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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 27/04/2011 (Ud. 16/03/ 2011) Sentenza n. 16446
DIRITTO DELLE ACQUE - Reflui da attività domestiche - Indicatore della
provenienza - Natura - Grandi comunità (alberghi, ospedali etc.) - Verifica
delle effettive caratteristiche chimiche e fisiche - Necessità. In tema di
scarichi, l'indicatore della provenienza dei reflui da attività domestiche è un
concetto chiaramente riferibile alla convivenza e coabitazioni di persone, ma
che non può prescindere, specie quando riguarda grandi comunità (alberghi,
ospedali etc.), da una considerazione anche delle effettive caratteristiche
chimiche e fisiche delle acque reflue che devono essere corrispondenti non tanto
per quantità, quanto per qualità a quelli derivanti dai comuni nuclei abitativi.
(conferma sentenza del 15/1/2008 Tribunale di Firenze) Pres. Ferrua, Est.
Ramacci, Ric. Ciappi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 27/04/2011 (Ud.
16/03/ 2011) Sentenza n. 16446
DIRITTO DELLE ACQUE - Tutela delle acque dall'inquinamento - Acque reflue
"domestiche" ed "industriali" - Distinzione - Potenzialità inquinante. La
nozione di acque reflue industriali va ricavata dalla diversità del refluo
rispetto alle acque domestiche ed in essa rientrano tutti i reflui derivanti da
attività che non attengono strettamente alla coabitazione ed alla convivenza di
persone, al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche (Cass. Sez.
III 2/12/2002 n. 42932). La differenza principale ed il conseguente diverso
trattamento da parte del legislatore tiene conto della minore potenzialità
inquinante dei reflui che provengono da attività domestiche e dal metabolismo
umano. Pertanto, regge una stretta e logica correlazione tra attività svolta,
titolare della stessa ed autorizzazione allo scarico. (conferma sentenza del
15/1/2008 Tribunale di Firenze) Pres. Ferrua, Est. Ramacci, Ric. Ciappi.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 27/04/2011 (Ud. 16/03/ 2011) Sentenza n.
16446
DIRITTO DELLE ACQUE - Rilascio dell'autorizzazione allo scarico - Esigenze di
tutela delle acque dall'inquinamento - Preventiva verifica della compatibilità -
Enti Consortili - Semplificazione procedurale - Eccezione. La finalità del
regime autorizzatorio degli scarichi è quella di consentire alle autorità
competenti una preventiva verifica della compatibilità dello stesso con le
esigenze di tutela delle acque dall'inquinamento. Di conseguenza
l'autorizzazione viene rilasciata al titolare dell'attività, previo controllo
delle qualità soggettive di affidabilità a garanzia, già nella fase preliminare,
dell'effettiva osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge e di quelle
aggiuntive imposte dall'autorità che provvede al rilascio dell'autorizzazione
(Cass. Sez. III, 25/01/2007, n.2877). Una eccezione espressamente prevista in
ragione della particolare natura degli enti consortili finalizzata ad una
semplificazione procedurale che prevede il rilascio di un unico titolo
abilitativo ben distinguendo, tuttavia, le posizioni dei singoli consorziati in
tema di responsabilità. In tutte le altre ipotesi dovrà farsi riferimento allo
specifico caso concreto in relazione alla tipologia e modalità degli scarichi
singoli o unificati in modo distinguibile o indistinguibile. (conferma sentenza
del 15/1/2008 Tribunale di Firenze) Pres. Ferrua, Est. Ramacci, Ric. Ciappi.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 27/04/2011 (Ud. 16/03/ 2011) Sentenza n.
16446
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.rni Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giuliana FERRUA
Presidente
Dott. Mario GENTILE
Consigliere
Dott. Renato GRILLO
Consigliere
Dott. Giulio SARNO
Consigliere
Dott. Luca RAMACCI
Consigliere Est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da: CIAPPI Antonio nato a Firenze il 28/10/1954
- avverso la sentenza emessa il 15/1/2008 dal Tribunale di Firenze Sentita la
relazione fatta dal Consigliere Dott. Luca Ramacci
- Udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. Mario Fraticelli che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso
- Sentito il difensore Avv. Marco BARONE del Foro di Prato
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 3 marzo 2009 Il Tribunale di Firenze, in composizione
monocratica, condannava alla pena pecuniaria CIAPPI Antonio per il reato di cui
all'articolo 137, comma primo D.L.vo n.152/06, con riferimento al previgente
articolo 59, primo e secondo comma D.L.vo n.152/99 in quanto, quale
rappresentante e direttore operativo della SIAF, svolgente il servizio di
confezionamento e smistamento del vitto dell'ospedale S.M.A. di Ponte a Niccheri,
effettuava lo scarico di acque reflue industriali con recapito nella fognatura
del nosocomio contenenti, peraltro, sostanze inquinanti in concentrazioni
superiori a quelle indicate dalla legge.
Lo stesso, unitamente ad altri imputati, veniva invece assolto da altri reati
contestati.
Avverso tale decisione il CIAPPI proponeva ricorso per cassazione.
Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge con riferimento
all'ordinanza dibattimentale pronunciata all'udienza del 15 gennaio 2008, per
l'insufficiente indicazione del requisito di cui alla lettera c) dell'articolo
552 C.P.P., lamentando che le condotte contestate ai capi a) e b) della rubrica
erano tra loro incompatibili, la prima riguardando la violazione della
disciplina sui rifiuti e la seconda quella sulle acque mediante immissione di
rifiuti solidi ed acque reflue nel medesimo corpo ricettore.
Tale era l'imprecisione, osservava, che nella motivazione della sentenza il
giudice era caduto in contraddizione rilevando la inesattezza dell'imputazione
e, conseguentemente, l'errore in cui era incorso nel rigettare l'eccezione.
Rilevava, inoltre, che la condotta contestata era una e non poteva essere
ricondotta contemporaneamente a due diverse fattispecie.
Da tale nullità del decreto di citazione derivava pertanto, a suo avviso, la
nullità dell'intero giudizio di primo grado.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e difetto di
motivazione in ordine alla lettura, ritenuta erronea, degli articoli 2, comma
primo, lettere g) ed h) e 59 del D.Lv. 152\99 che aveva determinato la
conseguente qualificazione dei reflui prodotti come reflui industriali mentre al
contrario, essendo costituiti esclusivamente da acque provenienti dal lavaggio
di vassoi e stoviglie, dovevano considerarsi di natura domestica e, come tali,
soggetti alla relativa disciplina.
Si trattava, aggiungeva, di scarichi comunque assimilabili ai sensi
dell'articolo 28, comma settimo, lettera e) del menzionato D.Lv. 152\99 in
relazione all'articolo 6, comma primo, lettera b) della L. Regione Toscana 21
dicembre 2001 n. 64 e del D.P.G. Reg. Toscana n. 28\r del 23 maggio 2003 che, al
punto 18, include tra i reflui assimilabili ai domestici quelli prodotti dalle
attività di mensa e fornitura di pasti preparati.
Rilevava, inoltre, la liceità dell'utilizzazione del trituratore ai sensi
dell'articolo 33, comma terzo D.Lv. 1152\99 e la inutilizzabilità delle analisi
valorizzate dal giudice di prime cure per essere state le stesse effettuate per
altri scopi e, comunque, in punto diverso da quello individuato dalla normativa
allora vigente.
Con un terzo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in ordine all'articolo 45 D.Lv. n.152\99, non avendo il giudice
correttamente individuato il soggetto tenuto a richiedere l'autorizzazione allo
scarico che era di pertinenza dell'ospedale, gravando così sui responsabili del
nosocomio l'onere di richiedere l'autorizzazione necessaria.
Aggiungeva che, sul punto, a nulla rilevava il contenuto del contratto di
locazione dei locali stipulato con l'ospedale, in quanto le autorizzazioni alle
quali il contratto si riferiva erano quelle attinenti all'attività propria della
società e non anche quelle relative agli scarichi, che restavano di esclusiva
pertinenza del nosocomio.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Occorre osservare, con riferimento all'ordinanza impugnata, che la stessa non
merita le censure mosse dal ricorrente, in quanto la formulazione
dell'imputazione era perfettamente conforme al disposto dell'articolo 552
lettera c) C.P.P. poiché l'enunciazione del fatto contestato era inequivocabile.
Nel capo A dell'imputazione riportata in sentenza è, infatti, contestata la
violazione della disciplina sui rifiuti sostanziatasi nello smaltimento non
autorizzato in fognatura di rifiuti organici solidi provenienti dall'attività
svolta mentre, nel capo B, la contestazione attiene alla violazione della
disciplina di tutela delle acque dall'inquinamento e concerne lo scarico di
reflui con recapito nella fognatura.
Si tratta di condotte distinte e la distinzione è stata correttamente effettuata
dal Pubblico Ministero secondo principi consolidati in tema di rapporti tra la
disciplina sulla tutela delle acque e quella dei rifiuti.
La questione dei rapporti tra le normative che regolano le due materie è stata
ampiamente trattata anche sotto la vigenza delle disposizioni, ormai abrogate,
contenute nella legge 319\76 e nel D.P.R. 915\82 giungendo a differenti
soluzioni che hanno poi richiesto l'intervento delle Sezioni Unite di questa
Corte e quello, successivo ed adesivo, della Corte Costituzionale.
L'analisi delle due discipline è poi proseguita nel tempo, tenendo in
considerazione l'evoluzione successiva della disciplina di settore, con
riferimento al D.Lv. 152\09 e, da ultimo, al D.Lv. 152\2006 più volte modificato
dagli interventi correttivi susseguitesi.
Il dibattito è stato peraltro particolarmente animato con riferimento ai
"rifiuti liquidi" poiché, per quelli allo stato solido, è stata sempre indubbia
l'applicazione della disciplina sui rifiuti.
Prescindendo quindi dal ripercorrere le tappe di un percorso interpretativo che,
per quanto accidentato, è giunto, almeno per il momento, ad individuare alcuni
tratti distintivi inequivocabili tra le diverse discipline, occorre rilevare che
la condotta contestata al capo A della rubrica conteneva precisi riferimenti
normativi al reato di abbandono di rifiuti mediante l'indicazione dall'articolo
256, comma secondo D.Lv. 152\2006 ed al previgente articolo 51, comma secondo
D.Lv. 22\97, nonché al divieto di smaltimento di rifiuti, anche se triturati, in
pubblica fognatura previsto da entrambe le disposizioni normative menzionate.
Il riferimento all'abbandono di rifiuti poteva essere poi agevolmente collocato
nell'ipotesi dell'immissione" che, secondo la dottrina, si configura mediante il
rilascio episodico, in acque superficiali e sotterranee, di qualsiasi rifiuto
sia solido che liquido.
Del tutto diversa la condotta contestata sub B, attinente ad un vero e proprio
scarico di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili con
recapito finale in rete fognaria senza alcuna interruzione del nesso funzionale
e diretto con il corpo ricettore e la riferibilità al titolare dello scarico,
secondo una nozione ormai comune.
Di tale distinzione ha, peraltro, tenuto conto il giudice di prime cure,
pervenendo all'assoluzione del ricorrente per la violazione relativa alla
disciplina sui rifiuti.
In definitiva, l'imputazione contestata disponeva dei necessari requisiti di
chiarezza e precisione della norma processuale che erroneamente si è ritenuto
violata.
Altrettanto evidente appare la infondatezza del secondo motivo di ricorso.
Il giudice di prime cure, con argomentazioni in fatto del tutto coerenti e
logiche e, come tali, non censurabili in sede di legittimità, ha chiarito
preliminarmente che la ritenuta assimilabilità dello scarico era fondata su
valutazioni posteriori alla cessazione dell'uso del trituratore, quando le
caratteristiche qualitative dello scarico erano differenti e che non poteva
assumere rilevanza, nel giudizio, la medesima qualificazione attribuita in
relazione ad una diversa unità produttiva facente capo alla medesima società.
Ha poi considerato la natura dei reflui come risultante dagli atti processuali
qualificandoli come industriali ed escludendone l'assimilabilità alle acque
reflue domestiche.
Per quanto riguarda le diverse categorie di acque reflue, all'epoca contemplate
dall'articolo 2 del D.Lv. 152\99, si ricorda che sulla distinzione tra acque
reflue "domestiche" ed "industriali" la giurisprudenza di questa Corte ha
osservato che entrambe le tipologie possono derivare da attività di servizi, con
la conseguenza che l'elemento determinante di distinzione va individuato nella
derivazione prevalente delle acque reflue dal metabolismo umano e da attività
domestiche, come si ricava anche dalla lettura dell'articolo 28, settimo comma,
lettera e) del D.Lv. 152\99.
Da ciò consegue che la nozione di acque reflue industriali va ricavata dalla
diversità del refluo rispetto alle acque domestiche ed in essa rientrano tutti i
reflui derivanti da attività che non attengono strettamente alla coabitazione ed
alla convivenza di persone, al prevalente metabolismo umano ed alle attività
domestiche (Sez. III n. 42932, 2 dicembre 2002).
Tenuto conto del principio in precedenza richiamato, che il collegio condivide,
occorre procedere ad alcune considerazioni ulteriori in ordine alla distinzione
tra acque reflue domestiche ed industriali osservando che la differenza ed il
conseguente diverso trattamento da parte del legislatore tiene conto della
minore potenzialità inquinante dei reflui che provengono da attività domestiche
e dal metabolismo umano.
Ciò posto, deve osservarsi che, nella fattispecie, deve sicuramente escludersi
la provenienza dei reflui dal metabolismo umano poiché tale provenienza è
caratterizzata dall'essere il risultato di reazioni chimiche e fisiche
dell'organismo delle persone, tale essendo in estrema semplificazione, il
processo metabolico.
Va inoltre chiarita la portata dell'altro indicatore della provenienza dei
reflui da attività domestiche che è concetto chiaramente riferito alla
convivenza e coabitazioni di persone, come si è detto, ma che non può
prescindere, specie quando riguarda grandi comunità (alberghi, ospedali etc.),
da una considerazione anche delle effettive caratteristiche chimiche e fisiche
delle acque reflue che devono essere corrispondenti non tanto per quantità,
quanto per qualità a quelli derivanti dai comuni nuclei abitativi.
Nel caso di specie il provvedimento impugnato evidenzia che alcuni parametri
riscontrati nelle analisi disposte dallo stesso imputato un superamento dei
limiti di legge anche di dieci volte superiore a quelli di cui alla tabella 3
dell'allegato 5 al D.Lv. 152\09.
Tali analisi, ancorché non rilevanti ai fini di una contestazione del reato di
superamento dei limiti che, infatti, non è stato contestato, risultano tuttavia
indicative della effettiva qualità delle acque prodotte dall'attività svolta dal
ricorrente.
La decisione impugnata risulta immune da censure anche con riferimento alla
esclusione della assimilabilità dei reflui scaricati dal ricorrente alle acque
reflue domestiche.
In particolare, il giudice di prime cure risulta aver correttamente applicato il
disposto dell'articolo 28 D.Lv. 152\99 e della L. Reg. Toscana 21dicembre 2001,
n. 64 vigenti all'epoca dei fatti.
La disciplina nazionale prevedeva infatti, all'articolo 28, comma settimo
l'assimilazione alle acque reflue domestiche di alcune categorie di acque
specificamente indicate ed, in particolare, alla lettera e) stabiliva
l'assimilabilità delle acque aventi caratteristiche qualitative equivalenti a
quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale.
Non si tratta, quindi di una assimilazione automatica perché, come correttamente
indicato nella decisione impugnata, risultava sottoposta a due condizioni: la
corrispondenza qualitativa e l'espressa previsione della normativa regionale.
E' evidente che, nel caso di specie, per le ragioni in precedenza indicate, la
prima delle condizioni sicuramente difettava in considerazione della qualità
intrinseca dei reflui.
Tuttavia anche la normativa regionale escludeva ogni automatismo di
assimilazione.
Il Regolamento Regionale 23 maggio 2003, n. 28 di attuazione dell'art. 6 della
LR 21.12.2001, n. 64 (Norme sullo scarico di acque reflue ed ulteriori modifiche
alla LR 1 dicembre 1998, n. 88) prevedeva infatti, all'articolo 17 che "le acque
reflue scaricate dagli insediamenti di cui alla tabella 1 dell'allegato 1 al
presente regolamento hanno caratteristiche qualitative equivalenti ad acque
reflue domestiche sempreché rispettino tutte le condizioni di cui all'allegato
1".
L'allegato 1 indicava, al punto 18 della Tabella 1 l'attività relativa a "mense
e fornitura di pasti preparati" ma sempre nel rispetto delle condizioni
vincolanti di cui alle colonne C e D e delle ulteriori condizioni necessarie,
riportate in nota, che dovevano essere indicate come prescrizioni
nell'autorizzazione.
Tale titolo abilitativo, tuttavia, non era stato conseguito dalla società
rappresentata dal ricorrente.
Come risulta dal provvedimento impugnato, con apprezzamento in fatto, almeno
fino a quando rimase in uso il trituratore dei rifiuti organici non era stata
richiesta alcuna autorizzazione ed il riconoscimento successivo riguardava una
situazione di fatto completamente diversa, poiché il ricorrente dopo aver
constatato l'esito delle analisi (la sentenza impugnata riferisce di ammissioni
rese dallo stesso nel corso di un interrogatorio in data 28 dicembre 2006),
cessò l'uso del tritarifiuti per procedere a forme diverse di smaltimento.
Peraltro è il caso di osservare che anche l'uso di tale apparecchiatura non era
sempre consentito poiché l'articolo 33, comma terzo del D.Lv. 152\99
testualmente stabiliva che "non e' ammesso lo smaltimento dei rifiuti, anche se
triturati, in fognatura , ad eccezione di quelli organici provenienti dagli
scarti dell'alimentazione umana, misti ad acque domestiche, trattati mediante
apparecchi dissipatori di rifiuti alimentari che ne riducano la massa in
particelle sottili, previa verifica tecnica degli impianti e delle reti da parte
dell'ente gestore". Era quindi richiesta una preventiva verifica dell'ente
gestore finalizzata ad accertare il carico delle immissioni sull'impianto
fognario e del rispetto di tale condizione non si fa menzione ne in sentenza né,
tantomeno, in ricorso.
Per quanto riguarda, inoltre, la individuazione del soggetto tenuto alla
richiesta di autorizzazione, deve osservarsi che il tenore dell'articolo 45 D.Lv.
152\99 vigente all'epoca è inequivocabile.
L'autorizzazione e' rilasciata, recitava il primo comma, al titolare
dell'attività da cui origina lo scarico.
Il contenuto dell'articolo evidenzia che le finalità del regime autorizzatorio
degli scarichi sono quelle di consentire alle autorità competenti una preventiva
verifica della compatibilità dello scarico con le esigenze di tutela delle acque
dall'inquinamento, cosicché l'autorizzazione viene rilasciata al titolare
dell'attività, come osservato da questa Corte in altra occasione "...previo
controllo delle qualità soggettive di affidabilità a garanzia, già nella fase
preliminare, dell'effettiva osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge e
di quelle aggiuntive imposte dall'autorità che provvede al rilascio
dell'autorizzazione" (Sez. III n. 2877, 25 gennaio 2007).
E' dunque evidente la stretta e logica correlazione tra attività svolta,
titolare della stessa ed autorizzazione allo scarico.
Tale circostanza trova implicita conferma anche nel contenuto ulteriore del
menzionato comma secondo dell'articolo 45 laddove, in presenza di un consorzio
per l'effettuazione comune dello scarico, l'autorizzazione e' rilasciata in capo
al consorzio medesimo ma restano ferme le responsabilità dei singoli consorziati
e del gestore del relativo impianto di depurazione in caso di violazione delle
disposizioni del decreto.
Si tratta, in questo caso, di una eccezione espressamente prevista in ragione
della particolare natura degli enti consortili finalizzata ad una
semplificazione procedurale che prevede il rilascio di un unico titolo
abilitativo ben distinguendo, tuttavia, le posizioni dei singoli consorziati in
tema di responsabilità.
In tutte le altre ipotesi dovrà farsi riferimento allo specifico caso concreto
in relazione alla tipologia e modalità degli scarichi singoli o unificati in
modo distinguibile o indistinguibile.
Nel caso in esame viene presa in considerazione la autonomia fisica e
qualitativa dello scarico rispetto all'impianto fognario dell'ospedale, alla
quale ben poteva ritenersi corrispondente un altrettanto autonomo regime
autorizzatorio specie in considerazione del fatto, non ignorato dal primo
giudice, che lo scarico del nosocomio aveva caratteristiche del tutto diverse
perché relativo ad acque reflue domestiche.
Va poi aggiunto, in conclusione, che sulla base delle argomentazioni in
precedenza richiamate la sentenza impugnata si presenta immune anche dai dedotti
vizi di motivazione.
L'apparato argomentativo sul quale il giudice fonda il suo convincimento appare
solido, coerente ed immune da cedimenti logici e fornisce ampia e dettagliata
indicazione delle ragioni che hanno condotto all'affermazione di penale
responsabilità dell'imputato.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in Roma il 16 marzo 2011
DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 27 APR. 2011
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