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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. VI - 3 marzo 2011, Sentenza n.
1366
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Piano paesaggistico - Art. 134, lett. c), d.lgs.
n. 42/2004 - Diretta qualificazione di aree come beni paesaggistico -
Possibilità. Il piano paesaggistico può, ai sensi dell’art. 134, lett. c)
del d.lgs. n. 42/2004, direttamente qualificare come beni paesaggistici aree -
ulteriori rispetto a quelle dichiarate tali in via amministrativa o ex lege - il
cui valore specifico da tutelare è dato da caratteri simili, o di analogo
fondamento, rispetto a quelli considerati per i vincoli provvedimentali
dell’art. 136 o per quelli ex lege dall’art. 142, e il cui effetto ricognitivo è
quello proprio dei quei vincoli paesaggistici, cui si deve aggiungere un
contenuto prescrittivo, posto dal Piano stesso contestualmente alla loro
individuazione. Pres. Severini , Est. Meschino - Regione Sardegna (avv.ti
Carrozza, Cerulli Irelli e Contu) c. Comune di Cagliari (avv.ti Curreli, Marras,
Massa e Vignolo) - (Riforma T.A.R. SARDEGNA, Sez. II, n. 2241/2007) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 3 marzo 2011, n. 1366
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Regione - PPR e NTA - Imposizione di specifica
disciplina di tutela - Vincolo archeologico - Interesse archeologico - Tutela
distinta. La Regione attraverso il PPR e le NTA (come previsto dal D.lgs. n.
42/2004), ha il potere, dopo avere evidenziato determinate caratteristiche di
valore paesaggistico e storico culturale, di imporre ad un’area una specifica
disciplina di tutela. Tale potere, in quanto afferente alla dimensione
paesaggistica del patrimonio culturale (cfr. art. 1, comma 3, del Codice),
presuppone una valutazione specifica, diversa da quella alla base di un vincolo
di bene culturale (cfr. art. 1, comma 2, del Codice), qual è un vincolo
archeologico. Si tratta piuttosto di una valutazione afferente la qualità
dell’ambito paesaggistico archeologicamente contrassegnato, e non dei singoli
beni archeologici. Quella delle aree di interesse archeologico è invero una
“tutela distinta” da quella di cui alla l. 1 giugno 1939 n. 1089[oggi: Parte
seconda, cioè artt. 14 e ss. del Codice], avendo ad oggetto non già,
direttamente o indirettamente, i beni riconosciuti di interesse archeologico, ma
piuttosto il loro territorio. Pres. Severini , Est. Meschino - Regione Sardegna
(avv.ti Carrozza, Cerulli Irelli e Contu) c. Comune di Cagliari (avv.ti Curreli,
Marras, Massa e Vignolo) - (Riforma T.A.R. SARDEGNA, Sez. II, n. 2241/2007) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 3 marzo 2011, n. 1366
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 01366/2011REG.PROV.COLL.
N. 04394/2008 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4394 del 2008, proposto dalla Regione
autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Carrozza, Vincenzo Cerulli Irelli e
Gian Piero Contu, con domicilio eletto presso Vincenzo Cerulli Irelli in Roma,
via Dora,1;
contro
Comune di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Carla Curreli, Ovidio Marras, Massimo
Massa e Marcello Vignolo, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in
Roma, via Portuense, 104;
nei confronti di
Ministero per beni e le attività culturali, Ministero dell’ambiente, in persona
dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Associazione Italia Nostra Onlus, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Dore, con domicilio eletto
presso Onlus Italia Nostra, in Roma, viale Liegi, 33;
Associazione Sardegna Democratica, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gian Piero Contu e Giuseppe
Macciotta, con domicilio eletto presso Paola Fiecchi in Roma, via S. Marcello
Pistoiese, 73/75;
ad opponendum
Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Corda e Antonello Rossi,
con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SARDEGNA - CAGLIARI: SEZIONE II n. 02241/2007, resa
tra le parti, concernente APPROVAZIONE PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE - PRIMO
AMBITO OMOGENEO.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dei Ministeri per i beni e le attivita'
culturali e dell’ambiente;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2011 il consigliere di
Stato Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Cerulli Irelli, Contu,
Vignolo, Dore, Corda, Rossi, e nelle preliminari l'avvocato dello Stato Rumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Comune di Cagliari, con il ricorso n. 902 del 2006 proposto al Tribunale
amministrativo regionale della Sardegna, ha chiesto l’annullamento:
-con il ricorso introduttivo, della delibera della Giunta regionale del 5
settembre 2006, n. 36/7 concernente “Approvazione del Piano Paesaggistico -
Primo ambito omogeneo” e del Piano Paesaggistico Regionale (di seguito: PPR) con
esso approvato; nonché degli atti allegati alla deliberazione di approvazione ed
in particolare: della relazione generale e relativi allegati, delle carte in
scala 1:200.000, contenenti la perimetrazione degli ambiti di paesaggio costieri
e la struttura fisica, l’assetto ambientale, l’assetto storico-culturale,
l’assetto insediativo, le aree gravate dagli usi civici; 141 carte in scala
1:25.000 illustrative dei territori ricompresi negli ambiti di paesaggio
costieri; 27 schede illustrative delle caratteristiche territoriali e degli
indirizzi progettuali degli ambiti di paesaggio costiero, 38 carte in scala
1:50.000 relative alla descrizione del territorio regionale non ricompreso negli
ambiti di paesaggio costiero; le norme tecniche di attuazione e relativi
allegati; di tutti gli atti preparatori ed istruttori del PPR, compresi i pareri
della quarta Commissione del Consiglio regionale resi in data 8 agosto 2006 e 5
settembre 2006; delle delibere della Giunta n. 33/27 del 10 agosto 2004 e n.
15/1 del 7 aprile 2005, con le quali sono stati costituiti il Comitato
Scientifico ed i gruppi di lavoro interassessoriali e del provvedimento del
Presidente della Regione di scelta e di nomina dei componenti il suddetto
Comitato; della delibera della Giunta regionale n. 22/3 del 24 maggio 2006, con
la quale è stato adottato il PPR e delle relative norme tecniche di attuazione;
-con motivi aggiunti, depositati in data 10 gennaio 2007, della delibera della
Giunta regionale del 5 settembre 2006, n. 36/7 concernente “Approvazione del
Piano Paesaggistico - Primo ambito omogeneo” e del PPR con esso approvato, con
tutti gli allegati; della delibera della Giunta regionale n. 22/3 del 24 maggio
2006, con la quale è stato adottato il PPR e delle relative norme tecniche di
attuazione;
Con secondi motivi aggiunti, conseguenti ad adempimento istruttorio e depositati
il 9 luglio 2007, degli atti sopra elencati già oggetto di impugnazione.
2. Il Tribunale amministrativo regionale , con la sentenza n. 2241 del 2007,
estromessi dal giudizio, su loro istanza, i Ministeri dell’ambiente e per i beni
e le attività culturali, ha accolto in parte il ricorso “nei sensi e nei limiti
di cui in motivazione” compensando tra le parti le spese del giudizio.
3. Con l’appello principale in epigrafe, proposto dalla Regione Sardegna, è
stata chiesta la riforma della sentenza di primo grado limitatamente alla parte
in cui ha accolto i motivi nn. 23, 24 e 25 (gli ultimi due contenuti nei primi
motivi aggiunti) con i quali il Comune di Cagliari aveva dedotto il difetto
d’istruttoria e di motivazione, oltre che l’illogicità delle previsioni del
piano che avevano previsto, per il colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, (per un’area di
50 ettari), dapprima, in sede di adozione del piano, che fosse classificata tra
le “aree funerarie dal preistorico all’alto medioevo”, poi (in sede di
approvazione) come rientrante tra le “aree caratterizzate da preesistenze con
valenza storico culturale”, assoggettandola alla disciplina di cui all’art. 49
delle Norme Tecniche di Attuazione (di seguito: NTA) del piano stesso.
Il Comune di Cagliari, nel resistere all’appello così proposto dalla Regione
Sardegna, ha presentato appello incidentale con cui sono state dedotte censure
avverso i capi della sentenza in esame recanti la declaratoria di
inammissibilità o il rigetto nel merito di alcuni dei motivi di primo grado. Il
Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero dell’ambiente,
costituitisi in giudizio, insistono per l’accoglimento dell’appello principale
proposto dalla Regione Sardegna. Sono intervenute ad adiuvandum, a sostegno del
predetto appello regionale, le associazioni Sardegna Democratica e Italia
Nostra, mentre è intervenuta ad opponendum la società Nuova Iniziative Coimpresa
s.r.l.
4. La Sezione, con sentenza 27 luglio 2010, n. 4899, ha respinto l’appello
incidentale del Comune di Cagliari e, quanto all’appello principale proposto
dalla Regione Sardegna, ha ritenuto necessaria l’acquisizione, ai fini della
completezza dell’istruttoria, della seguente documentazione:
-a) a cura della Regione Sardegna, una documentata relazione, accompagnata da
apposita cartografia ed eventuale corredo fotografico, atta a precisare sulla
base di quali specifici presupposti e/o sopravvenienze fattuali (nuovi studi,
ritrovamenti, indagini archeologiche etc.) sia stato deliberato dalla Giunta
regionale di assegnare all’intera area di Tuvixeddu-Tuvumanno la qualifica di
“aree caratterizzate da preesistenze con valenza storico-culturale” in luogo di
quelle in precedenza assegnate: in sede di proposta di piano, di “scavi”
(circoscritti a talune limitate parti dell’ area anzidetta e collocati in un
ambito territoriale relativo ad “espansioni fino agli anni ’50”); in sede di
adozione del PPR, “area archeologica” inserita tra le “aree funerarie dal
preistorico all’alto medioevo”; il tutto, con precisazioni in merito alla natura
e alla collocazione in loco degli eventuali nuovi ritrovamenti presi in
considerazione in rapporto alle planimetrie allegate al progetto edificatorio di
cui agli accordi di programma stipulati il 15 settembre e il 3 ottobre 2000 tra
Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l., Comune di Cagliari e Regione Sardegna aventi
ad oggetto “riqualificazione urbana e ambientale dei Colli di San Avendrace”;
-b) a cura del Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per
i beni archeologici delle province di Cagliari e Oristano, una documentata
relazione atta a precisare quale sia lo stato attuale dei ritrovamenti
archeologici nell’area anzidetta (con allegata cartografia atta a segnalare la
posizione dei ritrovamenti stessi) e quale la loro progressione nel tempo.
Ha assegnato, a tale fine, il termine di sessanta giorni dalla comunicazione in
forma amministrativa o dalla notificazione della decisione per il deposito degli
atti presso la Segreteria della Sezione, e, riservata ogni altra pronuncia in
rito, nel merito e sulle spese, ha fissato per il prosieguo la pubblica udienza
del 26 gennaio 2011.
5. In data 24 settembre 2010, è pervenuta relazione, con allegata
documentazione, del Ministero per i beni e le attività culturali -
Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano;
in data 27 settembre 2010 è pervenuta nota della Regione Sardegna, con allegata
documentazione, seguita da documentazione integrativa pervenuta in data 15
dicembre 2010.
La Regione appellante, il Comune appellato e gli intervenienti hanno depositato
ulteriori memorie difensive.
6. All’udienza del 25 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Riguardo ai motivi del ricorso di primo grado n. 23, n. 24 e n. 25 (gli
ultimi due aggiunti) - oggetto principale del suo parziale accoglimento e contro
cui soltanto è diretto l’appello regionale -, a mezzo dei quali il Comune di
Cagliari aveva lamentato, nel Piano Paesaggistico Regionale (PPR) della Sardegna
approvato dalla Giunta regionale il 5 settembre 2006, per l’area di Tuvixeddu e
Tuvumannu difetto di istruttoria, difetto di motivazione e illogicità, nonché
violazione e falsa applicazione dell’art. 143, comma 1, lett. b) e dell’art.
142, comma 1, lett. m) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (“Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n.
137”; di seguito: Codice), nella sentenza di primo grado n. 2241/2007 del
Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna:
-si richiama, anzitutto, che il ricorrente Comune di Cagliari assume, in
relazione al colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, che il Piano Paesaggistico Regionale
(PPR) avrebbe classificato l’intera estensione di circa 50 ettari, interessata
da accordi di programma (stipulati con la Regione e imprese costruttrici), come
“aree funerarie dal preistorico all’alto medioevo”, mentre l’area avente tali
caratteristiche sarebbe in realtà limitata a un perimetro di circa 10 ettari e
solo a questa si sarebbe dovuto applicare l’inerente, con il conseguente obbligo
di sottostare alla prescrizioni di salvaguardia di cui all’art. 48 e seguenti
delle Norme Tecniche di Attuazione del PPR , sicché l’estensione stabilita
comporterebbe l’applicazione di queste prescrizioni anche ad aree non aventi la
natura di bene paesaggistico. [Nei motivi aggiunti, il Comune aveva poi rilevato
che il bene paesaggistico perimetrato ex novo, esteso per tutti i 50 ettari, era
stato illogicamente definito come “area caratterizzata da preesistenze con
valenza storico culturale” e posto all’interno della più vasta categoria delle
“aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale”di cui
all’art. 48 delle NTA, ma senza che ivi fosse stata specificata (per cui,
semmai, sarebbe stata da intendere come ricadente tra le “aree funerarie dal
preistorico all’alto medioevo”: che era la classificazione attribuita nella
prima versione del PPR, come adottato il 24 maggio 2006, ed è quella prevista,
nel novero dei beni paesaggistici, dallo stesso art. 48, comma 1, lett. a.3.).
Ma in ogni caso (era la tesi del Comune) l’area funeraria interessa solo circa
10 ettari ed era stata già tutelata e inclusa nel parco archeologico e museale
(di circa 20 ettari), previsto dagli accordi di programma. La nuova
classificazione rendeva invece tutta l’area (50 ettari) vincolata
all’acquisizione del nulla osta archeologico, anche per l’edificazione sulla
parte prima non vincolata. Inoltre (sempre per il Comune), ai sensi dell’art.
143, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 42 del 2004, il Piano paesaggistico deve, tra
l’altro, individuare puntualmente le aree di cui all’art. 142, comma 1 lett. m):
cioè le zone di interesse archeologico “già individuate”, e non già indicarne
delle nuove];
-si afferma quindi:
a) non si è in presenza di un vincolo archeologico (non imponibile con il PPR);
b) la Regione con il PPR e le NTA ha il potere (previsto dal Codice), di imporre
ad un’area una specifica disciplina di tutela operando nel quadro dei vincoli
così detti “ricognitivi”;
c) ai sensi dell’art. 143 del Codice, la determinazione della Regione deve
essere basata su un esame dello stato dei luoghi puntuale, svolto con rigore
valutativo e supportato da elementi scientifici documentati, così da pervenire a
vincoli ricognitivi corrispondenti alle qualità intrinseche del bene da
proteggere obbiettivamente accertate;
d) in tale procedimento non si esercita una discrezionalità tecnica
insindacabile, dovendosi riconoscere un valore già esistente del bene;
e) nella specie il potere esercitato non risulta sorretto dai necessari
approfondimenti istruttori; f) per cui “l’accoglimento del motivo comporta che
la individuazione dell’“Area caratterizzata da preeesistenze con valenza storico
culturale” è illegittima e che di conseguenza va eliminata la perimetrazione di
cui al foglio 557, sez. III dell’ambito 1 Golfo di Cagliari (depositato agli
atti di causa)”.
2. Nell’appello la Regione autonoma della Sardegna eccepisce, in via
preliminare, il difetto di legittimazione e interesse del Comune di Cagliari
alla contestazione di atti che ampliano il patrimonio pubblico a favore della
collettività, i cui interessi esso rappresenta; né, si soggiunge, tale
contestazione è fondata sul conseguente divieto assoluto di edificazione
nell’area perimetrata, poiché ai sensi dell’art. 49 delle NTA il Comune può, in
sede di pianificazione urbanistica, delimitare le aree in cui è preclusa
l’edificazione e quelle in cui è invece consentita a determinate condizioni,
comportando la detta norma soltanto l’effetto proprio delle misure di
salvaguardia.
Nel merito in particolare la Regione deduce:
-il difetto di istruttoria non sussiste, poiché: a) il valore intrinseco
dell’area, comprendente una delle più importanti necropoli fenicio-puniche e
romane del Mediterraneo, è stato valutato adeguatamente dalla Regione, che ha
portato al livello della pianificazione paesaggistica l’indirizzo di tutela già
definito al riguardo con deliberazioni cautelari di urgenza, del maggio e
novembre 2006, poi revocate a seguito della proposta di dichiarazione di
notevole interesse pubblico fatta ai sensi degli articoli 136 e seguenti del
Codice; b) l’estensione dell’area da tutelare è giustificata dai numerosi
rilevanti ritrovamenti archeologici nell’area non sottoposta in precedenza a
vincolo archeologico (imposto nel 1996), come risultante da specifiche note
della Soprintendenza competente; c) l’individuazione dell’area come bene
paesaggistico nell’ambito del PPR è esercizio di discrezionalità tecnica
insindacabile in sede di legittimità, anche se si tratti di “riconoscere” il
valore intrinseco di un bene, salvi la non congruità o illogicità della
motivazione o il travisamento dei fatti.
Nella memoria dell’appellante Regione, depositata il 24 dicembre 2010, si
afferma che dagli atti acquisiti con l’istruttoria disposta dalla Sezione
risulta che la perimetrazione dell’area determinata con il PPR non è innovativa,
in quanto trasposizione del vincolo paesaggistico già approvato nel 1997, e che
vi sono stati ritrovamenti archeologici anche esterni al perimetro del vincolo
archeologico preesistente, confermando tutto ciò l’erroneità del riconoscimento
del difetto di istruttoria da parte del Tribunale amministrativo.
Nelle memorie depositate dal Comune di Cagliari si afferma che dai documenti
acquisiti il difetto di istruttoria esce invece confermato, non venendo indicati
nuovi ritrovamenti nell’area esterna a quella delimitata con il vincolo
archeologico preesistente. Si eccepisce, inoltre, l’inammissibilità della
deduzione dell’appellante Regione sull’asserita coincidenza dell’area
perimetrata con il PPR con quella già oggetto di vincolo paesaggistico nel 1997,
in quanto motivo nuovo; si conferma l’eccezione, già sollevata in precedenza,
sulla inammissibilità dell’intervento della “Associazione Sardegna Democratica”,
poiché soggetto non contemplato dagli articoli 13 e 18 della legge 8 luglio
1986, n. 349.
Nelle memorie depositate da Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l. si propongono
deduzioni ed eccezioni di contenuto analogo, eccependo altresì
l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 104, comma 2, del d.lgs. 2 luglio 2010, n.
104 (Codice del processo amministrativo), della ulteriore documentazione
depositata dalla Regione in data 15 dicembre 2010 e di quella depositata il 15
dicembre 2010 dalla “Associazione Sardegna Democratica”.
3. Il Collegio esamina in via preliminare le eccezioni sollevate dalle parti.
Non può essere accolta, anzitutto, l’eccezione sollevata dalla Regione
appellante sul difetto di legittimazione e di interesse del Comune di Cagliari.
In via generale infatti un comune ben può individuare in un provvedimento, pur
genericamente definibile di ampliamento del patrimonio collettivo, aspetti che
ritenga lesivi, per le modalità procedimentali della decisione ovvero perché
interferente con la sua valutazione degli interessi circa la gestione
territoriale di sua competenza, potendo in particolare ritenere non coerente con
tale quadro il vincolo che venga a prodursi sull’assetto e l’utilizzazione del
territorio comunale, posta una sua incidenza sulle scelte in materia.
Non possono neppure essere accolte le eccezioni sollevate da parte comunale e di
“Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l.”. Il richiamo da parte della Regione della
coincidenza dell’area perimetrata con il PPR con quella già oggetto di vincolo
paesaggistico nel 1997 non può essere considerato alla stregua del divieto in
appello di ius novorum; non si tratta, infatti, di un nuovo motivo di ricorso,
ma della evidenziazione argomentativa, in via di eccezione in senso stretto ad
un accolto motivo dell’originario ricorso, circa un dato riportato a seguito
dell’istruttoria che la Sezione ha disposto per acquisire gli elementi a
presupposto della determinazione del PPR di cui si tratta. E, in questo quadro,
non può neppure ritenersi violato l’art. 102, comma, 4, del Codice del processo
amministrativo per effetto del deposito da parte della Regione, in data 15
dicembre 2010, di ulteriore documentazione, poiché esibita in adempimento della
detta istruttoria, che è procedura prevista dal medesimo Codice (art. 65) in
quanto propriamente strumentale “ai fini della decisione della causa” (art. 104,
comma 2).
La questione della legittimazione ad agire della interveniente “Associazione
Sardegna Democratica” non ha infine rilevanza in caso di accoglimento
dell’appello della Regione, recando l’intervento deduzioni dal tenore
sostanzialmente identico.
4. Si passa ora all’esame del merito della controversia.
4.1. Il Collegio ritiene di condividere, anzitutto, la valutazione del giudice
di primo grado per cui “è indubbio che la Regione attraverso il PPR e le NTA
(come previsto dal D.lgs. n. 42/2004), abbia il potere, dopo avere evidenziato
determinate caratteristiche di valore paesaggistico e storico culturale, di
imporre ad un’area una specifica disciplina di tutela…”.
Il quadro della normativa del d.lgs. n. 42 del 2004 attributiva di tale potere è
dato, in particolare, dalle disposizioni di cui agli articoli art. 131, 134,
135, 143 e 145 (secondo il testo, novellato dal decreto legislativo, integrativo
e correttivo, 24 marzo 2006, n. 157, in vigore all’atto dell’approvazione del
PPR - delibera della Giunta regionale del 5 settembre 2006, n. 36/7 -, non
sostanzialmente dissimile, per quanto qui interessa, dai testi previgente e
attuale).
Più specificamente:
- l’art. 131 definisce quale “paesaggio.. le parti di territorio i cui caratteri
distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche
interrelazioni” (comma 1); l’art. 134 individua quali “beni paesaggistici”,
oltre quelli dichiarati tali in via amministrativa o ex lege, ”gli immobili e le
aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici
previsti dagli articoli 143 e 156” (comma 1, lett. c); l’art. 135, nel prevedere
che le Regioni approvano “piani paesaggistici”, riguardanti l’intero territorio
regionale, dispone che i piani “in base alle caratteristiche naturali e
storiche, individuano ambiti definiti in relazione alla tipologia, rilevanza e
integrità dei valori paesaggistici” (commi 1 e 2); l’art. 143, nel disciplinare
le fasi di formazione del piano paesaggistico, prevede che con il piano si
provvede, tra l’altro, alla “individuazione degli ambiti paesaggistici di cui
all’articolo 135”, alla “definizione di prescrizioni generali ed operative per
la tutela e l’uso del territorio compreso negli ambiti individuati”, alla
“tipizzazione ed individuazione, ai sensi dell'articolo 134, comma 1, lettera
c), di immobili o di aree, diversi da quelli indicati agli articoli 136 e 142,
da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione” (comma
1, rispettivamente: lettere d), e) ed i), essendo gli immobili ed aree di cui
agli articoli 136 e 142 quelle di “notevole interesse pubblico” e “le aree
tutelate per legge”); ai sensi dell’art. 145, infine, il piano paesaggistico è
cogente e immediatamente prevalente sulla strumentazione della programmazione
urbanistica degli enti locali (comma 3);
- è anche il caso di rilevare che il procedimento di formazione del Piano
Paesaggistico Regionale (PPR) della Sardegna è regolato, con espressa evocazione
dell’art. 135 (Pianificazione paesaggistica) del Codice, dalla l.r. 25 novembre
2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione
paesaggistica e la tutela del territorio regionale), che stabilisce che è
adottato e approvato dalla Giunta regionale (artt. 1 e 2);
-ne consegue che:
a) Il piano paesaggistico poteva, ai sensi dell’art. 134, lett. c) del Codice,
direttamente qualificare come beni paesaggistici, tipizzandole e sottoponendole
a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione come prevedeva l’allora
art. 143, comma 1, lett. i), aree - ulteriori rispetto a quelle dichiarate tali
in via amministrativa o ex lege - il cui valore specifico da tutelare è dato da
caratteri simili, o di analogo fondamento, rispetto a quelli considerati per i
vincoli provvedimentali dell’art. 136 o per quelli ex lege dall’art. 142, e il
cui effetto ricognitivo è quello proprio dei quei vincoli paesaggistici, cui si
deve aggiungere un contenuto prescrittivo, posto dal Piano stesso
contestualmente alla loro individuazione.
La Regione, in questa attività ricognitiva, ben può infatti considerare
l’interrelazione tra l’ambiente naturale e l’inserzione stratificata
dell’apporto della storia umana, nel ripartire l’area in ambiti omogenei (e così
ha fatto nella specie: v. art. 2, comma 2, lett. a), art. 6 e ss. NTA; cfr. art.
143, comma 1, lett. d) e art. 135, commi 2 e ss., del Codice, nel testo allora
vigente) (qui rileva l’Ambito n. 1 - Golfo di Cagliari), e in ulteriori aree
(come quella in questione) in tali ambiti, con contestuale sottoposizione a
congrue prescrizioni di tutela.Si tratta infatti di ricognizione che corrisponde
alla ratio dei ricordati artt. 136 e 142 del Codice, per cui il bene
paesaggistico, in quanto espressione qualificata del patrimonio culturale, viene
dichiarato tale o per la particolare connotazione naturalistica, o come
particolare testimonianza della storia umana (cfr. artt. 1, comma 2; 2, comma 3;
131, comma 1, del Codice): in quest’ultimo genere rientra la ricognizione e la
qualificazione di cui si discute;
b) tale qualificazione, in quanto afferente alla dimensione paesaggistica del
patrimonio culturale (cfr. art. 1, comma 3, del Codice), presuppone una
valutazione specifica, diversa da quella alla base di un vincolo di
beneculturale (cfr. art. 1, comma 2, del Codice), qual è un vincolo
archeologico. Si tratta piuttosto di una valutazione afferente la qualità
dell’ambito paesaggistico archeologicamente contrassegnato, e non dei singoli
beni archeologici, analogamente a quanto a suo tempo è stato disposto con l’art.
142, comma 1, lett. m) del Codice, dove (riprendendo la previsione introdotta
dall’art. 82 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 come modificato dall’art. 1 l.8
agosto 1985, n. 431, e poi dell’art. 146, comma 1, lett. m) d.lgs. 29 ottobre
1999, n. 490) si prevede che siano comunque da qualificare come di interesse
paesaggistico le zone di interesse archeologico.
Del resto, il testo originario, ancora vigente all’epoca degli atti impugnati,
dell’art. 134, lett. c), diversamente da quello poi modificato dall’art. 2,
comma 1, lett. d), n. 2 d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63, non parlava di
individuazione di questi nuovi ambiti da vincolare “a termini dell'articolo 136”
(cioè con riferimento a caratteri dello stesso tipo di quelli dei vincoli
provvedimentali): sicché ben si poteva allora procedere in sostanziale analogia
dell’art. 142, sui vincoli ex lege: e ivi dell’art. 142, comma 1, lett. m).
La giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951; 10 dicembre 2003,
n. 8145; v. anche Cons. giust. amm. sic., 2 maggio 2000, n. 201) aveva rilevato
a proposito del vincolo paesaggistico ex lege per le zone di interesse
archeologico che si tratta di un vincolo ubicazionale, perché “è la relazione
spaziale con particolari elementi localizzati, quelli sì di particolare valore
paesistico o culturale, a connotare l’ambito territoriale come meritevole di
tutela paesistica nelle forme approntate per le bellezze naturali”, e prescinde
dall’avvenuto accertamento, in via amministrativa (allora ai sensi della l. n.
1089 del 1939: oggi ai sensi della Parte seconda, cioè degli artt. 14 e ss. del
Codice), dell’interesse specificamente archeologico delle aree stesse, in quanto
le due tutele sono distinte ed autonome. L’interesse archeologico è qualità
sufficiente a connotare il contestuale ambito come meritevole di tutela
paesaggistica, “per l’attitudine che il suo profilo presenta alla conservazione
del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale, cioè quale
territorio delle presenze di rilievo archeologico: qualità che è assunta a
valore storico culturale meritevole di protezione”; quella delle aree di
interesse archeologico è invero una “tutela distinta” da quella di cui alla l. 1
giugno 1939 n. 1089[oggi: Parte seconda, cioè artt. 14 e ss. del Codice],
“avendo ad oggetto non già, direttamente o indirettamente, i beni riconosciuti
di interesse archeologico, ma piuttosto il loro territorio”; l’interesse
archeologico insomma “può essere titolo di due tipi di tutela, eventualmente
concorrenti, e dunque oggetto di due distinti titoli di accertamento: quello
relativo al patrimonio storico artistico, di cui alla l. n. 1089 del 1939 [oggi:
Parte seconda del Codice],e quello paesistico, qui in questione”.
Queste considerazioni valgono in analogia per vincoli di questo “terzo genere”
dell’art. 134 del Codice - vigente all’epoca degli atti impugnati - che abbiano
riferimento alle emergenze archeologiche. Anche questi vincoli, per la medesima
dimensione culturale propria della tutela paesaggistica (art. 9 Cost.; artt. 1,
comma 2; 2, comma 3; 131, comma 1, del Codice), non sono circoscritti al pregio
naturalistico del sito, e nemmeno presuppongono un necessario vincolo
archeologico, come invece indica la gravata sentenza quando parla del potere “di
individuare come beni paesaggistici siti od aree sottoposti anche, o solo in
parte, al regime dei beni archeologici”.
Non si tratta qui dell’ “ampliamento” di un vincolo di bene culturale come pare
leggersi nella gravata sentenza (dove si parla di “ampliamento del vincolo già
impresso all’area in questione” e di relative “modalità”): non solo perché
questo non è dato ad un piano paesaggistico, ma soprattutto perché si tratta di
vincolo di altra ratio e finalità e portatore di altro regime (il che - vale
osservare - dissipa l’idea che si sia introdotto con questo improprio mezzo un
ampliamento dell’area soggetta al regime della Parte seconda del Codice).
Nemmeno è corretto affermare, con la sentenza, che “le zone di interesse
archeologico” debbono essere già caratterizzate da questa specifica valenza
perché l’art. 142, comma 1, lett. m) parla di “le zone di interesse archeologico
individuate alla data di entrata in vigore del presente codice”. Infatti quella
limitazione temporale (introdotta con dubitabile innovazione rispetto ai poteri
del legislatore delegato dell’art. 10 l. 6 luglio 2002, n. 137, e comunque poi
abolita dall’art. 2, comma 1, lett. o), n. 1, d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63)
concerne l’insorgenza autonoma, con la sua perimetrazione ricognitiva, del
vincolo ex lege (cioè dell’art. 142), ma non esclude che simile ragione di
vincolo paesaggistico possa rilevare, anche successivamente, con il diverso
mezzo di un piano paesaggistico ai sensi dell’art. 143 e indipendentemente da
preclusioni temporali.
Ma, anche a non evocare l’interesse archeologico delle aree, e dunque l’analogia
di fondamento con l’art. 142, comma 1, lett. m) del Codice, l’introduzione di un
vincolo del terzo genere dell’art. 134 (e dell’art. 143, comma 1, lett. i))
mediante il piano paesaggistico va giustificata da presupposti, di fatto o di
diritto, che evidenzino in concreto o il pregio intrinseco del sito (come è
previsto per l’art. 136), o la corrispondenza ad altre tipologie di vincolo
legale per categorie di cui all’art. 142 medesimo.
Ed è questo che comunque appare essere stato fatto, diversamente da quanto
assume la sentenza, perché con il vincolo in questione è definita una tutela
volta alla salvaguardia della interrelazione di insieme che si è prodotta nella
storia tra le diverse testimonianze della civiltà umana e il più ampio ambito
del contesto naturale;
c) tale valutazione, per essere ragionevole, deve essere resa dalla Regione
sulla base di presupposti idonei alla individuazione e tipizzazione degli ambiti
ed aree;
d) tutto ciò, infine, con efficacia di sovraordinazione rispetto agli strumenti
urbanistici (art. 145 del Codice, che prevede la generale cogenza e l’immediata
prevalenza della pianificazione paesaggistica su quella urbanistica);
-in questo quadro la Regione Sardegna ha esercitato il potere che le è stato
attribuito dalla normativa nel momento in cui, individuato nel PPR, l’Ambito I -
Golfo di Cagliari, vi ha perimetrato l’area di Tuvixeddu-Tuvumannu quale “Area
caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale” (Tavola 557 III
allegata alla deliberazione della Giunta regionale n. 367 del 2006), ai sensi
delle caratterizzazioni di cui al comma 1 dell’art. 48 delle NTA con conseguente
sottoposizione alle prescrizioni dell’art. 49 delle medesime per le “aree
caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale”, e tra
queste per la categoria dei beni paesaggistici (prescrizioni consistenti
essenzialmente in misure di salvaguardia in attesa dell’adeguamento dei piani
urbanistici comunali al PPR: non già dell’introduzione di ulteriore regime di
vincolo archeologico, come diffusamente appare lamentato: la circostanza poi che
non sia stata introdotta anche una disciplina “di utilizzazione” qui non rileva,
non formando oggetto del contendere);
-per cui resta da valutare se ai fini della determinazione in questione risulti
il presupposto di una istruttoria adeguata; ciò che costituisce l’oggetto
specifico della controversia quale delimitato a seguito della sentenza di primo
grado, e quindi del relativo appello e memorie all’esame, ed al cui riguardo è
stata disposta istruttoria dalla Sezione con la sentenza n. 4899 del 2010.
4.2. A questo fine il Collegio giudica rilevante l’elemento, acquisito con la
detta istruttoria, della preesistente pronuncia resa il 16 ottobre 1997 dalla
Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Cagliari,
operante ai sensi dell’articolo 2 e successivi della legge 29 giugno 1939, n.
1497, all’atto vigente, avente ad oggetto la proposta di apposizione di vincolo
paesaggistico ai sensi di tale legge; pronuncia successivamente richiamata nella
“Dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 140 del D.lgs.
n. 42 del 22.01.2004 della zona Tuxiveddu-Tuvumannu nel Comune di Cagliari”
adottata dall’Assessore competente della Regione Sardegna con decreto 9 agosto
2006, n. 2323 (allegati alla nota dell’Assessorato agli enti locali della
Regione - Direzione generale della Pianificazione urbanistica territoriale e
Vigilanza edilizia, prot. n. 44620 del 13 dicembre 2010, sottoscritta dal
Direttore Generale)
La rilevanza di tale pronuncia - preesistente al PPR e perciò oggettivamente da
ritenersi presupposta e nota all’atto della sua elaborazione, nonché recepita
come è suo proprio nell’atto di “Dichiarazione di notevole interesse pubblico”,
di cui sopra, adottata prima dell’approvazione del PPR- risulta da quanto segue:
-il perimetro dell’area di cui qui si tratta, come qualificata nell’ambito e ai
sensi del PPR approvato con la delibera regionale n. 36/7 del 2006, coincide con
la perimetrazione delimitata ai fini del vincolo di cui alla citata pronuncia
del 1997 (come indicato nella suddetta nota della Regione, e allegati, e non
specificamente contestato dalle controparti in giudizio);
-nella motivazione della pronuncia del 1997 si espongono analiticamente i vari
aspetti del sito che ne giustificano il vincolo, sotto i profili archeologico,
storico, architettonico, morfologico, inclusa la specifica considerazione delle
tombe puniche e romane e di altre testimonianze dell’epoca romana “oggi tutelate
con vincolo archeologico” (ci si riferisce al vincolo archeologico, diretto e
indiretto apposto su parte dell’area dal Ministero per i beni culturali e
ambientali in data 2 dicembre 1996), che “permettono sotto il profilo
paesaggistico la lettura dell’insieme e della morfologia originaria, rendendo
necessaria la ricomposizione paesistica attraverso l’azione di tutela, solo in
parte esercitata attraverso il citato vincolo archeologico che pur protegge una
rilevante porzione dell’area”;
-pur potendosi affermare, come fatto nella sentenza di primo grado, che i due
procedimenti volti, l’uno, alla “Dichiarazione di notevole interesse pubblico
paesaggistico” (ai sensi, oggi, dell’art. 140 del d.lgs. n. 42 del 2004, in
sostanziale continuità con il contenuto e le finalità propri del precedente
procedimento di vincolo), l’altro, alla elaborazione del PPR, sono distinti ed
ispirati “a fini non del tutto coincidenti”, deve d’altro lato essere
considerato che:
a) la “Dichiarazione” assessorile 9 agosto 2006, n. 2323 (Dichiarazione di
notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 140 del decreto legislativo n. 42
del 22 gennaio 2004 della zona Tuvixeddu - Tuvumannu nel comune di Cagliari)
riguarda le “aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 dell’art. 136”, cioè
“i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente
valore estetico e tradizionale, ivi comprese le zone di interesse archeologico”
e “le bellezze panoramiche considerate come quadri…”(definizioni quasi identiche
a quelle dell’art. 1 della legge n. 1497 del 1939), di cui si riconosce
“l’interesse paesaggistico”;
b) con questa dichiarazione si accerta perciò una valutazione d’insieme delle
caratteristiche dell’area rapportata al valore del paesaggio, e quindi
qualificatrice e analoga, per la prospettiva considerata e per l’interesse
pubblico tutelato, al tipo di valutazione dell’art. 134, lett. c) e dell’art.
143, comma 1, lett. i) in sede di formazione piani paesaggistici, ferma,
ovviamente, la diversa e ben maggiore ampiezza dell’oggetto e complessità dei
PPR, e perciò anche alla base della qualificazione di singole aree nell’ambito
dei piani stessi;
c) vale rilevare - anche se non è questa la fattispecie, perché qui si introduce
un vincolo del “terzo genere” e non si recepisce uno del “primo” - che non a
caso è previsto dalla normativa che “i provvedimenti di dichiarazione di
interesse pubblico” e relativa “disciplina di tutela […] vanno a costituire
parte integrante del piano paesaggistico da approvare o da modificare”, a
conferma della oggettiva convergenza di metodi e fini dei due interventi di
accertamento che, pur distinti per procedimento e provvedimento, vanno a
convergere nel generale quadro del piano paesaggistico.
5. Su questa base, come è nella specie, ai fini dell’apposizione del regime di
vincolo paesistico (ovvero, successivamente, della “Dichiarazione”), e poi della
formazione del PPR, viene considerata la stessa area, qualificata nel PPR come
“caratterizzata da preeesistenze con valenza storico culturale”. Viene con ciò
sostanzialmente valutato il medesimo insieme delle componenti che
connotativamente la distinguono. Si deve perciò concludere che:
a) la ricognizione e tipizzazione di tale area quale, in sintesi, paesaggio
storico- culturale, ha nel PPR utile e sufficiente presupposto nella precedente
valutazione fatta ai fini del vincolo provvedimentale, mostrato dalla
coincidenza di perimetrazione, e che l’esercizio del potere pianificatorio
attribuito alla Regione, di qualificazione vincolistica dell’area nell’ambito
delle più ampie determinazioni del PPR stesso, non risulta viziato per difetto
di presupposto istruttorio.
Nella specie, questa considerazione assorbe quella, più generale, per cui
l’introduzione dei vincoli paesaggistici del “terzo genere” (art. 134, lett. c)
d.lgs. n. 42 del 2004), per quanto comporti un controllo sui singoli interventi
analogo a quello dei vincoli tradizionali, è pur sempre espressione del più
ampio potere di pianificazione paesaggistica, dove l’intero territorio è, per la
natura stessa del piano paesaggistico regolato dal Codice dei beni culturali e
del paesaggio, necessariamente considerato nella sua globalità e assoggettato a
prescrizioni, anche più incisive, modulate al di fuori dei vincoli. Perciò, per
quanto concerne la rilevazione di quegli elementi fattuali, così come per
l’attribuzione delle qualificazioni e delle prescrizioni limitative della
modificabilità del paesaggio vincolato, similmente al resto del territorio non
richiede, oltre la ricognizione delle caratteristiche paesaggistiche,
un’indagine del medesimo spessore del vincolo provvedimentale amministrativo
(artt. 136 ss.), né una specifica motivazione.
Di conseguenza, non pare si possa qui dichiarare illegittimo l’uso concreto
della discrezionalità tecnica propria del procedimento di pianificazione
paesaggistica, visto che comunque qui reitera un riconoscimento dell’esistenza
materiale della qualità di bene paesaggistico già fatto con un procedimento
della medesima Regione (che - è il caso di osservare - va a sovrapporsi a quello
provvedimentale, ma senza confondervisi).
Resta stabilito, quanto alla concreta ed autonoma disciplina di salvaguardia,
che la regolamentazione definitiva dell’area è rinviata ad un’intesa tra Comune
e Regione, fermo che “all’interno dell’area individuata è prevista una zona di
tutela integrale, dove non è consentito alcun intervento di modificazione dello
stato dei luoghi, e una fascia di tutela condizionata” (art. 48, comma 2, delle
NTA).
b) non solo: come sopra si è detto, ricorre qui la descritta ipotesi di un
vincolo da piano paesaggistico, la cui introduzione trova fondamento nell’art.
134, lett. c) del Codice (dunque dell’art. 143, comma 1, lett. i)).
Il tema va qui ripreso ai fini della identificazione del percorso argomentativo
ricostruibile nella pianificazione paesistica qui al vaglio e va posto in
relazione alla tassonomia definita da questo PPR.
L’art. 134, lett. c) del Codice è espressamente evocato dall’art. 47, comma 2,
lett. c) delle NTA del PPR (in ragione del quale sono sottoposte a vincolo da
piano le aree “caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico
culturale”, da ripartire secondo la previsione dell’art. 48, comma 1, lett. a))
e in concreto viene riferito all’area di cui qui si tratta.
La ragionevolezza di questo nuovo vincolo, e del conseguente suo regime ex art.
48 delle NTA, è mostrata (diversamente da quanto assume la sentenza) dalle
emergenze archeologiche dell’area - seppur più ristretta - vincolata come bene
archeologico con il d.m. 2 dicembre 1996, e dall’attitudine che quella che ora
viene paesisticamente vincolata è funzionale alla conservazione del contesto di
giacenza del patrimonio archeologico nazionale già emerso, cioè rappresenta il
più ampio territorio delle presenze di rilievo archeologico (cfr. i ricordati
Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951; 10 dicembre 2003, n. 8145), già
oggetto del vincolo paesaggistico provvedimentale testé rammentato.
Avendo qui riguardo alla qualificazione fatta in concreto dal piano, si conferma
che la sua funzione non si identifica con il vincolo archeologico di cui al d.m.
2 dicembre 1996. Quello è naturalmente di superficie più ristretta perché,
essendo finalizzato alla protezione non del paesaggio ma delle testimonianze
materiali dell’antichità, postula la loro emergenza o la ragionevole certezza
della loro esistenza, ancorché non ancora portate alla luce. La qualificazione
paesaggistica si fonda piuttosto sulla qualità di paesaggio da proteggere quale
contesto storico dell’area di emergenza archeologica, e dunque ben può essere,
per sua natura, di ampiezza superiore a quella. Il che nella specie è avvalorato
non solo dall’indiscussa presenza di quella specifica area, ma anche da
ulteriori ritrovamenti (pacifici per 22 ettari).
Va ancor più considerato che, data la diversità di finalità, che è di
qualificazione come bene paesaggistico e non già come bene culturale, il vincolo
da piano paesaggistico non postula - quasi fosse un soverchio bis in idem - i
medesimi rigorosi presupposti di quello di bene culturale, dunque specifici
ritrovamenti archeologici, ma solo il documentato collegamento ubicazionale di
contestualità con un sito manifestamente archeologico: nella specie, quello
protetto con quel vincolo.
Insomma, questa cura dell’interesse pubblico paesaggistico, diversamente da
quello culturale-archeologico, concerne la forma del paese circostante, non le
strette cose infisse o rinvenibili nel terreno con futuri scavi (di cui all’art.
10 del Codice). Perciò, una volta considerata da un lato l’esistenza della minor
area, già vincolata come bene culturale archeologico per le riscontrate copiose
emergenze, dall’altro le motivazioni emergenti sia dalla ricordata proposta
della Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Cagliari
del 16 ottobre 1997, che dal ricordato decreto assessorile 9 agosto 2006, n.
2323 (che aggiungono al valore archeologico considerazioni di ordine storico
culturale), appare giustificato, e anzi coerente con la funzione del vincolo
paesistico, che il PPR abbia sottoposto l’intero contesto qui al vaglio ad un
vincolo del “terzo genere”.
Coerente appare la specifica tipizzazione (come da incipit dell’allora art. 143,
comma 1, lett. i) del Codice), in “area con preesistenze con valore
storico-culturale”, collocata nel quadro dell’ “assetto [territoriale] storico
culturale” (che l’art. 47, comma 1, NTA definisce come “costituito dalle aree,
dagli immobili siano essi edifici o manufatti, che caratterizzano
l’antropizzazione del territorio a seguito di processi storici di lunga durata”;
e che nel concetto generale degli assetti del PPR, esposto all’art. 16 NTA, si
giustappone all’ “assetto ambientale” e all’ “assetto insediativo”, e con i
quali compone per ambiti l’assetto del territorio regionale). Questa
tipizzazione evidenzia un’autonoma specificità storica, meritevole in sé di
tutela paesaggistica in quanto area caratterizzata da edifici e manufatti di
valenza storico-culturale (artt. 47, comma 2 e 48, comma 1, lett. a)).
La tipizzazione in “area con preesistenze con valore storico-culturale” appare -
alla luce del significato proprio delle parole richiamato dall’art. 12 delle
Preleggi e posto che le preesistenze non possono che essere edifici e manufatti
- indicare che si tratta di un’area con “edifici e manufatti di valenza
storico-culturale”; e manifestare, conformemente all’art. 47 NTA, la concreta
ricorrenza della qualità specifica dei beni che compongono l’assetto
storico-culturale regionale (sub specie di beni paesaggistici (art. 47, comma
2), piuttosto che di beni identitari (art. 47, comma 3).
La tipizzazione appare ricondotta, più in particolare, alla qualificazione
dell’art. 47, comma 2, lett. c), n. 1 NTA, la quale comporta l’inclusione
dell’area stessa tra i beni paesaggistici in forza dell’art. 143, comma 1, lett.
i) del Codice: vale a dire, comporta l’imposizione del vincolo del “terzo
genere”, cioè dell’art. 134, lett. c), del Codice stesso.
Con la tipizzazione in “area con preesistenze con valore storico-culturale”, più
in particolare, non vi è un’attribuzione di caratterizzazione atipica, come
sostanzialmente assume il Comune: ma piuttosto una sintesi delle caratteristiche
materiali su cui qui viene coerentemente basato l’accertamento costitutivo
richiamato dal detto art. 47, comma 2, lett. c), n. 1 NTA (vale a dire, ai fini
dell’introduzione del vincolo paesaggistico di cui si tratta).
Questa tipizzazione non è in contraddizione, ma è l’affinamento, anche
all’esisto delle osservazioni, dell’iniziale qualifica di aree funerarie
archeologiche attribuita sede di adozione del PPR. Consequenziale è la
contestuale sottoposizione a specifiche misure di salvaguardia (ex art. 49 NTA).
Pare il caso di considerare che non ridonda in danno dell’introduzione di
siffatto vincolo del terzo genere dell’art. 134 la vicenda successiva, autonoma
e distinta, del vincolo paesaggistico concretato nell’atto assessorile 9 agosto
2006, n. 2323: si tratta infatti di convergenza sostanziale circa i presupposti
ricognitivi per l’identificazione dell’area, non quanto a modalità della
qualificazione giuridica.
Infine, è il caso di rammentare che per consolidata giurisprudenza la situazione
materiale di compromissione della bellezza naturale che sia intervenuta ad opera
di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede che nuove
costruzioni non deturpino ulteriormente l’ambito protetto (Cons. Stato, VI, 13
febbraio 1976, n. 87; 11 giugno 1990, n. 600; 25 agosto 1995, n. 820; II, 17
giugno 1998, n. 53): non è dunque contraddittoria con l’imposizione del vincolo
la circostanza che, in una parte della perimetrazione, insistano di fatto
realizzazioni che a loro tempo abbiano contrastato i valori che per il futuro
con il PPR si intende proteggere.
6. Per quanto considerato l’appello è fondato e deve essere perciò accolto.
La complessità della controversia giustifica la compensazione delle spese dei
due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello
in epigrafe.
Spese dei due gradi compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Roberto Garofoli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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