AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. IV - 8 giugno 2011, Sentenza n.
3502
RIFIUTI - Emergenza rifiuti in Campania - Principio ispiratore - Messa in opera
di tutti gli strumenti necessari al superamento dell’emergenza - Enti locali
inadempienti - Procedure di natura sostitutiva - Misura coerente ai fini
perseguiti. L’intera disciplina per l’emergenza rifiuti vigente in Campania
è improntata al principio della messa in opera di tutti gli strumenti necessari
per il superamento dell’emergenza medesima, ivi compreso quello della rimozione
degli amministratori locali inadempienti: e proprio in tale contesto il
meccanismo sostitutivo contemplato dall’art. 8, comma 4, dell’ordinanza del
Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3686 del 2008, come modificata
dall’ordinanza n. 3693 del 2008, non può essere apoditticamente riguardato quale
istituto del tutto anomalo per il nostro ordinamento, ma va invece riconosciuto
come misura del tutto coerente con i fini di ordine generale perseguiti dal
legislatore nella materia di cui trattasi. Detto altrimenti, lo scopo -
assolutamente ineludibile - di rendere efficace l’azione amministrativa che si
identifica nella gestione dell’emergenza rifiuti non può che contemplare
procedure di natura sostitutiva nei riguardi degli Enti locali inadempienti,
onde evitare che l’inattività degli Enti locali costituisca intralcio
all’attività degli organi straordinari preposti al superamento dell’emergenza
medesima. Pres. Numerico, Est. Rocco - Presidenza del Consiglio dei Ministri -
Dipartimento della Protezione Civile (Avv. Stato) c. Comune di Recale (avv.
Adinolfi) - (Riforma T.A.R. Lazio, Roma, n. 1655/2009) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 8 giugno 2011, n. 3502
RIFIUTI - Emergenza rifiuti in Campania - Eventi emergenziali - Atti
amministrativi in deroga alle disposizioni vigenti - Previsione normativa -
Conformità al principio di buon andamento dell’azione amministrativa. La
circostanza per cui una disposizione di legge contempli l’emanazione di atti
amministrativi per affrontare eventi emergenziali mediante deroghe ad ogni
disposizione vigente ma nell’ineludibile osservanza dei principi generali
dell’ordinamento giuridico non contravviene ad alcuna clausola di
costituzionalità dell’ordinamento medesimo, ma si configura come pienamente
conforme alla fondamentale esigenza del “buon andamento” dell’azione
amministrativa (art. 97 Cost.) , esplicitata a sua volta negli altrettanto
necessari requisiti della sua economicità, efficacia e imparzialità (cfr. art. 1
della L. 7 agosto 1990 n. 241 come modificato dall’art. 1 della L. 11 febbraio
2005, n. 15 e successivamente dall’art. 7, comma 1, lettera a), della L.18
giugno 2009 n. 69). Pres. Numerico, Est. Rocco - Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Dipartimento della Protezione Civile (Avv. Stato) c. Comune di Recale
(avv. Adinolfi) - (Riforma T.A.R. Lazio, Roma, n. 1655/2009)
- CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 8 giugno 2011, n. 3502
www.AmbienteDiritto.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 03502/2011REG.PROV.COLL.
N. 03350/2009 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8806 del 2009, proposto da:
Ministero per i beni e le attività culturali in persona del Ministro in carica,
Soprintendenza per beni architettonici e per il paesaggio delle Province di
Lecce, Brindisi e Taranto in persona del Soprintendente in carica, rappresentati
e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
contro
Ciccarese Rosa, rappresentata e difesa dall'avvocato Pietro Nicolardi,
elettivamente domiciliata presso l’avvocato Marco Gardin in Roma, via L.
Mantegazza 24;
nei confronti di
Comune di Salve;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n.
01538/2009, resa tra le parti, concernente AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA PER
STRUTTURA RICETTIVA AD USO PUBBLICO
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ciccarese Rosa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 marzo 2011 il consigliere Roberta
Vigotti e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Colelli e l’avvocato
Nicolardi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Le Amministrazioni appellanti chiedono la riforma della sentenza con la quale il
Tribunale amministrativo regionale della Puglia ha accolto il ricorso proposto
dalla signora Rosa Ciccarese, tutrice del signor Benito Mangiò, avverso il
provvedimento di annullamento dell’autorizzazione rilasciata dal Comune di Salve
per la realizzazione di una struttura ricettiva ad uso pubblico in zona
Pescoluce. La signora Ciccarese propone appello incidentale avverso la medesima
sentenza.
Espongono le appellanti principali che alla conferenza di servizi indetta ai
sensi dell’art. 5 d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, alla quale era rimesso l’esame
del progetto presentato dal Mangiò, proprietario dell’area sulla quale insite il
progetto per la realizzazione della suddetta struttura, non ha presenziato la
Soprintendenza. La conferenza si è conclusa in data 15 marzo 2007 e il Comune di
Salve ha approvato, con deliberazione consiliare 28 febbraio 2008, n. 9, la
variante urbanistica necessaria per la realizzazione dell’opera. A seguito di
sollecitazione della Soprintendenza, espressa con nota del 21 maggio 2008, il
Comune ha rilasciato l’autorizzazione paesaggistica 3 giugno 2008, trasmessa
alla Soprintendenza stessa, che, con decreto 1° agosto 2008, la ha annullata per
contrasto con i valori paesaggistici ed archeologici della zona costiera di
Salve, dichiarata di notevole interesse pubblico ai sensi della l. 29 giugno
1939, n. 1497 con decreto ministeriale del 17 ottobre 1970.
A) Tale decreto è stato impugnato davanti al Tribunale amministrativo della
Puglia, che, con la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso ritenendo che il
provvedimento soprintendentizio fosse andato oltre il controllo di mera
legittimità.
I) Avverso la sentenza l’appello principale deduce che il potere di vigilanza
riconosciuto all’organo statale dall’art. 159 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 può
riguardare tutti i vizi di legittimità e, quindi, anche la carenza di
motivazione del provvedimento sottoposto a controllo. Nella fattispecie in
esame, il Comune di Salve, nel rilasciare l’autorizzazione, si è limitato ad una
valutazione stereotipata e avulsa dal concreto impatto dell’opera progettata
sull’ambiente circostante, mentre la Soprintendenza ha evidenziato l’altissimo
valore paesaggistico e ambientale della zona interessata dall’intervento e il
danno irreversibile che questo avrebbe arrecato allo stato dei luoghi.
L’appello è fondato, poiché, come emerge dalla semplice lettura del
provvedimento rilasciato dal Comune, nessuna specifica considerazione circa le
caratteristiche del progetto, di notevole portata, e circa l’effetto che la
nuova edificazione avrebbe arrecato sul delicato e caratteristico contesto
ambientale, tutelato con decreto del 17 ottobre 1970 e connotato anche da
ritrovamenti archeologici, è stata espressa nella valutazione della
compatibilità dell’intervento con le preminenti esigenze paesaggistiche e,
quindi, dell’autorizzabilità dell’intervento. L’annullamento non ha quindi
ecceduto dai limiti che gli sono propri, ma ha correttamente rilevato
l’illegittimità dell’atto sottoposto a controllo, sotto il profilo dell’eccesso
di potere per carenza di motivazione.
B) Contro la medesima sentenza, come si è premesso, ha proposto appello
incidentale la signora Ciccarese, per ripresentare i motivi del ricorso di primo
grado respinti dal Tribunale amministrativo.
II) In particolare, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in
cui ha ritenuto il meccanismo di esercizio delle competenze in materia
paesaggistica previsto dall’art. 82, nono comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e
dalle successive disposizioni che tale meccanismo hanno recepito, incompatibile
con l’istituto della conferenza dei servizi, con conseguente necessità di
attivare successivamente alla conclusione della conferenza l’emanazione
dell’autorizzazione paesaggistica da parte dell’autorità delegata e la
successiva verifica da parte della Soprintendenza. Secondo la ricorrente,
invece, il provvedimento del Comune del 3 giugno 2008, successivamente annullato
dalla Soprintendenza, costituisce mera formalizzazione del parere favorevole
sugli aspetti paesaggistici, già compiutamente reso nella conferenza di servizi
conclusasi il 15 marzo 2007 e, come tale, è inidoneo a riattivare i poteri anche
di controllo già consumati in quella sede.
La censura non ha pregio.
Va anzitutto considerato che lo stesso parere espresso ai fini paesaggistici
nell’ambito della conferenza di servizi nella seduta conclusiva del 15 marzo
2007 specifica che resta fermo “l’obbligo di dotarsi di autorizzazione
paesaggistica prima dell’inizio dei lavori, nel rispetto delle direttive imposte
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 dicembre 2006”:.
Del resto, tale obbligo è insito nella qualificazione dell’esito della
conferenza in termini di “parere” (paesaggistico) e di “proposta” (di variante
urbanistica), come tali necessariamente preparatori, ma senza effetto
vincolante, di provvedimenti di amministrazione attiva.
In via più generale (ed è considerazione conclusiva) questo Consiglio di Stato
(es. Cons. Stato. VI, 11 dicembre 2008, n. 5620; 9 novembre 2010, n. 7981; 31
gennaio 2011, n. 712) ha già ripetutamente rilevato come, secondo l’ormai
prevalente orientamento - da cui non v'è motivo di discostarsi - l'istituto
della conferenza di servizi c.d. decisoria disciplinato dagli artt. 14 ss. legge
7 agosto 1990, n. 241, in esito alle riforme apportate dalle leggi 24 novembre
2000, n. 340, e 11 febbraio 2005, n. 15 - e secondo la disciplina vigente
all'epoca di adozione degli atti qui in questione (marzo 2007 - giugno 2008) - è
caratterizzato da una struttura dicotomica, articolata in una fase che si
conclude con la determinazione della conferenza (anche se di tipo c.d.
decisorio), che ha valenza endoprocedimentale, e in una successiva fase che si
conclude con l'adozione del provvedimento finale, che ha valenza
esoprocedimentale ed esterna, effettivamente determinativa della fattispecie e
incidente sulle situazioni degli interessati.
A favore di tale configurazione militano i seguenti argomenti esegetici di
natura logico-sistematica, già sviluppati nei citati precedenti di questa
Sezione:
- la previsione normativa contenuta nell'art. 14-quater, comma 2, della legge n.
241 del 1990 (introdotto dall'art. 177 l. 15 maggio 1997, n. 127), enunciativa
del carattere immediatamente esecutivo della determinazione conclusiva dei
lavori della conferenza, è stata espressamente abrogata dalla legge 24 novembre
2000, n. 340;
- la legge 11 febbraio 2005, n. 15 ha espressamente abrogato la previsione
normativa contenuta nell'art. 14-ter, comma 7, che consentiva alle
amministrazioni dissenzienti di impugnare direttamente ed immediatamente la
determinazione conclusiva della conferenza di servizi;
- se da un lato appare innegabile che il sistema introdotto nel 2005 sia
ispirato dall'intento di anticipare già al momento della conclusione dei lavori
della conferenza la palese espressione delle volontà da parte delle
amministrazioni partecipanti (in particolare, abrogando la formula del c.d.
dissenso postumo e la possibilità con essa connessa di ribaltamenti di posizioni
fra il momento della determinazione conclusiva e quello del provvedimento
finale), dall'altro lato ciò non può indurre a ritenere che le medesime esigenze
di semplificazione e concentrazione comportino anche la dequotazione sistematica
delle ragioni sottese alla distinzione fra il momento conclusivo dei lavori
della Conferenza e il successivo momento provvedimentale;
- la scelta di mantenere un provvedimento espresso come momento conclusivo della
complessiva vicenda appare ispirato dalla volontà di lasciare inalterato il
complessivo sistema di garanzie e responsabilità trasfuso nel nuovo Capo IV-bis
della legge n. 241 del 1990, con particolare riguardo all'onere di
comunicazione, all'acquisto di efficacia e - sussistendone le condizioni - al
carattere di esecutorietà del provvedimento.
Si aggiunga che poi la formulazione del comma 6-bis del citato art. 14-ter,
aggiunto dall'art. 10 legge 11 febbraio 2005, n. 15, rafforza il ruolo e la
responsabilità dell'amministrazione procedente, cui è rimessa la determinazione
finale previa valutazione delle specifiche risultanze della conferenza e tendo
conto delle posizioni prevalenti ivi espresse, ferma restando l’autonomia del
potere provvedimentale dell'autorità procedente stessa. È su questa che comunque
si concentra, con riferimento agli interessi che per legge le spetta curare,
l'imputazione di responsabilità derivante dall'assunzione della decisione
amministrativa che segue la valutazione collegiale (responsabilità che non è
condivisa dagli altri partecipanti alla conferenza). Sicché non vi è un nesso di
consequenzialità automatica con le determinazioni della conferenza stessa,
perché a questa imputazione autonoma non può non corrispondere un’autonomia di
valutazione, pur dovendosi tener conto delle risultanze della conferenza e delle
posizioni ivi prevalenti: il cui oggetto coerentemente è ciò che, per essere (a
differenza della competenza) disponibile, è proprio dell’incontro e concreta la
sua utilità operativa, vale a dire la conoscenza delle reciproche posizioni, il
raccordo organizzativo e temporale, l’obiettivo di complessiva accelerazione
delle decisioni.
Diversamente, nel modulo della conferenza c.d. decisoria, si giungerebbe a dover
irragionevolmente (con sospetto di violazione degli artt. 3 e 97 Cost.)
configurare, in capo agli altri partecipanti alla conferenza stessa,
l’assunzione occasionale di un potere pubblico non di loro competenza, senza
responsabilità né preposizione, non previsto dalla legge che regola il singolo
procedimento, la quale risponde a modelli organizzativi che razionalmente
distribuiscono attribuzioni e competenze per specializzazione, cioè in ragione
di capacità amministrative e conoscenze tecniche. La conferenza diverrebbe da
occasione procedimentale di accelerazione e coordinamento dei casi complessi,
qual è, luogo privativo di formazione collegiale della decisione, vale a dire
organo decidente: il che è, come noto, negato dalla dominante giurisprudenza.
Questa considerazione vale tanto più quando si tratti di esercitare
discrezionalità non amministrativa, ma tecnica, qual è quella di apprezzamento
della compatibilità paesaggistica e della sua legittimità; e vale ancor più ove
si consideri l’indeclinabilità della funzione pubblica di tutela del paesaggio
per la particolare dignità data dall’essere iscritta dall’art.9 Cost. tra i
principi fondamentali della Repubblica, il che comporta che la sua cura faccia
eccezione, se in conflitto, agli obiettivi di semplificazione e accelerazione
amministrative (sulla prevalenza di tale cura, cfr. Corte cost., 29 dicembre
1982, n. 239; 21 dicembre 1985, n. 359; 27 giugno 1986, n. 151; 10 marzo 1988,
n. 302).
L’autorità procedente dunque deve sì tener conto delle utili risultanze della
conferenza per ciò che può concernere l’apporto conoscitivo di fatto circa gli
elementi propri della sua valutazione, ma conserva nel merito il suo potere,
perché la cura di sua competenza va esercitata con il provvedimento
appositamente nominato dall’ordinamento e secondo il suo contenuto tipico.
È così che questo assetto - che pure ha riguardo alle meritevoli esigenze di
semplificazione della complessità e di accelerazione amministrativa -
corrisponde al limite del razionale esercizio dell’azione amministrativa,
fondato sul principio di buona amministrazione (art. 97 Cost.) che presiede
all’organizzazione per competenze degli uffici pubblici e che, per naturale
implicazione, si manifesta nella loro corrispondente azione.
Consegue da quanto sopra che il modulo della conferenza di servizi c.d.
decisoria, applicato alle vicende di autorizzazione paesaggistica, per quanto
possa essere utile ad un esame contestuale e sollecito dell’istanza e possa
comportare il raccordo con gli altri procedimenti, non è di suo idoneo a
legittimare dal punto di vista paesaggistico l’intervento, se non è seguito da
un autonomo, espresso e puntuale provvedimento di autorizzazione da parte
dell’ente competente (nella specie: il Comune) e se la soprintendenza non ha poi
esercitato in senso favorevole all’istanza stessa la sua susseguente funzione di
cogestione del vincolo.
Tornando al caso di specie, si deve quindi escludere che con la formulazione del
parere conclusivo nella conferenza di servizi sia stato consumato il potere di
provvedere in ordine agli aspetti attinenti alla tutela paesaggistica. Al
contrario, tale parere postulava, come detto, l’emissione di un formale
provvedimento di autorizzazione da parte dell’amministrazione a ciò competente,
e la conseguente fase di cogestione del vincolo da parte dell’ufficio statale.
Nel contesto di tale sequenza, ben poteva la Soprintendenza, nella sua
competenza, discostarsi dalla risultanze della conferenza di servizi.
Il motivo esaminato è, pertanto, infondato, ed anche infondata è la censura,
allo stesso connessa, relativa alla pretesa violazione del termine assegnato
dall’art. 159 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per l’esercizio del potere di
cogestione del vincolo, che l’appellante considera decorrente dalla data di
conclusione dei lavori della conferenza dei servizi.
Ove si consideri, come sopra si è detto essere doveroso, che solo con il
provvedimento del 3 giugno 2008 è stata formalizzata l’autorizzazione da parte
del Comune, e che la trasmissione è avvenuta il successivo 5 giugno, l’esercizio
del potere di cogestione, concretizzatosi con il provvedimento di annullamento
del 1° agosto 2008 si manifesta tempestivo, non essendo condivisibile la tesi
dell’appellante, tesa a considerare ricettizio il provvedimento stesso. Come
questo Consiglio di Stato ha già avvertito (Cons. Stato, VI, 13 febbraio 2009 ,
n. 769) il termine di sessanta giorni originariamente previsto dall'art. 82,
nono comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dalla legge 8 agosto
1985, n. 431, si riferisce non alla comunicazione, ma alla adozione del
provvedimento ministeriale (non recettizio) di annullamento del parere
favorevole espresso dall'amministrazione cui compete esprimersi in merito alla
compatibilità paesaggistica. Eguale conclusione vale con riferimento a quanto
dispone, in merito, l’art. 159 d.lgs. n. 42 del 2004, che, sul punto, non innova
al regime previgente.
III) Anche infondato è il motivo che si appunta su aspetti del procedimento
partecipativo, deducendo la mancanza di adeguato avviso di avvio del
procedimento di controllo. La sentenza impugnata, che ha respinto la censura sul
presupposto del particolare modulo delineato dall’art. 159 del d.lgs. 22 gennaio
2004, n. 42, merita, sul punto, conferma. La disposizione prevede infatti una
strutturazione del regime transitorio di rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica valido all’epoca dei fatti di cui è causa, secondo la quale la
forma partecipativa si discosta, nonostante l’espresso richiamo alla legge n.
241del 1990, sotto vari profili, dal quadro delle formalità contemplate dalla
legge generale sul procedimento amministrativo: in particolare prevedendo
espressamente che l’avviso in parola si ritiene compiutamente assolto per
effetto della mera comunicazione dell’avvenuta trasmissione del provvedimento
autorizzatorio al competente organo statale. La sufficienza della comunicazione
della trasmissione ad assolvere gli oneri partecipativi si spiega con la
circostanza che la fase di riesame dell’autorizzazione da parte dell’Autorità
statale si configura come una fase necessaria e non autonoma di un unitario e
complesso procedimento (volto al riscontro della possibilità giuridica di mutare
lo stato dei luoghi) avviato ad istanza di parte con la richiesta di
autorizzazione paesaggistica (Cons. Stato, Ad. plen. 14 dicembre 2001, n. 9; VI,
27 agosto 2010, n. 5980).
Poiché, nel caso in esame, è incontestato che l’interessato abbia ricevuto la
comunicazione della trasmissione dell’autorizzazione alla Soprintendenza, anche
il motivo esaminato deve essere respinto.
C) In conclusione, l’appello principale è fondato e deve essere accolto, con
conseguente riforma della sentenza impugnata in parte qua; l’appello incidentale
è invece infondato e va respinto.
Le spese di questo secondo grado del giudizio seguono la soccombenza, e si
liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente
pronunciando, accoglie l’appello principale in epigrafe indicato e respinge
l’appello incidentale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata
respinge il ricorso di primo grado
Condanna l’appellata, appellante incidentale, a rifondere all’Amministrazione
dei beni e le attività culturali le spese del giudizio, nella misura di 2.000,00
(duemila/00) euro.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci con altre
massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE -
Ricerca in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista
giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright ©
- AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 -
ISSN 1974-9562