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CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. IV, 7/04/2011, Sentenza n. 13777
SICUREZZA SUL LAVORO - BOSCHI - Obblighi del datore di lavoro - Operazioni di taglio
alberi di alto fusto - Caduta anomala di un albero - Violazione della distanza
di sicurezza dal raggio di caduta dell'albero - Infortunio e decesso del
lavoratore - Mancata adozione di misure di protezione e di vigilanza -
Responsabilità del datore di lavoro - Fondamento giuridico - Art. 2087 c.c.
Il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le
attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei
dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo
i rischi connessi all'attività lavorativa. Tale obbligo si riconduce, oltre che
alle disposizioni specifiche, più generalmente, al disposto dell'articolo 2087
c.c., in forza del quale il datore di lavoro é comunque costituito garante
dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei
prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi
all'obbligo di tutela, l'evento lesivo verificatosi in danno del lavoratore
correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo
40 c.p., comma 2, (Cass., Sez. IV, 8 luglio 2009, Fontanella). Fattispecie in
tema di omicidio colposo di un lavoratore durante operazioni di taglio di alberi
di alto fusto per caduta anomala di un albero e violazione della distanza di
sicurezza dal raggio di caduta dell'albero. (conferma sentenza
n. 3784/2007 della Corte di Appello di Firenze, del 03/05/2010). Pres. Zecca -
Est. Piccialli - P.G. Monetti - Ric. Ma. Ma. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. IV,
7/04/2011, Sentenza n. 13777
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino
- Presidente
Dott. FOTI Giacomo
- Consigliere
Dott. IZZO Fausto
- Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto
- Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia
- rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Ma. Ma. n. il (Omissis);
avverso la sentenza n. 3784/2007 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 03/05/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/02/2011 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
udito il P.G. in persona del Dott. MONETTI Vito che ha concluso per il rigetto
del ricorso;
udito il difensore avv. Cesaretti Gianfelice del Foro di Lucca che ha concluso
per l'accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha confermato la
sentenza di primo grado che aveva ritenuto MA. Ma. , legale rappresentante della
omonima ditta di legnami, responsabile del reato di omicidio colposo aggravato
dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore Le.
Ml. (fatto occorso in data Omissis). L'incidente si verificava durante il
taglio di alberi: mentre il Ma. stava tagliando una pioppo, alto circa 40 metri,
con una macchina simile ad un escavatore dotata di sega e pinza, l'albero,
cadendo in una direzione anomala rispetto agli altri (per una improvvisa ventata
o perché i rami si erano impigliati nell'albero vicino, secondo la tesi
difensiva), si abbatteva sul Le. , che, insieme ad un altro, era intento al
taglio dei rami e delle frasche in eccesso, colpendolo di spalle e provocandone
la morte.
La sentenza impugnata ha confermato la responsabilità del Ma. ravvisando a suo
carico profili di colpa generica per l'esecuzione del taglio in maniera errata e
comunque per l'omessa adozione di particolari cautele imposte dalla pericolosità
dell'operazione e profili di colpa specifica per violazione della distanza di
sicurezza dal raggio di caduta dell'albero, individuando nel rispetto di tale
distanza, e non nelle cautele indicate dal primo giudice, l'unico possibile
rimedio ai pericoli insiti nell'attività di taglio di alberi di alto fusto.
Sotto tale ultimo profilo ha fatto riferimento alle norme di buona prassi
elaborate dalla Regione Piemonte - che impongono secondo la ricostruzione
operata in sentenza, ma contestata dal difensore, una distinzione tra la zona di
abbattimento (un'area con un angolo di 45 gradi per lato, con raggio doppio
rispetto all'albero) e zona di pericolo (tutto il resto della zona circolare
rispetto all'albero, sempre di raggio doppio) - precisando che, pur non avendo
le stesse alcun valore giuridico nel caso in esame, dimostrano che é possibile
dare contenuto concretamente attuabile alla previsione giuridica di cautele
idonee ad evitare infortuni nell'ambito dell'attività lavorativa in oggetto.
Alla luce di tale rilievo, i giudici di appello escludevano la fondatezza della
tesi difensiva dell'improvviso apparire dei due lavoratori, che avrebbero
percorso circa trenta metri (pari all'altezza dell'albero) nei due/tre secondi
durante i quali gli stessi furono nascosti alla vista del Ma. dal braccio della
macchina.
Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione MA. Ma. ,
articolando due motivi, strettamente connessi.
Con il primo lamenta la manifesta illogicità della motivazione sostenendo che il
ragionamento della Corte di merito partiva dalla premessa errata che il raggio
della zona di pericolo fosse doppio e non pari all'altezza della pianta, così
travisando il contenuto delle richiamate norme di buona prassi elaborate dalla
Regione Piemonte e dal Trentino ed escludendo l'abnorme comportamento dei
lavoratori, che imprevedibilmente avrebbero fatto ingresso nella zona di
pericolo.
Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione anche
con riferimento alla valutazione della inadeguatezza delle disposizioni interne
elaborate dalla ditta dell'imputato, essendo evidente l'irrilevanza sul piano
eziologico della disposizione inadeguata non rispettata.
I motivi, strettamente connessi, in quanto investono il giudizio di
responsabilità, meritano trattazione congiunta.
II ricorso é infondato.
La sentenza é correttamente motivata nel riferire all'imputato, nella
incontestata qualità di legale rappresentante della ditta di legnami, per cui
lavorava l'operaio decedutogli obblighi inerenti alla sicurezza dei lavori che
si svolgevano nel cantiere da lui diretto e che comportavano l'apprestamento
delle necessarie misure di protezione e la vigilanza sulla loro adozione.
Questa conclusione é coerente con il ruolo del datore di lavoro e con le
responsabilità che da questo al medesimo derivano.
La decisione é in linea, in punto di diritto, con la giurisprudenza costante di
questa Corte secondo la quale é principio non controverso quello secondo cui il
datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività
lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti
delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi
connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che
alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto
dell'articolo 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro é comunque
costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità
morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non
ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene
imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2, (di
recente, tra le tante, Sezione 4, 8 luglio 2009, Fontanella, non massimata).
Il pericolo di caduta dell'albero é, infatti, un dato coessenziale alle
operazioni di taglio del legname e grava, pertanto, sul datore di lavoro
l'obbligo di prevedere prassi adeguate per prevenire danni alla salute delle
persone, anche non lavoratori, che operano in quel settore.
In tal senso é da intendere il riferimento operato dalla Corte di merito ai
protocolli elaborati dalla Regione Piemonte e dal Trentino, che, pur non
direttamente applicabili alla fattispecie in esame, sono state richiamate
dall'operatore della ASL in dibattimento, nella qualità di teste, ed utilizzate
dal giudice di appello per dimostrare la possibilità di individuare in concreto
regole di condotta al fine evitare o, comunque, confinare il rischio consentito,
strettamente inerente ad un'attività intrinsecamente pericolosa quale quella del
taglio di albero di alto fusto.
La questione riproposta in questa sede dalla difesa, afferente l'asserito
travisamento operato dai giudici di appello sulla estensione del raggio della
zona di pericolo (pari all'albero, secondo il difensore e non doppio come
sostenuto in sentenza) appare priva di rilevo nella fattispecie in cui, come
emerge dalla sentenza impugnata ed, in particolare, dalla descrizione
dell'infortunio, al momento dell'incidente i lavoratori si trovavano entro il
raggio di caduta dell'albero e non in quello di pericolo.
La sentenza é altresì correttamente motivata nell'individuare un ulteriore
profilo di responsabilità dell'imputato, sub specie di colpa generica, quale
autore della errata manovra del taglio dell'albero, eseguita senza l'adozione
delle particolari cautele imposte dalla particolare altezza e pesantezza degli
alberi.
Sul punto i giudici di merito hanno correttamente evidenziato che lo stesso
imputato aveva ammesso che l'anomala caduta del pioppo era stata determinata
probabilmente dal fatto che un ramo si era impigliato in un albero vicino,
cagionando una rotazione di 90 gradi ed una caduta della pianta in posizione
perpendicolare rispetto a quella prevista e di non essere riuscito ad
intervenire.
Del tutto infondata é la censura, volta a prospettare l'interruzione del nesso
causale basata sul comportamento imprudente della vittima, che, insieme al
compagno di lavoro, avrebbero inopinatamente assunto l'iniziativa di avvicinarsi
nella zona di pericolo, contravvenendo a precisi disposizioni. La doglianza é
infondata, non emergendo dalla ricostruzione dei fatti, così come operata dai
giudici di merito, alcun elemento rispetto al quale possa porsi un profilo di
abnormità della condotta del lavoratore, tale da legittimare la pretesa
interruzione del nesso causale.
Sul punto, la sentenza impugnata ha evidenziato che il Le. venne colpito
dall'albero alla schiena, ciò dimostrando come l'operaio stesse in quel momento
segando i rami di una pianta già abbattuta e non certo camminando dalla zona di
sicurezza verso quella di pericolo.
Le considerazioni del ricorrente, a ben vedere, si risolvono in una opinabile
diversa ricostruzione delle modalità di comportamento del lavoratore che non
possono avere ingresso in sede di legittimità.
Il ricorso, pertanto, va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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