello stesso,
l’intervento sarebbe stato pienamente ammissibile, in quanto non avrebbe
comportato trasformazione edilizia del territorio. La conseguente trasformazione
edilizia del territorio, per la sistemazione dell’area, e la realizzazione dei
terrazzamenti, rendeva invece incompatibile l'intervento con la sua
localizzazione in zona bianca. La destinazione dell'area a spazi pubblici, cui
fa riferimento il C.T.U., era invece ampiamente decaduta all’atto della
richiesta di edificazione e della successiva realizzazione degli interventi.
In merito al punto 2, effettivamente sussiste un errore nell'individuazione
dell'area di sedime in alcuni dei documenti progettuali redatti dall'Ing.
Barattolo, ma tale errore appare del tutto ininfluente ai fini della definizione
della pratica, atteso che l'Ufficio dimostrava, con i propri atti, di non essere
stato indotto in errore dalla falsata localizzazione, bensì di aver considerato
la corretta ubicazione dei lavori in questione. Questo Perito, sulla base degli
atti esaminati, ritiene di attribuire a tale discrasia un valore di mero errore,
non intenzionale e non produttivo di effetti
In merito al punto 3, corre obbligo premettere, per una migliore comprensione
della vicenda in esame, che, a seguito del permesso di costruire ex articolo 36
del D.P.R. n. 380/2001, n. 66/2006, e dei lavori conseguenti, venivano eseguite
ulteriori lavorazioni difformi, e relative, per quanto si evince dalla
documentazione in atti, ad una diversa realizzazione del piazzale antistante la
casa ed a una maggiore altezza dei muri perimetrali. In realtà tali interventi,
in ragione della Legge Regione Campania n. 19/2001 ( All. 7 ) articolo 2.
lettera e), possono essere ammessi mediante denuncia di inizio attività.
Infatti, il testo normativo subordina alla denuncia di inizio attività, le
varianti alle concessioni edilizie che non incidano sui parametri urbanistici e
sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso o la categoria
edilizia, non alterino la sagoma dell'edificio e non violino le eventuali
prescrizioni contenute nella concessione. Della relazione di sopralluogo dei
tecnici comunali Geom. Volpe e Antonio Vignes del 07.11.2006, prot. n. 343/A.T.
2^, si evince che la difformità riguardava la maggiore altezza del muro
perimetrale adiacente la Strada Provinciale n. 164, lato Sud, previsto di
altezza pari a mt 2.50 e risultato di mt 2.83, ed una diversa sistemazione del
primo terrazzamento adiacente il fabbricato, lato Sud. Si ritiene che tali
modifiche rientrino nella casistica di cui alla lettera e) del citato articolo 2
della L.R.C. n. 19/2001,e quindi subordinate a D.I.A.
In realtà le criticità, a parere di questo perito sono diverse da quelle
segnalate dal Consulente del P.M. e nella fattispecie:
- le opere, essendo già state eseguite, non potevano essere oggetto di una DIA.,
ma di un accertamento di conformità ex articolo 37 del D.P.R. n. 380/2001, che
appunto la norma prevede nei casi in cui siano state eseguite opere ammissibili
con D.I.A., ma in assenza o in difformità della stessa;
- in secondo luogo, l'accertamento di conformità avrebbe dovuto verificare che
tali opere fossero conformi allo strumento urbanistico: nel caso in esame ciò
non è, atteso che, per quanto si è avuto modo di chiarire, trattandosi di zona
priva di destinazione urbanistica, sulla stessa non poteva essere assentita una
nuova costruzione nè con P.d.C., ne tantomeno con D.I.A. Ciò stante, a
differenza di quanto sostenuto dal Consulente del P.M., le opere non potevano
essere sanate nemmeno con un accertamento di conformità ex articolo 36 del
D.P.R. 380/2001, atteso che le stesse non erano conformi a quanto dettato
dall'articolo 9 del D.P.R. 380/2001, per le aree prive di destinazione
urbanistica.
Da ciò discende certamente un atteggiamento contraddittorio della Pubblica
Amministrazione, che, a parere di chi scrive, è verosimilmente da attribuire ad
una non esatta, e confusa, individuazione del problema in questione sotto il
profilo urbanistico.
Del resto, la contraddizione dell'azione dell'Amministrazione è insita nel
rilascio del P.d.C. n. 66/2006 del 13.09.2006, prot. n. 9249, ed afferente
lavori già eseguiti e da eseguire in variante alla recinzione e sistemazione
esterna del fabbricato civile assentito con la concessione edilizia n. 19 del
27.05.1999.
Infatti, delle due l’una:
- o le opere assentite si configurano come nuova costruzione per cui è
necessario il rilascio di un P.d.C.. come nei fatti ritenuto
dall'Amministrazione con il P.d.C. n. 66/2006; in tal caso, però, il P.d.C. non
poteva essere rilasciato su zona priva di destinazione urbanistica, quale quella
in esame, per una nuova costruzione (nè tantomeno, ovviamente avrebbe potuto
essere rilasciato se, per ipotesi, la destinazione dell’area fosse stata ancora
soggetto a vincolo di destinazione a spazi pubblici) giusta articolo 9 del
D.P.R. 380/2001;
- o le opere assentite si configurano come un intervento di ristrutturazione
edilizia, ed in quanto tali non avrebbero necessitato dell'accertamento di
conformità ex articolo 36, sfociato nel P.d.C. n. 66/2006.
In verità, come si è avuto ampiamente modo di chiarire, questo perito ritiene
che le opere in questione configurino una nuova costruzione, ed in quanto tale,
non assentibile in area priva di destinazione urbanistica, ai sensi
dell'articolo 9 del D.P.R. 380/2001, sicchè non era ammissibile nemmeno
l'accertamento di conformità ex articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001, nè tantomeno
un nuovo accertamento ex articolo 36, per le opere oggetto invece della D.I.A.
prot. n. 17688 del 18.12.2006.
Circa quanto osservato dall'Ing. lannicelli nella propria C.T.P. (All. 9 ), nel
concordare con quanto osservato dal medesimo C.T.P. circa la decadenza del
vincolo ablatorio di destinazione dell'area a spazi pubblici, e la conseguente
definizione di zona bianca dell'area in questione, cioè priva di destinazione
urbanistica, non si concorda invece con quanta asserito dal medesimo C.T.P.
circa il fatto che il titolo abilitativo necessario fosse la D.I.A., in ragione
di quanto ampiamente esposto.
Appare chiaro che la questione non assume valenza solo formale, ma sostanziale.
Se le opere in questione sono soggette a P.d.C., invece che a D.I.A., ovvero se
in altri termini la tipologia delle opere in questione è ascrivibile a quella di
nuova costruzione in luogo di ristrutturazione edilizia le stesse non potevano
essere realizzate, a norma del più volte citato articolo 9 del D.P.R. 380/2001,
in area priva di destinazione urbanistica, quale quella in esame.
Lo scrivente, come si è ampiamente avuto modo di argomentare, conclude che le
suddette opere si configurino come nuova costruzione, e quindi soggette a P.d.C.,
che nella fattispecie non poteva essere rilasciato, per la caratteristica di
zona bianca dell'area di sedime.
E’ pur vero, e corre obbligo evidenziarlo, per le valutazioni di merito di
codesta A.G. mandante, che la questione non è cosi di facile e chiara
interpretazione, atteso che lo stesso Tribunale di Salerno, Ill sezione Civile,
nell'Ordinanza del 25.09.2007 non ha invece ritenuto che l’opera in questione
fosse assimilabile a nuova costruzione.
IL QUESITO AMMESSO DAL G.I.P.
L'Avvocato Rago, con quesito ammesso dal G.I.P., in sede di verbale di incarico
del 13.04.2010, chiedeva accertare se sulla stessa fascia, destinata al vincolo,
vi siano altri manufatti in precedenza assentiti, se il vincolo sia nel tempo
decaduto.
In merito alla seconda parte del quesito si a ampiamente riferito in precedenza:
il vincolo ablatorio insistente sulla fascia prospiciente la ex strada
provinciale, essendo finalizzato all'esproprio, è decaduto già dal 1983, per cui
l'area in questione, a parere di chi scrive, è priva di destinazione
urbanistica, ed è classificata come zona bianca. Circa la sussistenza di
ulteriori edificazioni sulla medesima fascia
... In merito al punto 1, questo perito non condivide quanto asserito dal C.T.U..
Si è infatti avuto ampiamente modo di chiarire che la destinazione a spazi
pubblici a verde attrezzato e non dell'area in questione non costituiva un
vincolo confomativo, conseguente ad una destinazione dell'area in questione a
Zona Territoriale Omogenea ai sensi del D.M. 1444/1968, ed in quanto tale non
legato ad una scadenza temporale, bensì un vincolo ablatorio, finalizzato
all'esproprio, ed ampiamente decaduto temporalmente, all'atto dell'edificazione
delle suddette opere. Lo stato attuale dell’area di sedime, sotto il profilo
urbanistico, risultava quindi quello di un'area priva di destinazione
urbanistica, cosiddetta zona bianca, e ricadendo all'interno del centro abitato,
sulla stessa potevano essere eseguiti interventi di manutenzione ordinaria,
manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, nell'accezione
di cui alle lettere a), b), c) del comma 1 dell'articolo 3 del D.P.R. 380/2001,
cosi come sancito dall'articolo 9 del D.P.R. 380/2001. L'intervento in oggetto,
come si è avuto modo di chiarire nel corso del paragrafo n.2, si configura
invece come nuova costruzione e quindi, è in ragione di tale tipologia non
poteva essere realizzato sull'area priva di destinazione urbanistica. In altri
termini, se gli interventi si fossero limitati alla recinzione del fondo, senza
la sistemazione artificiale del pendio. e la livellazione dello stesso,
l'intervento sarebbe stato pienamente ammissibile, in quanto non avrebbe
comportato trasformazione edilizia del territorio. La conseguente trasformazione
edilizia del territorio, per la sistemazione dell’area, e la realizzazione dei
terrazzamenti, rendeva invece incompatibile l’intervento con la sua
localizzazione in zona bianca. La destinazione dell'area a spazi pubblici, cui
fa riferimento il C.T.U., era invece ampiamente decaduta all’atto della
richiesta di edificazione e della successiva realizzazione degli interventi.
In merito al punto 2, effettivamente sussiste un errore nell’individuazione
dell’area di sedime in alcuni dei documenti progettuali redatti dall’ing.
Barattolo, ma tale errore appare del tutto ininfluente ai fini della definizione
della pratica, atteso che l'Ufficio dimostrava, con i propri atti, di non essere
stato indotto in errore dalla falsata localizzazione, bensì di aver considerato
la corretta ubicazione dei lavori in questione. Questo Perito, sulla base degli
atti esaminati, ritiene di attribuire a tale discrasia un valore di mero errore,
non intenzionale e non produttivo di effetti
In merito al punto 3, corre obbligo premettere, per una migliore comprensione
della vicenda in esame, che, a seguito del permesso di costruire ex articolo 36
del D.P.R. n. 380/2001. n. 66/2006, e dei lavori conseguenti, venivano eseguite
ulteriori lavorazioni difformi, e relative, per quanto si evince dalla
documentazione in atti, ad una diversa realizzazione del piazzale antistante la
casa ed a una maggiore altezza dei muri perimetrali. In realtà tali interventi,
in ragione della Legge Regione Campania n. 19/2001 ( AII.7 ) , articolo 2,
lettera e), possono essere ammessi mediante denuncia di inizio attività.
Infatti. il testo normativo subordina alla denuncia di inizio attività. le
varianti alle concessioni edilizie che non incidano sui parametri urbanistici e
sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso o la categoria
edilizia, non alterino la sagoma dell'edificio e non violino le eventuali
prescrizioni contenute nella concessione. Dalla relazione di sopralluogo dei
tecnici comunali Geom. Volpe e Antonio Vignes del 07.11.2006, prot. n. 343/A.T.
2^, si evince che la difformità riguardava la maggiore altezza del muro
perimetrale adiacente la Strada Provinciale n. 164, lato Sud, previsto di
altezza pari a mt 2.50 e risultato di mt 2.83, ed una diversa sistemazione del
primo terrazzamento adiacente il fabbricato, lato Sud. Si ritiene che tali
modifiche rientrino nella casistica di cui alla lettera e) del citato articolo 2
della L.R.C. n. 19/2001,e quindi subordinate a D.I.A.
In realtà le criticità , a parere di questo perito sono diverse da quelle
segnalate dal Consulente del P.M. e nella fattispecie:
- le opere, essendo già state eseguite, non potevano essere oggetto di una
D.I.A., ma di un accertamento di conformità ex articolo 37 del D.P.R. n.
380/2001, che appunto la norma prevede nei casi in cui siano state eseguite
opere ammissibili con D.I.A., ma in assenza o in difformità della stessa:
- in secondo luogo, I'accertamento di conformità avrebbe dovuto verificare che
tali opere fossero conformi allo strumento urbanistico: nel caso in esame così
non è, atteso che, per quanto si è avuto modo di chiarire, trattandosi di zona
priva di destinazione urbanistica, sulla stessa non poteva essere assentita una
nuova costruzione nè con P.d.C., nè tantomeno con D.I.A. Ciò stante, a
differenza di quanto sostenuto dal Consulente del P.M., le opere non potevano
essere sanate nemmeno con un accertamento di conformità ex articolo 36 del
D.P.R. 380/2001. atteso che le stesse non erano conformi a quanto dettato
dall'articolo 9 del D.P.R. 380/2001, per le aree prive di destinazione
urbanistica.
Da ciò discende certamente un atteggiamento contraddittorio della Pubblica
Amministrazione, che, a parere di chi scrive, è verosimilmente da attribuire ad
una non esatta, e confusa, individuazione del problema in questione sotto il
profilo urbanistico.
Del resto, la contraddizione dell'azione dell'Amministrazione a insita nel
rilascio del P.d.C. n. 66/2006 del 13.09.2006, prot. n. 9249, ed afferente
lavori già eseguiti e da eseguire in variante alla recinzione e sistemazione
esterna del fabbricato civile assentito con la concessione edilizia n. 19 del
27.05.1999.
Infatti. delle due l’una:
- o le opere assentite si configurano come nuova costruzione per cui è
necessario il rilascio di un P.d.C., come nei fatti ritenuto
dall’Amministrazione con il P.d.C. n. 66/2006; in tal caso, però, il P.d.C. non
poteva essere rilasciato su zona priva di destinazione urbanistica, quale quella
in esame, per una nuova costruzione ( nè tantomeno, ovviamente avrebbe potuto
essere rilasciato se, per ipotesi, la destinazione dell'area fosse stata ancora
soggetto a vincolo di destinazione a spazi pubblici) giusta articolo 9 del
D.P.R. 380/2001;
- o le opere assentite si configurano come un intervento di ristrutturazione
edilizia,ed in quanto tali non avrebbero necessitato dell'accertamento di
conformità ex articolo 36, sfociato net P.d.C. n. 66/2006.
In verità, come si a avuto ampiamente modo di chiarire, questo perito ritiene
che le opere in questione configurino una nuova costruzione, ed in quanto tale,
non assentibile in area priva di destinazione urbanistica, ai sensi
dell'articolo 9 del D.P.R. 380/2001, sicchè non era ammissibile nemmeno
l’accertamento di conformità ex articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001, nè tantomeno
un nuovo accertamento ex articolo 36. per le opere oggetto invece della D.I.A.
prot. n. 17688 del 18.12.2006.
Circa quanto osservato dall'Ing. Iannicelli nella propria C.T.P. ( All. 9 ), nel
concordare con quanto osservato dal medesimo C.T.P. circa la decadenza del
vincolo ablatorio di destinazione dell'area a spazi pubblici, e la conseguente
definizione di zona bianca dell'area in questione, cioè priva di destinazione
urbanistica, non si concorda invece con quanto asserito dal medesimo C.T.P.
circa il fatto che il titolo abilitativo necessario fosse la D.I..A., in ragione
di quanto ampiamente esposto.
Appare chiaro che la questione non assume valenza solo formale, ma sostanziale.
Se le opere in questione sono soggette a P.d.C., invece che a D.I.A., ovvero se
in altri termini la tipologia delle opere in questione è ascrivibile a quella di
nuova costruzione in luogo di ristrutturazione edilizia le stesse non potevano
essere realizzate, a norma del pin volte citato articolo 9 del D.P.R. 380/2001,
in area priva di destinazione urbanistica, quale quella in esame.
Lo scrivente, come si è ampiamente avuto modo di argomentare, conclude che le
suddette opere si configurino come nuova costruzione, e quindi soggette a P.d.C..
che nella fattispecie non poteva essere rilasciato, per la caratteristica di
zona bianca dell'area di sedime.
E’ pur vero, e corre obbligo evidenziarlo, per le valutazioni di merito di
codesta A.G. mandante, che la questione non è così di facile e chiara
interpretazione, atteso che lo stesso Tribunale di Salerno, III sezione Civile,
nell'Ordinanza del 25.09.2007 non ha invece ritenuto che I'opera in questione
fosse assimilabile a nuova costruzione.
L’Avvocato Rago, con quesito ammesso dal G.I.P., in sede di verbale di incarico
del 13.04.2010, chiedeva di accertare se sulla stessa fascia, destinata al
vincolo, vi siano altri manufatti in precedenza assentiti, se il vincolo sia nel
tempo decaduto.
In merito alla seconda parte del quesito si è ampiamente riferito in precedenza:
il vincolo ablatorio insistente sulla fascia prospiciente la ex strada
provinciale, essendo finalizzato all'esproprio, è decaduto già dal 1983, per cui
area in questione, a parere di chi scrive, è priva di destinazione urbanistica,
ed è classificata come zona bianca. Circa la sussistenza di ulteriori
edificazioni sulla medesima fascia, si fa riferimento alla fascia individuata
dal P.d.F……..
Come si evince dall'aerofotogrammetria allegata al P.R.G. adottato ( e mai
approvato- All.10). risulta che lungo Corso Cavour, dalla proprietà Capone, fino
all'incrocio con Via Pace, la fascia in oggetto è stata interamente edificata
con opere minori ( terrazzamenti, muri di sostegno, recinzioni, scale, ecc.),
sicchè è stata di fatto conglobata negli edifici retrostanti, e ciò da tempo,
come risulta dalla vetustà di alcune di tali edificazioni.
Tale circostanza si evince, immediatamente,dalla fotografia aerea tratta da
Google, che mostra come la fascia interessata dal vincolo di P.d.F. oggi sia
stata praticamente assimilata dalle abitazioni retrostanti, ad eccezione di una
modesta area triangolare, in corrispondenza dell'incrocio con Via Pace, peraltro
avente destinazione diversa (verde di rispetto).
...... La documentazione fotografica riportata mostra che di fatto, la
situazione esistente nella proprietà Capone si ripete, sostanzialmente, lungo
l'intera Via Cavour, e riguarda tutta la fascia originariamente vincolata a
spazi pubblici, ed oggi priva di destinazione urbanistica... tutta la fascia è
stata interessata da nuove edificazioni.
OSSERVAZIONI DI SINTESI E CONCLUSIVE
In definitiva,si sintetizzano di seguito le risultanze:
In merito alla prima parte del quesito, codesta A.G. richiedeva a questo perito
se i lavori realizzate da Capone Grazia fossero assentibili, in relazione agli
strumenti urbanistici vigenti presso il Comune di Montecorvino Rovella, con il
rilascio di permesso di costruire ovvero con semplice denuncia di inizio
attività, procedendo, anche attraverso sopralluoghi e rilievi, ad indicare gli
strumenti urbanistici in dotazione al Comune di Montecorvino Rovella e tutte le
norme urbanistiche di salvaguardia esistenti, con specifico riferimento alla
destinazione urbanistica dell'area ove i lavori hanno inciso.
Sulla base di quanta in precedenza esposto, riferito che:
- il Comune di Montecorvino Rovella è dotato di solo Piano di Fabbricazione,
approvato con D.P.R.C. n. 2065 del 27.08.1978;
- che dal 27.02.2003 al 26.02.2006 sono state in vigore le misure di
salvaguardia conseguenti all'adozione del P.R.G., mai approvato, adottato con
deliberazione del C.C. n. 03 del 27.02.2003;
- che la destinazione di zona, secondo il P.R.G. adottato, assegnava a tale area
un vincolo conformativo di area G4, verde privato, conforme alle edificazioni di
fatto realizzate. In altri termini, se il P.R.G. fosse stato approvato, le opere
eseguite sarebbero conformi alla nuova destinazione di Zona;
- che l'area ove hanno insistito i lavori eseguiti da Capone Grazia ( con
eccezione dei lavori del fabbricato oggetto di concessione edilizia n. 19/1999),
e consistenti in muri di recinzione e di sostegno e sistemazione area esterna al
fabbricato, era gravata da vincolo ablatorio dettato dal P.d.F. vigente, con
destinazione a Spazi pubblici;
- che tale vincolo è decaduto nel settembre 1983;
- che attualmente l'area in questione è priva di destinazione urbanistica,e
quindi per essa valgono le norme di cui all’articolo 9, comma 1. lettera a)
trattandosi di area interna al perimetro del centro abitato:
- che l’intervento realizzato si configura come una nuova costruzione, ai sensi
dell'articolo 3. comma 1. lettera e) del D.P.R. 380/2001;
tanto riferito, si conclude che i lavori realizzati da Capone Grazia non erano
assentibili nè con D.I.A., nè con P.d.C., atteso che trattasi di nuova
costruzione, incompatibile con l'assenza di destinazione urbanistica dell'area
di insediamento. In astratto, a prescindere della mancanza di caratterizzazione
urbanistica della suddetta area. trattandosi di nuova costruzione, gli stessi
avrebbero dovuto essere assentiti con P.d.C., nella fattispecie non rilasciabile
in mancanza di una destinazione urbanistica dell'area.
Questo perito ritiene che I lavori eseguiti da Capone Grazia siano ascrivibili
alla categoria di nuova costruzione quindi subordinati, in astratto, al P.d.C.,
in ragione della circostanza che il muro di recinzione assolve anche funzione di
muro di sostegno, in conseguenza di un intervento antropico di sistemazione del
fondo,. con la realizzazione di un terrapieno a tergo del muro, a seguito del
suddetto intervento antropico, con trasformazione edilizia dell'area
interessata. Ciò trae sostegno dall'esame dei progetti in atti, dal raffronto
dello stato attuale con lo stato preesistente, documentato dal rilievo
fotografico rimesso in perizia, e dall'esame tecnico delle opere realizzate. Le
risultanze dell'analisi effettuata mostrano, senza possibilità di errore, il
livellamento dell'originario pendio del fondo allo scopo di insediare i
realizzati giardini ornamentali, il piazzale di accesso alla villa ed i
terrazzamenti. Per quanto sopra, questo perito, in riscontro alla seconda parte
del quesito (...) evidenziando infine se gli approdi cui a giunto il consulente
tecnico del P.M. siano fondati su retti criteri tecnici, ritiene di non
condividere quanto concluso dal Consulente del P.M.
Ritiene infatti questo perito che:
-l ’area in questione non avesse pia destinazione a spazi pubblici, per
decadenza del vincolo ablatorio, ma fosse priva di destinazione urbanistica:
- che su delta area potessero essere eseguiti solo interventi di manutenzione
ordinaria. straordinaria. ristrutturazione edilizia, restauro e risanamento
conservativo, nel mentre non potessero essere eseguiti interventi di nuova
costruzione, quale quello in esame;
- che in astratto, le opere eseguite in difformità al P.d.C. n. 66/2006 (
accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. 380/2001), e comprese nella
D.I.A. del 18.12.2006, prot. n. 17688, avrebbero potuto essere oggetto di
accertamento di conformità ex articolo 37 del medesimo D.P.R. 380/2001, in
quanto relative ad interventi soggetti a D.I.A. e non ad accertamento di
conformità ex articolo 36 del medesimo D.P.R.; tale possibilità si sarebbe però
concretizzata solo nell'ipotesi di ammissibilità dell'intervento principale, di
nuova costruzione, che per quanto detto, invece, è opinione di questo perito non
potesse essere realizzato su zona priva di destinazione urbanistica.
La contraddittorietà dell'azione della Pubblica Amministrazione si esemplifica
nel P.d.C. ( accertamento di conformità ex articolo 36/ D.P.R. 380/2001) n.
66/2006: esso infatti afferisce ad opere realizzate su area priva di
destinazione urbanistica ( se fosse stato ancora vigente il vincolo a spazi
pubblici, evidentemente va da se che tale P.d.C. in sanatoria non avrebbe potuto
comunque essere rilasciato). Ma se I'Amministrazione ha ritenuto che per tale
tipologia di opere fosse necessario il rilascio di un P.d.C. in sanatoria
(accertamento ex articolo 36 del D.P.R. 380/2001), ha implicitamente
riconosciuto la natura di nuova costruzione delle opere realizzate, ed in quanto
tali, non realizzabili a norma dell'articolo 9 del D.P.R. 380/2001 su area priva
di destinazione urbanistica.
Si è però evidenziato che la questione non è di chiara ed esplicita
applicazione, atteso che Ia Sezione III del Tribunale Civile di Salerno ha
invece ritenuto, con recente Ordinanza del 27.09.2007, che l'opera in questione
non fosse assimilabile a nuova costruzione ma rientrasse nel novero delle opere
pertinenziali.
Nel pregresso della presente perizia, lo scrivente ha documentato le motivazioni
in ragione delle quali, si ritiene invece che le opere suddette siano
ascrivibili alla tipologia di nuova costruzione ed in quanto tale, non
eseguibile su area priva di destinazione urbanistica.
Va da se' che Ia questione oggetto di perizia. per tutto quanto sopra esposto,
appare quindi controversa e certamente di non immediata chiarificazione: tale
complessità può aver significativamente influenzato sia l'operato del
richiedente che quello della Pubblica Amministrazione. Nella fattispecie, è
verosimile, secondo questo perito, attesa la non immediata chiarezza del quadro
normativo, la decadenza del vincolo ablatorio, la nuova destinazione di Z.T.O.
indicata dal P.R.G. adottato( conforme agli interventi realizzati), che sia la
richiedente, che II tecnico progettista e l'Ufficio, siano incorsi in errore
interpretativo della norma, attribuendo alle opere in questione carattere di
manutenzione straordinaria e/o ristrutturazione edilizia. in ragione del quale
le opere avrebbero potuto realizzarsi in zona bianca. e cioè priva di
destinazione urbanistica. Del resto, l'incertezza nell'operato della P.A. è
dimostrato proprio dal rilascio del P.d.C. in sanatoria n. 66/2006. laddove, se
l’Amministrazione avesse inteso, in qualsiasi modo. favorire la sig.ra Capone
Grazia. avrebbe proceduto ad accertamento di conformità ex art. 37 del D.P.R.
380/2001 ( opere abusive oggetto di D.I.A.).
Peraltro, non appare secondario considerare che, nella pratica, l'intera fascia
risulta edificata a giardini. con la realizzazione di muri a sostegno di
terrapieni, o comunque appare soggetta ad interventi di trasformazione edilizia.
In altri termini, l'intervento eseguito da Capone Grazia non costituisce di
certo un'eccezione, ma un quasi naturale intervento di completamento della
trasformazione della fascia in questione, che ha assunto. nella pratica. la
destinazione di zona originariamente assegnata dal PRG decaduto ( verde
privato).
Infatti, in merito al quesito posto dall'Avvocato Rago, ammesso da codesta A.G.,
e per la parte cui non si è già fornito riscontro, si è avuto modo di riferire
che l'intera fascia. originariamente vincolata a spazi pubblici, e prospiciente
Via Cavour, è oggi stata assimilata, con insiemi sistematici di opere edili (
del tutto simili a quelle effettuate dalla sig.ra Capone), dalle abitazioni
retrostanti. Con ogni evidenza, pertanto, quanto asserito a proposito della
sig.ra Capone, vale anche per le altre proprietà, atteso che trattasi egualmente
di muri di sostegno di terrapieni, con livellamento del pendio naturale dei
fondi e trasformazione edilizia del territorio, con caratteristiche di nuova
costruzione su area priva di destinazione urbanistica.
Orbene, premesse doverosamente le emergenze processuali, va ancora precisato che
la regola di giudizio da applicarsi nel caso di specie è quella secondo cui il
giudice dell'udienza preliminare non può limitarsi a svolgere una mera
delibazione di carattere processuale circa l'idoneità della domanda di giudizio
formulata dal pubblico ministero,. ma è chiamato ad esprimere valutazioni sul
merito dell'accusa, esercitando un sindacato sostanziale e penetrante sul suo
contenuto e sulla sua concreta idoneità ad essere validamente sostenuta in
dibattimento. Appare, tuttavia, opportuno puntualizzare che, anche se le
modifiche legislative introdotte dalla L. n. 479 del 1999 hanno conferito
all'udienza preliminare aspetti più significativi relativi al merito dell'azione
penale, lo scopo dell'udienza preliminare continua ad essere quello di evitare
dibattimenti inutili e non quello di accertare la colpevolezza o I'innocenza
dell'imputato. Di tal che, il giudice dell'udienza preliminare deve pronunciare
sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza
di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento
dall'acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa
valutazione del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come
prevede espressamente l'art. 425 c.p.p., comma 3, "gli elementi acquisiti
risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere
l’accusa in giudizio": tale disposizione sta a confermare dunque che il criterio
di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare, anche in presenza di
elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano
destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell'eventualità del
dibattimento), deve essere parametrato alla impossibilità di sostenere l’accusa
in giudizio (Cass. sez. 6 sent. N. 28753 del 2008; Cass. Sez. 4, :8 -11-2007 n.
47169; Cass. Sez. 4, 19-4-2007 n. 26410; Cass. Sez. 6, 16-11- 2001 n. 45275).
Ebbene, con riferimento alla vicenda processuale in esame si pongono una serie
di questioni rilevanti in diritto che vanno comunque precisate.
Quanto alla erronea valutazione procedimentale che conduceva al rilascio del
provvedimento concessorio n. 66/2006 va rilevato che: l’inosservanza del dovere
di compiere un'adeguata istruttoria diretta ad accertare la sussistenza delle
condizioni richieste per il rilascio di un'autorizzazione è idonea ad integrare
la violazione di legge, rilevante ai fini della sussistenza del reato di abuso
di ufficio, dal momento che l’istruttoria amministrativa è comunque imposta da
una norma generale sul procedimento amministrativo, prevista dalla L. 7 agosto
1990. n. 241, art. 3, costituendo una fase procedimentale essenziale e incidente
direttamente sul momento finale della decisione, in cui i diversi interessi,
pubblici, collettivi e privati, devono essere ponderati (Sez. 6^, 4 novembre
2004, n. 69, Palascino; Sez. 6^, 7 aprile 2005, n. 18149, Fabbri).
In sostanza, l'inosservanza del dovere di istruttoria non può essere considerata
violazione di semplici norme interne al procedimento, prive del carattere
formale e del regime giuridico della legge o del regolamento, in quanto ogni
procedimento amministrativo e, in particolar modo quelli attinenti alla materia
urbanistica, è regolato da norme primarie generali o di settore che prevedono
necessariamente un'attività di natura istruttoria, preliminare alla decisione
finale da parte dell'amministrazione, che deve essere assunta sulla base di una
piena conoscenza dei dati di fatto e delle situazioni giuridiche.
Peraltro, deve anche considerarsi che. secondo un orientamento giurisprudenziale
ormai prevalente, la violazione di strumenti urbanistici, pur non potendosi
questi configurare come norme di legge o di regolamento. può integrare il reato
di abuso d'ufficio, in quanto rappresenta solo il presupposto di fatto della
violazione della normativa legale in materia urbanistica, alla quale deve farsi
comunque riferimento quale dato strutturale della fattispecie delittuosa di cui
all'art. 323 c.p. (Sez. 6, 25 gennaio 2007, n. 11620, Pellegrino).
Tanto precisato, va altresì richiamato l'ormai prevalente orientamento del S.C.
con riferimento al concorso nel reato proprio da parte dell'extraneus : come è
noto, la giurisprudenza ritiene che ai fini della configurabilità del concorso
del privato, anche se destinatario dell'ingiusto vantaggio patrimoniale, è
necessaria la dimostrazione che questi abbia posto in essere una condotta
causalmente rilevante nella realizzazione della fattispecie criminosa,
partecipando con comportamenti diretti a determinare o ad istigare il pubblico
ufficiale ovvero accordandosi con quest'ultimo (Sez. 6A, 25 maggio 1995, n.
2140, Tontoli).
Di conseguenza deve escludersi ogni forma di concorso nel caso in cui il privato
si limiti alla presentazione della semplice istanza relativa a un atto che, nel
concreto, risulti illegittimo (tra le tante v., Sez. 6, 12 luglio 2000.
Margini). Invero, si afferma ormai pacificamente che ...in tema di delitti
contro la P.A., al fine di affermare la sussistenza del concorso del privato nel
reato di abuso di ufficio, la prova che I'atto amministrativo è il risultato
della collusione tra privato e pubblico funzionario non può essere dedotta dalla
mera coincidenza tra la richiesta del primo e il provvedimento posto in essere
dal secondo, essendo invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti
personali tra le parti o altri dati di contorno dimostrino che la presentazione
della domanda è stata preceduta, accompagnata o seguita da un'intesa col
Pubblico funzionario, o comunque da pressioni dirette a sollecitarlo, ovvero a
persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo e, nonostante ciò, venga
adottato; va infatti considerato che il privato, contrariamente al pubblico
funzionario, non è tenuto a conoscere le norme che regolano l’attività di
quest'ultimo, nè a conoscere le situazioni attinenti l’ufficio che possano
condizionare la legittimità dell’atto...(conf., ex plurimis, Cass. sez. 6
12/2003).
Parimenti, con riferimento al delitto di falso contestato agli imputati ai capi
a) e c) della rubrica se, in via di principio. commette il delitto di falso
ideologico in atto pubblico il privato che abbia falsamente attestato al p.u. in
un atto o certificazione destinata a confluire in atto pubblico fatti del quale
l’atto è destinato a provare la verità, va tuttavia da sè che tale comportamento
causale del privato va adeguatamente provato, non potendo in re ipsa desumersi
dall'eventuale vantaggio realizzatosi.
Inoltre, per argomentare correttamente sul punto si ritiene opportuno richiamare
i prevalenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia di falsità
in atti, con particolare riferimento al falso ideologico. Il settore della
falsità in atti è tradizionalmente uno dei più dibattuti nell'ambito del diritto
penale. Invero, l’esigenza alla base di questo settore di disposizioni normative
è l'interesse alla tutela della genuinità e veridicità dei mezzi usati a fini di
certezza, in quanto la legge penale tende a prevenire l'inganno determinato
dalla falsa apparenza sulla esistenza e il contenuto di un rapporto o di una
situazione giuridica.
La tesi dottrinaria più affermata e quella della natura plurioffensiva del falso
documentale, sulla base della constatazione empirica che l'obiettivo
generalmente perseguito dal falsario non è quello precipuo dell'offesa della
fede pubblica, bensì lo scopo ulteriore cui è diretta l’attività criminosa, onde
il falso finisce in genere con l'aggredire gli specifici interessi di volta in
volta lesi dall'uso del documento falsificato. Detta tesi ha incontrato nel
tempo una serie di obiezioni critiche da parte della dottrina, tuttavia il punto
principale nella materia è quello di evitare di cadere in orientamenti
interpretativi eccessivamente formalistici e valutare la rilevanza penale della
condotta di falso evitando di ritenere che qualunque forma di falsificazione
costituisca una lesione della certezza giuridica di per sè meritevole di
punizione. In realtà, per cogliere l'idoneità offensiva della condotta di falso,
occorre apprezzare l'impatto che il falso produce sulla specifica funzione che
il documento in questione assolve, in rapporto ai possibili destinatari, invero
qualora la falsificazione non sia tale da compromettere o distorcere le
effettive funzioni documentali dell'atto nel caso di specie, la mera non
conformità al vero dell'atto non potrà integrare un’offesa del bene protetto e
dunque giustificare una reazione penale.
Dalla normativa vigente si ricava che il documento oggetto di falsificazione
deve avere forma scritta e ne deve essere riconoscibile l'autore e dottrina e
giurisprudenza insistono altresì nel puntualizzare che il documento oggetto di
falsificazione deve possedere un contenuto giuridicamente rilevante, avendosi,
diversamente, un falso innocuo; deve inoltre trattarsi di documento idoneo e
verosimilmente destinabile alla prova di rapporti giuridici. Tali
caratteristiche esprimono. in definitiva, la esigenza che la condotta del
falsario sia idonea ad aggredire il bene protetto, in quanta, laddove il falso
avesse ad oggetto una rappresentazione documentale assolutamente irrilevante
rispetto allo svolgimento delle relazioni giuridiche, verrebbe meno la ratio
della sanzionabilità, onde occorre valutare, di volta in volta, la funzione
specifica che il documento assolve nel contesto in cui l'agente opera.
Rimane solo da sottolineare che laddove il falso materiale attiene generalmente
alla forma esteriore del documento, aggredendo il carattere della genuinità
dell'atto, il falso ideologico, o falso intellettuale, attiene invece al
contenuto di veridicità di un atto materialmente integro, ossia si identifica
con dichiarazioni menzognere, aggredendo quindi la veridicità del documento.
Quanto agli atti tutelati, per quanto riguarda le mere manifestazioni di
giudizio, trattasi di atti rispetto ai quali la S.C. è costante nel ribadire che
il falso ideologico è escluso. Tuttavia la Corte ha altresì precisato che il
falso può sussistere in relazione all’adozione di criteri (come parametri legali
e indici) , che siano idonei a consentire la formulazione del giudizio, laddove
i criteri contenuti nell'atto siano difformi rispetto a quelli prescritti (Cass.
se. V, n 1101, Grasso ed altri). Quanto all'elemento soggettivo, il dolo
richiesto al fine del perfezionarsi del reato è quello generico, consistente
nella volontarietà e consapevolezza della falsa attestazione, non essendo invece
richiesto nè l’animus nocendi, ne l’animus decipendi.
Il falso ideologico presuppone necessariamente l'occultamento della situazione
reale. La condotta criminosa e scindibile in 2 momenti: I'attestazione del fatto
non vero e I'occultamento di quello vero. Quando l'attestazione del fatto- pur
incompleta o minimizzata- consente di pervenire all'individuazione del fatto
vero, essa non può essere ritenuta falsa (Cass., V, 17/4/92, Montalbano). Nel
falso ideologico in atto pubblico il bene tutelato è quello dell'affidamento che
chi prende cognizione dell'atto fa nella corrispondenza al vero
dell'informazione che l'atto contiene, secondo il significato comunemente dato
alle espressioni utilizzate in quel determinato contesto. Non è necessario , ai
fini della rilevanza penale, nè la determinazione di un danno ulteriore per
l'amministrazione, né il pregiudizio derivante dalla lesione di un interesse
probatorio connesso all’oggetto materiale della condotta di falsificazione
(S.C., sez. V,21/1 1/96, Meloro)
Orbene, precisata - per come si è precedentemente esposto - la complessità e la
natura comunque controversa – anche a parere del c.t.u. - della questione
amministrativa che fonda le attuali imputazioni, con riferimento alla vicenda
processuale in esame e ai reati contestati, questo Giudice ritiene di poter
accogliere -ritenendole in massima parte condivisibili - le conclusioni cui
perveniva il nominato c.t.u., seppure con le debite precisazioni in tema di
perfezionamento dei reati ascritti
Quindi, con riferimento ai reati di falso, addebitati ai capi A) e C) agli
imputati Capone e Barattolo, alla stregua della contestazione la condotta di
falsificazione si sarebbe incentrata sulla falsa attestazione (capo A della
rubrica) della conformità dell'intervento agli strumenti urbanistici, laddove la
falsità era integrata dall’aver asseverato che trattavasi di opere assentibili
con DIA e che la destinazione urbanistica dell'area era di tipo B, ossia
residenziale, fatto non vero in quanto il tipo di intervento realizzato - opere
di sostegno con formazione di rilevato in terra - determinando una modifica
permanente del suolo, era da intendersi come "nuova costruzione ", assoggettata
pertanto a permesso a costruire, e che inoltre la destinazione d'uso del suolo
prevista dallo strumento urbanistico era quella di "spazi pubblici a verde
attrezzato" e non quella residenziale. Inoltre al capo C) contestato ai medesimi
imputati, il falso sarebbe consistito nell'avere presentato, in data 27/6/2006,
una istanza di rilascio di permesso a costruire in sanatoria per la
realizzazione del medesimo muro di sostegno, attestando ancora una volta -
contrariamente al vero - che la destinazione urbanistica del suolo era di tipo
B, ossia residenziale.
Ebbene, su entrambi i punti oggetto del contestato falso ideologico questo
Giudice non può non rilevare che, pur apprezzando e sostanzialmente condividendo
le conclusioni in diritto del c.t.u., esse si palesano essere frutto di una non
facile operazione di ricostruzione e interpretazione delle norme vigenti,
operata avvalendosi anche dei più recenti orientamenti della giurisprudenza di
merito e di legittimità, in materia penale e amministrativa (cfr sentenze citate
e appositamente sopra riportate), a fronte della quale il medesimo c.t. non
sottaceva le perplessità originate da orientamenti difformi della giurisprudenza
di merito, viepiù se si considerano le pronunce del locale Tribunale afferenti
proprio la materia in oggetto e gli attuali imputati.
La stesso consulente evidenziava invero la ordinanza che il C.T.P. Ing.
Pannicelli allegava alla propria relazione in difesa di Capone Grazia, ossia la
Ordinanza del Tribunale Civile di Salerno, III Sezione Civile, Presidente dott.
Pagano, nella quale il Collegio, richiamando una sentenza della Cassazione del
15.06.2001, n. 8144, riteneva, proprio nel caso specifico della proprietà Capone
Grazia, che il muro in questione, pur svolgendo una funzione di contenimento del
terrapieno, non andava considerato come nuova costruzione a norma dell'articolo
878 del Codice Civile, pur avendo una facciata non isolata e altezza superiore a
metri tre, trattandosi di fondi con dislivello, in quanto la funzione di muro di
recinzione, nello specifico, non poteva prescindere da quella di contenimento...
La stesso consulente osservava del resto che la questione oggetto di perizia,
per tutto quanto sopra esposto. appare quindi controversa e certamente di non
immediata chiarificazione e che tale complessità poteva aver significativamente
influenzato sia l'operato del richiedente che quello della Pubblica
Amministrazione, atteso che ...nella fattispecie, è verosimile, secondo questo
perito, attesa la non immediata chiarezza del quadro normativo, la decadenza del
vincolo ablatorio, la nuova destinazione di Z.T.O. indicata dal P.R.G. adottato
(conforme agli interventi realizzati), che sia la richiedente, che il tecnico
progettista e l’Ufficio, siano incorsi in errore interpretativo della norma,
attribuendo alle opere in questione carattere di manutenzione straordinaria e/o
ristrutturazione edilizia, in ragione del quale le opere avrebbero potuto
realizzarsi in zona bianca, e cioè priva di destinazione urbanistica. Del resto,
l'incertezza nell’operato della P.A. è dimostrato proprio dal rilascio del
P.d.C. in sanatoria n. 66/2006, laddove, se l'Amministrazione avesse inteso, in
qualsiasi modo, favorire la sig.ra Capone Grazia, avrebbe proceduto ad
accertamento di conformità ex art. 37 del D.P.R. 380/2001 ( opere abusive
oggetto di D.I.A.).
Ciò sicuramente vale per l'oggetto del falso costituito dal regime di
assentibilità da applicarsi ai cd Muri di contenimento, di difficile e
controversa applicazione se solo si guarda alla richiamata ordinanza - di segno
esattamente opposto a quello indicato dai consulenti - emessa dal Tribunale
civile di Salerno, in ordine a fatti strettamente collegati a quelli che ci
occupano. Tuttavia altrettante difficoltà interpretative e applicative valgono
anche per quanto attiene la destinazione urbanistica dell'area interessata, per
la quale risulta peraltro ormai acclarata la intervenuta decadenza del vincolo
di verde pubblico attrezzato, oggetto di contestazione, e la sua individuazione
quale cd. Zona bianca , per la quale si pone altresì il problema del regime
giuridico applicabile agli interventi edilizi a realizzarsi in detta zona.
Quanto infine all'errata individuazione del lotto nei grafici allegati alle
D.I.A, e alla richiesta di p.d.c. in sanatoria del capo C), si verterebbe
comunque in una ipotesi di falso innocuo, come tale non perseguibile in quanto
priva del carattere di offensività, atteso che lo stesso c.t.u. evidenziava
nella sua completa e articolata relazione che, in merito al punto 2,
effettivamente sussisteva un errore nell'individuazione dell'area di sedime in
alcuni dei documenti progettuali redatti dall'Ing. Barattolo, ma tale errore
appariva del tutto ininfluente ai fini della definizione della pratica, atteso
che l’Ufficio dimostrava, con i propri atti, di non essere stato indotto in
errore dalla falsata localizzazione, bensì di aver considerato la corretta
ubicazione dei lavori in questione. Il perito alla luce di tali considerazioni,
sulla base degli atti esaminati, riteneva di attribuire a tale discrasia un
valore di mero errore, non intenzionale e non produttivo di effetti.
Ebbene, tali complessive emergenze processuali destituiscono di fondamento,
quantomeno sotto il profilo psicologico. l'incolpazione a carico dei menzionati
imputati in terra di commissione di falso in relazione alle condotte di "falsa
attestazione" di conformità urbanistica delle opere denunciate
Invero, in definitiva non si ritiene raggiunta una convincente prova della
sussistenza dei reati di falso ascritti agli imputati sub capi A) e C) della
rubrica , quantomeno sotto il profilo dell'elemento soggettivo, ravvisandosi
nelle emergenze processuali elementi che inducono un ragionevole dubbio, che si
ritiene non superabile neanche in sede di vaglio dibattimentale, circa una
coscienza e volontà degli imputati di porre in essere una condotta di falso
ideologico, ravvisandosi di contra negli atti processuali significativi elementi
di segno contrario alla tesi accusatoria.
Per questi motivi questo giudice ritiene di dover pervenire ad una pronuncia di
non luogo a procedere nei confronti di tali imputati non ritenendosi raggiunta
agli atti una sufficiente e tranquillante prova circa la sussistenza del reato,
quantomeno sotto il profilo soggettivo e altresì ritenendosi la impossibilità di
sostenere l'accusa in giudizio.
Una volta pervenuti a tale conclusione per quanto attiene le condotte di falso,
ancor più debole si presenta la costruzione accusatoria per quanto attiene i
reati di abuso cosi come ascritti. Invero l'abuso di ufficio è fattispecie
legale volta a reprimere quei fatti illeciti che si concretizzano nell'esercizio
distorto e strumentale di un pubblico ufficio, ovvero delle potestà
pubblicistiche connesse all'esercizio dell'ufficio, al fine della realizzazione
di un ingiusto vantaggio patrimoniale, o del danno ingiusto, perseguito
attraverso la violazione di norme o regolamenti. Oggetto del reato è
notoriamente la lesione del buon funzionamento della P.A. Quanto ai soggetti
attivi del reato, trattasi di tipica figura di reato proprio ma non esclusivo,
onde a ciò consegue la possibilità di attuare il fatto tipico anche per
interposta persona e la applicabilità del concorso nel reato dell'extraneus –
secondo i principi generali dell'istituto del concorso di persone nel reato-
senza tuttavia che tale apporto dell'extraneus possa essere considerato
imprescindibile per la configurazione dell'illecito.
Parimenti noto è che il novellato art. 323 c.p. richiede espressamente, al fine
del configurarsi dell’elemento oggettivo del reato, che i'ingiusto danno o
vantaggio venga perseguito mediante la violazione di norme di legge o di
regolamento, concetto questo che non va confuso con quello, più ampio, di atto
amministrativo illegittimo per violazione di legge, atteso che il termine legge
riportato dall'art. 26 del T.U. sul C.d S.- e cui si riferisce il vizio
dell'atto amministrativo- include non solo le fonti primarie di produzione del
diritto, ma anche qualunque altro atto o fatto che costituisca fonte normativa
in senso lato, mentre invece non possono ricomprendersi nella previsione
dell'art. 323 c.p. le fonti normative diverse da quelle primarie e secondarie.
D'altro canto deve notarsi come, sotto altro aspetto, il concetto di violazione
di legge come vizio dell'atto amministrativo sia più ristretto di quello cui si
riferisce l’art. 323 cp, atteso che quest’ultimo si riferisce non
necessariamente , o esclusivamente, - come nel caso del vizio dell'atto- alla
attività del p.u. che si sia tradotta in atti amministrativi, bensì a
qualsivoglia attività o comportamenti posti in essere in violazione di legge,
pur se non tradottisi in atti amministrativi.
Ulteriore modalità di commissione del reato de quo è la violazione di norme
regolamentari ed è bene , sul punto, ricordare che il regolamento è un atto
formalmente amministrativo, in quanto posto in essere da un’autorità
amministrativa, nell'esercizio di una funzione amministrativa, e sostanzialmente
normativo, in quanto dotato dei caratteri di astrattezza e generalità.
In giurisprudenza si è affermato che pur prescindendo il novellato art. 323 c.p.
dalle patologie dell'atto amministrativo, la condotta da prendere in
considerazione deve inerire all'esercizio del potere attribuito dalla normativa
di base dell'ufficio cui appartiene il p.u. e “...trattandosi di funzione, ossia
di potere attribuito in vista di uno scopo pubblico, che costituisca la causa
intrinseca di legalità del potere medesimo, si ha violazione di legge non solo
quando la condotta sia stata svolta in contrasto con le competenze, le
procedure, i requisiti richiesti, ma anche quando essa non si sia conformata al
presupposto stesso da cui trae origine il potere, caratterizzato dal vincolo di
tipicità e di stretta legalità funzionale. Pertanto il potere esercitato per un
fine diverso da quello voluto dalla legge, e quindi per uno scopo personale o
egoistico, e comunque estraneo alla P.A., si pone fuori dallo schema di legalità
e rappresenta, nella sua oggettività, offesa al bene tutelato, orientamento
questo che individua altresì la nozione di ingiustizia dell'evento o del danno
procurato, ulteriore elemento costitutivo del reato.
Infine, l’attuale previsione normativa, presupponendo la violazione di una norma
di legge o di regolamento, che a sua volta può contenere un obbligo di agire a
carico del pubblico funzionario, consente la punibilità di un abuso commesso sia
con una condotta attiva che omissiva. Laddove infatti è sancito un obbligo di
agire a carico del funzionario pubblico, l'eventuale omissione perpetrata, se
diretta a procurare un vantaggio ingiusto, non può che determinare la
responsabilità dello stesso. Alla luce di tali considerazioni e configurandosi
il nuovo delitto di abuso come reato a condotta vincolata, consegue che è
superfluo, ai fini della punibilità, il richiamo all'art. 40 cpv. c.p., che
trova applicazione con riferimento ai reati di evento causalmente orientati,
sussistendo nella ipotesi normativa tutti gli elementi costitutivi del reato
omissivo improprio di abuso, ossia: la norma da cui scaturisce l’obbligo di
attivarsi (situazione tipica), il comportamento omissivo concretantesi nel
mancato impedimento dell’ingiusto vantaggio patrimoniale (omissione), l’evento
di ingiusto vantaggio patrimoniale o danno ingiusto e il complesso degli
obblighi giuridici -norme di legge o di regolamento- che rendono il p.u. garante
del buon andamento e imparzialità della P. A. (posizione di garanzia).
Trattasi inoltre di reato di evento a forma vincolata, atteso che la fattispecie
risulta determinata in funzione della violazione di legge o di regolamento e la
configurabilità del reato e state ancorata al configurarsi di un danno.
consistente nell'aver procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale, o arrecato
un danno ingiusto. Al fine dunque evidente di escludere della sfera
dell'illecito i piccoli favoritismi, pur mantenendosi la distinzione tra
condotta favoritrice e condotta affaristica, questa è stata trasferita dal piano
della condotta a quella dell’evento e si è esclusa la punibilità dei fatti non
caratterizzati da un vantaggio a contenuto patrimoniale. Si è dunque operata una
vera e propria abolitio criminis della fattispecie concreta dell'abuso non
patrimoniale. Deve pertanto trattarsi di vantaggio, ossia suscettibile di
instaurare una situazione favorevole per i rapporti giuridici a contenuto
patrimoniale - suscettibili, ex art.1174 c.c. di valutazione economica- a
prescindere da un effettivo incremento economico, che si verifica ogni qualvolta
risulta ampliata la sfera delle situazioni soggettive facenti capo ai
destinatari dell'atto amministrativo. Invece, per danno ingiusto, si intende
quel complesso di effetti pregiudizievoli derivanti dalla condotta abusiva, che
vanno al di là della mera dimensione patrimoniale e che non
richiedono,necessariamente e simmetricamente, la realizzazione di un vantaggio
dell’agente. La Cassazione ha poi precisato che non è sufficiente che il danno
sia una conseguenza naturale della condotta dell'agente, ma che è indispensabile
che esso sia conseguenza diretta e immediata del comportamento dell’agente e
quindi da questi voluto come obiettivo del suo operato.
In mancanza, poi, di effettiva realizzazione dell'evento, il reato non potrà
dirsi consumato, atteso che il reato è stato costruito come un reato di danno e
che dunque è stata spostata in avanti la realizzazione della fattispecie, ma la
punibilità potrà configurarsi solo sul piano del tentativo, qualora sussistano
tutti i presupposti e le condizioni dell'art. 56 c.p.
Deve infine sottolinearsi l'ulteriore elemento richiesto della norma della
ingiustizia del vantaggio o del danno. Ossia occorre verificare , per la
sussistenza del reato, che I'evento sia di per sè ingiusto e non come riflesso
della condotta realizzata in violazione di norme o di obbligo di astensione da
parte deIl'agente.
Quanto alla ingiustizia del vantaggio, essa ricorre quando l’azione
amministrativa non è conforme al diritto e quando si ha una deviazione di essa
dal suoi fini istituzionali, e ciò rappresenta il quid pluris rispetto alla mera
illegittimità dell'atto, ossia ricorre ogni qualvolta vi sia sfruttamento dei
poteri pubblicistici a fini privati. Quindi si ha vantaggio o danno ingiusto
ogni qualvolta dall'atto abusivo deriva per taluno una posizione più, o meno,
favorevole di quella che sarebbe scaturita dall'atto conforme al dovere.
Svariate sono le pronunce sul punto: "...affinchè il vantaggio previsto
dall'art. 323 c.p. possa considerarsi ingiusto, occorre la doppia condizione che
esso sia prodotto "non iure" e inoltre che sia " contra ius", vale a dire che
risultato dell'abuso si presenti come contrario all'ordinamento giuridico "
Ne consegue che questo Tribunale dovrà operare una duplice valutazione in ordine
alla ingiustizia del fatto commesso, ossia una prima relativa alla condotta
posta in essere dall’agente (se in violazione o meno di norme...) e una seconda
relativa al risultato della condotta già ritenuta illecita, in quanto non sempre
da una condotta abusiva discende un vantaggio o un danno ingiusto. Si parla
infatti del profilo di doppia illiceità della norma, attesa la distinzione tra
illegittimità della condotta, intesa come illegittimità dei mezzi impiegati, e
ingiustizia dell'atto, inteso come fine perseguito contra ius. Infine, l'abuso,
per come novellato, è reato a dolo intenzionale, che richiede dunque la
coscienza e volontà non solo del fatto tipico, e dunque delle specifiche
modalità di causazione dell'evento (violazione di norme ecc.), ma anche
dell'evento di danno a di ingiusto vantaggio. Da tale considerazione discende
che, ai fini della configurazione dell'elemento soggettivo, non si richiede da
parte dell'agente un fine ulteriore da perseguirsi al di la della condotta posta
in essere - essendo stato trasferito concetto di perseguimento di un evento
ingiusto di vantaggio patrimoniale o di danno dalla sfera dell’elemento
soggettivo a quella dell’elemento oggettivo- bensì una rappresentazione e
volizione da parte dell'autore della condotta, che abbracci tutti gli elementi
costitutivi del reato sotto il profilo oggettivo, per come precedentemente
richiamati.
Il dolo intenzionale può quindi correttamente intendersi integrato dalla
coscienza e volontà non solo del fatto tipico, e dunque delle specifiche
modalità di causazione dell'evento (violazione di norme ecc.), ma anche
dell'evento di danno o di ingiusto vantaggio, risultando invece irrilevante il
movente, ossia la motivazione induce il soggetto a perseguire la realizzazione
del reato come fine della condotta.
Detta ricostruzione incide altresì sul regime applicabile in tema di errore,
atteso che ne consegue che ogni errore su un elemento della condotta o
sull'evento, qualora determinante una falsa rappresentazione di un elemento
costitutivo del reato, potrebbe, riconvertendosi in errore sul fatto, escludere
la punibilità dell'agente.
Ebbene da tale excursus interpretativo della norma si evince con palmare
evidenza che, con riferimento alla fattispecie concreta in esame e in
particolare alle contestazioni sub B) e D) della rubrica, difetta in atti una
qualsivoglia prova circa il ricorrere di tutti gli elementi costitutivi del
reato per come esposti
Chiarita invero la problematicità della questione amministrativa a monte della
fattispecie in oggetto, manca in atti qualsivoglia prova in ordine alla
illegittimità dell’atto e ancor più in ordine alla sua illiceità, che ricorre
ogni qualvolta vi sia sfruttamento dei poteri pubblicistici a fini privati,
atteso che non si è in alcun modo provato che la privata committente si sia in
qualche modo adoperata per esercitare pressione o sollecitare i pubblici
funzionari ad omettere un'attività di adeguata vigilanza, ovvero a rilasciare il
contestato permesso a costruire in sanatoria, nè si è addotta alcuna prova circa
eventuali rapporti personali della stessa con i pubblici funzionari o comunque
altri dati di contorno idonei a dimostrare una sua qualche collusione con i
medesimi.
Non vi è prova della ingiustizia del vantaggio, che ricorre quando l'azione
amministrativa none conforme al diritto e quando si ha una deviazione di essa
dai suoi fini istituzionali, e ciò rappresenta il quid pluris rispetto al
ricorrere della doppia illiceità intesa come illegittimità della condotta e come
fine perseguito contra ius e manca altresì il necessario dolo intenzionale
consistito nella coscienza e volontà non solo del fatto tipico, e dunque della
violazione di norme, ma anche dell'evento di danno o di ingiusto vantaggio, se
solo si considera che quanto e stato concesso alla Capone lo era già stato nel
corso degli anni a tutti i proprietari finitimi, onde tanto costituiva in
sostanza prassi per l’UTC in esame. Invero lo stesso c.t.u., oltre le già
evidenziate perplessità sulla correttezza dell'operato dei competenti
funzionari, evidenziava, rispondendo a specifico quesito ammesso dal GIP che la
documentazione fotografica riportata mostra che di fatto, la situazione
esistente nella proprietà Capone si ripete sostanzialmente lungo I'intera Via
Cavour, riguardando tutta la fascia originariamente vincolata a spazi pubblici
ed oggi priva di destinazione urbanistica, dal momento che la intera via è stata
interessata da nuove edificazioni.
Tali considerazioni rendono dunque particolarmente debole e pertanto non
sostenibile, neanche al vaglio dibattimentale, la ricostruzione accusatoria.
Per tali motivi, con riferimento ai reati sub capi B) e D), il compendio
probatorio è tale da risultare insufficiente, contradditorio e comunque non
idoneo a sostenere l'accusa in giudizio a carico dei rispettivi imputati ed é
tale altresì da non apparire modificabile in dibattimento con l'acquisizione di
nuovi elementi di prova, nè da apparire diversamente valutabile e a ciò consegue
la pronuncia di non luogo a procedere nei confronti di tutti gli imputati in
ordine a tali reati, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., perchè il fatto non
sussiste, quantomeno ai sensi del cpv. Art. 425 cpp.
A tutto ciò consegue infine che, a fronte di un p.d.c. asseritamente illegittimo
e illecito, ma riguardo alla cui illiceità non si ritiene raggiunta una prova
sufficiente e dunque di fatto esistente, valido ed efficace. non può che
dichiararsi il non luogo a procedere anche per il reato contravvenzionale di cui
al capo E). che non si ritiene sussistente sulla scorta delle emergenze
processuali in atti.
Si ribadisce infine la già richiamata insussistenza del reato del capo F),
essendosi acquisita prova contraria all'assunto accusatorio
Considerata in definitiva la mancanza di un'adeguata prova a carico degli
attuali imputati a fondamento della richiesta avanzata per le argomentazioni già
esposte e ritenuto dunque che gli elementi acquisiti siano del tutto
insufficienti e comunque inidonei a sostenere l'accusa in giudizio, in relazione
alla sussistenza dei reati contestati, ciò giustifica l'emissione di una
pronuncia di non luogo a procedere nei loro confronti per tutti i reati
contestati cosi come da dispositivo
PQM
Letto l’art. 425 co 3 c.p.p.,
Dichiara il non luogo a procedere nei confronti di Capone Grazia e Barattolo
Eustachio per i reati loro ascritti ai capi A) e C) in rubrica perchè il fatto
non costituisce reato.
Dichiara il non luogo a procedere nei confronti di Capone Grazia, Salerno
Carmine, Carrafiello Paolo e Cioffi Alterisio per i reati, per come
rispettivamenfe ascritti, di cui ai capi B) e D) della rubrica perche il fatto
non sussiste
Letto l'art. 425 c.p.p
Dichiara il non luogo a procedere nei confronti di Capone Grazia, Salerno
Carmine, Carrafiello Paolo, Cioffi Alterisio e Barattolo Eustachio per i reati,
per come rispettivamente ascritti, di cui ai capi E) e F) in rubrica perche il
fatto non sussiste
Motivi riservati gg. 45
Salerno 18/11/2010
Il G.I.P.
Dott.ssa Giovanna Lerose
TRIBUNALE DI SALERNO
cancelleria GIP/GUP
Depositato in Cancelleria
21 dic. 2010
1 Come è noto, l'articolo 12,
comma 3 del D.P.R. 380/2001, prevede che, in caso di contrasto dell’intervento
richiesto con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, e sospesa ogni
determinazione in ordine alla domanda, per la durata di tre anni dalla data di
adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni, nell'ipotesi in cui lo
strumento sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione
entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione. Nel caso in esame
vigeva il termine dei tre anni, in quanto il Piano Regolatore generale adottato
veniva sottoposto alla Provincia, ente competente all'approvazione, nel 2007 e
quindi ben oltre un anno dalla data della suapubblicazione , intervenuta nel
2003.
2 Art. 2 della Legge 1187/1968- Comma 1
1. Le indicazioni del piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su
beni determinati ed assoggettano 1 beni vincoli preordinati all’espropriazione
od a vincoli che comportino perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni
dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati
approvati i relativi piani particolareggiati ad autorizzati i piani di
lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli predetti non può essere
protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di
lottizzazione.
3 La prescrizione delle N.T.A. recita testualmente: aree a verde privato —
queste aree sono inedificabili. Su di else S0170 consentiti solamente interventi
di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici esistenti, e come
pertinenza esclusiva delle abitazioni possono essere costruiti impianti per la
pratica sportive ad uso privato senza volumetrie, annessi alle abitazioni
(forni, depositi, lavanderie ecc.) per una superficie coperta massima di mq 6 ed
un’altezza utile di mt 2.40 . In verità, la norma appare effettivamente
contraddittoria, in quanto nel mentre inizia il capoverso imponendo l’inedificabilità
assoluta, consente poi la realizzazione di impianti per la pratica sportiva ad
uso privato, e l'edificazione di piccoli manufatti. Tra l’altro, attesa l’aclività
naturale dell'area interessata, la previsione di realizzare impianti per la
pratica sportiva ( campi da tennis, campi di calcetto, piscine, ecc. )
evidentemente contemplava la possibilità di realizzare dei terrazzamenti e
quindi dei muri di sostegno.
4 L'area interessata dai lavori, con deliberazione di Giunta Comunale n. 125 del
19.03.1999, veniva compresa all'interno della perimetrazione del Centro abitato
5 E' da riferire che il Codice della Strada, di cui al D. Lgs. N.285/1992,
all'articolo 4, imponeva a tutti i Comuni di delimitate il centro abitato, anche
al fine della declassificazione delle strade statali. Il Comune di Montecorvino
Rovella, dapprima con delibera di Giunta n. 69/1999, poi con delibera n.
125/1999, delimitava il centro abitato, e con tale ultima delibera comprendeva
anche il tratto stradale compreso dal km 9.000 al km 9.380, e quindi il tronco
viario in questione, prospiciente la proprietà Capone. Ciò stante, a norma
dell'articolo 2, comma 7 del Codice della Strada, e nella considerazione che il
centro urbano avesse popolazione superiore a 10.000 abitanti, il tratto stradale
in questione diveniva ope legis di proprietà comunale.
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