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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562

 

 

(Si ringrazia l'avv. Paolo Persello per la segnalazione)

 

TRIBUNALE DI UDINE, Sez. staccata di Palmanova - 25 novembre 2010, n. 314
 

DIRITTO DELL'ACQUE - Scarico - Autorizzazione allo scarico -Violazione delle prescrizioni - Art. 59 d.lgs. n. 152/99 (art. 137 d.lgs. n. 152/2006 - Configurabilità - Presupposti - Scarico di sostanze pericolose comprese nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5. Per la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 59 D.L.vo n. 152/99 (art. 137 D.L.vo n. 152/2006) non è sufficiente la mancata osservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, essendo invece necessario che le acque di scarico contengano le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5, posto che, in caso contrario, si rientra nell’ipotesi più generale dell’art. 54, comma 3° del D.L.vo n. 152/99, che prevede un semplice illecito amministrativo (vd. in tal senso Cass. pen., sez. III, n. 32847 dell’8.7 - 2.9.2005, Germiniasi). Giud. Feruglio, imp. Comelli. TRIBUNALE DI UDINE, Sez. staccata di Palmanova - 25 novembre 2010, n. 314

DIRITTO DELL'ACQUE - ACQUA - Scarico - Sostanze cancerogene - Prova - Effetti sull’uomo e non sugli animali in genere - punto 18, tab, 5 d.lgs. n. 152/99.
La corretta interpretazione della previsione di chiusura del punto 18 della tabella 5 del d.lgs. n. 152/99 non richiede soltanto la possibilità o la probabilità che una determinata sostanza possa avere un potere cancerogeno, ma esige che questo sia provato (vd. sul punto Cass. pen. sez. II, n. 13694 del 13.1.1999, Tanghetti; sez. III, n. 12362 del 4.2.2003, Grilli, sez. III, n. 34899 del 6.6.2007, Ghisolfi ed a.); il potere cancerogeno va valutato esclusivamente nei confronti dell’uomo, e non anche nei confronti degli animali in genere (posto che una diversa interpretazione renderebbe la fattispecie penale del tutto priva della necessaria chiarezza, precisione e determinatezza, introducendo un elemento di integrazione non normativamente previsto, e contrario al principio di tipicità). Giud. Feruglio, imp. Comelli. TRIBUNALE DI UDINE, Sez. staccata di Palmanova - 25/11/2010, n. 314

DIRITTO DELL'ACQUE - ACQUA - Avvelenamento di acque - Artt. 439-452 c.p. - Reato di pericolo presunto - Immissione di sostanze inquinanti di qualità e quantità tali da determinare pericolo per la salute. Per la configurabilità del reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all’alimentazione (artt. 439 - 452 c.p.), pur dovendosi ritenere che trattasi di reato di pericolo presunto, è tuttavia necessario che un “avvelenamento”, di per sé produttivo, come tale, di pericolo per la salute pubblica, via sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità ed in quantità tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossico-nocivi per la salute (vd. in tal senso Cass. pen. sez. IV, n. 15216 del 13.2 - 17.4.2007, Della Torre). Giud. Feruglio, imp. Comelli. TRIBUNALE DI UDINE, Sez. staccata di Palmanova - 25 novembre 2010, n. 314
 

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



L N. 3723/205 R.G. N.R.
N. 317/2008 R.G. Dib.
N. 314/2010 Sentenze
Depositata il 25 nov. 2010
N.Reg. Esec.
N. Part. Cred.
Scheda il


Il Tribunale di Udine, sezione staccata di Palmanova, nella persona del giudice, dott.ssa Francesca Feruglio, all’udienza del 22 settembre 2010 ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel procedimento penale a carico di CO. An., Nato a Visco (UD) il xx.ad.1955, ivi residente Via (omissis)


libero - contumace


IMPUTATO


a) per il reato p. e p. dagli artt. 439 - 452 c.p. perché, in qualità di procuratore speciale per lo stabilimento di Bicinicco dal 16.3.2005, con ampia delega in materia di rispetto di norme ambientali ed ecologiche in genere, nonché dal 16.12.2004 munito di procura per gli adempimenti di cui al D.L.vo n. 152/1999, per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza e nella violazione dell’art. 59 D.L.vo n. 152/99 (oggi art. 137 D.L.vo n. 152/2006) con la condotta descritta nel capo b) avvelenava le acque della Roggia di Palma e della Roggia Brentana con questa comunicante e conseguentemente le trote destinate alla commercializzazione dell’allevamento ittico di Campion Nicola sito a Bagnaria Arsa a valle dello stabilimento ed alimentato da tali acque, rendendole pericolose per la salute.


Accertato in Bagnaria Arsa il 20 aprile 2005 (data del primo prelievo presso l’allevamento ittico)
b) per il reato p.e p. dall’art. 137 D.L.vo n. 152/2006 (art. 59 D.L.vo n. 152/99) perché nella qualità specificata nel capo a) violava le prescrizioni dell’autorizzazione allo scarico rilasciata dalla Provincia di udine con determina n. 377 del 9.8.2003 e in particolare i punti 6 - 9 - 10 - 13 scaricando nella Roggia di Palma acque reflue industriali contententi verde malachite, colorante liquido verde ad alto grado di pericolosità e tossicità utilizzato nella produzione in miscela con acqua per la colorazione di pannelli di legno, sostanza pericolosa ricompresa nelle tabelle 3 (n. 51) e 5 8n. 18) dell’allegato 5.


Accertato in Bagnaria Arsa il 20 aprile 2005 (data del primo prelievo presso l’allevamento ittico)


*****


Con l’intervento del pubblico ministero, dott.ssa Maria Caterina Pace, e del difensore di fiducia dell’imputato, avv. Paolo Persello del Foro di Udine.


Le parti hanno così concluso:
il pubblico ministero: ritenuta la continuazione fra i reati, condanna alla pena di mesi sette di reclusione;
il difensore dell’imputato: per entrambi i capi di imputazione, assoluzione perché il fatto non sussiste, o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, o per non aver commesso il fatto, come da memoria difensiva che dimette.


FATTO E DIRITTO


Tratto a giudizio per rispondere delle imputazioni riportate in rubrica Angelo Comelli per se ritualmente citato a seguito di rinnovazione della notificazione, non compariva personalmente all’udienza del 29 gennaio 2009, e veniva pertanto dichiarato contumace.


Dopo un rinvio del processo, determinato dall’adesione del difensore all’astensione delle udienze proclamata da un organismo rappresentativo della categoria professionale, aperto il dibattimento e data lettura dell’imputazione all’udienza del 29 aprile 2009 il giudice ammetteva le prove richieste da pubblico ministero e difensore, e nel corso di più udienze successive procedeva all’esame dei testimoni e dei consulenti tecnici indicati dalle parti, con conseguente acquisizione, ai sensi dell’art. 501 c.p.p., delle relazioni scritte dagli stessi predisposte e consultate nel corso dell’esame; in tal modo esaurita l’attività di istruzione dibattimentale pubblico ministero e difensore prendevano ed illustravano le rispettive conclusioni, riportate in epigrafe, e la giudicante decideva con dispositivo letto in pubblica udienza, e qui di seguito integralmente riprodotto in calce.


L’imputato deve essere mandato assolto da entrambi i reati a lui ascritti, per insussistenza del fatto.


Le dichiarazioni dei testi dell’accusa (in particolare quelle dei testi Sabot e Lanza dipendenti del Servizio Veterinario della A.S.S. n. 5 “Bassa Friulana”, campion, titolare della società “Agrifish s.n.c.” di bagnaria Arsa, e Tramontini, in servizio presso il N.A.S. dei Carabinieri di Udine) e del consulente del pubblico ministero, prof. Perin, hanno consentito di chiarire quale fu l’origine del presente procedimento, vale a dire un’allerta comunitario che segnalò come le analisi eseguite nel febbraio del 2005 in Germania su una partita di trote, provenienti dall’allevamento ittico dell’azienda friulana, avesse rilevato la presenza nei pesci di una sostanza denominata “verde malachite” (o MG, vale a dire Malachite Green), la cui presenza è proibita a livello comunitario negli alimenti destinati all’uomo.


I conseguenti controlli avviati in Italia partirono proprio dall’allevamento di Bagnaria Arsa gestito dalla società facente capo a Campion, atteso che la sostanza in questione, pur se vietata, ha caratteristiche tali da poter essere utilizzata per la disinfezione di acquari e vasche di allevamento: vennero in particolare eseguiti prelevamenti di pesci nell’allevamento ittico ed anche nei corsi d’acqua che ne alimentano le vasche ed in quelli nei quali confluiscono gli scarichi, rilevando anche in alcuni dei pesci autoctoni tracce di verde malachite; per tale ragione, le indagine vennero estese all’articolata rete idrografica di acqua dolce che interessa la zona ove ha sede l’allevamento, mediante campionamenti di sedimenti e di acque, nelle quali, nel dicembre 2005, venne rilevata la presenza della sostanza ricercata (come riferito dalla teste Plazzotta dell’A.R.P.A. regionale, vd. la pag. 30 della trascrizione della registrazione dell’udienza del 30.9.09).


La Procura della repubblica decisa così di approfondire sul piano tecnico le indagini (quando esse riguardavano ancora il titolare della società “Agrifish”, Nicola Campion, nei cui confronti si ipotizzava che avesse contaminato il proprio prodotto destinato all’alimentazione, usando la sostanza di cui si discute per l’igienizzazione delle vasche), conferendo un incarico di consulenza ad un esperto in tossicologia, il prof. Perin dell’Università di Venezia, il quale per un verso eslcuse l’utilizzo di verde malachite nell’allevamento ittico di Campion, e concentrò invece la propria attenzione sullo stabilimento della società “Bipan” di Bicinicco, dopo che era risultato dalle indagini che quest’ultima società aveva certamente utilizzato per la colorazione dei pannelli di legno di sua produzione la sostanza verde malachite (circostanza pacificamente confermata in aula dalle deposizioni dei testi fabbri e Macor, e comprovata altresì dalla fatture della società fornitrice “Softer Color” acquisite sull’accordo delle parti all’udienza del 30.9.09).


Il consulente ha in particolare riferito che i prelevamenti di sedimenti, eseguiti a monte e a valle dello stabilimento di Bicinicco, avevano indicato come la fonte massica di inquinamento fosse riscontrabile proprio a livello di quell’insediamento produttivo (vd. l’esame del consulente, alle pagg. 7/9 della trascrizione dell’udienza del 30.9.09: “Noi abbiamo trovato che dove terminava l’inquinamento del sedimento vi era corrispondenza con uno stabilimento di una fabbrica … a monte della Bipan … noi abbiamo prelevato i campioni semplici --- (e non abbiamo trovato, n.d.r.) niente”; alle medesime conclusioni giunge anche la relazione scritta, acquisita nel corso della medesima udienza a mente dell’art. 501, comma 2° c.p.p.).


L’ulteriore approfondimento istruttorio si è quindi concentrato sulla natura e qualificazione della sostanza di cui ci si occupa, il verde malachite: in proposito, il consulente della pubblica accusa prof. Perin ha spiegato che (cfr. le pagg. 5/8 della sua relazione): “Il verde malachite (malachite green: MG) è un colorante derivato dal trifenilmetano … deve il suo nome al colore verde scuro con cui si presentano i suoi Sali … in seguito a processi di biotrasformazione, il MG viene trasformato in leucomalachite (leucomalachite green: LMG) … Il verde malachite è stato utilizzato prevalentemente come farmaco dall’industria dell’acquicultura: infatti, esso è molto efficace contro le infezioni da protozoi e funghi . Può anche essere usata come rimedio contro la muffa delle uova e contro i funghi dei pesci … Inoltre il MG è un colorante molto potente che è utilizzato nell’industria tessile, cartaria e dei prodotti acrilici ma anche come additivo e agente colorante nel cibo, nonché come disinfettante e antielmintico. Attualmente il verde malachite è diventato un composto altamente controverso a causa dei rischi che si suppone che esso provochi ai consumatori di pesce trattato con questo farmaco. nonostante la messa al bando da parte di numerose nazioni in tutta Europa … è tutt’ora usato in molte parti del mondo a causa del suo basso costo”, precisando poi che si tratta di una sostanza che, a determinati dosaggi e per il concorso di altri fattori (quali le dimensioni e la specie, nonché la qualità dell’acqua), può essere tossica per i pesci, mentre per quanto riguarda le altre specie viventi, e l’uomo in particolare, il consulente ha riconosciuto che “ … recenti studi (Stammati et al. 2005) hanno cercato di indagarne la tossicità nell’uomo, in particolare cercando di determinare la differenza tra LMG e MG senza giungere, tuttavia a conclusioni definitive” (cfr. la pag. 8 della relazione datata 15.8.06); il prof. Perin peraltro, ad esplicita domanda rivoltagli in aula, ha escluso che il verde malachite sia sostanza classificata come cancerogena (vd. la pag. 14 della trascrizione dell’udienza del 30.9.09).


Sempre dagli ulteriori approfondimenti del consulente dell’accusa, è risultato che il verde malachite è un componente non direttamente considerato in nessuna delle tabelle che enumerano gli inquinanti ambientali, non trattandosi di composto frai più comuni; esso sarebbe tuttavia classificabile secondo il prof. Perin come composto ad alta tossicità, rientrante fra quelli contemplati dalla voce 51 della tabella (vd. relazione integrativa di data 11.4.2007), e a suo parere classificabile anche fra le sostanze di cui alla voce 18 della tabella 5, in ragione di alcuni studi che ne avrebbero accertato la potenzialità cancerogena sui ratti femmine.


Sulle medesime circostanze si è poi espresso anche il consulente della difesa, prof. Lotti dell’Università di Padova, il quale pur confermando che il verde malachite (ed il suo prodotto di trasformazione denominato leucomalachite) non è assolutamente classificato come cancerogeno per l’uomo da alcuno degli organismi internazionali deputati a tale tipo di studi (vd. l’esame reso all’udienza del 19.5.10, e la relazione acquisita ai sensi dell’art. 501, comma 2° c.p.p.), ha fermamente criticato le osservazioni del consulente della pubblica accusa in merito alla possibile cancerogenicità del MG sui topi, sostenendo che “la capacità di MG e LMG di causare il cancro negli animali non è dimostrata” (cfr. la pag. 7 della relazione).


Partendo dalle emergenze dibattimentali sin qui riassunte, si deve in primo luogo escludere la sussistenza del reato contestato nel secondo capo di imputazione.


Occorre in proposito osservare che per la configurabilità della contravvenzione in parola non è sufficiente la mancata osservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, essendo invece necessario che le acque di scarico contengano le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5, posto che, in caso contrario, si rientra nell’ipotesi più generale dell’art. 54, comma 3° del D.L.vo n. 152/99, che prevede un semplice illecito amministrativo (vd. in tal senso Cass. pen., sez. III, n. 32847 dell’8.7 - 2.9.2005, Germiniasi).


Venendo dunque ad esaminare le prescrizioni la cui violazione viene analiticamente contestata dalla pubblica accusa, e segnatamente i punti 6, 9, 10 e 13 della determina n. 377 di data 9.9.2003 (acquisita a mente del’art. 507 c.p.p. all’udienza del 30.6.2010), si deve mettere in luce come essi non abbiano alcuna relazione con le sostanze di cui sopra, cui faceva esplicito riferimento il comma 4° dell’art. 59 del D.L.vo n. 152/99 (ed ora l’art. 137, comma 3° del D.L.vo 152/2006): il punto 6 impone infatti il rispetto dei valori limite di emissione indicati nella tabella 3 dell’allegato 5, mentre gli ulteriori punti contengono prescrizioni ancor più generiche, imponendo che lo scarico non debba “provocare la diminuzione della qualità ambientale del corpo idrico ricettore” (punto 9), ovvero che il titolare dell’insediamento debba “adottare le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento” (punto 10), o, ancora, ponendo il divieto di “qualsiasi variazione quali - quantitativa delle acque reflue scaricate” (punto 13).


Ciò posto, si deve ancora osservare che, per quanto si può comprendere dalla lettura del capo di imputazione, lo sversamento di acque reflue industriali contenenti verde malachite avrebbe comportato una violazione delle prescrizioni, trattandosi di una “sostanza pericolosa ricompresa nella tabelle 3 (n. 51) e 5 (n. 18) dell’allegato 5”: quanto al primo aspetto, tuttavia, è evidente che l’eventuale riconducibilità alla voce 51 della tabella 3 del verde malachite non consentirebbe comunque di ritenere sussistente alcun reato, per le motivazioni sin qui esposte; quanto al secondo aspetto, è invece da escludersi, sulla base delle emergenze dibattimentali, che la sostanza colorante denominata verde malachite, di cui il processo si è ampiamente occupato, rientri fra quelle di cui al punto 18 della tabella 5.


Facendo infatti riferimento, come necessario, alla disposizione vigente all’epoca del fatto (2005), si deve rilevare che la disposizione di cui al citato punto 18 prevedeva le “sostanze di cui, secondo le indicazioni dell’agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC) è provato il potere cancerogeno (mentre allo stato tale voce comprende le “sostanze classificate contemporaneamente “cancerogene” (R45) e “pericolose per l’ambiente acquatico” (R50 e 51/53) ai sensi del D.L.vo 3 febbraio 1997, n. 52 e successive modificazioni”).


Orbene, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare in più occasioni che la corretta interpretazione della previsione di chiusura del punto 18 della tabella 5 non richiede soltanto la possibilità o la probabilità che una determinata sostanza possa avere un potere cancerogeno, ma esige che questo sia provato (vd. sul punto Cass. pen. sez. II, n. 13694 del 13.1.1999, Tanghetti; sez. III, n. 12362 del 4.2.2003, Grilli, sez. III, n. 34899 del 6.6.2007, Ghisolfi ed a.), sostenendo peraltro, nell’elaborazione più recente, approfondita e condivisibile, che potere cancerogeno va valutato esclusivamente nei confronti dell’uomo, e non anche nei confronti degli animali in genere (posto che una diversa interpretazione renderebbe la fattispecie penale del tutto priva della necessaria chiarezza, precisione e determinatezza, introducendo un elemento di integrazione non normativamente previsto, e contrario al principio di tipicità).


Così stando le cose, si deve dunque sottolineare che nel caso di specie tutti gli esperti ascoltati in aula hanno escluso la classificazione del verde malachite fra le sostanze certamente classificate come cancerogene per l’uomo (esistendo esclusivamente, allo stato delle conoscenze scientifiche, alcuni studi che hanno osservato l’evidenza di cancerogenicità della leucomalachite sui topi femmine): di conseguenze, essa on può oggi (e non poteva all’epoca del fatto) rientrare nella previsione del punto 18 della tabellla 5, ciò che comporta, anche sotto tale profilo, la insussistenza del fatto così contestato dall’accusa nel secondo capo di imputazione.


Esaminando infine la contestazione di cui al primo capo di imputazione, reputa questa giudicante che l’istruttoria dibattimentale non abbia portato ad accertare in modo certo e tranquillante la sussistenza di un avvelenamento di acque destinate all’alimentazione da parte della società di cui l’odierno imputato Comelli era procuratore speciale, con ampi poteri anche in materia ambientale e di tutela delle acque dall’inquinamento.


Si deve in primo luogo mettere in evidenza come lo sversamento nelle acque della Roggia di Palma del colorante denominato verde malachite, di cui a lungo si è discusso, sia risultato non da prove dirette (quali il rinvenimento di tale sostanza nelle acque dello scarico della società “Bipan”), ma solamente sulla base di una serie di indizi, precisi e concordanti (quali l’acquisto e l’utilizzo pacifico di tale sostanza da parte della società in parola, seppur in modo occasionale e non continuativo, per la colorazione dei pannelli di legno di sua produzione, l’accertata presenza del composto in questione nei sedimenti dei corsi d’acqua situati in prossimità ed a valle dello stabilimento “Bipan”, e l’assenza dei medesimi nella porzione di canale posta a monte dell’insediamento); ciò non ha dunque consentito di verificare non solo l’epoca esatta dello sversamento di acque contenenti verde malachite, ma, soprattutto, il quantitativo di sostanza immesso nel sistema di canali costituito fra l’altro dalla Roggia di Palma e dalla Roggia Brentana Orinazzo (si ricordi in proposito che la teste plazzotta dell’A.R.P.A. ha riferito di una presenza “a livelli di frazione di microgrammi, quindi a livello di nanogrammi”: cfr. la pag. 30 della trascrizione dell’udienza del 30.9.09); anche i prelevamenti e le analisi, eseguite a più riprese da organi competenti quali l’azienda sanitaria sui pesci autoctoni, presenti nella rete idrografica che interessa la zona circostante lo stabilimento “Bipan” di Bicinicco, diedero esiti non particolarmente significativi, nel senso che, per un verso, non venne rilevata una generale contaminazione di tutta la fauna ittica, ma solo una presenza di alcuni esemplari con tracce di sostanza verde malachite, insieme a molti altri negativi alle analisi (vd. la tabella inserita alle pagg. 21/22 della relazione del prof. Perin, e le deposizioni dei testi Sabot e Lanza, escussi entrambi nel corso dell’udienza del 30.9.09); in ogni caso, le verifiche si riferiscono sempre ad animali catturati vivi, poiché non venne mai accertato che la contaminazione avesse provocato morie o patologie specifiche alle specie ittiche presenti nelle acque libere.


In ultimo, si deve osservare che per quanto pacificamente riferito dai testi (fra cui il personale del N.A.S. dei Carabinieri di Udine), l’insieme di corsi d’acqua dolce circostante lo stabilimento della società “Bipan” è costituita da una serie di canali artificiali, che non prevedono la captazione ai fini alimentari: si tratta, in buona sostanza, di acque superficiali non classificate come potabili, e non destinate all’alimentazione umana.


Ciò premesso in via di fatto, si deve dunque ritenere come “per la configurabilità del reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all’alimentazione, pur dovendosi ritenere che trattasi di reato di pericolo presunto, è tuttavia necessario che un “avvelenamento”, di per sé produttivo, come tale, di pericolo per la salute pubblica, via sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità ed in quantità tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossico-nocivi per la salute” (vd. in tal senso Cass. pen. sez. IV, n. 15216 del 13.2 - 17.4.2007, Della Torre); nel caso in esame, al contrario, non pare essere stato assolutamente provato che l’immissione di acque contenenti verde malachite ad opera della società del prevenuto abbia causato un avvelenamento, vale a dire una situazione potenzialmente idonea a produrre effetti tossico-nocivi per la salute: come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, la pericolosità va infatti scientificamente accertata, e in tanto si potrà parlare di “avvelenamento”, in quanto sia risultata una presenza nelle acque di sostanza contaminante alla quale le indagini scientifiche riconducano effetti avversi per la salute.
Nella fattispecie concreta, al contrario, si discute di un composto non solo non espressamente contemplato nelle tabelle delle sostanze inquinanti (cosicchè non esistono nemmeno limiti normativamente previsti di tollerabilità, superati i quali si potrebbe iniziare a discutere dell’eventuale potenzialità tossico-nociva), ma la cui tossicità è scientificamente riconosciuta solo per alcune specie di pesci (e sempre in relazione ad altri fattori, quali dosaggio, peso, specie, qualità complessiva dell’acqua,…) ed in alcun modo provata quanto all’uomo (senza che il divieto d’uso, vigente a livello nazionale ed europeo con riferimento alle specie ittiche destinate all’alimentazione umana possa costituire, di per sé, indice di una pericolosità per l’uomo della sostanza in questione, avendo evidentemente la norma sovranazionale semplice valore preventivo , essendo la tossicità nell’uomo del verde malachite tutt’altro che accertata a livello scientifico, come riconosciuto anche dal consulente della pubblica accusa, prof. Perin, vd, la pag. 8 della relazione di data 15.8.06).


Le considerazioni che precedono impongono dunque la pronuncia di una sentenza di assoluzione, secondo la formula indicata in premessa.


p.q.m.


visto l’art. 530 c.p.p.
assolve l’imputato dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste.


Motivazione risevata, ex art. 544, comma 3°, c.p.p. al 30.11.2010

Così deciso in Udine il 22 settembre 2010


IL GIUDICE
dottt.ssa Francesca Feruglio

IL CANCELLIERE B3
dr.ssa Simona ZAMARIAN

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
il 25 NOV 2010
IL CANCELLIERE B3
dr.ssa Simona ZAMARIAN

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