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CONSIGLIO DI STATO Sez. V - 7 aprile 2011, Sentenza n.
2159
DIRITTO URBANISTICO - Nozione di pertinenzialità - Differenziazione rispetto
alla nozione civilistica. In materia urbanistica la nozione di
pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella
civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una
oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo
servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il
c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo
valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale
stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale
l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr., tra le
tante, Cons. Stato, Sez. IV 17 maggio 2010 n. 3127, 15 settembre 2009 n. 5509,
23 luglio 2009 n. 4636 e 7 luglio 2009 n. 3379). Pres. Baccarini, Est. Dell’Utri-
Comune di Parma (avv. Rossi) c. S.B. (n.c.) - (Riforma T.A.R. EMILIA-ROMAGNA,
Parma, n. 188/1998) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 7 aprile 2011, n. 2159
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02159/2011REG.PROV.COLL.
N. 05990/1999 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5990 del 1999, proposto da:
Comune di Parma, rappresentato e difeso dall'avv. Adriano Rossi, con domicilio
eletto presso l’avv. Adriano Rossi in Roma, viale delle Milizie n. 1;
contro
Sacchetti Bruno;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZ. STACCATA DI PARMA n. 00188/1998,
resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE BOX E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2010 il Cons. Angelica
Dell'Utri e udito per l’appellante l’avv. Rossi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con atto notificato il 4 giugno 1999 e depositato il 30 seguente il Comune di
Parma ha appellato la sentenza 22 aprile 1998 n. 188 del Tribunale
amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, non
notificata, con la quale sono stati accolti due ricorsi riuniti proposti dal
signor Bruno Sacchetti per l’annullamento di tredici provvedimenti dirigenziali
del novembre 1993, recanti ordine di ripristino dello stato dei luoghi e
demolizione di box in lamiera adibiti ad autorimessa realizzati su terreno di
proprietà del ricorrente senza il prescritto titolo autorizzativo.
A sostegno dell’appello ha dedotto:
1.- Il ricorso era in larga parte inammissibile per carenza di interesse perché,
eccetto che per le ordinanze nn. 612/65843 e 613/65844 relative a box di cui il
ricorrente è risultato proprietario, tutte le altre ordinanze impugnate si
riferiscono a box di proprietà degli inquilini del vicino insediamento IACP,
come peraltro affermato dallo stesso ricorrente.
2.- Il TAR non ha rilevato l’inammissibilità dell’impugnativa di undici delle
tredici ordinanze per mancata evocazione in giudizio dei proprietari effettivi
dei manufatti abusivi, i quali assumono veste di interessati.
3.- Dopo aver giustamente respinto il primo motivo, di omesso avviso di avvio
del procedimento invece inviato al ricorrente ed ai proprietari dei box, il TAR
ha accolto i motivi secondo, terzo, quarto e quinto, in quanto l’art. 4 della
legge n. 47 del 1985 sarebbe stato erroneamente applicato a manufatti realizzati
prima dell’entrata in vigore della legge n. 431 del 1985, cioè prima
dell’imposizione del vincolo ambientale che, peraltro, importa inedificabilità
assoluta solo in presenza di determinate condizioni nella specie non ricorrenti;
ha quindi ritenuto che in tali casi l’abuso dovesse essere represso ai sensi
dell’art. 10 della citata legge n. 47 del 1985, trattandosi di semplici
pertinenze soggette al regime autorizzatorio e non concessorio. Tuttavia, in tal
modo non si considera che sono assoggettate al regime sanzionatorio di cui
all’art. 4 della legge n. 47 del 1985 anche le opere abusive realizzate
anteriormente alla c.d. “legge Galasso” per le quali non sia stata presentata
domanda di condono, com’è nella specie, o tale domanda sia stata respinta;
sicché, una volta accertata la violazione, la sanzione andava doverosamente
applicata, né occorreva motivazione specifica sull’interesse pubblico alla
demolizione dell’opera, e neppure il previo accertamento della sua conformità o
meno alla vigente disciplina urbanistica, tenuto conto che il potere repressivo
comunale non incontra alcun termine di prescrizione o decadenza. Infine, non
essendo stata presentata domanda di condono, non rileva se siano o meno
assolutamente inedificabili le relative aree, peraltro destinate in P.R.G. a
verde pubblico.
4.- Non si comprende come il TAR abbia potuto qualificare le opere in parola
come pertinenziali, senza specificare quali siano i fabbricati di civile
abitazione ad esse collegati, avendo peraltro il ricorrente solo affermato che
si tratterebbe di garages e ricoveri utilizzati dai conduttori di vicini alloggi
IACP, e senza tener conto che in materia di normative urbanistiche si richiede
che il proprietario della pertinenza sia anche proprietario dell’immobile
collegato, mentre sono qualificabili come pertinenze solo i manufatti privi di
rilevanza economica e non autonomamente utilizzabili se singolarmente
considerati.
5.- Il TAR ha accolto anche il terzo motivo, di violazione dell’art. 27 della
legge n. 47 del 1985 ma non ne ha specificato le ragioni. Ad ogni modo, la
censura era infondata poiché con le ordinanze impugnate è stato ordinato il
ripristino dei luoghi disponendo che l’incaricato vi provveda con al procedura
prevista appunto dall’art. 27, dunque previa valutazione tecnico economica dei
lavori da eseguire, da sottoporre alla Giunta prima dell’inizio dei lavori
stessi.
Pur ritualmente intimato sia presso i difensori (uno dei quali, pur
rinunciatario, conserva legittimazione a ricevere gli atti nell’interesse del
mandante sino a sostituzione) nel domicilio eletto, sia direttamente presso la
residenza, l’appellato non si è costituito in giudizio.
A seguito di avviso di segreteria del 21 ottobre 2009, pervenuto il 24 seguente,
in data 20 aprile 2010 il Comune ha prodotto nuova istanza di fissazione
d’udienza anche sottoscritta personalmente dal sindaco, legale rappresentante,
poi con memoria del 29 ottobre 2010 ha insistito nelle proprie tesi e richieste.
All’odierna udienza pubblica l’appello è stato introitato in decisione.
Ciò posto, va premesso che il primo giudice, al fine di affermare la rilevanza
della realizzazione dei manufatti di cui si discute in epoca anteriore
all’imposizione del vincolo e l’applicabilità all’abuso delle sanzioni
pecuniarie per opere eseguite in assenza di autorizzazione, previste dall’art.
10 della legge n. 47 del 1985, anziché quelle demolitorie d’ufficio di cui al
precedente art. 4, muove dal presupposto che si tratti di opere pertinenziali
soggette appunto ad autorizzazione.
Siffatto presupposto è errato.
Al riguardo, la Sezione osserva che, com’è noto, in materia urbanistica la
nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da
quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad
una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo
servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il
c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo
valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale
stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale
l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr., tra le
tante, Cons. Stato, Sez. IV 17 maggio 2010 n. 3127, 15 settembre 2009 n. 5509,
23 luglio 2009 n. 4636 e 7 luglio 2009 n. 3379).
Nella specie, deve escludersi la ricorrenza di tali precise condizioni per le
circostanze descritte dallo stesso ricorrente in primo grado, ossia per il fatto
che i box di cui si controverte, che sarebbero asserviti ad alloggi IACP, non
sono legati da alcun vincolo di natura giuridico-funzionale, dal momento che
nulla è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione separata dall’alloggio; ciò
dal momento che solo in forza di “un’organizzazione volontaristica” accadrebbe
che “allorquando un affittuario lascia i locali dello IACP, nel godimento e
proprietà del box subentra il nuovo affittuario”.
Peraltro, a ben vedere nel caso in esame manca lo stesso fondamento della
pertinenzialità ai sensi dell’art. 817 cod. civ. costituito, com’è, non solo
dall’elemento oggettivo della destinazione di una cosa al servizio (o ornamento)
dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo inteso quale volontà del
proprietario della cosa principale ad imprimere la destinazione in parola,
atteso che le unità immobiliari a cui i box accederebbero non appartengono agli
stessi soggetti proprietari dei medesimi box, bensì allo IACP (o oggi
l’organismo ad esso succeduto), di cui detti proprietari sono affittuari.
Pertanto, va esclusa la stessa configurabilità di pertinenza anche nella più
ampia nozione civilistica, dunque a maggior ragione sotto il profilo
urbanistico-edilizio.
Ne deriva che manufatti, ricadenti in area vincolata ai sensi del d.l. 27 giugno
1985 n. 312 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985 n. 431,
devono ritenersi soggetti al regime non della mera autorizzazione, bensì a
quello, ordinario, della concessione edilizia, con conseguente applicabilità del
cit. art. 4. Tanto in assenza di domanda di condono edilizio, il cui mancato
inoltro risulta verificato dal Comune per ciascun box come da singole schede in
atti (sicché è smentita la mera e non documentata affermazione contraria del
ricorrente, contenuta nel settimo motivo del gravame, peraltro non esaminato dal
TAR), stante il disposto dell’art. 40 della stessa legge n. 47 del 1985, secondo
cui in tal caso “si applicano le sanzioni di cui al capo I” con evidente
riferimento alla situazione vincolistica in atto al momento del riscontro
dell’abuso. Di qui l’irrilevanza dell’imposizione del predetto vincolo in epoca
successiva alla realizzazione dei medesimi manufatti, i quali avrebbero dovuto
ugualmente essere oggetto di domanda di condono, come dimostra il disposto
dell’art. 32, co. 4, della ripetuta legge n. 47 del 1985.
Del pari irrilevante, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, è il fatto che
il vincolo in parola non comporti inedificabilità assoluta, poiché ciò non
esentava gli interessati dal richiede la concessione in sanatoria, da
rilasciarsi previo parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela
del medesimo vincolo.
Per le considerazioni sin qui esposte, vanno condivisi i motivi terzo e quarto
d’appello, formulati in relazione all’accoglimento da parte del TAR dei motivi
di primo grado secondo, quarto e quinto, incentrati sugli aspetti trattati.
Infine, è fondato anche il quinto mezzo d’appello, volto a contestare il
dichiarato, ma del tutto immotivato, accoglimento anche del terzo motivo del
ricorso di primo grado, di violazione dell’art. 27 della stessa legge n. 47 del
1985 in quanto l’esecuzione d’ufficio della demolizione non sarebbe stata
preceduta dalla valutazione tecnico economica dell’intervento. I provvedimenti
impugnati recano, invero, l’espresso richiamo alla procedura prevista dal detto
art. 27, quindi alla sottoposizione all’approvazione della Giunta della
valutazione-tecnico economica demandata all’ingegnere dirigente dell’Ente ed
all’affidamento dei lavori con le prescritte modalità.
In conclusione, l’appello dev’essere accolto sotto il profilo sostanziale, senza
che occorra esaminare i motivi d’appello primo e secondo, incentrati su
questioni di rito.
Tuttavia, tenuto conto sia delle finalità che della risalenza nel tempo del
commesso abuso di cui si è discusso, si ravvisano eque ragioni affinché possa
essere disposta la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per
l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge i ricorsi di primo
grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Eugenio Mele, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore
Francesca Quadri, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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