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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23 marzo 2011, n. 11650
RIFIUTI - Gestione di isole ecologiche - Conferimento di rifiuti speciali
pericolosi - Mancato rilascio dell’autorizzazione - Responsabilità penale del
Sindaco e del capo dell'Ufficio Tecnico - Rapporto di causalità con l'evento -
Sussistenza. Sussiste responsabilità per la realizzazione e gestione di una
discarica considerata come una vera e propria scelta programmatica e di
indirizzo politico rientrante nelle prerogative del Sindaco. In parallelo
sussiste una (cor)responsabilità del dirigente non già perché investito di
determinati compiti delegatigli dal Sindaco di turno ma in quanto funzionario in
posizione apicale del settore tecnico che materialmente ha coordinato l'attività
di gestione materiale della discarica coordinando l'azione di altri dipendenti
ed interloquendo con i funzionari e tecnici preposti al rilascio delle
autorizzazioni. Fattispecie: eco-piazzola all’interno della quale sarebbero
stati stoccati rifiuti pericolosi e non senza la necessaria autorizzazione.
(Annulla senza rinvio per intervenuta prescrizione sentenza del 24.04.2009 Corte
di Appello di Perugia) Pres. Ferrua, Est. Grillo, Ric. Cimicchi ed altri.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 23/3/2011 (Ud. 15 dic. 2010), Sentenza n.
11650
RIFIUTI - Deposito comunale temporaneo - Gestione di isole ecologiche -
Responsabilità penale - Assoggettabilità al regime più favorevole - Esclusione -
Art. 2 c. 2° c.p. - Art. 183 c. 1 lett. cc) del D. L.vo n. 152/06 - D.M.
8.4.2008. La natura di deposito comunale temporaneo non è assoggettabile al
regime più favorevole, ex art. 2 comma 2° c.p. previsto dall'art. 183 comma 1
lett. cc) del D. L.vo n. 152/06 come integrato dal successivo D.M. 8.4.2008 che
contempla sotto tale voce i c.d. "centri di raccolta" dettandone la specifica
disciplina, proprio perché i centri di raccolta si riferiscono ad attività di
raggruppamento di rifiuti urbani omogenei, mentre, nel caso in esame
(eco-piazzola all’interno della quale sono stati stoccati rifiuti pericolosi e
non), la eterogeneità dei rifiuti esclude che possano definirsi gli stessi
omogenei e soprattutto di origine unicamente urbana. (Annulla senza rinvio per
intervenuta prescrizione sentenza del 24.04.2009 Corte di Appello di Perugia)
Pres. Ferrua, Est. Grillo, Ric. Cimicchi ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE
Sez. III, 23/3/2011 (Ud. 15 dic. 2010), Sentenza n. 11650
RIFIUTI - Stazione ecologica comunale - Autorizzazione amministrativa -
Necessità - D. Lgs. 22/1997 - D. Lgs. 152/2006. La cd. "isola o piazzola
ecologica", deve ritenersi pacificamente centro di stoccaggio di rifiuti
necessitante, per la sua attivazione, della prevista autorizzazione, in quanto
in essa si svolge una fase preliminare alle attività di smaltimento o di
recupero dei rifiuti (Cass. Sez. 3 15.1.2008 n. 9103; Cass. Sez. 3 27.6.2005 n.
34665). (annulla sentenza del 24.04.2009 della Corte di Appello di Perugia).
Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.M. D'Ambrosio - Ric. Ci. St., Mo. St., M.M.A..
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23 marzo 2011, n. 11650
RIFIUTI - Attività di stoccaggio di batterie provenienti da parchimetri
comunali - Rilevanza penale - Artt. 51 D.Lgs 22/1997, 256 D.Lgs. 152/2006 -
Continuità normativa. E' corretta l'attribuzione di natura di rifiuti
speciali pericolosi non urbani alle batterie provenienti dai parchimetri
comunali, non certo smaltiti o smaltibili dai singoli cittadini, nonché agli
accumulatori di piombo esausti. L'attività di stoccaggio e recupero di dette
tipologie di rifiuti, senza la prescritta autorizzazione della P.A., rileva ai
sensi dell'art. 51 del Decreto Legislativo 5 febbraio del 1997, n. 22 (rispetto
al quale il Decreto Legislativo 3 aprile del 2006, n. 152, articolo 256 si pone
in termini di continuità normativa senza alcun effetto abrogativo o
derogatorio). (annulla sentenza del 24.04.2009 della Corte di Appello di
Perugia). Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.M. D'Ambrosio - Ric. Ci. St., Mo. St.,
M.M.A.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23 marzo 2011, n. 11650
RIFIUTI - Deposito temporaneo di rifiuti - Attività di stoccaggio -
Differenze - Art. 6, comma 1, lettera m), D.Lgs. 22/1997. Perché possa
parlarsi di deposito temporaneo e controllato di rifiuti, disciplinato
dall'articolo 6, lettera m) del Decreto Legislativo 5 febbraio del 1997, n. 22,
occorre il rispetto di tutte le condizioni dettate dalla norma sopra citata ed,
in particolare, il raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione ed il
rispetto dei tempi di giacenza riferiti alla natura e quantità dei rifiuti, con
la conseguenza che in caso di mancato rispetto di tali indefettibili condizioni
si deve parlare non più di deposito temporaneo ma di deposito preliminare o di
stoccaggio, attività per le quali é necessaria una preventiva autorizzazione
(Cass. Sez. 3, 28.5.2002 n. 20780; Cass. Sez. 3, 22.6.2004 n. 37879; Cass. Sez.
3, 25.2.2004 n. 21024). (annulla sentenza del 24.04.2009 della Corte di Appello
di Perugia). Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.M. D'Ambrosio - Ric. Ci. St., Mo.
St., M.M.A.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23 marzo 2011, n. 11650
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana
- Presidente
Dott. GRILLO Renato
- Consigliere est.
Dott. MULLIRI Guicla I.
- Consigliere
Dott. MARINI Luigi
- Consigliere
Dott. GAZZARA Santi
- Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CI. St., nato ad (Omissis);
Mo. St., nato ad (Omissis);
M.M.A., nato ad (Omissis);
avverso la sentenza emessa il 24.04.2009 dalla Corte di Appello di Perugia;
udita nella pubblica udienza del 15 dicembre 2010 la relazione fatta dal
Consigliere Dr. Renato GRILLO;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
D'AMBROSIO Vito che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per essere i
resti estinti per prescrizione;
uditi i difensori, Avv. FINETTI Sergio, Avv. SANTARELLI Guglielmo e Avv. VENTURI
Francesco.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MORIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 24 aprile 2009, la Corte di Appello di Perugia, in parziale
riforma della sentenza emessa in data 27 febbraio 2006 dal Tribunale di Orvieto,
appellata dall'imputato M. M. A. e dal Procuratore della Repubblica del
Tribunale di Orvieto, dichiarava CI. St. e Mo. St. - già assolti dal Tribunale
di Orvieto - colpevoli del reato di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997,
articolo 51, comma 1, lettera b) (attività di stoccaggio e recupero di rifiuti
pericolosi senza la prescritta autorizzazione della P.A.) in esso assorbito il
reato di cui al capo b) (Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, comma
1, lettera a) e b)) Fatti accertati in (Omissis) e, concesse ai medesimi le
circostanze attenuanti generiche prevalenti, condannava ciascuno di essi alla
pena - condizionalmente sospesa e con l'ulteriore beneficio della non menzione -
di mesi quattro di arresto ed euro 1.800,00 di ammenda oltre alle spese del
doppio grado di giudizio. Dichiarava, poi, non doversi procedere nei confronti
dei predetti imputati e nei confronti anche di M. M. A. in ordine alla
imputazione di cui al capo a) (reato di cui al Decreto Legislativo n. 22 del
1997, articolo 51, comma 1, lettera a, accertato nel medesimo luogo e tempo)
perché estinto il reato per intervenuta oblazione e confermava, nel resto la
sentenza impugnata, con condanna dell'appellante M. A. alle spese del grado.
Avverso la detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione tutti gli
imputati personalmente e a mezzo dei rispettivi difensori.
In particolare il ricorrente M. articolava sei distinti motivi.
Con il primo, deduceva contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, nonché travisamento della prova e erronea applicazione della legge
penale.
In particolare veniva prospettata una ipotesi di cd. "contraddittorietà
processuale" tra la motivazione e le opposte (o contrarie) risultanze
processuali consistente in un vero e proprio travisamento delle risultanze
probatorie che avrebbero condotto la Corte territoriale a ritenere l'imputato
colpevole di una condotta in realtà integrante diversa ipotesi di reato,
peraltro mai contestata.
A riprova di tale argomentazione, il ricorrente ha specificamente sostenuto che
la eco-piazzola all'interno della quale sarebbero stati stoccati rifiuti
pericolosi e non, in realtà non costituiva affatto un centro di deposito
contenente rifiuti di provenienza non urbana (cd. "rifiuti domestici") come tale
gestito dai Sindaci dell'epoca e dai funzionari tecnici di grado apicale del
Comune.
Il ricorrente, nel contestare la provenienza extraurbana di tali rifiuti (si
trattava di batterie esauste al piombo per telefonini e parchimetri e di
accumulatori, anch'essi al piombo) ha sostenuto che nel caso in esame la cd.
"eco-piazzola" altro non fosse che un deposito comunale contenente rifiuti
urbani, comunque inquadratole sotto lo schema normativo di cui al Decreto
Legislativo n. 22 del 1997, articolo 6, comma 1, lettera m), penalmente neutro.
Con il secondo motivo veniva dedotto analogo vizio motivazionale nella misura in
cui la Corte territoriale aveva ritenuto compresi in quel sito rifiuti
pericolosi di origine non comunale contrariamente alle risultanze probatorie
emerse in dibattimento.
Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto analogo vizio di motivazione nella
misura in cui la Corte di Appello aveva ritenuto ascrivibile sul piano
soggettivo la condotta ad esso imputato, nonostante fosse stata riconosciuta la
carenza di potere decisionale in merito alle scelte affidate in realtà a
soggetti politici, tanto da evidenziare una sostanziale disparità di trattamento
pur nella omogeneità delle posizioni funzionali rispetto a soggetti rivestenti
analoga qualifica e funzione, ma non oggetto di indagini penali, censurando
ancora una omessa motivazione in punto di differenziazione (esistente, ma non
operata) nella ripartizione delle funzioni tra organi "politici" (il sindaco) ed
organi "tecnici" (dirigente tecnico), dovendosi pertanto riconoscere una
inconfigurabilità in termini di rapporto di causalità tra la condotta e
l'evento, ascrivibile solo ad eventuali scelte politiche e dunque a soggetti
istituzionalmente a ciò preposti.
Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo illogicità di motivazione ed
errata applicazione di norma penale (articoli 42, 43 e 5 c.p.), ha sostenuto la
ricorrenza dell'errore di fatto scusabile, in realtà non rilevato dalla Corte
territoriale che sul punto avrebbe sostanzialmente omesso di motivare in merito
all'elemento soggettivo del reato, del tutto insussistente.
Con il quinto motivo il ricorrente deduceva erronea e falsa applicazione della
legge penale (Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articoli 31 e ss.) per essere
la Corte pervenuta alla illegittima conclusione di una responsabilità penale
anche per il reato sub b), previo assorbimento della relativa condotta nel reato
di cui al capo c). Rilevava, al riguardo l'inapplicabilità nel caso in esame
della Legge Regionale n. 14 del 2002, articolo 19, comma 3 emanata dalla regione
Umbria, posto che l'attività non era ancora iniziata. Censurava - ancora una
volta - le argomentazioni della Corte che avrebbe Omissis di motivare sul punto
relativo alla legittimità della cd. "isola ecologica" di (Omissis) per effetto di
disposizioni transitorie amministrative valevoli per le stazioni ecologiche già
in esercizio che legittimavano la prosecuzione della loro permanenza ed
attività.
Con il sesto, ed ultimo, motivo, il ricorrente ha dedotto contraddittorietà
della motivazione ed erronea e/o falsa applicazione della legge penale - in
particolare articolo 54 c.p. - nella parte in cui ha ritenuto insussistente il
dedotto stato di necessità non motivando alcunché sul punto. I ricorrenti CI. e
Mo. , già assolti in primo grado, e la cui posizione può essere trattata
congiuntamente attesa la sostanziale identità di posizione (diversificata
esclusivamente sul piano temporale) hanno articolato paralleli sei motivi,
sostanzialmente analoghi a quelli sviluppati dal ricorrente M. .
Unica differenza - per quanto riguarda il motivo sub 3) - é da rinvenire nel
fatto che, in modo del tutto incoerente e difforme rispetto alle risultanze
processuali, la Corte territoriale avrebbe individuato responsabilità in capo ai
due imputati nonostante l'assenza assoluta di rapporto di causalità tra la
condotta, in realtà ascrivibile al solo M. nella sua specifica qualità di organo
tecnico, e l'evento, omettendo di motivare sul punto ed anzi travisando le prove
(documentali e dichiarative) emerse.
Con memorie depositate in data 6 dicembre 2010 i difensori dei ricorrenti
ribadendo le ragioni addotte con i motivi di ricorso, rilevavano l'intervenuta
prescrizione dei reati maturata - anche sulla base di quanto affermato nella
sentenza impugnata nelle more tra la data del deposito della sentenza di appello
e la data di fissazione dell'udienza dinnanzi a questa Corte, invocando in via
subordinata la relativa declaratoria di improcedibilità. Nessuno dei motivi
contenuti nel ricorso principale - pur estremamente articolati - appare fondato.
Va premesso che la complessa vicenda giudiziaria che vede protagonisti i tre
ricorrenti nelle rispettive vesti, i primi due ( CI. e Mo. ) di Sindaco del
Comune di (Omissis) e il terzo ( M. ) di Dirigente dell'Ufficio Tecnico Comunale
di detta città, trae origine da un sopralluogo effettuato in data (Omissis) da
militari dell'Arma dei carabinieri appartenenti al Nucleo Operativo Ecologico di
Perugia, in occasione del quale si aveva modo di accertare che la stazione
ecologica del Comune di (Omissis) sita in località "(Omissis)" era costituita da
una superficie di circa 3000 mq. distinta in due zone, la prima delle quali
utilizzata per attività di rimessaggio dei mezzi adibiti per la raccolta dei
rifiuti urbani e la seconda utilizzata per la raccolta differenziata dei
rifiuti.
Prescindendo dal fatto che i rifiuti ammassati erano di natura mista (urbani e
non) oltre in parte pericolosi (essendo stata constatata la presenza di batterie
al piombo e batterie esauste provenienti dai parchimetri comunali), i militari
avevano accertato che la raccolta differenziata dei rifiuti era effettuata in
assenza della prescritta autorizzazione prevista dal Decreto Legislativo n. 22
del 1997, articoli 27 e 28 e quindi in violazione del disposto di cui al Decreto
Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, commi 1 e 3, in quanto sebbene fosse
stato comunicato sin dal 13 novembre 2001 da parte del Comune interessato
l'inizio della attività di smaltimento, la Provincia di Terni aveva opposto un
diniego all'inizio di tale attività per inidoneità dell'area in cui essa era
stata localizzata.
La constatata irregolarità aveva determinato il sequestro preventivo dell'area
revocato soltanto a seguito dell'autorizzazione postuma rilasciata dalla
provincia di Terni per l'esercizio di una stazione ecologica adibita anche alla
raccolta di rifiuti pericolosi.
Muovendo dalla premessa che le piazzole ecologiche essere qualificate come
centri di stoccaggio come tali assoggettati a regime autorizzatorio preventivo
da parte della Provincia, il Tribunale di Orvieto aveva comunque assolto il CI.
e il Mo. dai reati sub b) e c) per difetto dell'elemento soggettivo del reato,
rilevando come una volta impartiti gli atti di indirizzo e posto in condizione
gli uffici di operare, il conferimento di apposita delega delle rispettive
competenze in favore del dirigente responsabile dell'ufficio tecnico comunale
per il settore ambiente, Ing. M. li esimesse da responsabilità.
Quanto al M. la sua responsabilità derivava dal fatto che lo stesso, nella sua
specifica qualità di Dirigente dell'UTC preposto al settore ambiente, pur munito
di apposita delega sindacale e pur informato delle varie procedure da osservare
aveva omesso di attivarsi per richiedere una nuova istanza onde risolvere il
problema della temporanea inidoneità dell'area e non aveva nemmeno attivato i
poteri contingibili ed urgenti del Sindaco.
Avverso la condanna proponevano appello sia il M. - quanto alla sua statuizione
di condanna - che il Procuratore della Repubblica - con riferimento alla
assoluzione degli imputati CI. e Mo. .
Il relativo giudizio di appello veniva definito con la sentenza oggi impugnata
da tutti gli imputati.
Ciò posto e passando ad esaminare le censure dei ricorrenti CI. e Mo. , la cui
posizione può essere trattata congiuntamente attesa la sostanziale identità di
posizione (diversificata esclusivamente sul piano temporale), con il primo
motivo si sostiene una sorta di contraddittorietà definita "processuale" in cui
la Corte territoriale sarebbe incorsa travisando la prova.
Viene contestata l'affermazione - ritenuta apodittica - della Corte secondo la
quale nell'area interessata sarebbero confluiti rifiuti speciali pericolosi non
urbani che, in quanto tali, non potevano neanche essere riversati in quel sito
in quanto non idoneo a quella utilizzazione: affermazione apodittica in quanto
nessun elemento acquisito al processo autorizzava tale conclusione.
In ultima analisi a dire dei ricorrenti la condotta contestata (esercizio di una
attività di recupero e stoccaggio di rifiuti pericolosi in una stazione
ecologica senza autorizzazione) é stata invece ritenuta dalla Corte in concreto
come una vera e propria attività di traffico di rifiuti pericolosi.
Così prospettata la questione va subito osservato che la Corte ha esattamente
qualificato l'attività esercitata come attività di stoccaggio di rifiuti
convogliati in un'area (la cd. "isola o piazzola ecologica", da ritenersi
pacificamente centro di stoccaggio dei rifiuti necessitante per la sua
attivazione della prevista autorizzazione, in quanto in essa si svolge una fase
preliminare alle attività di smaltimento o di recupero dei rifiuti - v. sul
punto Cass. Sez. 3A 15.1.2008 n. 9103; Cass. Sez. 3A 27.6.2005 n. 34665) e con
motivazione esente da vizi logici ed ancorata a dati fattuali, ha correttamente
attribuito natura di rifiuti speciali pericolosi non urbani alle batterie
provenienti dai parchimetri comunali, non certo smaltiti o smaltibili dai
singoli cittadini ed agli accumulatori di piombo esausti.
E a completamento di tale giudizio in modo altrettanto esaustivo la Corte ha
chiarito che ragioni di ordine temporale (con riferimento ai tempi di
accumulazione) e quantitativo (con riferimento esplicito alle quantità addotte
nel sito) ostassero alla provenienza urbana di tali rifiuti che per la loro
specifica natura non potevano che provenire da attività commerciali (v. pag. 15
della sentenza impugnata).
Da qui la rilevanza penale della condotta esattamente inquadrata dalla Corte
nell'alveo della norma incriminatrice vigente all'epoca del fatto (Decreto
Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51 rispetto al quale il Decreto Legislativo
n. 152 del 2006, articolo 256 si pone in termini di continuità normativa senza
alcun effetto abrogativo o derogatorio.
Né muta la qualificazione data dalla Corte alla condotta contestata in relazione
alla circostanza dedotta dai ricorrenti che quell'isola abbia funzionato come
deposito temporaneo dei rifiuti prodotti dal Comune, da ricondursi nell'ambito
previsionale di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 6, comma 1,
lettera m).
Perché possa parlarsi di deposito temporaneo e controllato disciplinato
dall'articolo 6 citato, lettera m) occorre, infatti, il rispetto di tutte le
condizioni dettate dalla norma sopra citata ed, in particolare, il
raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione (e tale non era certamente
l'area de qua) ed il rispetto dei tempi di giacenza (indicati dalla Corte, sulla
base delle emergenze fattuali in due settimane) riferiti alla natura e quantità
dei rifiuti (anche questi indicati nel caso di specie nel loro esatto
quantitativo): con la conseguenza che in caso di mancato rispetto di tali
indefettibili condizioni si deve parlare non più di deposito temporaneo ma di
deposito preliminare o di stoccaggio, attività per le quali é necessaria una
preventiva autorizzazione (v. sul punto, tra le tante, Cass. Sez. 3A 28.5.2002
n. 20780; Cass. Sez. 3A 22.6.2004 n. 37879; Cass. Sez. 3A 25.2.2004 n. 21024).
Conseguentemente - e con riferimento, stavolta, al secondo motivo di ricorso - é
inesatto quanto sostenuto dai ricorrenti circa la natura di deposito comunale
temporaneo assoggettabile al regime più favorevole, ex articolo 2 c.p., comma 2
previsto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lettera
cc) come integrato dal successivo Decreto Ministeriale 8 aprile 2008 che
contempla sotto tale voce i cd. "centri di raccolta" dettandone la specifica
disciplina, proprio perché - come esattamente osservato dalla Corte - i centri
di raccolta si riferiscono ad attività di raggruppamento di rifiuti urbani
omogenei, mentre, nel caso in esame, la eterogeneità dei rifiuti esclude che
possano definirsi gli stessi omogenei e soprattutto di origine unicamente
urbana.
Quanto alla dedotta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
in ordine al mancato conferimento di specifica delega da parte dei due imputati
- ciascuno in relazione al tempo di espletamento delle proprie funzioni di
Sindaco - all'Ing. M. , osserva la Corte che il rilievo non può essere accolto.
In sostanza secondo la prospettazione difensiva, avendo la Corte affermato che
il M. era sprovvisto di apposita delega, per poi individuare un profilo di
responsabilità nel M. in quanto a conoscenza di tutti i problemi inerenti alla
gestione della eco-piazzola, vi sarebbe una contraddizione tra le due
proposizioni.
Tale contraddizione, però, non sussiste in quanto la Corte di Appello ha
individuato la responsabilità del CI. e del Mo. nella realizzazione e gestione
della discarica considerata come una vera e propria scelta programmatica e di
indirizzo politico rientrante nelle prerogative del Sindaco: in parallelo é
stata individuata una (corresponsabilità del M. non già perché investito di
determinati compiti delegatigli dal Sindaco di turno ma perché il funzionario in
posizione apicale del settore tecnico che materialmente aveva coordinato
l'attività di gestione materiale della discarica coordinando l'azione di altri
dipendenti ed interloquendo con i funzionari e tecnici della Provincia di Terni.
Ne deriva che quella ipotizzata contraddizione non solo non può configurarsi in
riferimento alle diverse aree di responsabilità in cui operavano il Sindaco e il
capo dell'Ufficio Tecnico ma neanche all'interno della posizione del M. in sé
considerata posto che egli viene chiamato in causa, indipendentemente dal
conferimento o meno di una delega (conferimento mai avvenuto), esclusivamente
perché coinvolto in senso materiale nella gestione della discarica e ben
consapevole di tutti i problemi insorti con la Provincia di Terni a causa del
mancato rilascio della autorizzazione all'attivazione della discarica, il cui
inizio, peraltro, era stato comunicato dal Sindaco nell'ambito di quegli
interventi di indirizzo politico di cui si é dianzi detto.
Affermare allora che la condotta del Sindaco non si pone in rapporto di
causalità con l'evento é inesatto, così come incongruo appare il richiamo ad una
precedente sentenza di questa stessa Corte (Cass. Sez. 3A 1.7.2004 nr. 28674) la
quale nell'indicare il discrimine tra attività di indirizzo
programmatico-politico (rientrante nei compiti istituzionali del Sindaco) e
attività materiale di gestione tecnico-amministrativa (rientrante nei compiti
del dirigente amministrativo (o tecnico) del settore, ha attribuito a ciascuno
dei due soggetti responsabilità specifiche che, se non assolte convenientemente,
implicano una responsabilità individuale a titolo diretto.
Quanto alla asserita violazione della legge penale per non avere la Corte tenuto
conto dei possibili equivoci interpretativi derivanti dalla congerie di accordi
ed iniziative locali succedutesi in quel periodo (il riferimento é ad un accordo
di programma intercorso tra le Province di Perugia e Terni nel corso del 2001 in
base al quale non tutte le isole ecologiche erano assoggettate ad autorizzazione
preventiva ma solo quelle in cui era prevista la cernita ed il raggruppamento su
particolari tipologie di rifiuti; ad una Determinazione Regionale che aveva
inizialmente ammesso a finanziamento comunitario il progetto elaborato dal
Comune; alla Legge Regionale 31 luglio 2002, n. 14 concernente la sospensione
delle cd. "procedure semplificate" in attesa della individuazione delle aree non
idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti nei termini
indicati all'articolo 19 stessa Legge Regionale, comma 2, lettera d); alla Delib.
Provincia Regionale Terni 15 dicembre 2003 avente per oggetto la individuazione
delle aree non idonee e il consenso ad una prosecuzione delle attività per
quelle imprese (o Enti) che avessero prima di allora iniziato l'attività di
recupero dei rifiuti), la Corte di Appello ha non solo ritenuto che i soggetti
interessati (i due Sindaci e il tecnico) versassero in colpa (già in sé idonea a
far configurare il reato) ma addirittura che si profilasse un vero e proprio
contegno doloso posto che sia i due Sindaci, sia il M. erano ben consapevoli
delle varie irregolarità in cui versava l'isola ecologica in quanto ritenuta
inidonea ed ancor prima, proprio per effetto della sospensione imposta dalla
Provincia di Terni: così come i detti soggetti erano perfettamente consapevoli
della necessità della preventiva autorizzazione senza che potessero profilarsi
quei dubbi interpretativi indicati dalla difesa.
Ciò impedisce di riconoscere ingresso all'errore scusabile invocato dai
ricorrenti in ordine alla cui irrilevanza la Corte ha comunque - sia pure per
implicito - motivato laddove ha fatto cenno della normativa di riferimento e ciò
nonostante della precisa intenzione dei soggetti di proseguire in una attività
da interrompersi in quanto divenuta illegittima. Per ciò che concerne il motivo
riguardante l'erronea e falsa applicazione della legge (Legge Regionale Regione
Umbria n. 14 del 2002, articolo 19 relativa alla sospensione delle procedura
semplificate per le quali fosse stato comunicato l'inizio delle attività senza
che l'attività stessa fosse stata intrapresa), il rilievo non appare fondato
avendo correttamente la Corte evidenziato come l'intervento negativo della
Provincia di Terni volto proprio ad impedire che il Comune di (Omissis) era
inibito ad avviare l'attività recupero dei rifiuti é la riprova eloquente del
pieno rispetto della Legge Regionale che imponeva una sospensione proprio nei
confronti di attività di smaltimento non ancora avviate intendendosi per tali
quelle materialmente messe in esercizio e non rilevando a tale fine la
circostanza che inizialmente il progetto presentato dal Comune alla regione
fosse stato ammesso al finanziamento.
Anche la tesi dell'invocato stato di necessità non rileva in quanto oltre a non
essere stata dimostrata, in ogni caso non risulta da alcuna circostanza in atti
che tale supposto stato di necessità legittimasse l'iniziativa del Comune: e
comunque nessuno dei due Sindaci interessati non risulta che abbia invocato tale
specifica situazione, sicché nessuna censura può essere mossa alla Corte su tale
particolare aspetto del problema.
Conclusivamente deve dirsi che stante l'infondatezza dei motivi di ricorso
questi dovrebbero essere rigettati.
Tuttavia proprio perché nessuno dei motivi addotti a sostegno del ricorso appare
manifestamente infondato, l'intervenuto decorso del termine prescrizionale
nonostante le sospensioni del corso della prescrizione già segnalate nella
sentenza impugnata (v. pag. 21 della sentenza) impongono l'annullamento senza
rinvio della sentenza per essersi i reati sub a), b) e c) estinti per
intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essersi i reati estinti per
intervenuta prescrizione.
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1974-9562