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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 11/5/2011 (Ud. 23/3/2011), Sentenza n. 18507
DIRITTO URBANISTICO - BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Trasformazione di
balcone in veranda - Permesso di costruire - Necessità - Nulla osta
paesaggistico - Necessità - Orientamento della giurisprudenza - Artt 44 lett. b)
d.P.R. n 380/2001 e 181 d. l.vo n 42/ 2004. La trasformazione di un balcone
o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, o di un terrapieno
et similia mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di
vetro su intelaiatura metallica od altri elementi costruttivi, non costituisce
intervento di manutenzione straordinaria, di restauro o pertinenziale, ma è
opera già soggetta a concessione edilizia ed attualmente a permesso di costruire
(Cass., Sez. n. 35011/2007; n.25588/2004). Il medesimo orientamento si rinviene
nelle decisioni dei giudici amministrativi (Cons. Stato, Sez. 5^: 8.4.1999, n.
394 e 22.7.1992, n. 675, nonché Cons. giust. Amm. Sic. Sez. riunite, 15.10.1991,
n. 345). In particolare, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-
giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del
carattere di precarietà trattandosi di opera destinata, non a sopperire ad
esigenze temporanee e contingenti, ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile. Nella specie, non può sostenersi che, il manufatto
realizzato, senza il permesso di costruire e senza il nulla osta paesaggistico,
fosse destinato alla protezione dagli agenti atmosferici allorché si consideri
che é stato ottenuto in concreto un nuovo vano adibito a deposito. (dic. inamm.
il ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli del 25/3/2010)
Pres. De Maio, Est. Petti, Ric. Ammirati. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III,
11/5/2011 (Ud. 23/3/2011), Sentenza n. 18507
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dai sigg. magistrati:
Dott. Guido De Maio
Presidente
Dott Ciro Petti
Consigliere
Dott. Aldo Fiale
Consigliere
Dott Silvio Amoresano
Consigliere
Dott. Elisabetta Rosi
Consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- Sul ricorso proposto dal difensore di Ammirati Michele, nato a Terzino il 10
giugno del 1949;
- avverso la sentenza della Corte
d'appello di Napoli del 25 marzo del 2010;
- Udita la relazione svolta dal consigliere dott. Ciro Petti;
- sentito il Procuratore generale nella persona del dott. Aurelio Galasso, il
quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
- udito il difensore avv. Lucido Basco, quale sostituto processuale dell'avv.
Genserico Miniaci, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d'appello di Napoli, con sentenza del 25 marzo del 2010, in parziale
riforma di quella pronunciata dal tribunale di Nola il 20 gennaio del 2009,
riduceva a mesi due di arresto ed euro 15.000 di ammenda, la pena che era stata
inflitta ad Ammirati Michele, quale responsabile del reato di cui agli artt. 44
lettera b) del d.P.R. n 380 del 2001 e 181 del decreto legislativo n 42 del
2004, per avere, senza il permesso di costruire e senza il nulla osta
paesaggistico, chiuso un balcone dell'immobile di proprietà comunale,da lui
condotto in locazione con muri perimetrali. Fatti accertati in Tufino il 30
gennaio del 2007.
Ricorre per cassazione l'Ammirati deducendo:
1) la mancata assunzione di una prova decisiva per avere la corte respinto la
richiesta di escussione del responsabile tecnico del Comune di Tufino,sia in
ordine al parere negativo espresso sulla richiesta di concessione del permesso
in sanatoria, sia sulla circostanza che vi erano problemi di infiltrazioni
d'acqua all'interno del locale da lui condotto in locazione: tali infiltrazioni,
da un lato, lo avevano indotto ad eseguire i lavori in contestazione e,
dall'altro, il Comune aveva approvato la realizzazione di lavori riguardanti sia
la copertura con pensiline che la realizzazione di balaustre a protezione delle
arte esterne alla casa comunale;
2) illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte ritenuto
che con la chiusura del balcone si fosse realizzato un nuovo vano adibito a
deposito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi.
Quanto al primo, va rilevato che nel vigente codice di procedura penale la
rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello ha natura di`istituto
eccezionale rispetto all'abbandono del principio di oralità nel secondo grado,
ove vige la presunzione che l'indagine probatoria abbia raggiunto la sua
completezza nel dibattimento già svoltosi. L'ipotesi di rinnovazione del
dibattimento prevista dall'art. 603 c.p.p. comma 1, riguarda prove preesistenti
o già note alla parte ed e' subordinata alla condizione che il giudice di
appello ritenga, secondo la sua valutazione discrezionale, di non essere in
grado di decidere allo stato degli atti (giudizio che, se sorretto da
motivazione adeguata, non è censurabile in sede di legittimità).
L'impossibilità di decidere allo stato degli atti può sussistere quando i dati
probatori già acquisiti siano incerti nonché quando l'incombente richiesto
rivesta carattere di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le
eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare
ogni altra risultanza.
L'error in procedendo, in cui si sostanzia il vizio che l'art. 606 c.p.p.,
comma 1 - lett. d) ricomprende fra i motivi di ricorso per Cassazione, rileva -
secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema - solo quando la prova
richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della
sentenza impugnata, risulti "decisiva", cioè tale che, se esperita, avrebbe
potuto determinare una decisione diversa (vedi Cass., Sez. 1^, 2.12.2004, n
46954). Ciò comporta che la valutazione in ordine alla decisività della prova
debba essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa
richiesta siano tali da potere inficiare le argomentazioni poste a base del
convincimento dei giudici di merito; tanto non è dato ravvisare nella sentenza
in esame.
La Corte ha indicato la ragione dell'inutilità della prova testimoniale
sollecitata dall'appellante osservando, da un lato, che le infiltrazioni
riguardavano altra parte dell'immobile, come riferito dai testimoni escussi (cfr
sentenza di primo grado) e comunque l'eventuale esistenza delle infiltrazioni
non dispensava l'imputato dal richiedere il titolo abilitativo e, dall'altro,
che l'istanza di accertamento di conformità ex articolo 13 della legge n 47 del
1985 (ora articolo 36 del testo unico) non era stata accolta e comunque decorsi
sessanta giorni dalla presentazione doveva ritenersi respinta.
Tale motivazione non presentando alcun profilo di incongruenza in ordine
all'apprezzamento di merito sulla rilevanza probatoria della testimonianza
sfugge al sindacato di legittimità .
Con riferimento al secondo motivo, si osserva che la giurisprudenza di questa
Corte Suprema è costantemente orientata nel senso che la trasformazione di un
balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, o di un
terrapieno et similia mediante chiusura a mezzo di installazione di
pannelli di vetro su intelaiatura metallica od altri elementi costruttivi, non
costituisce intervento di manutenzione straordinaria, di restauro o
pertinenziale, ma è opera già soggetta a concessione edilizia ed attualmente a
permesso di costruire (cfr, tra le molteplici pronunzie, Cass., Sez. n.35011 del
2007b Rv 237532; n.25588 del 2004, rv 230419).
Il medesimo orientamento si rinviene nelle decisioni dei giudici amministrativi
(vedi Cons. Stato, Sez. 5^: 8.4.1999, n. 394 e 22.7.1992, n. 675, nonché Cons.
giust. Amm. Sic. Sez. riunite, 15.10.1991, n. 345).
In particolare, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico- giuridico, un
nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di
precarietà trattandosi di opera destinata, non a sopperire ad esigenze
temporanee e contingenti, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento
dell'immobile. Né può sostenersi che, nella specie, il manufatto realizzato
fosse destinato alla protezione dagli agenti atmosferici allorché si consideri
che é stato ottenuto in concreto un nuovo vano adibito a deposito.
Dall'inammissibilità del ricorso discende l'obbligo di pagare le spese
processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in € 1000,00,
in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza
di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d'inammissibilità
secondo l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.186
del 2000.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di € 1000,00 in favore della Cassa
delle Ammende
Così deciso in Roma il 23/3/2011
DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 11 MAG. 2011
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