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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 12/05/2011 (Ud. 12/01/2011) Sentenza n. 18815
RIFIUTI - Risarcimento in forma specifica - Obbligo di ripristino ex art. 2058
c.c.. In tema di rifiuti, il ripristino non è configurabile quale sanzione
accessoria a quella penale, ma è, nella sostanza, un risarcimento in forma
specifica che discende ex lege dalla condanna, con il limite previsto dalla
legge ("ove sia possibile") ed è anche diverso, quindi, dall'obbligo di
ripristino disciplinato ex art. 2058 c.c.. (conferma sentenza n. 13651/2008
CORTE APPELLO di TORINO, del 20/11/2009) Pres. Lombardi Est. Rosi Ric. Boccardo
ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 12/05/2011 (Ud. 12/01/2011)
Sentenza n. 18815
RIFIUTI - DANNO AMBIENTALE - Condanna al ripristino e tutela risarcitoria -
Differenza - Giurisprudenza civile e panale. In tema di danno ambientale, il
giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne
determina l'ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità
della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino, e del profitto
conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni
ambientali (comma 6), e inoltre "dispone, ove sia possibile, il ripristino dello
stato dei luoghi a spese del responsabile" (comma 8). Tale sistema rende
possibile "un risarcimento in forma specifica (ripristino dello stato dei
luoghi) che non esaurisce l'ammontare del danno (Cass. Sez. 3, n. 11870 del
12/3/2004, Giora ed altri). Infatti il danno può essere risarcito per
equivalente considerando in via equitativa più parametri: non soltanto il costo
monetario del ripristino, ma anche il profitto conseguito dal contravventore e
la gravità della sua colpa. In altri termini, la tutela risarcitoria è più ampia
e non è alternativa alla tutela riparatoria (ripristino), poiché quest'ultima
non è (può non essere) pienamente satisfattiva del danno arrecato ai soggetti
portatori del diritto fondamentale all'integrità dell'ambiente." (Così anche
nella giurisprudenza civilistica, è stato stabilito che il risarcimento del
danno informa specifica non esaurisce in sè, di regola, tutte le possibili
conseguenze dannose del fatto lesivo - ed in particolare quelle prodottesi prima
che la riduzione in pristino sia materialmente eseguita ovvero quelle diverse
residuate nonostante tale riduzione in pristino (Cass. Civ., Sez. 2, n. 3802 del
11 aprile 1991, Scrocca c. Scrocca). Anche la giurisprudenza penalistica ha
confermato tale principio chiarendo che in tema di smaltimento di rifiuti,
l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile, a norma
dell'art. 18, c.8, I. 8 luglio 1986, n. 349, discende dalla legge ed è
perfettamente compatibile con la condanna al risarcimento del danno ambientale e
a quello dei danni subiti dalla parte civile in quanto si tratta di misure
diverse, predisposte a tutela di beni diversi, che possono essere congiuntamente
applicate a carico di una stessa persona (Cass. Sez. 3, n. 7567 del 27/6/1992,
Abortivi). Pertanto, è errato il fatto che la condanna al risarcimento dei danni
debba porsi in "alternatività" con la condanna al ripristino. (conferma sentenza
n. 13651/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del 20/11/2009) Pres. Lombardi Est. Rosi
Ric. Boccardo ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 12/05/2011 (Ud.
12/01/2011) Sentenza n. 18815
RIFIUTI - DANNO AMBIENTALE - Gestione dei rifiuti - Danno sostanziale - Ente
locale comunale - Costituzione parte civile e risarcimento - Art. 18 L. n.
349/1986 - Art. 2043 c.c - Art. 311, c.1, D.Lgs. n. 152/2006. Nell'ambito
della gestione dei rifiuti sulla base dell'art. 18 della legge n. 349 del 1986,
è ipotizzabile anche per l'ente locale comunale un danno sostanziale che lo
renda portatore dell'interesse a costituirsi parte civile, atteso che il danno
ai terreni privati va tenuto distinto dal danno al territorio ed all'ambiente
(Cass. Sez.3, n. 29214 dell'11/7/2003, P.G. in proc. Marino). Anche l'ente
pubblico territoriale che, per effetto della condotta illecita, abbia subito un
danno patrimoniale risarcibile è quindi legittimato a costituirsi parte civile
ex art. 2043 c.c., essendo tale legittimazione non incompatibile con quella che,
ai sensi dell'art. 311, c.1, D.Lgs. n. 152 del 2006, spetta al Ministro per
l'ambiente (Cass. Sez. 3, n. 755 dell'11/1/2010, Ciaroni). (conferma sentenza n.
13651/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del 20/11/2009) Pres. Lombardi Est. Rosi
Ric. Boccardo ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 12/05/2011 (Ud.
12/01/2011) Sentenza n. 18815
RIFIUTI - DANNO AMBIENTALE - Condanna alla bonifica ed al ripristino -
Responsabilità solidale - Art. 18 c. 7 L. n. 349/1986 - Art. 2055 cod. civ..
La norma contenuta nel comma 7 dell'art. 18 della legge 349 del 1986, secondo la
quale nei casi di concorso nello stesso evento di danno ciascuno risponde nei
limiti della propria responsabilità individuale, disciplina esclusivamente i
rapporti interni di regresso tra i condebitori, ponendosi come deroga al
principio generale della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 cod. civ.,
senza nessuna trasformazione dell'obbligazione solidale prevista per le
obbligazioni risarcitorie da delitto e da fatto illecito, in obbligazione
parziaria (Cfr. Sez. 3, n. 11870 del 12/3/2004, Giora ed altri). Di conseguenza
legittimamente, in capo ai ricorrenti ed in solido tra loro, deve essere
riconosciuto l'obbligo di ripristino dello stato dei luoghi anteriore
all'illecito. (conferma sentenza n. 13651/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del
20/11/2009) Pres. Lombardi Est. Rosi Ric. Boccardo ed altro. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 12/05/2011 (Ud. 12/01/2011) Sentenza n. 18815
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Condanna in primo grado - Intervenuta
prescrizione del reato - Interessi civili - Poteri giudice di appello - Art.
129, c.2. c.p.p.. Il giudice di appello, nel dichiarare estinto per
prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, è
tenuto a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi
della sentenza che concernono gli interessi civili ed a tal fine "i motivi di
impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non
potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento
del danno dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati secondo quanto
previsto dall'art. 129, c.2. c.p.p. (Cass. Sez. 6, n. 3284 del 26/1/2010,
Mosca). (conferma sentenza n. 13651/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del
20/11/2009) Pres. Lombardi Est. Rosi Ric. Boccardo ed altro. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 12/05/2011 (Ud. 12/01/2011) Sentenza n. 18815
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill_mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI - Presidente
Dott. MARIO GENTILE
- Consigliere
Dott. RENATO GRILLO
- Consigliere
Dott. GIULIO SARNO
- Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI
- Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BOCCARDO GIAMPIERO N. IL 30/07/1956
2) ZURINO FABRIZIO N. IL 31/05/1964
avverso la sentenza n. 13651/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del 20/11/2009
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/01/2011 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gioacchino Izzo che ha
concluso per l'annullamento con rinvio
Udito, per la parte civile, l'Avv. //
Udit i difensor Avv. //
RITENUTO IN FATTO
La Corte d'appello di Torino in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Alessandria, sezione distaccata di Novi Ligure, con sentenza depositata il 23
novembre 2009, ha dichiarato non doversi procedere per essere il reato estinto
per prescrizione nei confronti di Boccardo Giampiero e Zurino Fabrizio, imputati
del reato di cui all'art. 51 c.3 D.Igs. n. 22 dei 1998 (Zurino quale legale
rappresentante della ditta Edil Scavi snc, Boccardo quale proprietario del
terreno) per avere realizzato e gestito una discarica non autorizzata di rifiuti
provenienti da attività di demolizione, fatto accertato in Novi Ligure il 30
novembre 2004. I giudici di appello hanno peraltro confermato la condanna degli
stessi al risarcimento dei danni in favore della parte civile-Comune di Novi
Ligure, alla bonifica ed al ripristino dello stato dei luoghi.
Gli imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione di analogo
contenuto, chiedendo l'annullamento delle statuizioni civili della sentenza con
rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, per i
seguenti motivi:
1. Violazione di legge per avere la Corte d'appello di Torino erroneamente
qualificato l'ordine di ripristino dei luoghi del giudice di prime cure come
risarcimento del danno ambientale e non come sanzione accessoria alla condanna
penale, che avrebbe dovuto essere dichiarata estinta in conseguenza della
pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
2. Difetto di motivazione e violazione di legge, in riferimento all'art.18
L.349/1986, al d.lgs. 22/1997 e all'art. 2058 c.c. La sentenza impugnata avrebbe
omesso di motivare in ordine alla conferma della condanna al risarcimento dei
danni alla parte civile ed avrebbe erroneamente applicato le norme in tema di
risarcimento del danno ambientale. Il ripristino dello stato dei luoghi a spese
del responsabile era previsto, all'epoca dei fatti, dall'art. 18, c. 8,
L.349/1986 ed era da disporsi "ove possibile". Tale disposizione doveva essere
contemperata con quella del c.2 dell'art. 2058 c.c. e quindi occorreva una
valutazione comparativa dei diversi interessi e delle effettive possibilità
materiali, ecologiche ed economiche di esecuzione del ripristino.
Con riferimento alla specifica posizione di Zunino, è stato lamentato che la
Corte d'appello avrebbe omesso di valutare che egli non è il proprietario
dell'area e, senza la collaborazione del Boccardo, non potrebbe eseguire la
condanna al ripristino dei luoghi. Di conseguenza, nell'ipotesi in cui il
ripristino dei luoghi non fosse stato possibile, doveva farsi luogo al
risarcimento per esatto equivalente, ossia per l'esatto ammontare del danno
cagionato, da determinarsi con riguardo agli importi necessari per la riduzione
in pristino. Solo nell'ipotesi di non effettuata quantificazione del danno dalla
parte civile, il giudice avrebbe dovuto determinare l'importo in via equitativa,
tenendo conto di alcuni parametri di giudizio indicati dalla legge, quali la
gravità della colpa individuale del responsabile, il costo necessario per il
ripristino dello stato dei luoghi, il profitto conseguito dal trasgressore in
conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali.
In riferimento alla posizione di Bocccardo, è stato censurato che le sentenze di
merito lo avrebbero illegittimamente condannato alla bonifica ed al ripristino,
oltre che al pagamento di euro 3.000 a titolo di risarcimento, equiparando la
sua responsabilità, quale proprietario del fondo, a quella di chi ha smaltito
illecitamente.
3. Violazione di legge per errata interpretazione dell'art. 578 c.p.p. Tale
norma prevede che il giudice di appello nel dichiarare estinto per amnistia o
prescrizione il reato per il quale in primo grado sia intervenuta condanna, è
tenuto a decidere l'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della
sentenza che concernono gli interessi civili e per tale decisione deve valutare
i motivi della impugnazione proposta, motivi che non sarebbero stati tenuti in
conto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso risultano infondati.
1. Quanto al primo motivo di ricorso, risulta erronea la prospettazione del
ripristino quale sanzione accessoria a quella penale, da dichiararsi quindi
estinta in conseguenza della dichiarata prescrizione del reato.
Il legislatore si è preoccupato da tempo di assicurare l'effettività della
tutela dell'ambiente stabilendo anche conseguenze di tipo diverso rispetto a
quelle penali tipiche, quali: la demolizione dei manufatti abusivi nel campo
edilizio, il ripristino della situazione dei luoghi paesaggisticamente protetti,
la confisca dei terreni abusivamente lottizzati, la confisca dell'area che sia
stata fatta oggetto di discarica abusiva, la bonifica dei siti inquinati da
rifiuti, il danno ambientale, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti
da acque inquinate. In pratica il legislatore, oltre ad avere previsto il danno
ambientale (già in forza dell'art. 18 legge 349/86), ha apprestato delle misure
riparatorie connesse a fatti penalmente rilevanti. Ad esempio, per quanto
attiene all'ordine di ripristino nella disciplina posta a protezione delle
bellezze naturali (previsto sin dalla legge n. 413 del 1985) contenuto nell'art.
163, comma 2, del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, è stato chiarito
che esso non è una pena accessoria, ne' un effetto penale della condanna, ma è
assimilabile ad una vera e propria sanzione penale, alla cui ottemperanza può
pertanto essere subordinato il richiamato beneficio della sospensione
condizionale della pena (così Sez.3, n. 29667 del 9/8/2002, Arrostuto, Rv.
222115; per il carattere di sanzione specifica a carattere ripristinatorio, si
veda Sez. 3, n. 38739 del 5/10/2004, Brignone, Rv. 229612; invece a favore della
natura di sanzione amministrativa, Sez. 3, n. 2470 del 18/12/1998, PM in proc.
Roldo, Rv. 212481). Ugualmente, nel concedere la sospensione condizionale della
pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione
edilizia o in difformità, il giudice può legittimamente subordinare detto
beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante
demolizione dell'opera eseguita, disposta in sede di condanna, e così negli
altri settori indicati.
Analogamente, in tema di rifiuti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato
che la sospensione condizionale della pena può essere subordinata
all'adempimento di obblighi diversi da quelli specificamente indicati nell'art.
165 c.p., che richiedono un intervento di tipo riparatorio, volto pur sempre
alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Peraltro il
D.Igs n. 22 del 1997 non conteneva una disposizione generale analoga a quella di
cui all'art. 60 D.Ig.vo 152/99 in tema di inquinamento delle acque, ma
unicamente una misura per le ipotesi della discarica abusiva e della bonifica
dei siti.
L'art. 192 del D.Lgs. 152/2006 (cd. Testo Unico dell'ambiente), che al primo
comma vieta "l'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo o nel
suolo", ha riprodotto nella sostanza il contenuto della precedente disposizione
di cui all'art. 14 D.Lgs. 22/97, senza peraltro apportare significative
innovazioni. L'art. 256 del T.0 .punisce una più generica "Attività di gestione
di rifiuti non autorizzata", ed altre di carattere amministrativo, descritte nel
comma 3, secondo il quale "chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è
tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei
rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e
con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali
tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai
soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a
tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede
all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme
anticipate." Tale meccanismo ricalca quello previsto all'art. 242, in relazione
alle bonifiche dei siti contaminati, che richiama la responsabilità solidale del
soggetto che controlla, di fatto, l'area dove i rifiuti sono abbandonati (cioè
il proprietario ovvero altri aventi diritto), a meno che non venga dimostrata la
sua completa estraneità alla vicenda illecita, nel corso di un contraddittorio
instaurato con l'amministrazione. In entrambi i casi è previsto l'intervento
sostitutivo della PA in danno dei responsabili, i quali dovranno rimborsare le
somme occorse per la rimozione e i necessari interventi di ripristino ambientale
sull'area inquinata. Tale sanzione avrebbe, secondo la giurisprudenza
amministrativa, natura amministrativa e carattere ripristinatorio, in quanto
avente per contenuto l'obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di
ripristino a carico del responsabile del fatto, in solido con il proprietario,
anche quando quest'ultimo non sia il responsabile dell'illecito abbandono.
A parere di Questo Collegio, a prescindere o meno dalla condivisione
dell'indirizzo giurisprudenziale amministrativo appena menzionato, e quindi
dall'inquadramento nella categoria delle sanzioni di tipo amministrativo, il
ripristino non è configurabile quale sanzione accessoria a quella penale, ma è,
nella sostanza, un risarcimento in forma specifica che discende ex lege
dalla condanna, con il limite previsto dalla legge ("ove sia possibile") ed è
anche diverso, quindi, dall'obbligo di ripristino disciplinato ex art. 2058 c.c.
2. Risulta infondato anche il secondo motivo di ricorso strettamente correlato
al tema già affrontato, con il quale è stata lamentata la mancata motivazione in
ordine alla conferma della condanna al risarcimento dei danni alla parte civile
e l'erronea applicazione delle norme in tema di risarcimento del danno
ambientale e dl ripristino dello stato dei luoghi previsto all'epoca dei fatti
dall'art. 18, c. 8, L. n.349/1986. Il giudice di primo grado aveva condannato
gli imputati in solido a risarcire i danni quantificati in via equitativa in
complessive 3 mila euro, apprezzando il danno all'immagine subito dal Comune
costituito parte civile. La Corte di appello ha confermato tale condanna,
l'ordine di confisca dell'area in sequestro, previa bonifica, e di ripristino
dello stato dei luoghi. Tali statuizioni risultano pienamente conformi alle
disposizioni vigenti all'epoca dei fatti (e previste dall'art. 18 legge 8.7.1986
n. 349 in tema di danno ambientale), secondo le quali "il giudice, ove non sia
possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via
equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del
costo necessario per il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore
in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali" (comma 6), e
inoltre "dispone, ove sia possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a
spese del responsabile" (comma 8).
Come è stato già affermato in giurisprudenza (così parte motiva di Sez. 3, n.
11870 del 12/3/2004, Giora ed altri) tale sistema rende possibile "un
risarcimento in forma specifica (ripristino dello stato dei luoghi) che non
esaurisce l'ammontare del danno. Infatti il danno può essere risarcito per
equivalente considerando in via equitativa più parametri: non soltanto il costo
monetario del ripristino, ma anche il profitto conseguito dal contravventore e
la gravità della sua colpa.
In altri termini, la tutela risarcitoria è più ampia e non è alternativa alla
tutela riparatoria (ripristino), poiché quest'ultima non è (può non essere)
pienamente satisfattiva del danno arrecato ai soggetti portatori del diritto
fondamentale all'integrità dell'ambiente." (così anche nella giurisprudenza
civilistica, è stato stabilito che il risarcimento del danno informa specifica
non esaurisce in sè, di regola, tutte le possibili conseguenze dannose del fatto
lesivo - ed in particolare quelle prodottesi prima che la riduzione in pristino
sia materialmente eseguita ovvero quelle diverse residuate nonostante tale
riduzione in pristino (Cass. Civ., Sez. 2, n. 3802 del 11 aprile 1991, Scrocca
c. Scrocca, Rv. 471619).
Anche la giurisprudenza penalistica ha confermato tale principio chiarendo che
in tema di smaltimento di rifiuti, l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi
a spese del responsabile, a norma dell'art. 18, c.8, I. 8 luglio 1986, n. 349,
discende dalla legge ed è perfettamente compatibile con la condanna al
risarcimento del danno ambientale e a quello dei danni subiti dalla parte civile
in quanto si tratta di misure diverse, predisposte a tutela di beni diversi, che
possono essere congiuntamente applicate a carico di una stessa persona (cfr.
Sez. 3, n. 7567 del 27/6/1992, Abortivi, Rv. 190929).
Questo Collegio ritiene pertanto che sia errato quanto sostenuto nel ricorso
circa il fatto che la condanna al risarcimento dei danni debba porsi in "alternatività"
con la condanna al ripristino.
Destituita di fondamento risulta poi l'argomentazione avanzata dal ricorrente
Zunino circa la non eseguibilità della condanna al ripristino connessa al fatto
che lo stesso non è proprietario dell'area in quanto, già ex art. 14, c. 3,
d.lgs. n. 22 del 1997 ed ora in forza dell'art. 255 dlgs. n. 152 del 2006,
l'obbligo di rimozione e di ripristino viene posto a carico di "chiunque viola i
divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo" e
pertanto, sul responsabile della discarica, deposito incontrollato od immissione
abusiva di rifiuti in solido con il proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia
imputabile a titolo di dolo o di colpa. Del pari infondata, per le ragioni
appena indicate, la speculare censura proposta dal Boccardo, collegata ad una
asserita illegittima equiparazione della sua responsabilità, quale proprietario
del fondo, rispetto a quella riconosciuta in capo alla ditta esecutrice
materiale delle condotte di deposito di rifiuti.
Per quanto attiene alla doglianza circa l'erroneità della condanna al
risarcimento dei danni alla parte civile, nel caso di specie il Comune, la
stessa è del pari infondata. La giurisprudenza di legittimità, sulla base
dell'art. 18 della legge n. 349 del 1986, aveva già affermato che nell'ambito
della gestione dei rifiuti è ipotizzabile anche per l'ente locale comunale un
danno sostanziale che lo renda portatore dell'interesse a costituirsi parte
civile, atteso che il danno ai terreni privati va tenuto distinto dal danno al
territorio ed all'ambiente (Sez.3, n. 29214 dell'11/7/2003, P.G. in proc.
Marino, Rv. 226154). Anche l'ente pubblico territoriale che, per effetto della
condotta illecita, abbia subito un danno patrimoniale risarcibile è quindi
legittimato a costituirsi parte civile ex art. 2043 c.c., essendo tale
legittimazione non incompatibile con quella che, ai sensi dell'art. 311, c.1,
D.Lgs. n. 152 del 2006, spetta al Ministro per l'ambiente (in al senso Sez. 3,
n. 755 dell'11/1/2010, Ciaroni, Rv. 246015).
Nel caso di specie, il giudice di primo grado ha ritenuto apprezzabile il danno
all'immagine subito dall'ente locale e la Corte di appello ha confermato tale
valutazione richiamando espressamente le argomentazioni svolte dal primo giudice
(con riferimento alla pag. 7 della decisione); inoltre ha fatto espresso
richiamo alla specifica richiesta formulata, nelle conclusioni del giudizio di
primo grado, dalla parte civile di condannare gli imputati alla bonifica ed alla
rimessione in pristino dell'area.
Quanto alla lamentata solidarietà anche nella condanna alla bonifica ed al
ripristino, deve essere ribadito che la norma contenuta nel comma 7 dell'art. 18
della legge 349 del 1986, secondo la quale nei casi di concorso nello stesso
evento di danno ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità
individuale, disciplina esclusivamente i rapporti interni di regresso tra i
condebitori, ponendosi come deroga al principio generale della responsabilità
solidale di cui all'art. 2055 cod. civ., senza nessuna trasformazione
dell'obbligazione solidale prevista per le obbligazioni risarcitorie da delitto
e da fatto illecito, in obbligazione parziaria (Cfr. Sez. 3, n. 11870 del
12/3/2004, Giora ed altri, Rv. 230101).
Di conseguenza legittimamente, in capo ai ricorrenti ed in solido tra loro, deve
essere riconosciuto l'obbligo di ripristino dello stato dei luoghi anteriore
all'illecito.
3. L'ultimo motivo di ricorso, collegato ad una presunta violazione dell'art.
578 c.p.p. è manifestamente infondato. E' stato precisato nella giurisprudenza
di legittimità che il giudice di appello, nel dichiarare estinto per
prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, è
tenuto a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi
della sentenza che concernono gli interessi civili ed a tal fine "i motivi di
impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non
potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento
del danno dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati secondo quanto
previsto dall'art. 129, c.2. c.p.p. (Sez. 6, n. 3284 del 26/1/2010, Mosca, Rv.
245876).
La Corte di appello di Torino si è attenuta a tale principio di diritto,
riesaminando la fondatezza della responsabilità dichiarata dal giudice di prime
cure alla luce delle censure formulate con i motivi di appello e motivando il
proprio convincimento di sussistenza del fatto illecito come contestato, dal
quale è derivata la conferma della responsabilità civile degli imputati e delle
statuizioni già stabilite nella sentenza di primo grado.
In conclusione i motivi di ricorso sono da rigettare ed al rigetto consegue, ex
art. 616 c.p.p, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio
2011.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 12 MAG. 2011
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