AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. VI - 16 maggio 2011, Sentenza n.
2955
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO - Sistema probatorio - Art. 46, c. 3 cod.
proc. amm. - Principio dispositivo con metodo acquisitivo - Art. 43, c. 1 cod.
proc. amm. - Art. 2697 c.c. - Uguaglianza di posizioni tra la P.A. e il privato
- Fattispecie: risarcimento del danno. Nel processo amministrativo, anche
dopo l’entrata in vigore del nuovo codice approvato con D.L.vo 2 luglio 2010 n.
104 (cfr. art. 64, comma 3), il sistema probatorio è fondamentalmente retto dal
principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte
del giudice, il quale comporta l’onere per il ricorrente di presentare almeno un
indizio di prova perché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori
(cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2009, n. 6118): e ciò, per
l’appunto, è contemplato dal “sistema” proprio in quanto il ricorrente, di per
sé, non ha la disponibilità delle prove, essendo queste nell’esclusivo possesso
dell’amministrazione ed essendo quindi sufficiente che egli fornisca un
principio di prova. Viceversa, la disciplina contenuta nell’art. 2697 cod. civ.
(corrispondente, ora, all’art. 64, comma 1, cod. proc. amm.) secondo la quale
spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, deve trovare
integrale applicazione anche nel processo amministrativo ogniqualvolta non
ricorra tale disuguaglianza di posizioni tra Pubblica Amministrazione e privato,
come nel caso di specie, laddove si verte esclusivamente sulla spettanza, o
meno, di un risarcimento del danno: con la conseguenza che, a pena di
un’inammissibile inversione del regime dell’onere della prova, non è consentito
al giudice amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando quest’ultima
si trovi nell’impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione
(cfr., al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato , Sez. V, 10 novembre 2010 n.
8006). Pres. Giaccardi, Est. Rocco - F.G. (avv.ti Camerini e Rossi) c. Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti (n.c.) - (Riforma T.A.R. per il Lazio,
Roma, n. 8218/2004) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 16 maggio 2011, n. 2955
APPALTI - Danno curriculare - Nozione - Valutazione equitativa - Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro
che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione
appaltante, costituisce fonte per l’impresa di un vantaggio non patrimoniale ma
- comunque - economicamente valutabile, poiché di per sé accresce la capacità di
competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri
appalti. In tale ottica deve pertanto ritenersi risarcibile il “danno
curriculare”, il quale consiste nel pregiudizio subito dall’impresa in
dipendenza del mancato arricchimento del proprio “curriculum” professionale,
ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione
dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione
(così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09 giugno 2008 n. 2751). Tale pregiudizio,
a prescindere dalla carenza di prove offerte dalla ricorrente in ordine alle
perdite economiche da essa subite, fuoriesce - altresì - dagli ambiti meramente
probabilistici della valutazione delle chances e si pone in termini obiettivi
per il fatto stesso dell’intervenuta esclusione della ricorrente dal mercato
“pubblico”, ed è pertanto intrinsecamente d necessariamente valutabile dal
giudice in termini equitativi ai sensi dell’art. 1226 c.c. Pres. Giaccardi, Est.
Rocco - F.G. (avv.ti Camerini e Rossi) c. Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti (n.c.) - (Riforma T.A.R. per il Lazio, Roma, n. 8218/2004) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 16 maggio 2011, n. 2955
www.AmbienteDiritto.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02955/2011REG.PROV.COLL.
N. 09218/2005 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9218 del 2005, proposto da:
Frezza Giorgio, in proprio nonché quale titolare dell’omonima impresa di
costruzioni, rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Camerini e dall’Avv.
Adriano Rossi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma,
viale delle Milizie 1;
contro
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. III n. 8218 dd. 1 settembre
2004, resa tra le parti, e concernente risarcimento del danno in dipendenza
della mancata reiscrizione di impresa all’Albo Nazionale dei Costruttori.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2011 il Cons. Fulvio Rocco
e uditi per le parti gli avvocati Rossi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La vicenda che ha condotto all’instaurazione del presente giudizio scaturisce
dall’ormai ben risalente esito dell’istanza presentata in data 9 maggio 1984,
con la quale l’Impresa Frezza aveva chiesto, dopo un periodo di cancellazione),
la reiscrizione all’Albo Nazionale dei Costruttori (ANC), nel quale era stata
iscritta dal 1966, per le categorie 1, 2, 6, 9/a, 10/a, 10/b, 10/c, 11 e 13/a,
per un importo complessivo pari a lire 20.250.000.000.
Con deliberazione del 14 marzo 1985 il Comitato Centrale dell’Albo Nazionale
Costruttori ha peraltro escluso l’Impresa Frezza dall’iscrizione per sei delle
predette categorie, consentendola soltanto per le restanti tre categorie e per
importi bassissimi.
L’Impresa Frezza ha contestato tale provvedimento, proponendo ricorso al T.A.R.
per il Lazio.
In pendenza di tale giudizio, il Comitato Nazionale Costruttori ANC, con
deliberazione assunta in data 22 aprile 1986 ha confermato il contenuto della
precedente deliberazione del 14 marzo 1985 e, di conseguenza, l’Impresa è stata
quindi costretta a proporre un secondo ricorso innanzi al medesimo giudice.
I due ricorsi sono stati riuniti e accolti con sentenza del T.A.R. per il Lazio,
Sez. III, 11 febbraio 1988 n. 196, con la quale sono state annullate le due
predette deliberazioni per carenza di valutazione e di motivazione.
Peraltro, riferisce la medesima parte ricorrente che l Comitato Centrale ANC non
ha dato seguito a tale statuizione, costringendo pertanto l’Impresa a proporre
ricorso per ottemperanza.
Anche tale ricorso è stato accolto con sentenza del TAR Lazio, sez. III, 22
settembre 1988 n. 1093, con la quale il giudice ha dichiarato l’obbligo del
Comitato Centrale di esternare le motivazioni concernenti la decisione della
domanda di reiscrizione all’ANC.
Nel corso del giudizio per ottemperanza la ricorrente ha preso conoscenza della
deliberazione del Comitato Centrale ANC del 27 aprile 1988, sostanzialmente
confermativa della precedente e, quindi, l’Impresa Frezza proponeva un nuovo
ricorso ordinario ed un nuovo ricorso per ottemperanza.
Questi ultimi due ricorsi sono stati decisi con sentenze del TAR Lazio, sez. III,
15 luglio 1989 n. 1306 e 1307; più esattamente, con la prima di esse è stata
annullata la deliberazione impugnata per omesso adeguamento di tre categorie ai
nuovi maggiori importi di classifica stabiliti con L. 15 novembre 1986 n. 768,
nel mentre con la seconda è stato nominato un Commissario ad acta.
Frezza ha quindi proposto un nuovo ricorso per l’ottemperanza relativa alle sei
categorie relativamente alle quali non conosceva ancora i motivi per cui il
Comitato Centrale ANC aveva disatteso le proprie domande.
Il Comitato Centrale ANC ha emesso la deliberazione in data 14 novembre 1989,
sostanzialmente confermativa di tutte le precedenti.
Nel frattempo, tuttavia, il Ministero dei Lavori Pubblici ed il Comitato
Centrale ANC avevano proposto appello avverso la predetta sentenza n. 1306 del
1989, nel mentre nel relativo giudizio l’Impresa Frezza ha proposto appello
incidentale.
Anche tale giudizio si è concluso favorevolmente per l’Impresa Frezza mediante
decisione n. 747 dd. 30 aprile 1999, resa da questa stessa Sezione.
Avverso la deliberazione del 14 novembre 1989 l’Impresa Frezza ha proposto un
ulteriore ricorso, conclusosi con sentenza del TAR per il Lazio, sez. III, 6
febbraio 2002 n. 832, con la quale l’impugnativa è stata accolta e la
deliberazione predetta annullata.
Tale sentenza, non impugnata, è passata in giudicato.
1.2. Ciò posto, con ulteriore ricorso proposto innanzi al T.A.R. per il Lazio
l’Impresa Frezza ha proposto nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti una domanda di risarcimento danni, evidenziando che il giudice
amministrativo ha riconosciuto la fondatezza della propria pretesa
all’iscrizione all’ANC per le 9 categorie richieste originariamente e per
l’importo complessivo di 18 miliardi di lire, contro le tre categorie
riconosciute per sole lire 2,1.miliardi di lire.
In sostanza, la ricorrente, valutando il fatto di non aver potuto esercitare la
propria attività nel campo di lavori pubblici per un lungo periodo di tempo,e
ciò a causa dell’illegittimità dell’attività provvedimentale
dell’Amministrazione, ha chiesto di essere risarcita per equivalente.
Ad avviso della ricorrente, le voci di danno da considerare consisterebbero:
1) nella mancata partecipazione dell’Impresa agli appalti pubblici per quasi
venti anni e, quindi, nel relativo mancato lucro;
2) nel danno all’immagine subito dall’Impresa, con ricaduta anche sui rapporti
con i terzi.
1.2. Con sentenza n.8218 dd. 1 settembre 2004 la Sezione III del T.A.R. per il
Lazio ha respinto il ricorso.
2. Con l’appello in epigrafe l’Impresa Frezza chiede pertanto la riforma di tale
ultima sentenza, insistendo per l’accoglimento delle proprie domande
risarcitorie.
3. Non si è costituito in giudizio il pur intimato Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti.
4. Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta per la
decisione.
5. Tutto ciò doverosamente premesso, va evidenziato che il giudice di primo
grado ha respinto il ricorso innanzi a lui proposto in quanto il ricorrente,
sebbene abbia puntualmente ricostruito la propria vicenda processuale e gli
esiti favorevoli della stessa, non ha comunque fornito alcun elemento di prova
al fine di dimostrare il danno patito o, comunque, non ha prodotto spunti di
valutazione neanche per un’eventuale consulenza tecnica d’ufficio al fine della
valutazione del danno subito.
In buona sostanza, quindi, ad avviso del T.A.R. il ricorrente non ha ottemperato
all’onere della prova contemplato dall’art. 2697 c.c., il cui principio vige
anche nel processo amministrativo, laddove i poteri istruttori del giudice
amministrativo possono essere infatti esercitati soltanto in ragione
dell'incompletezza dell'istruttoria, ma non anche in totale mancanza di essa; le
indagini istruttorie, infatti, possono essere disposte d’ufficio dal giudice
solo ove la parte abbia offerto almeno un serio principio di prova idoneo a
suffragare la pretesa azionata.
Anche questo giudice concorda in linea di principio con la tesi espressa dal
T.A.R.
Invero, nel processo amministrativo, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo
codice approvato con D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104 (cfr. art. 64, comma 3, cod.
proc. amm.), il sistema probatorio è fondamentalmente retto dal principio
dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice,
il quale comporta l’onere per il ricorrente di presentare almeno un indizio di
prova perché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori (cfr., ex
multis, Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2009, n. 6118): e ciò, per l’appunto, è
contemplato dal “sistema” proprio in quanto il ricorrente, di per sé, non ha la
disponibilità delle prove, essendo queste nell’esclusivo possesso
dell’amministrazione ed essendo quindi sufficiente che egli fornisca un
principio di prova.
Viceversa, la disciplina contenuta nell’art. 2697 cod. civ. (corrispondente,
ora, all’art. 64, comma 1, cod. proc. amm.) secondo la quale spetta a chi agisce
in giudizio indicare e provare i fatti, deve trovare integrale applicazione
anche nel processo amministrativo ogniqualvolta non ricorra tale disuguaglianza
di posizioni tra Pubblica Amministrazione e privato, come - per l’appunto - nel
caso di specie, laddove si verte esclusivamente sulla spettanza, o meno, di un
risarcimento del danno: con la conseguenza che, a pena di un’inammissibile
inversione del regime dell’onere della prova, non è consentito al giudice
amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando quest’ultima si trovi
nell’impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione (cfr., al
riguardo, ex plurimis, Cons. Stato , Sez. V, 10 novembre 2010 n. 8006).
A ragione, quindi, il giudice di primo grado ha rilevato che il ricorrente
avrebbe potuto - e dovuto - fornire elementi di valutazione circa il danno
patito, producendo, ad esempio, atti e documenti relativi al fatturato
dell’impresa e a ai suoi bilanci (nel periodo in cui era iscritta all’ANC per
tutte le categorie indicata e nel periodo successivo all’adozione dei
provvedimenti annullati), alle gare bandite nel periodo, ecc..
La parte ricorrente, invece, pur essendosi riservata all’inizio del giudizio di
provare e quantificare la misura del danno (cfr. pag. 7 del ricorso), ha
prodotto gli atti relativi ai vari procedimenti giudiziali da essa promossi,
limitandosi a sollecitare la nomina di un consulente tecnico d’ufficio per
quantificare i danni patiti (cfr. la memoria prodotta in primo grado dd. 24
giugno 2004).
In buona sostanza, quindi, la ricorrente non ha dimostrato di aver subito una
perdita economica in conseguenza dell’adozione degli atti annullati nei ricorsi
da essa precedentemente proposti; né può essere accordata la richiesta
consulenza tecnica d’ufficio al fine di quantificare i danni da essa
asseritamente patiti, posto che tale incombente assolve alla funzione di fornire
all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche da lui non
possedute, ma non è per certo deputata ad esonerare la parte dalla prova dei
fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste: fatti che,
come detto innanzi,m devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua
dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c.
In sede di appello la parte ricorrente, all’evidenza ben conscia di tali
carenze, ha rimarcato - tra l’altro - che il danno risulterebbe comprovato in re
ipsa dalla stessa circostanza che essa, proprio per effetto della sostanziale
esclusione dall’ANC da essa per lungo tempo subita, ha potuto accedere al solo
mercato privato degli appalti di lavori, notoriamente meno remunerativo per le
imprese rispetto a quelli pubblici, e che il danno da essa subito (da intendersi
quindi come differenziale tra quanto da essa effettivamente ricavato nel tempo
dall’attività nel settore privato con quanto solo presuntivamente ricavabile
nell’ipotesi in cui fosse proseguito l’accesso alle commesse pubbliche) dovrebbe
essere valutato equitativamente da questo giudice a’ sensi dell’art. 1226 c.c.,
ovvero mediante una stima ex post delle chances di aggiudicazione non
concretatesi per la propria impresa.
Tale valutazione equitativa, tuttavia, può soccorrere soltanto, come precisa la
stessa disciplina codicistica, qualora “il danno non può essere provato nel suo
preciso ammontare”: e, per l’appunto, il mancato deposito agli atti di causa dei
bilanci societari comunque impedisce ex se di fondare qualsivoglia valutazione
anche in ordine alle risorse finanziarie e di personale che la ricorrente
avrebbe potuto adibire per la propria attività in ambito pubblico; né risulta
logicamente possibile accedere alla prospettazione della medesima ricorrente,
formulata sempre in sede di appello, secondo la quale il danno sarebbe
ricavabile mediante l’applicazione in via del tutto apodittica di percentuali
sui valori delle categorie per le quali essa non è stata ammessa all’iscrizione
all’ANC.
6. Peraltro, a parziale riforma della sentenza impugnata, può comunque essere
accolta la domanda risarcitoria limitatamente al c.d. “danno curriculare”.
Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro
che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione
appaltante, costituisce infatti fonte per l’impresa di un vantaggio non
patrimoniale ma - comunque - economicamente valutabile, poiché di per sé
accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi
ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi risarcibile il danno anzidetto, il quale
segnatamente consiste nel pregiudizio subito dall’impresa in dipendenza del
mancato arricchimento del proprio “curriculum” professionale, ossia per la
circostanza di non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto
sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione (così, ad
es., Cons. Stato, Sez. VI, 09 giugno 2008 n. 2751).
Tale ben particolare pregiudizio, a prescindere dalla carenza di prove offerte
dalla ricorrente in ordine alle perdite economiche da essa subite, fuoriesce -
altresì - dagli ambiti meramente probabilistici della valutazione delle chances
e si pone in termini obiettivi per il fatto stesso dell’intervenuta esclusione
della ricorrente dal mercato “pubblico”, ed è pertanto intrinsecamente d
necessariamente valutabile da questo giudice in termini equitativi a’ sensi
dell’art. 1226 c.c.
Il Collegio, in tal senso, reputa pertanto congruo stimare la perdita di
professionalità dell’Impresa Frezza conseguente alla sua forzata esclusione dal
mercato pubblico in € 10.000,00.- (diecimila/00), da riconoscersi a carico del
Ministero intimato
In considerazione della parziale soccombenza della società ricorrente e della
particolarità dell’ultima questione trattata, le spese e gli onorari del
giudizio, complessivamente definiti nella misura di € 5.000,00.- (cinquemila/00)
oltre ad I.V.A. e C.P.A., sono compensati nella misura del 50%, e sono pertanto
posti a carico del Ministero intimato e liquidati a favore della ricorrente
nella misura di € 2500,00.- (duemilacinquecento/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A.
A carico del Ministero intimato va pure posto il contributo unificato di cui
all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo
accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna il
Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture a corrispondere alla ricorrente
la somma di € 10.000.- (diecimila/00) a titolo di danno curriculare.
- Condanna - altresì - il medesimo Ministero dei Trasporti e delle
Infrastrutture al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio,
complessivamente definiti nella misura di € 5.000,00.- (cinquemila/00) oltre ad
I.V.A. e C.P.A. ma compensati nella misura del 50%, e quindi liquidati a favore
della ricorrente nella misura di € 2500,00.- (duemilacinquecento/00) oltre ad
I.V.A. e C.P.A.
- Pone inoltre a carico del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture il
pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio
2002 n. 115 e successive modifiche.
- Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/05/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci con altre
massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE -
Ricerca in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista
giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright ©
- AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 -
ISSN 1974-9562