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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione IV penale, 16/03/2011, n. 10652
SICUREZZA SUL LAVORO - Infortuni sul lavoro - Omicidio colposo contestato al
dipendente delegato per gli aspetti della sicurezza ed igiene del lavoro -
Risarcimento del danno dell’ente assicuratore - Attenuante del risarcimento del
danno ex art. 62 n. 6 c.p. - Esclusione. Il risarcimento del danno
effettuato dall'ente assicuratore, prima del giudizio, per il reato di omicidio
colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica, contestato
al dipendente di un'azienda, non vale ad integrare la circostanza attenuante di
cui all'articolo 62 c.p., n. 6, atteso che l'intervento risarcitorio non è
riconducibile all’imputato ma unicamente all'iniziativa del datore di lavoro che
ha stipulato il contratto assicurativo (Cass. n. 39065/04). (conferma sentenza
n. 510/2008 del 20/04/2010 della CORTE DI APPELLO di BRESCIA ). Pres. MARZANO -
Est. FOTI - P.G. SARZANO - Ric. Si. Da. (avv.ti Frattini e Marmitrizio).
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione IV penale, 16 marzo 2011, n. 10652
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
rel.
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
-
sul ricorso proposto da:
1) SI. DA. N. IL (Omissis);
-
avverso la sentenza n. 510/2008 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 20/04/2010;
-
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
-
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2010 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. GIACOMO FOTI;
-
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano, che ha concluso per
l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all'attenuante
del risarcimento del danno; rigetto nel resto;
-
Udito il difensore Avv. Frattini e Marmitrizio che chiedono l'accoglimento del
ricorso.
OSSERVA
1- Con sentenza del Tribunale di Brescia, del 20 settembre 2007, Si. Da. , in
qualità di direttore del servizio manutenzione meccanica acciaieria e servizi
generali della " Al. Ac. s.p.a.", delegato per gli aspetti della sicurezza ed
igiene del lavoro, é stato riconosciuto colpevole del delitto di omicidio
colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro, in pregiudizio di Br. Fa. , nonché della violazione di varie norme
antinfortunistiche e lo ha condannato, riconosciute le circostanze attenuanti
generiche con giudizio di equivalenza sull'aggravante contestata e ritenuta la
continuazione tra i reati, alla pena di un anno e cinque mesi di reclusione,
concedendo i doppi benefici. Dell'incidente sono stati chiamati a rispondere,
separatamente, anche Bo. Gi. , direttore generale tecnico della società, e Gu.
Ma. , collega della vittima.
L'incidente, secondo quanto é stato ricostruito dal giudice del merito, si é
verificato mentre il Br. , capomacchina presso lo stabilimento di (Omissis) della
" Al. Ac. ", era impegnato, con il collega Gu. Ma. , nei lavori di pulizia e
manutenzione di un "banco oscillante" dell'impianto di colata continua, del peso
di circa 3.850 kg e delle dimensioni di m. 3 x cm. 90 x cm. 90. Il banco, che
aveva la forma di un parallelepipedo, era stato appoggiato sulle forche di un
carrello elevatore manovrato dal Gu. e trasportato all'interno di un'apposita
area per essere sottoposto a lavaggio, al quale doveva provvedere il Br. con una
lancia a getto d'acqua pressurizzata. L'infortunio si era verificato proprio
mentre la vittima era intenta alle operazioni di lavaggio, nel corso delle
quali, sollevato il banco, su richiesta dell'operatore, ad un'altezza di circa
un metro per consentire la pulizia della parte inferiore del manufatto, questo
era scivolato via dalle forche ed era piombato addosso al Br. che ne era rimasto
schiacciato.
Il tribunale é pervenuto all'affermazione di responsabilità dell'imputato,
rilevando, anzitutto, che costui aveva tollerato che le operazioni di lavaggio
si svolgessero all'interno di un'area angusta, di pochi metri quadri, che non
consentiva possibilità di fuga in caso d'incidente, e prima che fosse stata
preventivamente assicurata la stabilizzazione del banco oscillante, di notevoli
dimensioni e peso, appoggiandolo ad elementi fissi, piuttosto che lasciarlo
pericolosamente sospeso per aria, in condizioni di instabilità. Dette
operazioni, quindi, non si erano svolte, come sarebbe stato necessario e
doveroso, in condizioni di sicurezza, bensì di evidente pericolo per
l'operatore, costretto a portarsi nei pressi dell'ingombrante manufatto,
precariamente sostenuto. Ulteriori profili di colpa, pur addebitabili al datore
di lavoro, sono stati individuati nella mancata specifica valutazione dei rischi
connessi con le operazioni di lavaggio, nella mancanza di specifiche
informazioni sulla più corretta procedura da seguire e nello stesso
posizionamento delle forche che, proprio per evitare il rischio di caduta del
carico, avrebbero dovuto essere totalmente brandeggiate all'indietro.
In punto di nesso causale, il giudicante ha rilevato come l'evento fosse stato
determinato dalla violazione, da parte dell'imputato, delle norme cautelari e di
quelle generali di diligenza e prudenza; in particolare, ha sostenuto il primo
giudice, se fosse stata adeguatamente curata l'organizzazione delle operazioni
di lavaggio, prevedendo che esse si svolgessero in luogo e con mezzi più adatti,
se il banco fosse stato ancorato a terra, evitandone le pericolose oscillazioni,
se fosse stata impedita la presenza del lavoratore nei pressi di un instabile e
pesante carico, l'incidente non si sarebbe verificato; ciò anche nel caso in cui
vi fossero stati errori di comportamento o imprudenze da parte dei due
lavoratori coinvolti nell'operazione.
Quanto alla riconducibilità delle condotte contestate, e dunque, dell'evento,
all'imputato, é stato segnalato che costui non solo era il direttore del
servizio manutenzione meccanica e servizi generali, responsabile del reparto
colata continua, ma era in azienda il tecnico di riferimento, costantemente
presente. Posizione e presenza che avrebbero dovuto consentirgli di accorgersi
dell'assenza di puntuali disposizioni inerenti le procedure di lavaggio e del
ricorso a prassi pericolose; la situazione di pericolo, peraltro, ha ancora
rilevato il giudice del merito, era stata segnalata all'imputato dai
rappresentanti dei lavoratori.
Su appello proposto dal Si. , la Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 20
aprile 2010, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato in
ordine alle contravvenzioni ascritte perché estinte per prescrizione e ne ha
confermato la responsabilità, quanto al delitto di omicidio colposo,
rideterminando la pena in anni uno e mesi quattro di reclusione.
I giudici del gravame hanno, quindi, ribadito che la morte del Br. doveva
attribuirsi alla condotta dell'imputato, avendo quindi respinto le tesi
difensive con le quali l'appellante aveva sostenuto: a) che l'infortunio si era
verificato non durante le operazioni di lavaggio del banco bensì al termine
delle stesse, mentre il carrello elevatore si stava allontanando dall'area a ciò
adibita; b) che esso era stato determinato da condotte non riconducibili al Si.
, e cioé, dalla presenza della vittima nella zona in cui il carrello stava
operando, dal fatto che le forche del carrello non erano state tenute abbassate,
ma elevate a circa un metro da terra e che le stesse non fossero state
totalmente inclinate all'indietro; c) che le predette operazioni erano state
eseguite in violazione di precise direttive emanate dall'azienda con riguardo
alla posizione delle forche ed al divieto di presenze di personale nelle zone in
cui operavano i carrelli; d) che non risultava in nessun modo che l'imputato
fosse a conoscenza della mancata osservanza, da parte di dipendenti, di dette
direttive.
2- Avverso tale decisione propone ricorso, per il tramite del difensore, il Si.
, che deduce:
1) Inosservanza dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, per travisamento dei fatti e
manifesta illogicità della motivazione. Ripropone, in proposito, il ricorrente
la tesi secondo cui l'incidente si era verificato dopo che le operazioni di
lavaggio erano terminate ed il carrello aveva iniziato ad arretrare per portarsi
fuori dall'area a ciò destinata e rileva come il giudice del gravame abbia
fondato la propria diversa opinione basandosi sulle dichiarazioni di Gu. Ma. ,
manovratore del carrello; dichiarazioni che, provenendo da soggetto imputato
dello stesso reato in separato procedimento penale, potrebbero avere efficacia
probatoria solo se confermate da altri elementi, ai sensi dell'articolo 192
c.p.p., comma 3. Lo stesso giudice, osserva ancora il ricorrente, ha richiamato,
a conferma della propria tesi, la ricostruzione dei fatti proposta dai
consulenti del PM, tuttavia erroneamente interpretate.
Quanto alle cause dell'infortunio, si ripropongono nel ricorso le considerazioni
relative all'anomala presenza della vittima nei pressi della zona di operazione
del carrello ed all'errata posizione delle forche e si rinnovano i richiami alle
precise direttive impartite dall'azienda e non rispettate dai lavoratori
coinvolti nell'incidente;
2) Inosservanza dell'articolo 192 c.p.p., comma 3 e articolo 546 c.p.p., comma
1, lettera e) e mancanza di motivazione in relazione alle modalità usuali
dell'operazione di lavaggio dei banchi oscillanti. Lamenta a tale proposito il
ricorrente che il giudice del gravame abbia dato credito alle dichiarazioni del
Gu. , prive di conferme, ed abbia in termini impropri interpretato le
affermazioni di Za. Gi. , trascurando o ritenendo inattendibili le testimonianze
di altri lavoratori;
3) Erronea applicazione degli articoli 43 e 589 c.p., travisamento del fatto e
manifesta illogicità della motivazione, inosservanza dell'articolo 533 c.p.p.,
comma 1. Lamenta il ricorrente che la consapevolezza dell'imputato circa le
anomale modalità con cui si svolgevano le operazioni di lavaggio, il giudice del
gravame abbia dedotto da semplici illazioni, basate sulla costante presenza del
Si. in azienda, trascurando le molteplici direttive che erano state impartite.
4) Inosservanza dell'articolo 62 c.p., n. 6 in relazione al mancato
riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno;
5) Mancanza di motivazione circa il richiesto giudizio di prevalenza delle
attenuanti generiche sull'aggravante contestata.
2- Il ricorso é infondato.
In realtà, del tutto insussistenti sono i vizi denunciati dal ricorrente,
peraltro generalmente ripetitivi di tematiche già sottoposte, con i motivi
d'appello, all'esame della corte territoriale e da questa puntualmente esaminate
e confutate. Detta corte, invero, in piena sintonia con gli elementi probatori
acquisiti, ha legittimamente ribadito la responsabilità dell'imputato,
adeguatamente e coerentemente motivando le ragioni del proprio dissenso rispetto
alle doglianze prospettate nell'atto d'appello.
1) In particolare, con riguardo al tema della responsabilità, i giudici del
gravame hanno ribadito che la tesi difensiva, secondo la quale l'infortunio si
era verificato non durante il lavaggio del banco bensì, a lavaggio terminato,
durante il trasporto dello stesso verso il punto di provenienza, era smentita da
precise acquisizioni probatorie, rappresentate, anzitutto, dalle dichiarazioni
del Gu. , cioé dell'operaio che manovrava, al momento dell'incidente, il
carrello, il quale ha ripetutamente sostenuto che i freni del mezzo erano stati
bloccati fin dall'inizio delle operazioni di pulizia, e tali erano rimasti, di
guisa che doveva escludersi che il carrello si fosse mosso. Dichiarazioni che i
giudici del merito hanno ritenuto attendibili - malgrado i dubbi espressi dalla
difesa dell'imputato in ragione della posizione del Gu. di imputato dello stesso
reato - perché riscontrate dalle foto in atti che, scattate subito dopo
l'incidente, pongono le forche del carrello proprio sulla griglia di scarico
dell'acqua.
Circostanza nella quale i giudici del gravame hanno legittimamente ritenuto di
rilevare significativa conferma delle dichiarazioni del Gu. e, al contempo,
chiara smentita della tesi difensiva sopra richiamata, essendo evidente che, se
le forche del carrello si trovavano ancora sulla griglia dello scarico, cioé sul
luogo ove si svolgevano le operazioni di lavaggio, evidentemente l'incidente non
si era potuto verificare durante il trasporto del banco, ancora non iniziato.
Né tale conclusione potrebbe esser messa in dubbio dal fatto che, secondo i
consulenti del PM, la posizione del carrello, all'atto dello scivolamento del
banco, doveva porsi "un pò più indietro, per la logica dello scivolamento a
caduta di questo elemento, proprio del ribaltamento" - affermazione richiamata
dall'imputato a dimostrazione del fatto che l'infortunio si era verificato
durante il trasporto del banco. Con tale affermazione, invero, i consulenti si
sono limitati ad ipotizzare un posizionamento leggermente all'indietro del
carrello, ma pur sempre all'interno dell'area destinata al lavaggio, senza fare
alcun riferimento ad uno spostamento significativo, rispetto ai rilievi eseguiti
nell'immediatezza del fatto, della posizione delle forche sulla griglia dello
scarico. Ancor meno da quell'affermazione può dedursi - come vorrebbe l'imputato
- che lo scivolamento era avvenuto mentre il carrello veniva fatto arretrare per
riportare il banco alla sua normale posizione. Gli stessi consulenti, del resto,
hanno fatto chiaro riferimento ad una superficie sostanzialmente piana, sulla
quale il carrello stava "stazionando", cioé stava sostanzialmente fermo.
Peraltro, osserva la Corte che, ove anche volesse ammettersi che il banco
oscillante fosse ribaltato mentre, terminato il lavaggio, si stava provvedendo a
riportarlo alla sua posizione originaria, ciò non consentirebbe all'imputato di
eludere le proprie responsabilità, correlate alle errate e pericolose modalità
di esecuzione delle operazioni di lavaggio, all'inadatto luogo ove esse venivano
eseguite, agli inidonei strumenti utilizzati, all'inopportuna e rischiosa
presenza del Br. nella zona in cui operava il carrello.
Poco rileva, cioé, ai fini che oggi interessano, che il manufatto in questione
sia scivolato durante o poco dopo il termine delle operazioni di lavaggio; ciò
che conta é che ciò sia avvenuto all'interno del locale destinato al lavaggio ed
in occasione dello stesso. Ciò che conta é che l'infortunio si é certamente
verificato a causa:
- delle errate e pericolose modalità con le quali si provvedeva al lavaggio dei
banchi;
- della inadeguatezza del locale a ciò destinato, angusto al punto da non
consentire, in caso di pericolo, possibilità di fuga;
- dell'errato posizionamento del banco, non appoggiato su piani fissi, bensì
sostenuto dalle forche di un carrello elevatore, e quindi in condizioni di
instabilità;
- della presenza, nei pressi del carrello e del banco, sollevato da terra per
circa un metro, dell'operatore incaricato del lavaggio il quale, per eseguire il
lavoro affidatogli, doveva necessariamente avvicinarsi pericolosamente al
pesante manufatto, precariamente sostenuto dal carrello.
Del tutto condivisibili sono, quindi, le conclusioni alle quali sono pervenuti i
giudici del merito, i quali hanno giustamente osservato che l'infortunio era
stato determinato dal mancato rispetto, nelle operazioni di lavaggio, di
elementari regole di prudenza e diligenza, che avrebbero imposto:
a) di eseguire dette operazioni, riguardanti un manufatto tanto ingombrante e
pesante, in condizioni di assoluta sicurezza, e, dunque, non tenendolo sospeso
pericolosamente per aria, bensì appoggiato su elementi fissi, poco alti da
terra;
b) di impedire, al di là dei teorici divieti richiamati dal ricorrente, ignorati
da una prassi sconsiderata, che l'addetto al lavaggio si ponesse pericolosamente
vicino al carrello che sosteneva il banco, essendo tale vicinanza, oltre che
formalmente vietata, chiaramente pericolosa per la prevedibile possibilità di un
ribaltamento del carico, portato su e giù per consentire il lavaggio di ogni
parte di esso, e per l'assenza di vie di fuga.
Inutilmente, quindi, il ricorrente si dilunga in considerazioni sulle cause
dell'infortunio, sulle direttive fomite dall'azienda in ordine all'uso dei
carrelli elevatori, sul divieto di stazionamento nella zona di operazione dello
stesso, sulle modalità di esecuzione dei lavaggi, sull'attendibilità dei
soggetti esaminati, trattandosi di argomenti ampiamente approfonditi dai giudici
del merito, che sono pervenuti a conclusioni del tutto coerenti ed immuni da
vizi logico-giuridici, alle quali il ricorrente contrappone censure chiaramente
infondate ovvero considerazioni in punto di fatto, non consentite in sede di
legittimità.
2) Anche il tema della consapevolezza dell'imputato delle modalità con le quali
si eseguiva la pulizia dei banchi é stato adeguatamente esaminato dalla corte
territoriale che ha rilevato, non solo che una prassi operativa come quella
sopra descritta, così rischiosa e diffusa, non poteva non essere nota
all'imputato, costantemente presente in azienda e punto di riferimento
all'interno della stessa, ma anche, che la situazione di pericolo connessa con
le richiamate modalità di lavaggio dei banchi era stata allo stesso segnalata,
persino per iscritto, dai rappresentanti dei lavoratori. Mentre non v'é dubbio
che proprio all'imputato, in ragione della qualifica ricoperta, spettava anche
di vigilare adeguatamente affinché fossero realmente rispettate le procedure di
sicurezza e le relative direttive, senza che possano costituire un alibi le
dimensioni dell'azienda o il numero dei lavoratori impiegati posto che,
attraverso una corretta organizzazione ed opportune disposizioni, l'imputato ben
avrebbe potuto essere costantemente informato sui temi della sicurezza e del
rispetto, da parte degli stessi lavoratori, delle relative norme.
Legittimamente, dunque, ed in piena coerenza rispetto alle emergenze probatorie
in atti, la corte territoriale ha ribadito la responsabilità dell'imputato,
avendo ritenuto la sussistenza dei profili di colpa individuati a carico dello
stesso.
3) Ugualmente infondate sono le censure relative al trattamento sanzionatorio.
a) Quanto all'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, rileva la Corte che
giustamente il giudice del gravame ne ha escluso il riconoscimento all'imputato,
essendo emerso che al risarcimento aveva provveduto una società assicuratrice in
base ad una polizza non riconducibile all'imputato.
A tale proposito, questa Corte (Cass. n. 39065/04) ha affermato che: "Il
risarcimento del danno effettuato dall'ente assicuratore, prima del giudizio per
il reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione della normativa
antinfortunistica, contestato al dipendente di un'azienda, non vale ad integrare
la circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 in quanto
l'intervento risarcitorio non é riferibile né, comunque, riconducale
all'imputato, ma all'iniziativa del datore di lavoro che ha stipulato il
contratto assicurativo" (Nella motivazione si é precisato che non é pertinente,
in relazione al caso di specie, la sentenza interpretativa di rigetto n. 138 del
23 aprile 1998 della Corte Costituzionale con la quale é stata ritenuta
applicabile la suddetta circostanza attenuante nell'ipotesi di risarcimento
effettuato dalla compagnia assicuratrice per responsabilità civile in materia di
circolazione stradale).
b) Quanto al giudizio di comparazione, richiesto dall'imputato in termini di
prevalenza rispetto all'aggravante contestata, deve rilevarsi che la corte
territoriale, seppur non ha formalmente richiamato la specifica richiesta
contenuta nei motivi d'appello, l'ha, tuttavia, certamente esaminata e respinta,
motivando, sinteticamente, ma in maniera sufficiente, laddove ha ritenuto
infondate le doglianze relative al trattamento sanzionatorio ed ha giudicato
equa e proporzionata ai fatti ed alla personalità dell'imputato la pena inflitta
dal primo giudice; giustamente ridotta solo in vista dell'intervenuta
prescrizione dei reati contravvenzionali contestati.
Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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