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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 8/04/2011, Sentenza n. 14042
RIFIUTI - Attività di demolizione e rottamazione autoveicoli - Attività
organizzate per il traffico illecito di rifiuti - Rapporto di specialità tra
D. Lgs. n.152/2006 e D.Lgs. n. 209/2003 - Esclusione. Non può configurarsi
rapporto di specialità tra la disciplina normativa di cui al Decreto Legislativo
3 aprile 2006 n. 152 e quella di cui al Decreto Legislativo, posto che la
disciplina contenuta nel Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 209, afferisce
al complesso delle operazioni necessarie per la rottamazione dei veicoli fuori
uso, dovendosi intendere per tali quelli non soltanto rottamati ma soprattutto
completamente bonificati: di conseguenza una rottamazione effettuata in spregio
ai criteri indicati in detta normativa equivale ad attrarre tale condotta
nell'orbita della "alternativa" e più grave disciplina prevista dal Decreto
Legislativo n. 152 del 2006 che non si pone, quindi come lex specialis
rispetto alla prima. (Fattispecie,
avente ad oggetto: la demolizione sistematica di veicoli rottamati ridotti in
"pacchi" e poi compattati in "cubi", in assenza di bonifica degli autoveicoli
come d'obbligo; la raccolta e il trasporto di rifiuti pericolosi costituiti dai
residui provenienti dai veicoli non adeguatamente bonificati e il ricorso a
certificazioni non veritiere attestanti il trasporto di veicoli fuori uso non
bonificati fatti passare come veicoli bonificati, nell'ambito di una attività
delinquenziale organizzata, rispetto alla quale le varie operazioni di raccolta,
trasporto e smaltimento costituivano i delitti-fine - artt. 416, 483 c.p. e 260 D.Lgs. 152/2006). (conferma ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli del
1/02/2010 che ha confermato il decreto di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. emesso dal GIP del Tribunale di Napoli in data 10/02/2009). Pres. Ferrua
- Est. Grillo - P.M. D'Ambrosio - Ric. De. Pr. Ma. e De Pr. Fr. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 8/04/2011, Sentenza
n. 14042
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana
- Presidente
Dott. GRILLO Renato
- est. Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla
- Consigliere
Dott. MARINI Luigi
- Consigliere
Dott. GAZZARA Santi
- Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
-
sul ricorso proposto da:
1)
De. Pr. Ma.;
2)
De. Pr. Fr.;
-
avverso la ordinanza dell'1.02.2010 del Tribunale - Sezione Riesame - di Napoli;
-
udita nella udienza del 15 dicembre 2010 la relazione fatta dal Consigliere Dr.
Renato GRILLO;
-
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
D'AMBROSIO Vito, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ordinanza dell'1 febbraio 2010 il Tribunale del Riesame di Napoli ha
confermato il decreto di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. emesso dal
GIP del Tribunale di Napoli in data 10 febbraio 2009 nei riguardi di De. Pr.
Fr., De. Pr. Ma. e De. Pr. Pa., avendo ritenuto sussistente sia il fumus
commissi delicti (reati previsti dall'articolo 416 c.p. e Decreto
Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260 e articolo 483 c.p.), che il
periculum in mora.
Il sequestro in parola riguardava società e relativi beni aziendali della CA.
s.r.l. e della DE. FR. s.r.l. riconducibili agli indagati.
Con il provvedimento impugnato il Tribunale del Riesame, dopo aver ripercorso le
vicende oggetto dell'indagine ha ritenuto sussistere il compendio gravemente
indiziario e il pericolo connesso alla libera disponibilità dei beni.
Ha proposto ricorso il difensore degli indagati deducendo, con il primo motivo,
violazione di legge in relazione ad entrambe le ipotesi delittuose contestate,
rilevando come nel caso in esame l'unica disciplina sanzionatoria applicabile
fosse quella di cui al Decreto Legislativo n. 209 del 2003.
Ha, conseguentemente contestato l'alternatività tra le due diverse disposizioni
di legge, ritenuta invece dal Tribunale.
Con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge in relazione alle dette
disposizioni penali come contestate ai capi a), b) ed e) della rubrica,
ritenendo che nella specie si trattasse di violazione di genere
contravvenzionale che escludono la configurabilità del delitto associativo
contestato.
Con il terzo motivo ha denunciato violazione di legge in relazione al delitto di
cui all'articolo 483 c.p., contestando la sussistenza o configurabilità
dell'ipotizzato delitto di falso ideologico, oltre che illogicità della
motivazione nella parte in cui si é ritenuto di estendere tout court la
responsabilità indifferenziata a tutti gli indagati per il delitto di falso.
Ha, sempre con il detto motivo, denunciato violazione di legge in relazione al
disposto di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260, ritenendo
che nella specie fosse configurabile l'ipotesi disciplinata dal cit. Decreto
Legislativo, articolo 258, dovendosi escludere che nel caso in esame si
trattasse di rifiuti pericolosi come, invece, ritenuto con l'ordinanza
impugnata.
Ha, con l'ultimo motivo, denunciato violazione di legge per errata applicazione
dell'articolo 321 c.p.p. nella parte relativa alla sussistenza delle esigenze
cautelari, asseritamente insussistenti.
Il ricorso non é fondato.
Con motivazione articolata, ancorché effettuata per relationem con
riferimento ad altro similare procedimento definito dal Tribunale del Riesame
con ordinanza del 28 gennaio 2010 che vedeva protagonisti altri soggetti oltre
che gli odierni ricorrenti De. Pr. Ma. e De. Pr. Fr., l'ordinanza impugnata ha
analiticamente descritto le condotte dei due indagati - per quanto rileva in
questa sede - nell'ambito della loro attività di impresa addetta (ed
autorizzata) alla demolizione e rottamazione di autoveicoli, nonché allo
stoccaggio provvisorio, ed ancora, alla cernita e trattamento dei rifiuti
derivanti dall'attività di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi e non
pericolosi.
Tali condotte sono state dettagliatamente descritte e costituiscono il
presupposto fattuale preso in considerazione dal Tribunale sia per ritenere
illecita l'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti effettata dalle imprese
direttamente riconducibili ai due odierni ricorrenti (in sintesi una demolizione
sistematica dei veicoli rottamati ridotti in "pacchi" e poi compattati in
"cubi", senza che tali autoveicoli venissero bonificati compiutamente come
d'obbligo; raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi costituiti dai residui
provenienti dai veicoli non adeguatamente bonificati e ricorso a certificazioni
non veritiere attestanti il trasporto di veicoli fuori uso non bonificati fatti
passare come veicolo bonificati: il tutto nell'ambito di una attività
delinquenziale organizzata, rispetto alla quale le varie operazioni di raccolta,
trasporto e smaltimento costituivano i delitti-fine).
Nel ricorso vengono sostanzialmente riproposte doglianze che già erano state
formulate nell'ambito di un diverso e similare procedimento definito con
identica ordinanza di conferma del sequestro cautelare.
Si tratta di censure che anzitutto ripropongono il tema del rapporto di
specialità tra la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 sub
specie dell'articolo 260 e quella - definita dei ricorrenti specifica - di cui
al Decreto Legislativo n. 209 del 2003.
Tale preteso rapporto di specialità non può configurarsi nella specie, posto che
la disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 209 del 2003 afferisce al
complesso delle operazioni necessarie per la rottamazione dei veicoli fuori uso,
dovendosi intendere per tali quelli non soltanto rottamati ma soprattutto
completamente bonificati: di conseguenza una rottamazione effettuata in spregio
ai criteri indicati in detta normativa equivale ad attrarre tale condotta
nell'orbita della "alternativa" e più grave (come correttamente definita dal
Tribunale) disciplina prevista dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 che non
si pone, quindi come lex specialis (come preteso dalla difesa dei
ricorrenti) rispetto alla prima.
Anche per quel che riguarda l'ipotizzata - sempre a livello di fumus commissi
delicti - associazione per delinquere, l'ordinanza impugnata non solo ha
fatto buon governo dei principi generali che presiedono alla fattispecie
delittuosa in esame ma ha enumerato ruoli, organigramma, reati-fine e rapporti
tra singoli soggetti fisici (spesso tra loro imparentati, ma anche tra loro
estranei) e cointeressenze di tali soggetti in numerose società operanti nel
medesimo settore.
Le censure dei ricorrenti non colgono, quindi nel segno, laddove ritengono
insussistente - nemmeno a livello indiziario - la associazione per delinquere,
in quanto i vari elementi enucleati dal Tribunale per confermare la
configurabilità dell'associazione criminale sono assolutamente compatibili con
la struttura delle aziende riconducibili agli indagati: ed anzi, la circostanza
che in essa tutti, dai vertici ai dipendenti di minore livello cooperino nella
realizzazione di un vero e proprio ciclo produttivo illecito é la migliore
dimostrazione della solidità del gruppo criminale e della suddivisione dei
compiti, oltre che della stabilità del vincolo.
In questo senso nessuna illogicità é dato cogliere nella affermazione del
Tribunale di un "gruppo saldo e organizzato al cui interno ciascuno ha un
compito ben preciso" (v. pag. 23 dell'ordinanza impugnata) e soprattutto di un
gruppo variamente composito e non circoscritto all'organigramma societario CA. -
DE. FR. (società, quest'ultima, satellite della prima e riconducibile a De. Pr.
Pa. , fratello dei due odierni ricorrenti), in quanto a tali affermazioni il
Tribunale é pervenuto sulla base di una corretta ed esaustiva analisi
riguardante le singole attività poste in essere dai vari gruppi e l'intreccio
dei rapporti tra tali gruppi.
é quindi da disattendere la tesi difensiva che vorrebbe una vera e propria
sovrapposizione di condotte e contestazioni, esclusa radicalmente dall'ordinanza
impugnata con argomentazione persuasiva e logica oltre che aderente ai vari
elementi indiziari raccolti ed analizzati.
Quanto poi alle specifiche censure di erronea applicazione della legge penale
(Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260) non può non sottolinearsi
che si tratta in realtà di una serie di doglianze che attengono ad una diversa
ricostruzione del fatto, non ammissibile in questa sede, con specifico
riferimento proprio alla qualificazione dei rifiuti pericolosi data dal
Tribunale sulla base di precisi riscontri fattuali (controlli visivi;
videoriprese; analisi chimica dei residui provenienti dai veicoli rottamati;
intercettazioni).
La nozione di abusività dell'attività elaborata dal Tribunale appare poi
rispondete a logico così come il traffico organizzato di rifiuti, senza che la
relativa fattispecie come delineata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006,
articolo 260 possa sovrapporsi al delitto di cui all'articolo 416 c.p. per
quelle ragioni strettamente giuridiche enunciate dal Tribunale che vedono le due
fattispecie distinguersi nettamente tra loro senza che possa ravvisarsi alcuna
interferenza.
Anzi, rispetto al delitto associativo configurato dall'articolo 416 c.p., le
attività di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260
rappresentano i delitti-fine rientranti nel programma delittuoso congegnato da
tempo e reiterato di continuo dai vari sodali - tra i quali i due odierni
ricorrenti.
Anche con riguardo agli aspetti concernenti l'ingente quantitativo dei rifiuti e
il dolo specifico di profitto ingiusto tipico della norma incriminatrice
speciale, il Tribunale ha fornito una illustrazione conforme a legge e
pienamente corrispondente alla realtà fattuale non incorrendo quindi in alcuno
dei vizi logici denunciati dai ricorrenti.
Analoga conclusione va fatta anche per quanto riguarda il fumus commissi
delicti riferito all'articolo 483 c.p., in quanto il Tribunale ha motivato
la sussistenza (rectius, la configurabilità sul piano indiziario) di tale
delitto ricavandola proprio dalle intercettazioni in cui vi sono chiarissimi
accenni all'uso distorto dei certificati di trasporto riflettenti una realtà
diversa da quella astratta che i detti documenti avrebbero dovuto attestare.
In questo senso quindi deve escludersi la fondatezza del rilievo difensivo che
pretenderebbe di affermare che la contestazione di tale fattispecie - per come
valutata dal Tribunale - sarebbe frutto di una errata applicazione della norma
penale, in quanto in modo logico ed esente da vizi motivazionali il Tribunale ha
descritto il reale contenuto dei certificati che, in quanto non rispondenti al
vero non possono che rientrare nello schema punitivo di cui all'articolo 483 c.p..
In ultimo, con riguardo alla denunciata violazione di legge in punto di ritenuta
sussistenza delle esigenze cautelari, va anzitutto escluso che queste dovessero
essere riguardate alla luce del disposto di cui al Decreto Legislativo n. 152
del 2006, articolo 256 come riduttivamente sostenuto dalla difesa dei
ricorrenti, in quanto ben più gravi essere si profilano rispetto ai reati di
associazione per delinque ed attività organizzata di raccolta, trasporto e
smaltimento dei rifiuti come ipotizzati dal Tribunale.
Inoltre il Tribunale ha sottolineato l'attualità del pericolo di reiterazione di
condotte dello stesso tipo rispetto alle quali la difesa non sembra opporre
obiezioni specifiche essendosi soltanto limitata a sostenere che si verserebbe
in una diversa e meno grave ipotesi contravvenzionale legata alla errata
esecuzione del procedimento di bonifica dei mezzi rottamati da compattare in
cubi che, viceversa, costituisce proprio il nucleo fondante della imputazione di
cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260.
Né può trovare ingresso il principio enunciato dai ricorrenti della
insuscettibilità dei beni ad essere confiscati (versandosi semmai nella opposta
ipotesi della confisca obbligatoria laddove l'originaria ipotesi accusatori oggi
allo stato indiziario dovesse essere confermata nel prosieguo delle indagini) o
della illegittimità del sequestro connesso alla necessità di una prosecuzione
dell'attività lavorativa delle aziende del gruppo in quanto fonte di produzione
industriale (in realtà del tutto illecita) e di lavoro per i dipendenti delle
singole società (in realtà, anche questi almeno in parte coinvolti direttamente
nella commissione di reati). Al rigetto del ricorso segue la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna singolarmente i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
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