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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, Sentenza 22 marzo 2011, Sentenza n. 11489



RIFIUTI - Mancato svuotamento di vasca contenente acque reflue - Abbandono di carcasse di auto, motori, parti di autovetture e pneumatici - Attività di gestione di rifiuti non autorizzata ex art. 51 D.lgs. 22/1997 - Sussistenza. Il mancato svuotamento di una vasca contenente acque reflue e l'abbandono di carcasse di auto, motori, parti di autovetture e pneumatici - tenuto conto delle prescrizioni inserite nel Decreto Legislativo 5 febbraio del 1997, n. 22, articolo 6 lettera m) - integra l'ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti ai sensi dell'art. 51 comma 2 del Decreto Legislativo in parola (oggi trasfuso nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 2 in continuità normativa con il precedente) che si verifica tutte le volte in cui non vengano osservate le condizioni previste nel menzionato articolo 6, lettera m) sia di tipo quantitativo che temporale e costituenti condicio sine qua non per la configurabilità del deposito temporaneo (Cass. Sez. 3, 26.2.2003 n. 9057; Cass. Sez. 3, 24.9.2004 n. 37879). (Dichiara inammissibile ricorso avverso sentenza-ordinanza emessa il 22/05/2009 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.G. D'Ambrosio - Ric. Ci. Vi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, Sentenza 22 marzo 2011, n. 11489

RIFIUTI - Attività di gestione di rifiuti non autorizzata ex art. 51 D.lgs 22/1997 - Scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione ex D. Lgs. n. 152/1999, art. 59, c. 1 - Distinzione.  Il reato di cui all'articolo 51, commi 1 e 2, del Decreto Legislativo 5 febbraio del 1997, n. 22 (oggi trasfuso nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256), ha natura ed oggettività giuridica del tutto diversa dal reato di cui all'articolo 59, comma 1, del Decreto Legislativo 11 maggio del 1999, n. 152 (oggi trasfuso nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 137), afferendo quest'ultimo alla materia dell'inquinamento idrico da acque reflue industriali che é cosa ben diversa dall'abbandono incontrollato di rifiuti (Cass. Sez. 3, 5.2.2009 n. 12865). (Dichiara inammissibile ricorso avverso sentenza-ordinanza emessa il 22/05/2009 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.G. D'Ambrosio - Ric. Ci. Vi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,, Sentenza 22 marzo 2011, n. 11489

RIFIUTI - Attività di gestione di rifiuti non autorizzata ex art. 51 D.lgs 22/1997 - Scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione ex D. Lgs. n. 152/1999, art. 59, c. 1 - Illeciti aventi natura di reato permanente. I reati di cui agli articoli 51, commi 1 e 2, del Decreto Legislativo 5 febbraio del 1997, n. 22, e 59, comma 1, del Decreto Legislativo 11 maggio del 1999, n. 152, vanno qualificati come reati permanenti, la cui condotta si interrompe solo per effetto della bonifica del sito.(Dichiara inammissibile ricorso avverso sentenza-ordinanza emessa il 22/05/2009 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.G. D'Ambrosio - Ric. Ci. Vi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,, Sentenza 22 marzo 2011, n. 11489

DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Condanna per la responsabilità civile - Dovere del giudice di distinguere danni materiali e danni morali - Esclusione. Per effetto dell'articolo 538 c.p.p., comma 1, rientra nei poteri del giudice pronunciarsi, in caso di condanna dell'imputato, sulle domande dirette alle restituzioni ed al risarcimento del danno. Il giudice penale non é tenuto ad operare alcuna distinzione tra danni materiali e danni morali, né deve espletare alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, ben potendo circoscrivere il suo accertamento alla potenziale capacità lesiva del fatto dannoso ed all'esistenza di un nesso di causalità tra il fatto produttivo di danno ed il pregiudizio lamentato (Cass. Sez. 5, 5.6.2008 n. 36657; Cass. Sez. 5, 19.10.2000 n. 191). (Dichiara inammissibile ricorso avverso sentenza-ordinanza emessa il 22/05/2009 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.G. D'Ambrosio - Ric. Ci. Vi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, Sentenza 22 marzo 2011, n. 11489


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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE



Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRUA Giuliana                               - Presidente
Dott. GRILLO Renato                                  - est. Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla I.                               - Consigliere
Dott. MARINI Luigi                                      - Consigliere
Dott. GAZZARA Santi                                 - Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


- sul ricorso proposto da: CI. Vi., nato il ..ad.. a (Omissis);
- avverso la sentenza-ordinanza emessa il 22 maggio 2009 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere;
- udita nella pubblica udienza del 15 dicembre 2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRILLO Renato;
- udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D'AMBROSIO Vito che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
- udito il difensore della parte civile, Avv. Galdi Guido;
- Udito il difensore Avv. Iovino Pasquale.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 22 maggio 2009, CI. Vi. imputato del reato di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, commi 1 e 2 (mancato svuotamento di vasca contenente acque reflue ed abbandono di carcasse di auto, motori, parti di autovetture e pneumatici) (fatto commesso in Omissis), nonché del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 59, comma 1 in relazione all'articolo 2, comma 1, lettera H) (creazione di un canaletto raccoglitore di acque reflue, sprovvisto di autorizzazione) (Fatto commesso in data (Omissis) veniva ritenuto colpevole di entrambi i reati unificati sotto il vincolo della continuazione e - previa concessione delle circostanze attenuanti generiche - condannato alla pena di euro 8.000,00 di ammenda, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede detto reato.

Avverso la detta sentenza il difensore dell'imputato ha proposto appello (successivamente convertito in ricorso) dinnanzi la Corte di Appello di Napoli, articolando 4 distinti motivi a sostegno.

Con il primo motivo partendo dalla premessa di una contestazione approssimativa - e dunque generica - l'appellante ha richiesto l'assoluzione per insussistenza del fatto.

Con il secondo motivo ha ritenuto comunque la condotta di cui al capo b) insussistente in quanto assorbita nella ipotesi contestata sub a).

Con il terzo motivo ha invocato la estinzione per prescrizione relativamente al reato di cui al capo b).

Con l'ultimo motivo di appello ha censurato il punto della sentenza relativo alla condanna al risarcimento (in forma generica) del danno in favore della parte civile rilevando come nel caso in esame nessun danno sarebbe stato arrecato alla parte medesima.


Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati con conseguente pronuncia di inammissibilità del ricorso.

Al ricorrente viene fatto carico del reato di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, commi 1 e 2 "perché in qualità di titolare della ditta di autodemolizione con sede in (Omissis) non effettuava nel corso dell'anno (Omissis) e fino alla data del controllo lo svuotamento della vasca a tenuta nella quale confluiscono le acque reflue di dilavamento del piazzale di stoccaggio degli autoveicoli nonché per avere lasciato nel predetto piazzale numerose carcasse di vetture intere, un cumulo di motori depositati a cielo aperto e pezzi di vetture e pneumatici" (capo a) della rubrica) ed ancora, del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 59, comma 1 in relazione all'articolo 2, comma 1, lettera h) del medesimo decreto legislativo "perché, in qualità di titolare della ditta di autodemolizione con sede in (Omissis), creava sul suolo, sempre in (Omissis) un canaletto che raccoglie le acque del piazzale e le confluiva al fosso maltempo che costeggiava la strada statale (Omissis), senza essere provvisto della necessaria autorizzazione prevista dalla legge" (capo b) della rubrica).

La sentenza impugnata, dopo avere minuziosamente analizzato il cospicuo materiale probatorio anche di tipo documentale (vds. pag. 3 della sentenza) acquisito al processo e dopo aver passato in rassegna i contenuti delle varie dichiarazioni testimoniali (sia con riferimento ai testi dell'accusa sia con riferimento ai testi addotti dalla parte civile, sia con riferimento ai testi addotti dalla difesa dell'imputato) e delle consulenze tecniche, é pervenuto ad una conclusione di colpevolezza per entrambe le imputazioni contestate che questa Corte reputa essere del tutto esente da censure sia sul piano logico, sia sul piano più squisitamente giuridico e che non presentano neanche incogruità o vuoti di alcun genere.

A fronte di una decisione assolutamente puntuale e caratterizzata anche da una ricostruzione esaustiva dei vari fatti presi in esame, il ricorso si connota da un lato per una assoluta genericità e dall'altro per una manifesta infondatezza sul piano ermeneutico delle norme che formano oggetto dei due capi di imputazione.

In particolare, con riguardo al reato sub a), il ricorrente muove da una considerazione preliminare secondo la quale - contrariamente al contenuto della norma incriminatrice - egli fosse munito di apposita autorizzazione (rilasciatagli dalla regione (Omissis) previo accertamento della idoneità del sito) ad esercitare attività di autodemolizione.

Si tratta ad evidenza, di una premessa del tutto inconferente rispetto alla contestazione che, indipendentemente dalla circostanza che il titolare dell'attività fosse o meno munito di apposita autorizzazione, sanziona la condotta di colui che omette di rispettare il prescritto termine periodico di smaltimento delle acque reflue industriali convogliate in apposita vasca di raccolta e provenienti dallo smontaggio di veicoli (o di loro parti) eseguito nel corso dell'attività di demolizione.

Tale condotta - tenuto conto delle prescrizioni inserite nel Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 6 lettera m) - integra senz'altro l'ipotesi contestata di deposito incontrollato di rifiuti ai sensi del comma 2 del Decreto Legislativo in parola (oggi trasfuso nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 2 in continuità normativa con il precedente) che si verifica tutte le volte in cui non vengano osservate le condizioni previste nel menzionato articolo 6, lettera m) sia di tipo quantitativo che temporale costituenti condicio sine qua non per la configurabilità del deposito temporaneo (vds. Cass. Sez. 3, 26.2.2003 n. 9057; Cass. Sez. 3, 24.9.2004 n. 37879).

Quanto poi alla natura di tali rifiuti, la circostanza che il Tribunale abbia inflitto la sola pena dell'ammenda (prevista in via alternativa rispetto alla pena detentiva dal comma 1, lettera a) dell'articolo 51 Decreto Legislativo in esame) costituisce la prova evidente che non si trattasse di rifiuti pericolosi (per i quali, a norma del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, comma 1, lettera b) é invece prevista la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda), ma solo di rifiuti speciali, fermo restando che la norma in esame non si riferisce, come asserito dalla difesa, ai rifiuti pericolosi ma a qualsiasi genere di rifiuti.

Conseguentemente risultano manifestamente infondate le considerazioni svolte dalla difesa in merito all'accertamento (peraltro eseguito dai verbalizzanti nel corso del sopralluogo) dell'esistenza di rifiuti anche pericolosi (olio proveniente dai motori) ed al tempo di loro permanenza accertato come eccedente rispetto alla prescrizione di legge nel corso del detto sopralluogo.

Appare quindi palesemente destituita di fondamento la censura mossa dal ricorrente basata sull'altrettanto manifestamente errato presupposto che la condanna sarebbe intervenuta per un fatto diverso da quello contestato, peraltro in forma assolutamente generica.

Nessuna violazione dell'articolo 521 c.p.p. é configurabile in questa sede in quanto la contestazione - tutt'altro che generica per l'indicazione in essa contenuta delle specifiche condotte omissive poste in essere dall'imputato - rispecchia esattamente il contenuto della sentenza, posto che l'imputato é stato ritenuto colpevole non già di una tenuta della discarica senza essere munito della prescritta autorizzazione ma di un incontrollato deposito di rifiuti determinato dal mancato rispetto dei tempi di svuotamento della vasca di raccolta che, proprio perché contra legem doveva ritenersi privo di autorizzazione.

Anche la censura rivolta con riferimento alla contestazione di cui al capo b) é priva di ogni fondamento perché del tutto generica, non indicandosi nemmeno le ragioni alla base del ricorso.

é poi palesemente insostenibile la tesi dell'assorbimento della fattispecie di cui alla lettera a) nella condotta - più grave - di cui alla lettera b), in quanto il reato di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, commi 1 e 2 (oggi trasfuso nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256) ha natura ed oggettività giuridica del tutto diversa dal reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 1999, articolo 59, comma 1 (oggi trasfuso nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 137), afferendo quest'ultimo alla materia dell'inquinamento idrico da acque reflue industriali che é cosa ben diversa dall'abbandono incontrollato di rifiuti (v. Cass. Sez. 3, 5.2.2009 n. 12865) contestato al capo a).

La sentenza impugnata ha, con precisione ancora maggiore, delineato i confini di applicazione della norma incriminatrice contestata all'imputato, ricostruendo anche l'excursus della norma sin dal suo sorgere e motivando in modo puntuale sull'irregolarità riscontrata dai verbalizzanti nel corso del sopralluogo: invero in tale occasione venne accertata da parte dei militari del NAS l'esistenza di un solco naturale all'interno del quale confluivano acque meteoriche ed oli esausti provenienti dalle carcasse delle auto demolite che andava poi a sfociare, a causa delle naturale pendenza del terreno nel c.d. "fosso maltempo" collocato lateralmente alla (Omissis): solco che si era formato, a causa dell'usura, di eventi naturali e del trascorrere del tempo, si era formato sul piazzale di cemento e proseguiva per circa sette metri con una larghezza di alcuni centimetri lungo la quale scorreva il liquido di provenienza industriale frammisto all'acqua derivante dalla pioggia meteorica (vds. pag. 10 della sentenza impugnata).

Tanto é sufficiente per ritenere concretizzata la fattispecie contestata sub b).

Per quanto riguarda poi l'eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa con riguardo al solo reato di cui al capo b), a prescindere dal rilievo che non é dato comprendere a quale titolo il termine prescrizionale sarebbe maturato per il reato sub b) e non anche per il reato sub a) (trattandosi, in entrambi i casi, di reati puniti alternativamente con la pena dell'arresto o dell'ammenda) osserva la Corte che alla data di emissione della sentenza impugnata il termine massimo di prescrizione (previsto in anni quattro e mesi sei, comprensivo della proroga, ai sensi del previgente articolo 157 c.p.) non era certamente trascorso.

Per quanto é dato desumere dagli atti, rispetto alla data di accertamento del reato (che ha anche comportato il contestuale sequestro del sito) risalente al (Omissis), il primo atto interruttivo é costituito dal decreto di citazione a giudizio emesso dal P.M. in data 8 febbraio 2006: da tale data sarebbe dovuto trascorrere il periodo corrispondente al tempo di prescrizione ordinaria, pari ad anni tre, che avrebbe determinato l'estinzione del reato se entro la data dell'8 febbraio 2009 non fosse stata pronunciata la sentenza avente natura di atto interruttivo del corso della prescrizione ex articolo 160 c.p..

Tuttavia risulta che nel corso del processo di primo grado si sono verificate numerose sospensioni della prescrizione (una prima, tra il 15 marzo 2007 e il 13 aprile 2007 per astensione dalle udienze collegata all'astensione deliberata dalla Camera Penale; una seconda, dall'8 giugno al 12 ottobre 2007 per identica ragione; una terza dall'11 luglio al 24 ottobre 2008, sempre per le medesime ragioni, per complessivi mesi otto e giorni sei).

Ne consegue che alla data di deliberazione della sentenza di primo grado il termine di prescrizione non era maturato per nessuno dei due reati in contestazione.

Se a ciò si aggiunge la circostanza che ognuno dei due reati va qualificato come reato permanente la cui condotta si interrompe solo per effetto della bonifica del sito (bonifica, nella specie imposta dal Tribunale con la sentenza impugnata), é assolutamente agevole pervenire alla conclusione che alla data odierna nessuna prescrizione é maturata.

E quand' anche dovesse accedersi alla diversa tesi di reati istantanei con effetti permanenti, trattandosi di una prescrizione maturata nelle more tra la pronuncia della sentenza di primo grado e la data di celebrazione dell'udienza dinnanzi a questa Corte, la dichiarata manifesta infondatezza dei motivi osta alla declaratoria di estinzione per prescrizione, prevalendo la declaratoria di inammissibilità su quella di estinzione del reato per prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata (v. da ultimo Cass. S.U. 21.12.2000 n. 32).

Quanto all'ultimo motivo di ricorso costituito dalla censura mossa alle statuizioni di tipo risarcitorio pronunciate dal Tribunale nonostante - secondo la difesa - non vi fosse alcun danno risarcibile, si tratta di doglianza destituita ad evidenza di ogni fondamento.

Fermo restando il fatto che per effetto dell'articolo 538 c.p.p., comma 1 rientra nei poteri del giudice pronunciarsi in caso di condanna dell'imputato sulle domande dirette alle restituzioni ed al risarcimento del danno, osserva la Corte che il giudice penale non é tenuto ad operare alcuna distinzione tra danni materiali e danni morali, né deve espletare alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, ben potendo circoscrivere il suo accertamento alla potenziale capacità lesiva del fatto dannoso ed all'esistenza di un nesso di causalità tra il fatto produttivo di danno ed il pregiudizio lamentato (tra le tante, Cass. Sez. 5, 5.6.2008 n. 36657 rv. 241344; Cass. Sez. 5, 19.10.2000 n. 191, rv. 218077).

Ciò precisato in punto di diritto, ancora una volta il Tribunale ha mostrato di fare buon governo della norma processuale non solo individuando un tipo di danno c.d. "potenziale" (v. pag. 22 della sentenza impugnata), ma anche motivando anche in modo assolutamente logico ed esente dalla benché minima censura, sulle ragioni del configurarsi di un danno potenziale (determinato dalla esistenza del fondo inquinato a confine con il fondo di pertinenza della parte civile deteriorato per l'azione inquinante del fondo limitrofo di pertinenza dell'imputato) e contestualmente rigettando la richiesta di una provvisionale in quanto non raggiunta la relativa prova.

Sostenere, come pretenderebbe la difesa, di operare una distinzione sul piano della motivazione tra delitti e contravvenzioni (per le quali occorrerebbe una motivazione più stringente e penetrante) solo perché per le contravvenzioni non sarebbe ipotizzabile l'offesa di un interesse concreto, é affermazione del tutto fuor di logica, non tralasciando di considerare che, nel caso di specie, il Tribunale ha motivato specificamente sulle ragioni del danno potenziale, ritenendo non provato il danno ai fini della liquidazione di una provvisionale.

La palese infondatezza di tutti i motivi di ricorso comporta la pronuncia di inammissibilità del ricorso cui segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di euro 1.000,00 in favore della Cassa per le Ammende trovandosi il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Va infine disposta la condanna del ricorrente alla rifusione in favore della parte civile delle spese relative al presente grado di giudizio che si liquidano in euro 1.500,00 oltre accessori di legge.


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi euro 1.500,00 oltre accessori come per legge.



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