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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA - 2 maggio 2011, n. 352


ESPROPRIAZIONE - Occupazione illegittima di aree private - Somme dovute e titolo di risarcimento del danno - Corresponsione di interessi anatocistici - Esclusione.
Il valore del ristoro spettante per l’ipotesi di occupazione illegittima di aree private deve essere integrale e, pertanto, sulla somma spettante a titolo di risarcimento danni, costituente la sorte capitale di un debito di valore, vanno corrisposti la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo, e gli interessi legali (di natura compensativa) sulle somme anno per anno rivalutate fino alla data di deposito della sentenza con cui viene riconosciuto il diritto, e soltanto gli interessi legali da tale data fino a quella di effettivo soddisfo, con esclusione degli interessi anatocistici in quanto non espressamente previsti dalle legge. Fattispecie in tema di richiesta di risarcimento dei danni prodotti dalla trasformazione di fondi e dall’illegittima perdita della proprietà, a seguito di occupazione in via temporanea ed urgente di terreni per la durata di cinque anni, allo scadere dei quali non veniva adottato il decreto di esproprio. (conferma T.A.R. per la Sicilia - Sezione staccata di Catania, Sez. II - 3 settembre 2008, n. 1616). Pres. Virgilio - Est. Mastrandrea - Ric. Scandura Diego e altri (avv.ti Tortorici e Alessi) c. Comune di Viagrande (avv. Privitera). CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA - 2 maggio 2011, n. 352


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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 


Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente


S E N T E N Z A


sul ricorso in appello n. 1494/2009, proposto dai signori
SCANDURA DIEGO, ANTONIO, MICHELE, ROSARIA, ANGELINA, GIUSEPPE, MARIO, CARLO, MASSIMO e INDELICATO ROSALIA, quest’ultima in proprio e quale procuratore generale dei propri figli CARLO e MASSIMO SCANDURA, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Marco Tortorici e Pierfrancesco Alessi ed elettivamente domiciliati in Palermo, via Rodi n. 1, presso lo studio dell’avv. Ignazio Scardina;


c o n t r o


il COMUNE DI VIAGRANDE, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Carmelo Privitera ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Cordova n. 76, presso la segreteria del CGARS;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania (Sezione seconda) - 3 settembre 2008, n. 1616.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’avv. C. Privitera per il Comune di Viagrande;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 3 febbraio 2011, il Consigliere Gerardo Mastrandrea;
Udito l’avv. C. Privitera per il comune appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


F A T T O E D I R I T T O

 

1. Alcuni lotti di terreno di proprietà dei ricorrenti venivano occupati ai fini della realizzazione del Parco sub-urbano di Monte Serra, di cui al progetto approvato con delibera di Giunta Municipale di Viagrande n. 2445 del 21 febbraio 1994.
In particolare, con ordinanza sindacale n. 35 del 9 maggio 1995, il Sindaco del Comune intimato autorizzava l’occupazione in via temporanea ed urgente dei terreni per la durata di cinque anni, allo scadere dei quali non veniva però adottato il decreto di esproprio, pur essendo state eseguite sui fondi opere che rendevano irreversibile la destinazione dei medesimi.
I ricorrenti agivano dunque dinanzi al TAR di Catania per ottenere il risarcimento dei danni prodotti dalla trasformazione dei fondi e dall’illegittima perdita della proprietà.
Resisteva in giudizio il Comune di Viagrande, eccependo che il terreno de quo era all’epoca incolto e che era stata fornita prova dell’esistenza di contratti di affitto del fondo medesimo. Di qui l’infondatezza della domanda risarcitoria relativa ai frutti non percepiti ed allo smembramento dei terreni avvenuto.


2. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo trattandosi di attività comunque riconducibile all’esercizio di un pubblico potere, la domanda risarcitoria è stata ritenuta meritevole di accoglimento.
L’impianto argomentativo adottato dai primi Giudici, in sintesi, è il seguente:
a) si è in presenza dell’utilizzazione del bene privato per fini pubblici in difetto dell’adozione della tempestiva adozione del decreto di esproprio nei termini di validità della dichiarazione di pubblica utilità (fattispecie che secondo la giurisprudenza risalente si traduceva nella c.d. occupazione “appropriativa” o “acquisitiva”, idonea a determinare un fatto estintivo ed acquisitivo della proprietà a favore della PA per “accessione invertita”, ove si sia verificata l’irreversibile trasformazione dell’area);
b) successivamente alla famosa pronunzia della CEDU del 2000, si è però consolidato l’orientamento, condiviso dal legislatore con l’art. 43 del TU di cui al DPR 327/01, secondo cui in mancanza di atto adottato nelle forme di legge non può verificarsi l’acquisizione dell’area da parte della PA ed il privato può agire per la restituzione del bene, restituzione che diviene inevitabile in mancanza di atto formale di acquisizione del bene ai sensi del richiamato art. 43. L’atto di acquisizione al patrimonio pubblico consente dunque di convertire l’obbligo di restituzione in obbligo risarcitorio;
c) tutto ciò premesso, il primo Collegio, pur riaffermando i principi appena richiamati, ha ritenuto che la domanda risarcitoria potesse trovare accoglimento, considerando che la volontà dell’Ammi-nistrazione di acquisire l’area si è concretizzata evidentemente in atti concludenti quali l’avvio della procedura espropriativa, l’occupazione del suolo e la realizzazione dell’opera pubblica, e che è apparsa altrettanto inequivoca la volontà dei privati di non volere la restituzione dell’area, ma solo il conseguimento dell’equivalente in denaro e quindi la cessione del bene, volontà espressa tramite l’esercizio della stessa azione risarcitoria in luogo di quella restitutoria di cui, in quanto proprietari, erano titolari;
d) l’accoglimento della domanda risarcitoria per come formulata non può prescindere, a questo punto, dalla declaratoria dell’obbligo dell’Amministrazione di adottare l’atto formale di trasferimento ex art. 43 cit., anche in ossequio al principio di divieto di arricchimento sine causa del privato, che altrimenti rimarrebbe titolare della proprietà pur dopo averne conseguito il valore venale. Tale considerazione troverebbe sostegno nella norma (art. 43, comma 4), anche se in verità nel caso di specie non è l’Amministrazione a chiedere di poter risarcire anziché restituire il bene, bensì è il privato ad aver formulato la domanda risarcitoria per equivalente.
Sulla scorta delle sopraesposte considerazioni e quindi, non da ultimo, della presunzione della reciproca volontà di trasferimento-acquisizione dell’area utilizzata per la realizzazione dell’opera pubblica, nell’accogliere la domanda risarcitoria veniva fissato un termine congruo, pari a novanta giorni, entro il quale andava emanato l’atto di acquisizione ai sensi dell’art. 43, comma 4, dando atto dell’avvenuto risarcimento del danno, per la determinazione del cui ammontare, oggetto della relativa offerta ai ricorrenti da formularsi nel termine di novanta giorni, l’Amministrazione comunale, tenuto conto della vocazione non edificatoria dell’area e della condizione in cui l’immobile si trovava al tempo dell’irreversibile trasformazione, doveva attenersi al criterio di cui all’art. 40, comma 1, DPR 327 cit., e quindi al valore agricolo dell’area.
In caso di mancato accordo tra le parti, si dava la facoltà di chiedere la definitiva determinazione della somma dovuta in sede di giudizio di esecuzione.


3. Gli originari ricorrenti hanno interposto l’appello in trattazione, lamentando l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte relativa all’individuazione del criterio per la liquidazione del danno, ed in particolare ove si è ritenuto di fare applicazione dell’art. 40, comma 1, DPR 327/01.
Il terreno illegittimamente occupato aveva, ad avviso degli istanti, sicuramente potenzialità edificatorie ed occorreva dunque fare riferimento all’effettivo valore venale del bene.
I ricorrenti hanno altresì lamentato la mancata pronunzia in ordine al maggior danno connesso allo smembramento dell’originaria estensione, nonché agli interessi legali anatocistici ed al maggior danno ex art. 1224 c.c. da svalutazione monetaria.


4. Il Comune intimato si è costituito in giudizio per resistere all’appello, ha controdedotto ed infine depositato memoria.
Alla pubblica udienza del 3 febbraio 2011, il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.


5. L’appello non può essere accolto, salvo quanto più appresso si dirà.
Come è noto, la norma della cui applicazione si discute, ovvero l’art. 43 del t.u. espropriazioni, è stata espunta dall’ordinamento giuridico con sentenza della Corte Costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293.
Il tema del decidere si riduce, dunque, visti anche i motivi di appello, alla valutazione dei criteri di accoglimento della richiesta risarcitoria di danni per equivalente formulata dagli istanti, i quali non hanno optato per la restituzione dell’area di proprietà. Una richiesta che non può prescindere dall’individuazione del valore economico del bene occupato e trasformato.
Al riguardo, convenendo con quanto sostenuto dal Comune intimato, occorre riconoscere che non risultano sussistere elementi per dare seguito alle pretese dei ricorrenti in ordine alla presunta vocazione edificatoria dell’area interessata, al momento dell’occupazione.
Un’area che oltre a non possedere una destinazione urbanistica formalmente edificatoria non sembra nemmeno poter godere di una vocazione potenzialmente tale, non risultando tra l’altro conferente il richiamo da parte dei ricorrenti, a corredo e sostegno delle proprie ragioni, di una relazione tecnica redatta in occasione di diverso procedimento giurisdizionale, seppur con riguardo a fondi vicini (peraltro non confinanti).
Mentre, al contrario, risulta non sovvertibile l’affermazione del Comune, corroborata da studio agricolo-forestale del territorio, circa la rilevanza paesaggistica dell’area, in forte pendenza, ricca di vegetazione e facente parte del pendio settentrionale del conetto vulcanico avventizio del Monte Serra (e come tale, dunque, compresa nel relativo Parco e soggetta a vincolo paesistico).
In mancanza di adeguata prova in senso contrario, in definitiva si rileva corretta la scelta dei primi Giudici di fare riferimento all’art. 40 t.u. ai fini della liquidazione del danno per equivalente, non potendosi che avere riguardo, ai fini della commisurazione del risarcimento, al criterio del valore agricolo (preso in considerazione dalla norma da ultimo citata ai fini della corresponsione dell’indennità espropriativa); e questo non potendosi in ogni caso, in punto di diritto ma anche di fatto, ricondurre l’area alla categoria dei terreni edificabili.


6. Quanto alla richiesta degli interessi legali anatocistici e del maggior danno ex art. 1224 c.c., deve rilevarsi quanto segue.
In ordine alla necessità di risarcire i danni con riguardo anche al periodo di mancata utilizzabilità dell’area siccome occupata dal Comune sine titulo, sembra trattarsi di profilo non revocato in dubbio dalla sentenza, che anzi richiama precedenti facendone espresso cenno; la liquidazione di siffatti danni va effettuata secondo i consueti criteri della prova del danno effettivo o, presuntivamente, sulla base degli interessi legali sul valore economico del bene.
Più in generale, il valore del ristoro spettante per l’ipotesi di occupazione illegittima di aree private deve essere integrale e, pertanto, sulla somma spettante a titolo di risarcimento danni, costituente la sorte capitale di un debito di valore, vanno corrisposti la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo, e gli interessi legali (di natura compensativa) sulle somme anno per anno rivalutate fino alla data di deposito della sentenza e soltanto gli interessi legali da tale data fino a quella di effettivo soddisfo, con esclusione degli interessi anatocistici in quanto non espressamente previsti dalle legge.
In tal senso la sentenza impugnata va integrata.


7. Alla stregua di quanto precede, e fatto salvo quanto appena accennato, il ricorso in appello non può sfuggire a reiezione.
Ritiene, altresì, il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possano essere assorbiti in quanto ininfluenti ed irrilevanti ai fini della decisione.
Sussistono, nondimeno, i presupposti per la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.


P. Q. M.


Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in appello in epigrafe, nei sensi di cui in motivazione.
Accoglie, nei sensi di cui parimenti in parte motiva, la richiesta di integrazione della pronunzia impugnata in ordine alla corresponsione degli accessori secondo legge.
Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 3 febbraio 2011, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Gerardo Mastrandrea, Estensore, Gabriele Carlotti, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, Componenti.


F.to Riccardo Virgilio, Presidente
F.to Gerardo Mastrandrea, Estensore


Depositata in Segreteria il 2 maggio 2011
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