AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, 22/03/2011, n. 11500
SALUTE - Commercio di sostanze alimentari nocive - Reato di pericolo -
Attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica - Necessità.
Il
commercio di sostanze alimentari nocive configura, a norma dell'articolo 444
c.p., un reato di pericolo. La sussistenza di detta fattispecie delittuosa
postula la necessità che gli alimenti di cui si vuol fare commercio abbiano
attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica. Tale attitudine non può
essere meramente ipotetica, occorrendo, invece, un pericolo concreto i cui
estremi, specificamente individuati, debbono dare ragione dell'affermazione di
responsabilità. La pericolosità può essere ricavata da qualsiasi mezzo di prova
e dalla comune esperienza (Sez. 1, 23.9.2004, n. 41106, Molendino; conf. Sez. 1,
17.1.2007, n. 3532, Valastro). (annulla con rinvio sentenza del 30 aprile 2009
della Corte d'Appello di Napoli). Pres. TERESI - Est. FRANCO - P.M.
PASSACANTANDO - Ric. Ba. Al. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, 22
marzo 2011, n. 11500
SALUTE - Delitti contro la salute pubblica - Artt. 444 e 452 c.p. - Reati di
pericolo “concreto” - Pericolosità delle sostanze - Accertamento. In tema di
commercio, detenzione o distribuzione per il consumo di sostanze destinate alla
alimentazione, il bene giuridico tutelato dalle fattispecie previste
dall'articolo 444 c.p. e articolo 452 c.p., comma 2, é costituito dalla "salute
pubblica", che viene salvaguardata anche attraverso la previsione normativa di
un delitto inquadrabile nella categoria dei reati c.d. "di pericolo concreto",
per la cui esistenza é necessario che le sostanze alimentari abbiano effettiva
idoneità a porre in pericolo la salute dei consumatori, pur non essendo
richiesto che il nocumento si sia già verificato o debba necessariamente
verificarsi. Ne deriva che la pericolosità delle sostanze non può essere
valutata astrattamente, cioè come situazione meramente ipotetica, ma deve essere
accertata specificamente a mezzo di strumenti probatori adeguati alle singole
sostanze alimentari collegate a sospetto (Sez. 1, 16.10.1996, n. 1367, Grimandi;
Sez. 1, 13.5.1992, n. 6930, Turatta). (annulla con rinvio sentenza del 30 aprile
2009 della Corte d'Appello di Napoli). Pres. TERESI - Est. FRANCO - P.M.
PASSACANTANDO - Ric. Ba. Al. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, 22
marzo 2011, n. 11500
SALUTE - Commercio di sostanze alimentari nocive - Elementi costitutivi del reato. Il delitto di commercio di sostanze alimentari nocive presuppone, quanto all'elemento oggettivo, che le sostanze di cui si vuole fare commercio abbiano attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica. Tale attitudine non deve consistere in un pericolo meramente ipotetico, essendo necessario un pericolo concreto, che deve sussistere al momento della cessione in vendita. L'elemento soggettivo del delitto è costituito dal dolo generico, ravvisabile nella volontarietà del commercio di sostanze alimentari nocive, con la consapevolezza della loro pericolosità per la salute pubblica (Sez. 1, 16.10.1996, n. 1367, Grimandi; Sez. 1, 18.11.1966, n. 1423, Milone). In sintesi, ai fini della configurazione del delitto, deve sussistere ed essere provata la pericolosità della sostanza alimentare di cui si vuole far commercio (in qualsiasi momento precedente o contestuale alla cessione del bene), la consapevolezza del pericolo e la volontarietà del commercio. (annulla con rinvio sentenza del 30 aprile 2009 della Corte d'Appello di Napoli). Pres. TERESI - Est. FRANCO - P.M. PASSACANTANDO - Ric. Ba. Al. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, 22 marzo 2011, n. 11500
www.AmbienteDiritto.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente
Dott. FIALE Aldo - Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere
Rel.
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere
Dott. SARNO Giulio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ba. Al. , nato a (Omissis);
avverso la sentenza emessa il 30 aprile 2009 dalla corte d'appello di Napoli;
udita nella pubblica udienza del 22 dicembre 2010 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCO Amedeo;
udito il Pubblico Ministero in persona Sostituto Procuratore Generale Dott.
PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ba. Al. venne tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui; a) all'articolo
516 c.p. per avere, quale legale rappresentante di un supermercato, posto in
vendita carne di agnello debitamente confezionata con cellophane in evidente
stato di putrefazione; b) del reato di cui alla Legge 30 aprile 1962, n. 283,
articolo 5.
Il giudice del tribunale di Benevento, sezione distaccata di Guardia Sanframondi,
con sentenza 20.11.2006 qualificò il fatto di cui al capo A) come reato di cui
all'articolo 444 c.p. e dichiarò l'imputato responsabile di tale reato nonché di
parie di quello sub B).
La corte d'appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, dichiarò estinto il
reato sub B) e confermò nel resto la sentenza di primo grado.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 444 c.p. perché non é
stata accertata la presenza degli elementi necessari alla integrazione del detto
reato, e in particolare l'attitudine dell'alimento ad arrecare nocumento alla
salute pubblica già al momento della vendita ed il dolo del venditore. La corte
d'appello ha Omissis di rispondere agli specifici motivi di appello sul punto
effettuando solo un generico rinvio alla sentenza di primo grado.
2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sia in
ordine alla sussistenza degli elementi essenziali del reato sia in ordine alla
valutazione della attendibilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa
assunta come testimone. Anche sul punto la corte d'appello ha Omissis di
esaminare gli specifici motivi di appello.
3) mancata assunzione di prove decisive, consistenti nella acquisizione degli
originali dell'etichetta, nella nomina di un perito e nella nuova escussione
della parte offesa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso é fondato essendo la sentenza impugnata viziata sia da carenza e
manifesta illogicità della motivazione sia da errori di diritto.
La vicenda, così come risulta dalle sentenze dei giudici del merito, é la
seguente. Il (Omissis), alle ore 18.45, la sig. De. Lu. Gr. , residente a
(Omissis), denunciò ai carabinieri che la sera del giorno precedente, (Omissis),
si era recata nel supermercato (Omissis) chiedendo di acquistare della carne di
agnello tagliata al momento. Il macellaio le disse però che ciò non era
possibile e la invitò a servirsi dallo scomparto del preconfezionato. La donna
quindi prelevò una vaschetta preconfezionata e cellofanata di carne di agnello.
Tornata a casa, mise la vaschetta nel frigo e, apertala il giorno seguente verso
le ore 14, constatò che, mentre le fettine superiori erano normali, per quelle
poste in fondo della vaschetta la carne era maleodorante, giallognola e
avariata. La De. Lu. consegnò ai carabinieri la vaschetta aperta con la carne ed
uno scontrino del supermercato emesso il (Omissis) alle ore 12.41, da cui
risultava l'acquisto di carne, ma non l'etichetta con la data di
confezionamento, la natura del prodotto ed il lotto di produzione. I vigili
sanitari in seguito ispezionarono il supermercato e sequestrarono vari tipi di
carne, ma i controlli e le analisi dettero esito negativo.
Il pubblico ministero ha quindi proceduto non nei confronti del macellaio al
quale la donna si era rivolta, ma contro il legale rappresentante della società
proprietaria del supermercato (Omissis), ossia della srl ES. Su. con sede in
(Omissis), é stato contestato ed é stato ritenuto il delitto di commercio di
sostanze nocive di cui all'articolo 444 c.p..
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, "Il commercio di
sostanze alimentari nocive configura, a norma dell'articolo 444 c.p., un reato
di pericolo, per la sussistenza del quale é necessario che gli alimenti di cui
si vuoi fare commercio abbiano attitudine ad arrecare nocumento alla salute
pubblica. Tale attitudine non può essere meramente ipotetica, occorrendo,
invece, un pericolo concreto i cui estremi, specificamente individuati, debbono
dare ragione dell'affermazione di responsabilità. La pericolosità, per essere
dimostrata, non abbisogna necessariamente di indagini peritali, poiché il
giudice di merito può ricavarla da qualsiasi mezzo di prova e dalla comune
esperienza" (Sez. 1, 23.9.2004, n. 41106, Molendino, m. 229746; conf. Sez. 1,
17.1.2007, n. 3532, Valastro, m. 235904); "In tema di commercio, detenzione o
distribuzione per il consumo di sostanze destinate alla alimentazione, il bene
giuridico tutelato dalle fattispecie previste dall'articolo 444 c.p. e articolo
452 c.p., comma 2, é costituito dalla "salute pubblica", che viene salvaguardata
anche attraverso la previsione normativa di un delitto inquadrabile nella
categoria dei reati c.d. "di pericolo concreto", per la cui esistenza é
necessario che le sostanze alimentari abbiano effettiva idoneità a porre in
pericolo la salute dei consumatori, pur non essendo richiesto che il nocumento
si sia già verificato o debba necessariamente verificarsi. Ne deriva che la
pericolosità delle sostanze non può essere valutata astrattamente, cioé come
situazione meramente ipotetica, ma deve essere accertata specificamente a mezzo
di adeguati strumenti probatoria (Sez. 1, 16.10.1996, n. 1367, Grimandi, m.
207707); "Il delitto di cui all'articolo 444 c.p. va inquadrato nella categoria
dei reati di pericolo concreto, nel senso che le sostanze alimentari abbiano
idoneità ad esporre effettivamente a pericolo la salute pubblica; la
pericolosità degli alimenti - cioé la possibilità che da essi derivi pregiudizio
al bene tutelato dalla norma - non può, dunque, essere valutata astrattamente
come situazione meramente ipotetica, sibbene deve essere fatta sulla base di
accertamento tramite gli strumenti probatori adeguati alle singole sostanze
alimentari collegate a sospetto" (Sez. 1, 13.5.1992, n. 6930, Turatta, m.
190585).
Trattandosi poi di delitto occorre il dolo. Al proposito, la giurisprudenza ha
affermato che "L'elemento soggettivo del delitto di cui all'articolo 444 c.p. é
costituito dal dolo generico, ravvisabile nella volontarietà del commercio di
sostanze alimentari nocive, conoscendone la loro pericolosità per la salute
pubblica" (Sez. 1, 16.10.1996, n. 1367, Grimandi, m. 207709); e che "Il dolo
necessario ad integrare la fattispecie criminosa di cui all'articolo 444 c.p.
consiste nella consapevolezza del pericolo che si può creare con la vendita del
prodotto; per l'affermazione di colpevolezza non occorre invece che l'agente
abbia posto in vendita le sostanze alimentari con la certezza del loro carattere
dannoso" (Sez. 1, 18.11.1966, n. 1423, Milone, m. 103537).
In sostanza, il delitto di commercio di sostanze alimentari nocive presuppone,
quanto all'elemento oggettivo, che le sostanze di cui si vuole fare commercio
abbiano attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica. Tale attitudine
non deve consistere in un pericolo meramente ipotetico, essendo necessario un
pericolo concreto, che deve sussistere al momento della cessione in vendita.
L'elemento soggettivo del delitto é costituito dal dolo generico, ravvisabile
nella volontarietà del commercio di sostanze alimentari nocive, conoscendone la
loro pericolosità per la salute pubblica.
Ai fini della configurazione del delitto deve quindi sussistere ed essere
provata la pericolosità della sostanza alimentare di cui si vuole far commercio
(in qualsiasi momento precedente o contestuale alla cessione del bene), la
consapevolezza del pericolo e la volontarietà del commercio.
Nel caso in esame, dunque, per la integrazione del reato occorre accertare che
l'agnello acquistato dalla sig.ra De. Lu. nel supermercato di (Omissis) alle ore
12.41, già al momento della vendita (cioé della consegna del bene
all'acquirente) fosse in concreto nocivo per la salute e che l'imputato (che é
il legale rappresentante della Es. Su. srl e che non risulta essere stato
presente alla vendita) fosse a conoscenza della noci vita, ossia della concreta
potenzialità nociva del prodotto.
Ora, la sentenza impugnata, innanzitutto manca di motivazione sull'esistenza
dell'elemento oggettivo, ossia sulla prova che l'agnello fosse già ammalorato, e
quindi pericoloso, al momento della cessione del bene. é infetti necessario che
la merce posta in vendita sia potenzialmente nociva già al momento della vendita
(o anche prima se detenuta per la vendita) a nulla rilevando che lo diventi in
seguito per cause successive ed estranee alla volontà del soggetto attivo del
reato. La pericolosità deve poi essere concreta ed oggetto di specifico
accertamento. Sul punto la sentenza impugnata contiene una motivazione meramente
apodittica, che, tra l'altro, non dà conto del fatto che la denunciante aveva
dichiarato che, al momento dell'acquisto, le fettine apparivano buone e che solo
il giorno dopo, quando aprì la confezione di cellophane, sentì un cattivo odore.
La sentenza ha poi Omissis di valutare per quanto tempo la vaschetta, acquistata
a (Omissis), era stata tenuta in macchina prima di essere riposta in frigo a
Guardia Sanframondi, dal momento che lo scontrino prodotto indica le ore 12.41 e
che la teste mise la carne nel frigo solo quando tornò a casa (non si capisce
bene, dalle sentenze di merito, se nel pomeriggio o la sera dello stesso
giorno). La sentenza impugnata ha anche Omissis di considerare sia che i vigili
sanitari successivamente prelevarono campioni di carni rosse e bianche e che le
analisi dettero esito negativo, sia che il veterinario della AUSL ha dichiarato
in dibattimento che la carne di agnello, se ben conservata, non poteva
raggiungere il grado di putrefazione che aveva la carne in questione e se
conservata in frigorifero non si poteva alterare in un solo giorno, mentre se
conservata a venti gradi si poteva alterare anche in 24 ore. Tutti questi
elementi, specificamente evidenziati con l'atto di appello, non sono stati presi
in considerazione e valutati dalla corte d'appello che ha Omissis di motivare sul
punto, limitandosi a richiamare la motivazione del giudice di primo grado, che
aveva apoditticamente affermato che la carne era già adulterata al momento della
vendita.
Per quanto poi concerne la sussistenza dell'elemento soggettivo, la corte
d'appello lo ha desunto dagli artifici che sarebbero stati posti in essere dal
macellaio all'atto della vendita della carne adulterata inducendo la denunciante
(che aveva chiesto carne tagliata al momento) ad acquistare il prodotto
preconfezionato. La motivazione é sia apodittica sia manifestamente illogica.
Innanzitutto, risulta dalle stesse sentenze di merito che la denunciante aveva
dichiarato che il macellaio addetto al supermercato le aveva risposto che non
era possibile tagliare la carne e le aveva indicato il banco dei
preconfezionati. Ora, non é spiegato perché in tale risposta dovrebbe
individuarsi addirittura un artificio diretto ad indurre la teste ad acquistare
carne avariata (senza peraltro nemmeno ipotizzare che tutte le confezioni
contenessero carne avariata o che fosse stato lo stesso macellaio a scegliere e
consegnare proprio la confezione avariata). Né, d'altro lato, é spiegato in che
cosa sarebbero consistiti gli artifici al di là della indicazione dello
scomparto dei preconfezionati. In ogni modo, la motivazione é anche
manifestamente illogica ed inconferente perché il comportamento che si ipotizza
artificioso ed induttivo e quindi l'elemento psicologico vengono riferiti al
macellaio che si trovava nel supermercato e che rispose alla De. Lu. , mentre in
questo processo é stato imputato e condannato non il macellaio ma il legale
rappresentante della società proprietaria del supermercato che ha sede legale a
(Omissis) e che nemmeno si assume che si trovasse nel supermercato al momento del
fatto. La corte d'appello probabilmente ha confuso con una contravvenzione in
materia alimentare, mentre, essendo stato contestato il delitto di cui
all'articolo 444 c.p., occorreva provare la sussistenza del dolo e della
consapevolezza della pericolosità in concreto della carne prima della vendita in
capo all'imputato Ba. Al. , legale rappresentante della società. Su questo
elemento del reato la motivazione manca completamente, perché la stessa si
riferisce esclusivamente al macellaio, mentre non sono state indicate le ragioni
per le quali il Ba. sarebbe stato consapevole dello stato di adulterazione del
prodotto in vendita e della sua pericolosità in concreto o comunque perché
avrebbe concorso nell'induzione e nell'artificio posto in essere dal macellaio.
Va ancora aggiunto che la sentenza impugnata ha anche Omissis di esaminare e
motivare sulle specifiche eccezioni sollevate con l'atto di appello, quali
l'attendibilità della denunciante e le contraddizioni nel suo racconto, la non
corrispondenza tra orario dichiarato e quello risultante dallo scontrino, le
modalità di conservazione, la scarsa valenza probatoria del solo scontrino, la
mancanza dell'etichetta con l'indicazione della natura del prodotto, della data
di confezionamento e del lotto di produzione.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame ad
altra sezione della corte d'appello di Napoli.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra
sezione della corte d'appello di Napoli.
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562