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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. V - 7 aprile 2011, Sentenza n.
2151
CAVE E MINIERE - Concessioni di coltivazione ventennali - Proroga tacita -
Divieto - L.r. Abruzzo n. 54/1983 - Vincolo comunitario discendente dal trattato
- Specifica previsione per gli appalti di servizi, opere e forniture -
Estensione alle concessioni di beni pubblici. Il divieto di proroga tacita
delle concessioni all’esercizio dell’attività di coltivazione dei giacimenti a
seguito del decorso dell’arco temprarle di venti anni (cfr. art. 20 L.r. Abruzzo
26 luglio 1983 n. 54) si salda con il principio comunitario secondo cui il
diniego e la proroga sono considerati alla stregua di contratti ex novo,
necessitanti dell’espletamento di procedure di evidenza pubblica un assenza
delle ipotesi eccezionali che autorizzano il ricorso alla procedura negoziata.
Il divieto in esame , pure se fissato dal legislatore in modo espresso con
riguardo agli appalti di sevizi, opere e fornire, esprime un principio generale
attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale,
operante per la generalità dei contratti pubblici ed estensibile anche alle
concessioni di beni pubblici (così Cons. Stato , sez. VI, 21 maggio 2009 , n.
3145; n. 3642/2008; Cons. Stato, V, n. 2825/2007; VI, n. 168/2005). Dalle
considerazioni esposte si ricava - per effetto dell’ applicazione coordinata
della normativa regionale e dei principi comunitari che considerano la proroga o
il rinnovo di un contratto quale contratto nuovo soggiacente a regole
competitive - che è vietata la proroga tacita delle concessioni ventennali e che
la proroga può essere concessa, esclusivamente con provvedimento espresso, al
fine di evitare l’interruzione delle attività in atto, per il solo tempo
necessario a consentire l’espletamento della procedura di evidenza pubblica.
Pres. Trovato, Est. Caringella - Comune di Ofena (avv.ti De Carolis e Russo) c.
R.& D. s.r.l. (avv. Paolantonio) (Riforma T.A.R. ABRUZZO, Pescara, n. 55/2010) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 7 aprile 2011, n. 2151
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02151/2011REG.PROV.COLL.
N. 06724/2010 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6724 del 2010, proposto da:
Comune di Ofena, rappresentato e difeso dagli avv. Diego De Carolis, Marcello
Russo, con domicilio eletto presso Marco Croce in Roma, via Nizza, 63;
contro
Srl Rocco & Domenico di Marzio, rappresentato e difeso dall'avv. Nino
Paolantonio, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via
Principessa Clotilde N.2;
nei confronti di
Regione Abruzzo, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Das Srl, Srl di Carlo
Mario, Srl Dragaggio del Ponte;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n.
00055/2010, resa tra le parti, concernente DINIEGO PROROGA DELL'ATTIVITA'
ESTRATTIVA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Srl Rocco & Domenico di Marzio e
di Regione Abruzzo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2011 il Cons. Francesco
Caringella e uditi per le parti gli avvocati De Carolis, Paolantonio e
l'Avvocato dello Stato Tidore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Ofena, con contratto del 25.9.1989, concedeva alla S.n.c.
Caviter la coltivazione della cava per inerti in località Collelungo e su area
di proprietà comunale (fg. 41, part.106) alle condizioni vi indicate.
Il 17.2.1999, la Caviter chiedeva la proroga della concessione per altri dieci
anni ed estesa ad altre particelle e con atto del 3.5.1999 il Sindaco
autorizzava tale proroga, precisando in dispositivo che “la presente
autorizzazione sarà valida 10 (dieci) anni dalla data della scadenza della
concessione e comunque non oltre l’entrata in vigore del piano regionale cave
previsto dalla L.R. n.54 del 26.7.1983. Nell’ipotesi che al termine del 10° anno
lo sfruttamento della cava non sia terminato secondo quanto disposto dal
progetto già autorizzato dalla Regione, la presente convenzione verrà rinnovata
automaticamente di ulteriori 10 anni”.
La stessa dizione è stata riportata nel punto 3) della consequenziale
concessione-contratto stipulata con la Caviter il 23.6.1999.
Tale società era poi incorporata nella S.r.l. Lafarge Calcestruzzi (in seguito
indicata Lafarge).
Insorto contenzioso tra le parti ai fini del subingresso nella concessione della
società Rocco e Domenico Di Marzio di Domenico Di Marzio & C. S.a.s. (poi Rocco
& Domenico Di Marzio S.r.l., di seguito indicata come società Di Marzio), cui la
società Lafarge aveva ceduto il ramo di azienda per la coltivazione della cava,
in data 31.5.2004 intervenivano:
a) l’atto di transazione tra il Comune, la società Lafarge e la società Di
Marzio, con cui il Comune concedeva alla società Di Marzio il subingresso “alle
medesime ed immutate condizioni di cui al contratto in essere, così come
integrato dalle disposizioni di cui all’atto stipulato in data 31.5.2004
approvato con deliberazione c.c. n.21 del 31.5.2004 che verrà sottoscritto dal
subentrante per formale accettazione”
b) il contratto n.3 tra il Comune e la società Lafarge, con cui, a modifica
della convenzione stipulata il 23.6.1999, era rideterminato il canone annuale di
concessione dal 1.1.2004 nell’importo di Euro 150.000,00 corrispondente ad una
quantità di materiale scavato di mc 123,300 anche se il materiale estratto fosse
risultato di quantità inferiore, mentre, in caso di estrazione in eccedenza,
l’importo da pagare sarebbe stato calcolato in Euro 1,21721 al mc per il primo
anno, da rivalutare in base agli indici Istat per gli anni successivi.
Nel punto n.7 di questo secondo contratto erano “fatti salvi tutti gli altri
patti, prescrizioni e condizioni di cui alle autorizzazioni sindacali del
29.3.1989 e del 3.5.1999, nonché alla convenzione del 23.6.1999, purché non
modificati o in contrasto con quanto stabilito nel presente atto”.
Di conseguenza, il Sindaco di Ofena, con provvedimento dello stesso 31.5.2004,
n. 1281 di prot., autorizzava la società Di Marzio “al subingresso nella
coltivazione della cava di inerti in loc. Collungo (…) fino alla naturale
scadenza del precedente e vigente atto di autorizzazione citato in precedenza”.
Detta autorizzazione puntualizzava poi, nella parte dispositiva, che “il termine
del ciclo lavorativo non potrà superare quello in precedenza accordato
dall’amministrazione, e cioè fino al 3.5.2009, ritenendo il presente atto un
semplice provvedimento autorizzatorio di volturazione e subentro nella
titolarità concessoria”.
Con nota del 17.2.2009 la società Di Marzio comunicava alla Regione Abruzzo ed
al Comune di Ofena l’intento di avvalersi della prevista proroga decennale della
concessione, con decorrenza dalla scadenza di quella in essere, allegando la
relativa documentazione.
Il Responsabile del Servizio tecnico del Comune, con nota dell’11.3.2009,
deduceva tuttavia l’impossibilità di concedere la proroga ai sensi dell’art. 20
della L.R. n. 54/1983.
Il Consiglio comunale di Ofena, con deliberazione 4.5.2009 n. 2, dando atto che
la precedente ed analoga delibera n. 1 del 2.4.2009 era priva di effetti,
autorizzava la Giunta, il Sindaco ed il Responsabile del servizio
all’attivazione della procedura per l’emanazione del bando di gara finalizzato
ad una nuova concessione dell’attività estrattiva nell’area di cava, da
concludersi entro tre mesi, salvo proroga, ed autorizzava altresì il Sindaco a
concedere una proroga trimestrale del rapporto in essere con l’attuale gestore
e, comunque, non oltre il 31.12.2009.
Il 13.5.2009 il Comune chiedeva alla Regione l’autorizzazione alla proroga
trimestrale della concessione in atto ed il Sindaco ha ciò disposto con atto del
20.5.2009, mentre la Giunta comunale, con deliberazione 3.6.2009 n. 20 approvava
il bando di gara per il nuovo l’affidamento: questi atti sono stati impugnati
dalla società di Marzio con un secondo atto di motivi aggiunti, spedito per la
notificazione l’8.6.2009 e depositato il 16 successivo, ancora deducendosene
l’illegittimità in conseguenza della già dedotta illegittimità della
deliberazione consiliare n.2/2009 e degli atti presupposti, come sopra già
impugnati.
Il bando di gara era quindi pubblicato sulla G.U.R.I. del 22.6.2009 n.72.
2 Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno accolto il ricorso, integrato
da motivi aggiunti, con il quale la società ha impugnato il diniego di proroga e
gli atti relativi alla gara bandita per l’affidamento della concessione.
Con il ricorso in appello il Comune di Ofena contesta gli argomenti posti a
fondamento del decisum di prime cure.
Resiste la società originariamente ricorrente.
Le parti hanno affidato al deposito di memorie l’illustrazione delle rispettive
tesi difensive.
All’udienza dell’11 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
3. Dall’esame degli atti di causa si ricava che i motivi in forza dei quali il
Comune da ritenuto di non concedere la proroga (o il rinnovo) fino al 2010
consistono:
a) nel fatto che dal 1989 al 2009 sono già trascorsi venti anni e l’art. 20, I
comma, della L.R. n.54/1983 vieta di poter superare questo termine;
b) nel divieto di rinnovo tacito del contratto in corso;
c) nel fatto che la ditta concessionaria ha estratto materiali in misura
inferiore a quanto previsto nel progetto di cava.
Si deve convenire con il Primo Giudice che non costituisce ragione idonea a
giustificare il diniego la sussistenza di eventuali inadempimenti o violazioni
progettuali evidenziate nella relazione peritale depositata dalla difesa
comunale in prime cure, trattandosi di dati rilevanti sotto il diverso profilo
della risoluzione per inadempimento della concessione in atto.
Del pari, non costituisce ragione idonea a sorreggere la determinazione negativa
il motivo di cui al superiore punto c), ossia l’eccepita, inferiore quantità di
materiale estratto, rispetto a quanto possibile in base al progetto di
coltivazione di cava approvato. Infatti, dal contratto stipulato con la società
Caviter, in cui è subentrata la società Di Marzio, non risulta alcun obbligo di
escavazione di un determinato quantitativo “minimo” di materiale. Inoltre, il
Comune si è garantito da questa eventualità pattuendo un canone annuale “minimo”
comunque dovuto, anche se il quantitativo del materiale estratto fosse risultato
inferiore a mc 123,300, quantità, a sua volta, considerata ai fini della
determinazione del canone stesso.
3.1.La Sezione non ritiene invece meritevoli di condivisione le argomentazioni
con le quali il Primo Giudice ha ritenuto inidonei a giustificare il diniego in
esame il limite ventennale fissato dalla normativa regionale (punto a) ed il
principio generale del divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici (punto
b).
Quanto al primo profilo si deve muovere dall’esame del dato positivo.
L’art. . 20 della citata L.R. Abruzzo 26 luglio 1983 n.54, così dispone:
- “La concessione o l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di coltivazione
dei giacimenti non può essere rilasciata per un periodo superiore a venti anni”,
(I comma);
- “Per evitare interruzioni di attività produttive, i provvedimenti possono
essere prorogati su domanda degli interessati, da inviare all’Amministrazione
competente prima della scadenza, previa l’osservanza delle norme previste per il
loro rilascio ed a condizione che il richiedente abbia puntualmente adempiuto a
tutte le prescrizioni ed obblighi fissati nel precedente provvedimento”, (II
comma).
Dall’esame della disposizione si ricava :a)le regola generale secondo cui la
durata della concessione non può valicare il limite ventennale; b) l’eccezionale
possibilità della proroga solo per effetto di determinazione espressa a seguito
di domanda di parte.
Dalla combinazione di tali prescrizioni si ricava il divieto di proroga tacita
delle concessioni a seguito del decorso dell’arco temprarle di venti anni. Detto
divieto si salda con il principio comunitario secondo cui il diniego e la
proroga sono considerati alla stregua di contratti ex novo, necessitanti
dell’espletamento di procedure di evidenza pubblica un assenza delle ipotesi
eccezionali che autorizzano il ricorso alla procedura negoziata.
Si deve quindi convenire che la regola esposta dalla legge regionale si
armonizza con il principio generale, da ultimo sancito dall’art. 57, comma 7,
del codice dei contratti pubblici che vieta il rinnovo tacito delle stipulazioni
contrattuali.
Il rinnovo tacito altro non è che una forma di trattativa privata che esula
dalle ipotesi ammesse dal diritto comunitario (Cons. di Stato, sez. VI, n. 6458
del 31 ottobre 2006). L’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo
dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 6 della legge n. 537/1993
e poi con l’art. 23 legge 62/2005 al fine di adeguare l’ordinamento interno ai
precetti comunitari, ha quindi valenza generale e portata preclusiva di opzioni
ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell'ordinamento che si
risolvono, di fatto, nell'elusione del divieto di rinnovazione dei contratti
pubblici. Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato, infatti, si
assicura l'effettiva conformazione dell'ordinamento interno a quello comunitario
che considera il rinnovo e la proroga come un contratto originario necessitante
della sottoposizione ai canoni di evidenza pubblica, mentre, accedendo a letture
sistematiche che limitino la portata precettiva del divieto di rinnovazione dei
contratti pubblici scaduti e che introducano indebite eccezioni, si finisce per
vanificare la palese intenzione del legislatore di adeguare la disciplina
nazionale in materia a quella europea.
In definitiva la legislazione vigente, partendo dal presupposto che la
procrastinazione meccanica del termine originario di durata di un contratto
sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile
alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di procedere al rinnovo o
alla proroga automatica dei contratti in corso, ma solo alla loro proroga
espressa per il tempo strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a
seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica.
3.2. La Sezione deve poi rimarcare, a confutazione del diverso avviso espresso
dal Primo Giudice, che il divieto in esame , pure se fissato dal legislatore in
modo espresso, esso con riguardo agli appalti di sevizi, opere e fornire,
esprime un principio generale attuativo di un vincolo comunitario discendente
dal Trattato e, come tale, operante per la generalità dei contratti pubblici ed
estensibile anche alle concessioni di beni pubblici (così Cons. Stato , sez. VI,
21 maggio 2009 , n. 3145; n. 3642/2008; Cons. Stato, V, n. 2825/2007; VI, n.
168/2005).
L’obbligo di dare corpo a procedure di evidenza pubblica deriva, infatti, in via
diretta dai principi del Trattato dell'Unione Europea, direttamente applicabili
a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne, in
guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto.
Vale in questa sede osservare che, alla stregua della comunicazione della
Commissione europea del 12.4.2000, pubblicata in Gazzetta ufficiale n. C 121 del
29/04/200, richiamata e sviluppata da un circolare della Presidenza del
Consiglio dei Ministri- Dipartimento per le politiche Comunitarie n. 945
dell'1.3.2002, i principi di evidenza pubblica, da attuare in modo proporzionato
e congruo all'importanza della fattispecie in rilievo vanno applicati, in quanto
dettati in via diretta e self-executing dal Trattato, anche alle fattispecie non
interessate (nella specie concessione di servizi) da specifiche disposizioni
comunitarie volte a dare la stura ad una procedura competitiva puntualmente
regolata.
Con la comunicazione della Commissione si è rimarcato che "benché il Trattato
non contenga alcuna esplicita menzione degli appalti pubblici, né delle
concessioni, molte delle sue disposizioni sono rilevanti in materia. Si tratta
delle norme del Trattato che presidiano e garantiscono il buon funzionamento del
mercato unico, ossia: - le norme che vietano qualsiasi discriminazione fondata
sulla nazionalità (articolo 12, paragrafo 1, ex articolo 6, paragrafo 1); - le
norme relative alla libera circolazione delle merci (articoli 28 - ex 30 - e
seguenti), alla libertà di stabilimento (articoli 43 - ex 52 - e seguenti), alla
libera prestazione di servizi (articoli 49 - ex 59 - e seguenti) nonché le
eccezioni a tali norme previste agli articoli 30, 45 e 46 (ex articoli 36, 55 e
56);- le disposizioni dell'articolo 86 (ex 90) del Trattato".
La circolare ha a sua volta puntualizzato che "a prescindere dall'applicabilità
di specifici regimi, tutte le concessioni ricadono nel campo di applicazione
delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex articoli da 30 a 36), da 43 a
55 (ex articoli da 52 a 66) del Trattato o dei principi sanciti dalla
giurisprudenza della Corte. Si tratta in particolare dei principi di non
discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo
riconoscimento e proporzionalità così come risultano dalla costante tradizione
giurisprudenziale della Corte europea che si è posta all'avanguardia nella loro
elaborazione". Segnatamente "il principio di trasparenza, strettamente legato a
quello di non discriminazione poiché garantisce condizioni di concorrenza non
falsate ed esige che le amministrazioni concedenti rendano pubblica, con
appropriati mezzi di pubblicità, la loro intenzione di ricorrere ad una
concessione. Secondo le indicazioni della Commissione europea (cfr. il punto
3.1.2 della Comunicazione interpretativa) tali forme di pubblicità dovranno
contenere le informazioni necessarie affinché potenziali concessionari siano in
grado di valutare il loro interesse a partecipare alla procedura quali
l'indicazione dei criteri di selezione ed attribuzione, l'oggetto della
concessione e delle prestazioni attese dal concessionario. Spetterà poi in
particolare ai giudici nazionali valutare se tali obblighi siano stati osservati
attraverso l'adozione di appropriate regole o prassi amministrative." A sua
volta, "il principio di parità di trattamento implica che le amministrazioni
concedenti pur essendo libere di scegliere la procedura di aggiudicazione più
appropriata alle caratteristiche del settore interessato e di stabilire i
requisiti che i candidati devono soddisfare durante le varie fasi della
procedura, debbano poi garantire che la scelta del candidato avvenga in base a
criteri obiettivi e che la procedura si svolga rispettando le regole e i
requisiti inizialmente stabiliti (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 25 aprile
1996, causa C-87/94 Bus Wallons, punto 54). La Commissione individua quali
esempi di pratiche contrarie alla parità di trattamento quelle che permettono
l'accettazione di offerte non conformi al capitolato d'oneri o modificate
successivamente alla loro apertura ovvero la presa in considerazione di
soluzioni alternative qualora la possibilità non sia stata prevista dal progetto
iniziale.
La sottoposizione delle concessioni di servizi al principio di non
discriminazione, in particolare in base alla nazionalità, è stato confermato
anche dalla giurisprudenza comunitaria, che ha precisato come l'obbligo di
trasparenza a cui sono tenute le amministrazioni consiste nel garantire, in
favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che
consenta l'apertura degli appalti dei servizi alla concorrenza nonché il
controllo sull'imparzialità delle procedure di aggiudicazione (Corte di
giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, cit., considerato n. 62)".
La circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti siano
attuative delle norme del Trattato in materia di tutela della concorrenza e del
mercato porta, in sostanza, a ritenere che queste norme siano puramente
applicative, con riferimento a determinati appalti, di principi generali che,
essendo sanciti in modo universale dal Trattato, sono ovviamente valevoli anche
per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate.
Donde l'immediata operatività dei principi, sopra esposti con riferimento alla
concessione di servizi, anche agli appalti sottosoglia (vedi la circolare del
Dipartimento per le Politiche comunitarie del 30.6.2002 ove si richiama
l'ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, e sentenza 7 dicembre 2000, causa
C-324, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, rese dalla Corte di Giustizia), ed
ai contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale
delle imprese e dei professionisti e, infine, alle stesse concessioni di beni
pubblici di rilevanza economica. La Corte di giustizia ha in particolare
statuito che "sebbene le direttive comunitarie che coordinano le procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici si applichino soltanto ai contratti il cui
valore supera un determinato limite previsto espressamente in ciascuna delle
dette direttive, il solo fatto che il legislatore comunitario abbia considerato
che le procedure particolari e rigorose previste in tali direttive non sono
adeguate allorché si tratta di appalti pubblici di scarso valore, non significa
che questi ultimi siano esclusi dall'ambito di applicazione del diritto
comunitario" (v., in tal senso, ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, punto
19). Già in precedenza il giudice comunitario aveva sottolineato la necessità
del rispetto del principio di trasparenza anche per gli appalti non rientranti
espressamente nella sfera di applicazione di una direttiva, ricordando che
"nonostante il fatto che siffatti contratti, allo stadio attuale del diritto
comunitario, siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38,
gli enti aggiudicatori che li stipulano sono ciò nondimeno tenuti a rispettare i
principi fondamentali del Trattato in generale, e il principio di non
discriminazione in base alla nazionalità in particolare" (sentenza 7 dicembre,
2000, in C-324/98, Teleaustria c. Post & Telekom Austria , punto 60). Prendendo
le mosse da siffatte considerazioni la Corte di Giustizia ha rimarcato che anche
per un appalto pubblico di lavori non eccedente il valore limite previsto dalla
direttiva 93/37, "l'articolo 30 del Trattato osta a che un'amministrazione
aggiudicatrice inserisca nel capitolato d'oneri relativo al detto appalto una
clausola che prescrive per l'esecuzione di tale appalto l'impiego di un prodotto
di una determinata marca senza aggiungere la menzione o "equivalente" (Corte
Giust. Ord. 3 dicembre 2001 cit., ove si mette in rilievo come la riserva del
mercato ai soli offerenti che intendano utilizzare materiali prodotti in un
certo Stato, nella specie l'Irlanda, può ostacolare le correnti d'importazione
nel commercio intracomunitario, in contrasto con l'articolo 30 del Trattato; v.,
in tal senso, sentenza Corte Giust. 24 gennaio 1995, causa c- 359/93,
Commissione/93).
Nelle citate decisioni in materia di concessione di beni pubblici (vedi,
soprattutto, sez. VI, n. 168/2005) il Consiglio ha richiamato la posizione della
Commissione UE, secondo la quale, anche nei casi in cui non trova applicazione
la direttiva sugli appalti di servizi (in particolare, nel caso delle
concessioni di pubblici servizi) la scelta del contraente incontra i limiti
indicati dalle norme del Trattato in materia di libera prestazione di servizi e
dai principi generali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione,
la parità di trattamento, la trasparenza. Si impone così una scelta ispirata a
criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza
tra i soggetti interessati (v. i progetti di comunicazione interpretativa della
Commissione del 24.2.1999 e del 12.4.2000; v. anche, per l'affermazione dei
medesimi principi e per la rilevanza generale degli obblighi di trasparenza
nella scelta dei contraenti, specie quando si tratta di servizi pubblici, Corte
di Giustizia CE, 7 dicembre 2000, C-324/98).
La giurisprudenza amministrativa, pur citando principi espressi dalla Corte di
Giustizia con riferimento alle concessioni di servizi pubblici, che è figura
diversa dall'appalto di servizi, ha riconosciuto agli stessi "una portata
generale che può adattarsi ad ogni fattispecie che sia estranea all'immediato
ambito applicativo delle direttive sugli appalti. Del resto, è utile ricordare
che la tradizione dell'ordinamento interno è sempre stata quella di favorire la
libera scelta del concessionario, introducendo ampie deroghe al regime
dell'evidenza pubblica, e di considerare con maggior rigore, all'opposto,
proprio la scelta del contraente appaltatore (dec. n. 934/2002 cit.)".
Si è in particolare chiarito che "la normativa europea in tema di appalti
pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e pertanto
l'affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza
ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme
comunitarie) solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l'ente
pubblico e il soggetto gestore, come nel caso, secondo la terminologia della
Corte di Giustizia, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via
eccezionale, "in house" (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 18 novembre 1999,
causa C-107/98, Teckal ).
In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una
persona giuridica distinta, l'applicazione delle direttive comunitarie può
essere esclusa nel caso in cui l'ente locale eserciti sulla persona di cui
trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa
persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con
l'ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle
istituzioni comunitarie per controllo analogo s'intende un rapporto equivalente,
ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica;
tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e
finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario. In detta
evenienza, pertanto, l'affidamento diretto della gestione del servizio è
consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle
disposizioni comunitarie innanzi citate".
Le coordinate esposte - che rimangono valide a seguito del Trattato di Lisbona-
sono applicabili anche alle concessioni di beni pubblici, fungendo da parametro
di interpretazione anche della normativa regionale che viene qui in
considerazione.
L'indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie, e quindi alla sua
riqualificazione interna in termini pubblicistici o privatistici, fa sì che la
sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente
nella circostanza che con la concessione di area pubblica si fornisce
un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una
procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non
discriminazione.
Né si può ritenere che la tradizionale idea della concessione senza gara possa
trovare giustificazione nella regola comunitaria secondo cui sono escluse
dall'applicazione delle disposizioni del presente capo, le attività che nello
Stato nazionale partecipino, sia pure occasionalmente, all'esercizio dei
pubblici poteri. Secondo l'opzione preferibile tale regola va, infatti,
interpretata in senso restrittivo, dovendo venire all'uopo rilievo un
trasferimento di potere pubblicistico autoritativo non ravvisabile con
riferimento all'istituto della concessione che, ai fini comunitari, si distingue
dall'appalto essenzialmente con riguardo alle modalità di remunerazione
dell'opera del concessionario.
3.3. Dalle considerazioni esposte si ricava - per effetto dell’ applicazione
coordinata della normativa regionale e dei principi comunitari che considerano
la proroga o il rinnovo di un contratto quale contratto nuovo soggiacente a
regole competitive – che è vietata la proroga tacita delle concessioni
ventennali e che la proroga può essere concessa, esclusivamente con
provvedimento espresso, al fine di evitare l’interruzione delle attività in
atto, per il solo tempo necessario a consentire l’espletamento della procedura
di evidenza pubblica
Risulta quindi legittimo il divieto di proroga disposto dal Comune proprio in
considerazione del superamento del tetto dei venti anni a seguito del cumulo del
periodo iniziale con la prima proroga decennale e del divieto della reclamata
proroga tacita.
Quanto alla proroga tacita prevista dal contratto di concessione del 1999 deve
osservarsi, per un verso, che la ricordata autorizzazione sindacale al
subingresso del 2004 richiama la scadenza del 3.5.2009 senza menzionare al
riguardo la proroga tacita e, per altro assorbente profilo, che la clausola
convenzionale recante la proroga tacita, in quanto contrastante con il ricordato
precetto normativo di derivazione comunitaria, sia da considerarsi nulla di
pieno diritto con conseguente sostituzione con la norma regionale che consente
la proroga solo in via espressa con una prescrizione da interpretare come
riferita al tempo strettamente necessario alla definizione della procedurali
evidenza pubblica finalizzata alla scelta del concessionario. Del pari l’analogo
richiamo alla proroga decennale contenuto nell’atto di autorizzazione sindacale
del 1999 risulta sul punto superato dalla rammentata autorizzazione del 2004 e,
in ogni caso, è stato inciso dal diniego di proroga che, nell’esercizio
sostanziale del potere di autotutela, ha eliminato una prescrizione in chiaro
contrasto con la normativa regionale e con i superiori principi comunitari.
4. Le considerazioni che precedono dimostrano la legittimità del diniego di
proroga impugnato in prime cure e della conseguente procedura di evidenza pubica
indetta dall’amministrazione.
L’appello deve pertanto essere accolto.
Ne consegue, in riforma della sentenza gravata, la reiezione del ricorso di
prime cure.
La complessità e l’importanza della questione di diritto affrontata giustificano
la compensazione delle spese dei due gradi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo
accoglie e, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo
grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere, Estensore
Eugenio Mele, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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