AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. III - 5 aprile 2011, Sentenza n.
2122
DIRITTO DEI CONSUMATORI E DEGLI UTENTI - Telefonia mobile - Carte telefoniche
prepagate - Diritto al riconoscimento del credito residuo - Artt. 1 e 3 decreto
Bersani. In tema di carte telefoniche prepagate, il combinato disposto dei
commi 1 e 3 dell'art. 1 della legge n. 40 del 2007 (decreto Bersani) sancisce il
diritto degli utenti al riconoscimento del "credito residuo" ed anche alla sua
trasferibilità fra gli operatori in caso di portabilità del numero. Ne derina la
legittimità della determinazione dell’ Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni di diffida agli operatori di telefonia mobile ad adempiere
l’obbligo di riconoscimento agli utenti del credito residuo. Pres. Lodi, Est.
D’Alessio - T. s.p.a. (avv.ti Lattanzi, Leone e Zaccheo) c. Autorità per le
Garanzie nelle Comunicazioni (Avv. Stato) - (Conferma T.A.R. per il Lazio, sede
di Roma, Sezione III Ter, n. 1775 del 27 febbraio 2008) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. III - 5 aprile 2011, n. 2122
www.AmbienteDiritto.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02122/2011REG.PROV.COLL.
N. 04434/2008 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4434 del 2008, proposto da:
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato
e difeso dagli avv. Filippo Lattanzi, Arturo Leone e Massimo Zaccheo, con
domicilio eletto presso Filippo Lattanzi in Roma, via Giovanni Pierluigi da
Palestrina n. 47;
contro
l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello
Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12.
per la riforma, in parte qua,
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sezione III Ter, n. 1775
del 27 febbraio 2008, resa tra le parti, concernente la delibera dell’Autorità
per le Garanzie nelle Comunicazioni 416/07/CONS di diffida agli operatori di
telefonia mobile ad adempiere l’obbligo di riconoscimento agli utenti del
credito residuo ai sensi dell’art. 1, comma 3 della legge n. 40/2007.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2011 il Cons. Dante
D'Alessio e udito per la Telecom Italia l’avvocato Filippo Lattanzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Telecom Italia s.p.a. aveva impugnato davanti al TAR per il Lazio la
delibera 416/07/CONS con la quale l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
(in seguito anche Agcom o Autorità) aveva diffidato gli operatori di telefonia
mobile ad adempiere l’obbligo di riconoscimento del credito residuo agli utenti
che esercitano il diritto di recesso o di trasferimento, ai sensi dell’art. 1,
comma 3, della legge n. 40 del 2007.
Il TAR per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza della Sezione III TER, n.
1775 del 27 febbraio 2008, ha respinto il ricorso nella parte in cui la Telecom
aveva contestato l’obbligo di riconoscimento agli utenti del credito residuo, in
caso di recesso o di trasferimento dell’utenza presso altro operatore, e lo ha
accolto nella parte in cui Telecom aveva denunciato (anche) l’incongruità del
termine (di soli 45 giorni) che, con l’impugnato atto di diffida, l’Autorità
aveva assegnato agli operatori per la restituzione al cliente del credito
residuo (la questione del termine è stata poi oggetto della successiva delibera
353/08/CONS).
La Telecom Italia ha appellato l’indicata sentenza, per la parte in cui è
rimasta soccombente, ritenendola erronea sotto diversi profili.
2.- Prima di esaminare i motivi dell’appello si deve ricordare che l’Agcom, con
la delibera 416/07/CONS, era intervenuta per dare concreta attuazione alle
disposizioni dettate dall’art. 1 della legge n. 40 del 2007, di conversione del
d. l. n. 7 del 31 gennaio 2007 (decreto Bersani 1), per disciplinare il mercato
delle carte prepagate che avevano avuto una grande diffusione come strumento di
pagamento per i servizi telefonici. La sottoscrizione di carte prepagate era
stata infatti preferita dall’utenza al più tradizionale strumento
dell’abbonamento, finendo per diventare, nel caso della telefonia mobile, la
modalità di pagamento prevalente.
2.1- Nel settore delle comunicazioni elettroniche, come osservato anche in una
indagine conoscitiva sulle carte prepagate svolta dall’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato (Provvedimento n. 19678 del 19 marzo 2009), le
condizioni di offerta delle carte prepagate, in una prima fase, erano state
caratterizzate dalla presenza di contributi di ricarica, dalla previsione di una
scadenza delle carte, nonché dall’assenza di una previsione per il rimborso del
credito residuo in caso di recesso anticipato o di scadenza della carta. Tali
aspetti avevano determinato diverse problematiche sia riguardo alla protezione
del consumatore sia per la tutela della concorrenza.
2.2- Il legislatore, con il d. l. n. 7 del 31 gennaio 2007, recante “Misure
urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo
sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese”, (cosiddetto
decreto “Bersani 1”), convertito in legge n. 40 del 2 aprile 2007, ha quindi
dettato una serie di disposizioni che hanno profondamente innovato le condizioni
di servizio previste per le carte prepagate nel settore della telefonia, delle
trasmissioni televisive e delle altre comunicazioni elettroniche, sia in merito
ai contributi di ricarica, la cui applicazione è stata vietata, sia per quanto
riguarda la scadenza del credito residuo, che è stata eliminata.
Il decreto legge n. 7 del 2007, all’art. 1, comma 1, ha infatti introdotto un
generale divieto di previsione di termini temporali massimi per l’utilizzo di
servizi acquistati con carte prepagate, sancendo la nullità di pieno diritto
delle eventuali clausole adottate in difformità. Successivamente la legge di
conversione n. 40 del 2007, ha stabilito che è “vietata la previsione di termini
temporali massimi di utilizzo del traffico o del servizio acquistato. Ogni
eventuale clausola difforme è nulla e non comporta la nullità del contratto,
fatti salvi i vincoli di durata di eventuali offerte promozionali comportanti
prezzi più favorevoli per il consumatore”.
Il comma 3 del medesimo articolo ha poi aggiunto che “i contratti per adesione
stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione
elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la
facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze
presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e
senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un
obbligo di preavviso superiore a trenta giorni”.
2.3- L’Agcom, dopo aver dettato apposite Linee Guida (pubblicate sulla Gazzetta
Ufficiale il 13 luglio 2007) per l’attività di vigilanza da effettuare ai sensi
dell’art. 1, comma 4, della legge n. 40 del 2007, avendo rilevato che solo gli
operatori Vodafone e Coop avevano riconosciuto ai consumatori finali la
restituzione e la portabilità del credito residuo (mentre H3G aveva manifestato
l’intenzione di provvedere successivamente), ha ritenuto, con la deliberazione
416/07/CONS, di diffidare gli operatori telefonici ad ottemperare all’obbligo di
restituzione del credito residuo in caso di recesso ed a quello di portabilità
dello stesso credito, in caso di trasferimento dell’utenza presso un altro
operatore.
2.4- Secondo l’Agcom tale obbligatorietà, per gli operatori telefonici, deriva
dal combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 1, della legge 40 del 2007.
Deve essere, infatti, fatta applicazione dei principi civilistici della
sinallagmaticità e della causalità delle attribuzioni patrimoniali per cui, a
fronte dell’estinzione anticipata di un rapporto, le prestazioni a suo tempo
anticipate, alle quali non ha ancora fatto seguito la controprestazione, devono
essere restituite. Diversamente se gli operatori incamerassero il credito
rimasto inutilizzato al momento del recesso/trasferimento dell’utenza si
configurerebbe un arricchimento senza causa dal momento che essi introiterebbero
il corrispettivo per una prestazione non resa.
3.- Ciò premesso possono essere ora esaminati i motivi dell’appello proposto
dalla Telecom Italia avverso la sentenza del TAR per il Lazio che ha respinto il
ricorso nella parte in cui la stessa Telecom aveva contestato l’esistenza di un
obbligo di restituzione agli utenti del credito residuo.
I motivi di appello sono sostanzialmente riconducibili a due ordini di
doglianze.
Con il primo motivo la Telecom Italia ha lamentato la violazione dell’art. 112
c.p.c. per l’omessa pronuncia del TAR su almeno tre aspetti decisivi della
controversia riguardanti:
a) l’interpretazione letterale della legge: in quanto l’art. 1 della legge 40
del 2007 non prevede l’obbligo imposto con la diffida impugnata e tale omessa
previsione non legittimava l’Agcom ad esercitare un potere regolamentare
integrativo del precetto legale e, in realtà, del tutto innovativo, dovendo la
gestione delle conseguenze del recesso essere affidata all’autonomia delle
parti, ai sensi dell’art. 1322 c.c.;
b) le modalità con le quali la Telecom ha dato concreta attuazione al precetto
normativo, in quanto il TAR (come l’Autorità) ha dato per scontato che vi fosse
un’unica modalità restitutoria del credito/traffico residuo ed ha omesso di
motivare sulle concrete attività poste in essere dalla stessa Telecom per
adempiere alle disposizioni del decreto Bersani;
c) l’art. 33 del Codice del Consumo, in quanto Telecom non ha mai negato il
diritto al credito residuo ma ha semplicemente inserito, nelle condizioni
generali del servizio prepagato di telefonia mobile, la possibilità della sua
fruizione futura da parte dell’utente, senza alcun limite temporale massimo.
4.- Il motivo, nelle sue diverse articolazioni, non è fondato.
Come è stato correttamente osservato dal TAR per il Lazio, l’obbligo di
restituzione del credito residuo deve ritenersi infatti una implicita modalità
attuativa di quanto disposto dai commi 1 e 3 dell’art. 1 del decreto Bersani.
Dal primo comma dell’art. 1, nella parte in cui prevede che nei contratti di
telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche è vietata la
previsione di limiti temporali massimi di utilizzo del traffico telefonico o del
servizio acquistato, si desume, infatti, il principio della conservazione del
credito acquistato dall’utente il quale può, quindi, sempre disporne, sia che
receda sia che aderisca alle offerte di un operatore concorrente, con la
conseguenza che il diritto degli utenti alla sopravvivenza del credito residuo è
riconosciuto (anche) rispetto all'eventuale scioglimento del rapporto
contrattuale.
La norma di cui al successivo comma 3 dell’art. 1 poi, nel prevedere la facoltà
di recesso e di trasferimento delle utenze senza vincoli temporali o ritardi non
giustificati, nonché senza spese non giustificate da costi dell'operatore (e
quindi in maniera tendenzialmente gratuita), conferma in maniera inequivocabile
la sopravvivenza del credito residuo rispetto allo scioglimento del rapporto
contrattuale con il singolo operatore e determina il diritto alla sua
restituzione per l'utente che recede, oltre che alla sua portabilità nel caso di
trasferimento dell’utenza.
4.1- L’obbligo di restituzione, pur non essendo quindi espressamente previsto
dal citato art. 1 del decreto Bersani, discende comunque direttamente dal
divieto legislativamente imposto agli operatori, dal comma 1 dell’articolo 1, di
prefissare unilateralmente limiti temporali massimi all’utilizzo del traffico
telefonico o del servizio acquistato “atteso che l’obiettivo dalla succitata
norma perseguito sarebbe frustrato se al suddetto obbligo non si accompagnasse
quello di restituire all’utente o di trasferire al nuovo operatore il credito
residuo. In altri termini, la mancanza di un obbligo di restituzione o di
trasferimento consentirebbe all’operatore … di conservare, sia pure per altra
via, il vantaggio economico che sino ad ora ha tratto dall’esistenza di un
limite temporale di durata, cioè il corrispettivo economico di un traffico
telefonico non completamente utilizzato dall’utente nel termine finale
prefissato” (pagg. 10 e 11 della sentenza appellata).
Non essendo poi vietato ad uno stesso utente di avere più contratti con
operatori diversi e non sussistendo costi da sostenere per l’attivazione della
carta telefonica se non quelli relativi al costo effettivo del traffico
acquistato, come affermato giustamente dal TAR, non sarebbe necessario per
l’utente recedere da uno degli operatori per avviare il rapporto con altro
operatore. Il recesso, infatti, avvantaggerebbe il solo operatore che sarebbe
liberato dalla propria prestazione se non fosse consentito, alla controparte del
rapporto, di recuperare la parte della prestazione che non ha utilizzato.
4.2- Come affermato dall’Agcom (e dal TAR nella appellata sentenza) la
sopravvivenza del diritto dell’operatore a conservare gli importi residui
verrebbe anche ad ostacolare la realizzazione di una concorrenza effettiva sul
mercato di riferimento, creando delle barriere alle scelte degli utenti.
L’utente che sa di non poter recuperare la parte di traffico non consumato
difficilmente infatti abbandonerebbe l’operatore con il quale ha stipulato il
contratto di ricarica per passare ad altro operatore che propone sul mercato
offerte più convenienti.
D'altro canto, il disconoscimento del diritto dell'utenza al credito residuo
equivarrebbe a disconoscere l'effetto della volontà negoziale dell'utente di
recedere, differendone gli effetti in avanti nel tempo attraverso l'imposizione
di un vincolo temporale non giustificato, con la conseguenza di violare, anche
sotto questo profilo, la legge n. 40 del 2007.
4.3- La sentenza del TAR risulta quindi condivisibile, dovendosi ritenere
l’obbligo di restituzione agli utenti del credito residuo una conseguenza
diretta ed immediata delle due disposizioni contenute nei commi 1 e 3 dell’art.
1 della legge n. 40 del 2007.
4.4- Non è poi vero, come affermato nell’appello, che il TAR ha omesso di
considerare le modalità con le quali Telecom ha inteso dare attuazione alle
disposizioni in questione.
La Telecom aveva in proposito ricordato che il suo cliente poteva sempre
recedere dal contratto senza dover sopportare alcun costo. Dal momento in cui il
cliente esercitava il diritto di recesso lo stesso aveva un periodo di trenta
giorni per utilizzare l’eventuale traffico ancora a disposizione; poteva poi
trasferire gratuitamente il credito residuo su altra Tim Card propria o di altro
intestatario; qualora non esercitava tale opzione, Telecom aveva previsto che
l’eventuale credito residuo venisse mantenuto a nome dello stesso cliente sui
propri sistemi informativi senza limiti temporali.
Sul punto il TAR aveva peraltro osservato che proprio il comportamento
imprenditoriale di Telecom aveva confermato la correttezza delle conclusioni
alle quali l’Autorità era pervenuta nel configurare l’esistenza di un “credito
residuo”. Telecom, infatti, riconosceva al proprio cliente il credito residuo ma
invece di restituirlo materialmente o trasferirlo, su richiesta, ad altro
operatore si dichiarava disponibile a riversarlo su altra carta Tim Card dello
stesso cliente o di altro intestatario o, in subordine, a mantenere il credito a
nome dello stesso cliente sui propri sistemi informativi.
Ma allora, come ha affermato il TAR per il Lazio, o il credito residuo non è
configurabile, stante la natura del contratto di ricarica ad esecuzione
istantanea e ad effetti reali (come assume la Telecom) e allora non può essere
neanche trasferito su altra Tim Card dello stesso operatore; o il credito
esiste, stante la natura del contratto ad effetti obbligatori (come afferma,
invece, l’Autorità). Ma se esiste, è possibile configurare (anche) il diritto
del cliente a ritornarne nella piena disponibilità.
4.5- Risulta, quindi, non coerente, con il contesto normativo che si è prima
esaminato, ed anche in relazione al citato art. 33 del Codice del Consumo, la
scelta di Telecom di dare attuazione alle disposizioni sul credito residuo con
le predette modalità che devono ritenersi parzialmente elusive del precetto
normativo.
4.6- Si può quindi concludere sul punto affermando che il combinato disposto dei
commi 1 e 3 dell'art. 1 della legge n. 40 del 2007 sancisce il diritto degli
utenti al riconoscimento del "credito residuo" ed anche alla sua trasferibilità
fra gli operatori in caso di portabilità del numero.
5.- Con il secondo motivo la Telecom insiste nel ritenere che la delibera dell’Agcom
416/07/CONS è viziata per l’erronea interpretazione dell’art. 1 della legge n.
40 del 2007 e sostiene che la sentenza del TAR Lazio risulta erronea (anche) in
relazione alla affermata natura giuridica del contratto di ricarica, avendo il
giudice di primo grado trascurato che non si può configurare un contratto di
durata quando le obbligazioni di durata non riguardano entrambe le parti mentre
il contratto (di ricarica) stipulato da Telecom con i propri clienti ha natura
di contratto a prestazioni corrispettive, ad effetti reali e ad esecuzione
istantanea, ex artt. 1376 e 1377 cod. civ..
Il TAR, secondo la Telecom, non ha inoltre considerato che, comunque si voglia
qualificare il rapporto operatore-utente (se fondato su un rapporto di
somministrazione ed uno di acquisto di ricarica, oppure su un unico contratto di
durata), l’utente, con l’acquisto di una ricarica (commercializzata in vari
tagli), diventa titolare di una determinata quantità di traffico telefonico per
un corrispettivo pari al traffico acquistato. La ricarica è quindi configurabile
come un quid non frazionabile e il corrispettivo pagato dal cliente costituisce
la controprestazione per il suo acquisto, con la conseguente impossibilità di
riconoscere il diritto alla restituzione della parte non utilizzata.
6.- Anche tale motivo non è fondato.
Risultano infatti condivisibili le conclusioni alle quali è pervenuta l’Agcom (e
che sono state ritenute corrette dal TAR per il Lazio), secondo cui deve
escludersi che l’acquisto di una ricarica telefonica costituisca un contratto i
cui effetti si realizzano e si completano nel momento dell’acquisto della carta.
Gli effetti dell’acquisto della carta non si completano (ed esauriscono),
infatti, con l’atto di acquisto (e quindi nello scambio fra il denaro
dell’utente e la carta) ma si protraggono nel tempo e la carta costituisce solo
il mezzo (con il suo contenuto di credito) che l’utente ha per poter utilizzare
il servizio telefonico oggetto del contratto di somministrazione.
6.1- La ricarica telefonica ha quindi natura di carta prepagata perché consente
di usufruire del servizio telefonico dell’operatore prescelto per l’ammontare
della carta stessa (e per le sue frazioni), nei limiti del credito (pre)acquistato.
La carta può essere utilizzata completamente (ed allora non si pone alcun
problema) o può essere utilizzata parzialmente. Ed in tal caso il legislatore
ben può prevedere che la parte non utilizzata (che è un credito dell’utente nei
confronti dell’operatore) debba essere restituita all’utente, parte debole del
rapporto contrattuale, con il venir meno del diritto alla controprestazione in
caso di recesso.
L’utente ha, infatti, versato anticipatamente del denaro per prestazioni non
ancora effettuate dall’operatore telefonico e, se parte di quelle prestazioni
non sono più richieste (anche per volontà dell’utente), lo stesso risulta
titolare di un "credito residuo" per la parte della carta che non è stata ancora
utilizzata.
E si sono già, in precedenza, indicate le ragioni per le quali il diritto di
recesso previsto dal decreto Bersani non rende possibile agli operatori
telefonici di incamerare (o accantonare) tale credito ma comporta per gli stessi
il dovere di riconoscere agli utenti il loro credito residuo.
6.2- Anche a voler condividere la tesi della Telecom, secondo cui i contratti
stipulati tra operatore di rete mobile e utente sono due: il contratto (cd.
contratto di utenza) che il cliente stipula con l’operatore, per la messa a
disposizione della linea telefonica, e il contratto di acquisto del traffico
telefonico, non può però negarsi che i due contratti siano indissolubilmente
legati, con la conseguenza che non si può sostenere che sciolto il primo (con il
recesso) non si determinino effetti anche sul secondo, che non può
(evidentemente) sopravvivere.
In tale quadro la mancanza di un obbligo di restituzione (o di trasferimento)
del credito residuo consentirebbe all’operatore di conservare un ingiustificato
vantaggio economico a fronte di una prestazione non corrisposta o solo
parzialmente corrisposta. Ciò giustifica l’obbligo di restituzione (o di
trasferimento) del credito residuo che si deve ritenere discenda direttamente
dalle disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 1 della legge n. 40 del 2007.
7.- Con un ulteriore motivo la Telecom Italia ha poi anche censurato la sentenza
del TAR per vizio di ultra petita, laddove ha escluso che il trattenimento da
parte dell’operatore del credito residuo poteva essere giustificato dalle spese
sostenute per la cessazione del rapporto contrattuale.
Ma tale censura non può essere condivisa.
Il TAR ha infatti escluso che il trattenimento, da parte dell’operatore, del
credito residuo potesse ritenersi giustificato dalle spese sostenute per la
cessazione del rapporto contrattuale trattandosi di una somma variabile da un
massimo (che corrisponde all’intero traffico telefonico acquistato) ad un
minimo, mentre gli eventuali costi affrontati dall’operatore sono pressoché
fissi.
Tali argomentazioni sono del tutto condivisibili e non costituiscono una
impropria valutazione sulla questione degli (eventuali) costi del recesso che
sono disciplinati dal comma 3 dell’art. 1 del decreto Bersani secondo cui il
recesso deve essere consentito senza spese non giustificate da costi
dell’operatore.
8.- Né può essere censurata l’appellata sentenza per aver affermato (fra
l’altro) che l’interpretazione fornita fosse la sola coerente con la tutela
della concorrenza essendo innegabile, per quanto si è esposto, che la
sopravvivenza del diritto dell’operatore a conservare gli importi residui
avrebbe ostacolato la realizzazione di una concorrenza effettiva sul mercato di
riferimento, creando delle barriere alle scelte degli utenti.
9.- Per tutti gli esposti motivi l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull'appello (n. 4434 del 2008), come in epigrafe
proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante Telecom Italia al pagamento di € 2.500
(duemilacinquecento) in favore dell’amministrazione resistente per le spese e le
competenze del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Pier Luigi Lodi, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci con altre
massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE -
Ricerca in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista
giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright ©
- AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 -
ISSN 1974-9562