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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CONSIGLIO DI STATO Sez. V - 7 aprile 2011, Sentenza n. 2159


DIRITTO URBANISTICO - Nozione di pertinenzialità - Differenziazione rispetto alla nozione civilistica.
In materia urbanistica la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17 maggio 2010 n. 3127, 15 settembre 2009 n. 5509, 23 luglio 2009 n. 4636 e 7 luglio 2009 n. 3379). Pres. Baccarini, Est. Dell’Utri- Comune di Parma (avv. Rossi) c. S.B. (n.c.) - (Riforma T.A.R. EMILIA-ROMAGNA, Parma, n. 188/1998) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 7 aprile 2011, n. 2159
 


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REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


N. 02159/2011REG.PROV.COLL.
N. 05990/1999 REG.RIC.


Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 5990 del 1999, proposto da:
Comune di Parma, rappresentato e difeso dall'avv. Adriano Rossi, con domicilio eletto presso l’avv. Adriano Rossi in Roma, viale delle Milizie n. 1;


contro
 

Sacchetti Bruno;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZ. STACCATA DI PARMA n. 00188/1998, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE BOX E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2010 il Cons. Angelica Dell'Utri e udito per l’appellante l’avv. Rossi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO


Con atto notificato il 4 giugno 1999 e depositato il 30 seguente il Comune di Parma ha appellato la sentenza 22 aprile 1998 n. 188 del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, non notificata, con la quale sono stati accolti due ricorsi riuniti proposti dal signor Bruno Sacchetti per l’annullamento di tredici provvedimenti dirigenziali del novembre 1993, recanti ordine di ripristino dello stato dei luoghi e demolizione di box in lamiera adibiti ad autorimessa realizzati su terreno di proprietà del ricorrente senza il prescritto titolo autorizzativo.

A sostegno dell’appello ha dedotto:

1.- Il ricorso era in larga parte inammissibile per carenza di interesse perché, eccetto che per le ordinanze nn. 612/65843 e 613/65844 relative a box di cui il ricorrente è risultato proprietario, tutte le altre ordinanze impugnate si riferiscono a box di proprietà degli inquilini del vicino insediamento IACP, come peraltro affermato dallo stesso ricorrente.

2.- Il TAR non ha rilevato l’inammissibilità dell’impugnativa di undici delle tredici ordinanze per mancata evocazione in giudizio dei proprietari effettivi dei manufatti abusivi, i quali assumono veste di interessati.

3.- Dopo aver giustamente respinto il primo motivo, di omesso avviso di avvio del procedimento invece inviato al ricorrente ed ai proprietari dei box, il TAR ha accolto i motivi secondo, terzo, quarto e quinto, in quanto l’art. 4 della legge n. 47 del 1985 sarebbe stato erroneamente applicato a manufatti realizzati prima dell’entrata in vigore della legge n. 431 del 1985, cioè prima dell’imposizione del vincolo ambientale che, peraltro, importa inedificabilità assoluta solo in presenza di determinate condizioni nella specie non ricorrenti; ha quindi ritenuto che in tali casi l’abuso dovesse essere represso ai sensi dell’art. 10 della citata legge n. 47 del 1985, trattandosi di semplici pertinenze soggette al regime autorizzatorio e non concessorio. Tuttavia, in tal modo non si considera che sono assoggettate al regime sanzionatorio di cui all’art. 4 della legge n. 47 del 1985 anche le opere abusive realizzate anteriormente alla c.d. “legge Galasso” per le quali non sia stata presentata domanda di condono, com’è nella specie, o tale domanda sia stata respinta; sicché, una volta accertata la violazione, la sanzione andava doverosamente applicata, né occorreva motivazione specifica sull’interesse pubblico alla demolizione dell’opera, e neppure il previo accertamento della sua conformità o meno alla vigente disciplina urbanistica, tenuto conto che il potere repressivo comunale non incontra alcun termine di prescrizione o decadenza. Infine, non essendo stata presentata domanda di condono, non rileva se siano o meno assolutamente inedificabili le relative aree, peraltro destinate in P.R.G. a verde pubblico.

4.- Non si comprende come il TAR abbia potuto qualificare le opere in parola come pertinenziali, senza specificare quali siano i fabbricati di civile abitazione ad esse collegati, avendo peraltro il ricorrente solo affermato che si tratterebbe di garages e ricoveri utilizzati dai conduttori di vicini alloggi IACP, e senza tener conto che in materia di normative urbanistiche si richiede che il proprietario della pertinenza sia anche proprietario dell’immobile collegato, mentre sono qualificabili come pertinenze solo i manufatti privi di rilevanza economica e non autonomamente utilizzabili se singolarmente considerati.

5.- Il TAR ha accolto anche il terzo motivo, di violazione dell’art. 27 della legge n. 47 del 1985 ma non ne ha specificato le ragioni. Ad ogni modo, la censura era infondata poiché con le ordinanze impugnate è stato ordinato il ripristino dei luoghi disponendo che l’incaricato vi provveda con al procedura prevista appunto dall’art. 27, dunque previa valutazione tecnico economica dei lavori da eseguire, da sottoporre alla Giunta prima dell’inizio dei lavori stessi.

Pur ritualmente intimato sia presso i difensori (uno dei quali, pur rinunciatario, conserva legittimazione a ricevere gli atti nell’interesse del mandante sino a sostituzione) nel domicilio eletto, sia direttamente presso la residenza, l’appellato non si è costituito in giudizio.

A seguito di avviso di segreteria del 21 ottobre 2009, pervenuto il 24 seguente, in data 20 aprile 2010 il Comune ha prodotto nuova istanza di fissazione d’udienza anche sottoscritta personalmente dal sindaco, legale rappresentante, poi con memoria del 29 ottobre 2010 ha insistito nelle proprie tesi e richieste.

All’odierna udienza pubblica l’appello è stato introitato in decisione.

Ciò posto, va premesso che il primo giudice, al fine di affermare la rilevanza della realizzazione dei manufatti di cui si discute in epoca anteriore all’imposizione del vincolo e l’applicabilità all’abuso delle sanzioni pecuniarie per opere eseguite in assenza di autorizzazione, previste dall’art. 10 della legge n. 47 del 1985, anziché quelle demolitorie d’ufficio di cui al precedente art. 4, muove dal presupposto che si tratti di opere pertinenziali soggette appunto ad autorizzazione.

Siffatto presupposto è errato.

Al riguardo, la Sezione osserva che, com’è noto, in materia urbanistica la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17 maggio 2010 n. 3127, 15 settembre 2009 n. 5509, 23 luglio 2009 n. 4636 e 7 luglio 2009 n. 3379).

Nella specie, deve escludersi la ricorrenza di tali precise condizioni per le circostanze descritte dallo stesso ricorrente in primo grado, ossia per il fatto che i box di cui si controverte, che sarebbero asserviti ad alloggi IACP, non sono legati da alcun vincolo di natura giuridico-funzionale, dal momento che nulla è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione separata dall’alloggio; ciò dal momento che solo in forza di “un’organizzazione volontaristica” accadrebbe che “allorquando un affittuario lascia i locali dello IACP, nel godimento e proprietà del box subentra il nuovo affittuario”.

Peraltro, a ben vedere nel caso in esame manca lo stesso fondamento della pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cod. civ. costituito, com’è, non solo dall’elemento oggettivo della destinazione di una cosa al servizio (o ornamento) dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo inteso quale volontà del proprietario della cosa principale ad imprimere la destinazione in parola, atteso che le unità immobiliari a cui i box accederebbero non appartengono agli stessi soggetti proprietari dei medesimi box, bensì allo IACP (o oggi l’organismo ad esso succeduto), di cui detti proprietari sono affittuari. Pertanto, va esclusa la stessa configurabilità di pertinenza anche nella più ampia nozione civilistica, dunque a maggior ragione sotto il profilo urbanistico-edilizio.

Ne deriva che manufatti, ricadenti in area vincolata ai sensi del d.l. 27 giugno 1985 n. 312 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985 n. 431, devono ritenersi soggetti al regime non della mera autorizzazione, bensì a quello, ordinario, della concessione edilizia, con conseguente applicabilità del cit. art. 4. Tanto in assenza di domanda di condono edilizio, il cui mancato inoltro risulta verificato dal Comune per ciascun box come da singole schede in atti (sicché è smentita la mera e non documentata affermazione contraria del ricorrente, contenuta nel settimo motivo del gravame, peraltro non esaminato dal TAR), stante il disposto dell’art. 40 della stessa legge n. 47 del 1985, secondo cui in tal caso “si applicano le sanzioni di cui al capo I” con evidente riferimento alla situazione vincolistica in atto al momento del riscontro dell’abuso. Di qui l’irrilevanza dell’imposizione del predetto vincolo in epoca successiva alla realizzazione dei medesimi manufatti, i quali avrebbero dovuto ugualmente essere oggetto di domanda di condono, come dimostra il disposto dell’art. 32, co. 4, della ripetuta legge n. 47 del 1985.

Del pari irrilevante, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, è il fatto che il vincolo in parola non comporti inedificabilità assoluta, poiché ciò non esentava gli interessati dal richiede la concessione in sanatoria, da rilasciarsi previo parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del medesimo vincolo.

Per le considerazioni sin qui esposte, vanno condivisi i motivi terzo e quarto d’appello, formulati in relazione all’accoglimento da parte del TAR dei motivi di primo grado secondo, quarto e quinto, incentrati sugli aspetti trattati.

Infine, è fondato anche il quinto mezzo d’appello, volto a contestare il dichiarato, ma del tutto immotivato, accoglimento anche del terzo motivo del ricorso di primo grado, di violazione dell’art. 27 della stessa legge n. 47 del 1985 in quanto l’esecuzione d’ufficio della demolizione non sarebbe stata preceduta dalla valutazione tecnico economica dell’intervento. I provvedimenti impugnati recano, invero, l’espresso richiamo alla procedura prevista dal detto art. 27, quindi alla sottoposizione all’approvazione della Giunta della valutazione-tecnico economica demandata all’ingegnere dirigente dell’Ente ed all’affidamento dei lavori con le prescritte modalità.

In conclusione, l’appello dev’essere accolto sotto il profilo sostanziale, senza che occorra esaminare i motivi d’appello primo e secondo, incentrati su questioni di rito.

Tuttavia, tenuto conto sia delle finalità che della risalenza nel tempo del commesso abuso di cui si è discusso, si ravvisano eque ragioni affinché possa essere disposta la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge i ricorsi di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Eugenio Mele, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore
Francesca Quadri, Consigliere
 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

 


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