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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 13/5/2011 (Ud. 2/2/2011) Sentenza n. 18892
FAUNA E FLORA - Nozione di abbandono - Elemento della colpa - Concetto della
trascuratezza o disinteresse verso il proprio animale - Art. 727 c.p.. Il
concetto di abbandono come delineato dall'art. 727 c.p. non implica affatto l'incrudelimento
verso l'animale o l'inflizione di sofferenze gratuite, ma molto più
semplicemente quella trascuratezza o disinteresse che rappresentano una delle
variabili possibili in aggiunta al distacco volontario vero e proprio. Ben
potendo, nel comune sentire, qualificarsi l'abbandono come senso di
trascuratezza o disinteresse verso qualcuno o qualcosa, o anche, mancanza di
attenzione. Così come, nel concetto penalistico di abbandono ripreso anche
dall'art. 591 c.p. sia pure con connotati diversi, nell’ipotesi dell'abbandono
di animali contemplato dal comma 1° dell'art. 727 c.p. viene delineato in modo
non dissimili la nozione di abbandono da intendersi quindi non solo come precisa
volontà di abbandonare (o lasciare) definitivamente l'animale, ma di non
prendersene più cura ben consapevole della incapacità dell'animale di non poter
più provvedere a sé stesso come quando era affidato alle cure del proprio
padrone. Il concetto della trascuratezza, intesa come vera e propria
indifferenza verso l'altrui sorte, evoca quindi l'elemento della colpa che, al
pari del dolo, rientra tra gli elementi costitutivi del reato contestato.
Versandosi in tema di contravvenzione non si esige per la punibilità dell’agente
la volontarietà dell’abbandono ma anche l’attuazione di comportamenti inerti
incompatibili con la volontà di tenere con sé il proprio animale. (conferma
sentenza emessa il 21/11/2008 dalla Corte di Appello di Brescia) Pres. Teresi,
Est. Grillo, Ric. Mariano. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 13/5/2011 (Ud.
2/2/2011) Sentenza n. 18892
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
1. Dott. TERESI Alfredo
Presidente
2. Dott. SQUASSONI Claudia
Consigliere
3. Dott. GRILLO Renato
(est.) Consigliere
4. Dott. MULLIRI Guida
Consigliere
5. Dott. RAMACCI Luca
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da MARIANO Giovanni, nato a Cpertino il 2.01.1955;
- avverso la sentenza emessa il 21 novembre 2008 dalla Corte di Appello di
Brescia;
- udita nella udienza pubblica del 2 febbraio 2011 la relazione fatta dal
Consigliere Dr. Renato GRILLO;
- udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gioacchino Izzo che ha concluso per l'annullamento senza rinvio perché il
fatto non sussiste;
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Con sentenza del 13 novembre 2009 il Tribunale di Lecce - Sezione Distaccata di
Nardò - dichiarava MARIANO Giovanni, imputato del delitto di abbandono di
animali (art. 727 comma 1° c.p.) colpevole del detto reato e, concesse le
circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di € 1.000,00 di
ammenda.
Il Tribunale individuava la responsabilità dell'imputato sulla base di due
circostanze- testimonianza del medico veterinario FIORE Edoardo Maria che
riferiva il rinvenimento di un cane munito di microchip all'interno
dell'abitazione di tale PANO Rosario; dichiarazione di quest'ultimo attestante
il ritrovamento del cane mesi nei pressi della propria abitazione alcuni mesi
prima in condizioni di totale denutrizione e malato, cui era seguita dopo
qualche tempo la denuncia al servizio veterinario
Veniva disattesa la tesi difensiva secondo la quale il cane si sarebbe smarrito
durante una battuta di caccia, tenuto conto della mancata denuncia di
smarrimento del cane da parte del padrone, odierno ricorrente.
Ricorre avverso la detta sentenza l'imputato a mezzo del proprio difensore
denunciando contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ed
evidenziando come, in modo del tutto incoerente, il giudice, per un verso ha
parlato di certezza della responsabilità del MARIANO per non avere egli
denunciato lo smarrimento dell'animale e per avere altri trovato l'animale e per
altro verso affermato che la mancata denuncia di rinvenimento del cane rendeva
poco credibile la tesi della smarrimento del cane da parte di esso ricorrente.
Altro elemento che, a giudizio del ricorrente, prova l'illogicità e carenza
della motivazione è rappresentato dal particolare credito accordato da parte del
Tribunale unicamente alle dichiarazioni dei testi del P.M., senza la benché
minima considerazione dei testi della difesa che avrebbero, invece, riferito di
uno smarrimento dell'animale durante una battuta di caccia e della inutilità
delle ricerche compiute nella immediatezza e anche il giorno dopo.
Così come del tutto illogicamente il Tribunale avrebbe tratto elemento di
colpevolezza dal rifiuto, non rispondente al vero, da parte dell'imputato, una
volta ritrovato l'animale, di riprenderlo con sé.
Con altro motivo di ricorso la difesa denuncia inosservanza e falsa o erronea
applicazione dell'art. 727 c.p. dovendosi operare una netta distinzione tra lo
smarrimento dell'animale e l'abbandono che presuppone una condotta volontaria.
Correlativamente la difesa prospetta quale condotta criminosa sanzionabile non
già l'abbandono del cane ma il malgoverno di animali, condotta oggi
depenalizzata e per la quale l'imputato ha già ricevuto la sanzione
amministrativa e, a tutto voler concedere, l'ulteriore violazione, sempre di
carattere amministrativo, prevista dall'art. 17 n. 5 della L.R.P. n. 12 del
3.4.1995 in termini di mancata denuncia di smarrimento del cane.
Con un terzo motivo la difesa denuncia inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale (art. 42 c.p.), per avere il primo giudice omesso di
accertare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in termini di dolo o
colpa, trascurando anche di valorizzare elementi di natura logica quali
l'esistenza del microchip intestato all'imputato che rendeva assai poco
plausibile la tesi dell'abbandono volontario.
Inoltre ulteriore vizio di motivazione - veniva denunciato il relazione al fatto
che la decisione del Tribunale si sarebbe basata su congetture e non su prove,
in modo per di più, illogico.
Il ricorso non è fondato.
Tutte le censure rivolte verso la sentenza impugnata afferenti alla omessa o
carente o illogica motivazione contengono ad evidenza rilievi di tipo fattuale
che implicano una rilettura da parte della Corte della intera vicenda in chiave
alternativa rispetto alla ricostruzione effettuata dal Tribunale, come tale non
proponibile in sede di legittimità.
E' peraltro agevole osservare che il primo giudice, sulla base di un
ragionamento, seppure sintetico, pienamente coerente con il complessivo quadro
probatorio esaminato e soprattutto logico, ha correttamente concluso per la
certezza della condotta di abbandono, desumendola da due elementi ritenuti, a
ragione, sintomatici: il rinvenimento dell'animale presso l'abitazione di altri
che provvedeva successivamente a fare denuncia al servizio veterinario; la
mancata presentazione della denuncia di smarrimento - ove mai tale circostanza
si fosse verificata - da parte del legittimo proprietario del cane.
Da qui quella conseguenza, condivisibile sul piano logico, tratta dal giudice
circa la poca verosimiglianza della tesi difensiva dello smarrimento, posto che,
se ciò fosse davvero avvenuto, proprio perché il cane era dotato di microchip,
sarebbe stato logico attendersi che fosse stato il proprietario ad adoperarsi
per ritrovare il cane denunciandone la scomparsa.
Un ragionamento siffatto non si presta di certo né ad illogicità, né ad
insufficienza, avendo il giudice dato correttamente rilievo a circostanze
oggettive (peraltro non smentite dall'imputato per come opportunamente il
giudice ha rilevato) e avendo anche valutato razionalmente la irrilevanza della
testimonianza resa da chi, accompagnando il MARIANO durante la battuta di caccia
avrebbe notato (insieme al MARIANO) la scomparsa dell'animale.
In altri termini il Tribunale, anche a voler dare per credibile in via ipotetica
la tesi della perdita, ha poi tratto la logica conclusione che a tale supposta
perdita non è mai seguito alcun tentativo men che serio di ritrovamento del
cane, così pervenendo alla conclusione di una volontà da parte del MARIANO
dell'abbandono.
Tutte le divagazioni fatte dalla difesa circa le contraddizioni in cui sarebbero
incorsi i testi PANO e FIORE e circa la valenza non adeguatamente rilevata delle
dichiarazioni del teste DE SIMONE (il compagno di caccia del MARIANO in
occasione della ritenuta perdita del cane) appartengono al novero di quelle
censure di fatto inammissibili in sede di legittimità, non mancando di osservare
che anche di tali dati il giudice ha, comunque, logicamente e correttamente dato
conto nella sentenza impugnata.
Ma anche l'ulteriore profilo di inosservanza della legge penale, concernente, in
particolare, l'errata qualificazione giuridica della condotta data dal
Tribunale, non è fondato.
Premesso che la circostanza dello smarrimento è stata esclusa in modo logico dal
Tribunale e che in ogni caso condivisibilmente è stato ritenuto che se ciò si
fosse davvero verificato, il comportamento successivo assunto dal MARIANO
avrebbe dovuto qualificarsi come preciso sintomo della sua volontà di abbandono,
la nozione di abbandono enunciata dal primo comma dell'art. 727 c.p. postula una
condotta ad ampio raggio che include anche la colpa intesa come indifferenza o
inerzia nella ricerca immediata dell'animale.
Colpa certamente compatibile con la natura del reato contestato, versandosi in
tema di contravvenzione: con il che non si esige per la punibilità dell'agente
soltanto la volontarietà dell'abbandono ma anche l'attuazione di comportamenti
inerti incompatibili con la volontà di tenere con sé il proprio animale.
Tale indifferenza, in controtendenza con l'accresciuto senso di rispetto verso
l'animale in genere è avvertita nella coscienza sociale come una ulteriore
manifestazione della condotta di abbandono che va dunque interpretato in senso
ampio e non in senso rigidamente letterale come pretende il ricorrente, in
ossequio al significato etimologico del termine.
Significato non è unidirezionale non potendosi quindi condividere la tesi di
circoscrivere il significato della parola al concetto di distacco totale e
definitivo della persona da un'altra persona o da una cosa, come sostenuto dal
ricorrente, ben potendo, nel comune sentire, qualificarsi l'abbandono come senso
di trascuratezza o disinteresse verso qualcuno o qualcosa; o anche mancanza di
attenzione.
Del resto - sia pure con connotati diversi - il concetto penalistico di
abbandono è ripreso anche dall'art. 591 c.p. in tema di abbandono di persone
incapaci. E anche in tali casi per abbandono va inteso non solo il mero distacco
ma anche l'omesso adempimento da parte dell'agente, dei propri doveri di
custodia e cura e la consapevolezza di lasciare il soggetto passivo in una
situazione di incapacità di provvedere a sé stesso.
Orbene anche nella ipotesi dell'abbandono di animali - contemplata dal comma 1°
dell'art. 727 c.p. - viene delineata in modo non dissimili la nozione di
abbandono da intendersi quindi non solo come precisa volontà di abbandonare (o
lasciare) definitivamente l'animale, ma di non prendersene più cura ben
consapevole della incapacità dell'animale di non poter più provvedere a sé
stesso come quando era affidato alle cure del proprio padrone.
Il concetto della trascuratezza, intesa come vera e propria indifferenza verso
l'altrui sorte, evoca quindi l'elemento della colpa che, al pari del dolo,
rientra tra gli elementi costitutivi del reato contestato.
Se così è, non appare condivisibile la qualificazione della condotta pretesa dal
ricorrente sotto lo schema dell'art. 672 c.p., oggi depenalizzato, in quanto il
malgoverno degli animali presuppone un comportamento del tutto diverso
implicante l'incapacità della persona di governare il proprio animale se
lasciato in libertà.
Così come non può essere condivisa la tesi che l'eventuale mancata denuncia di
smarrimento costituisca condotta autonoma sanzionabile, sia perché non prevista
da alcuna norma incriminatrice, sia perché - come correttamente osservato dal
Tribunale - la mancata denuncia costituiva, nel caso di specie, il dato
sintomatico della volontà da parte del MARIANO di abbandonare l'animale,
disinteressandosi della sua sorte.
E a tale proposito, va anche sottolineato che il primo giudice ha tenuto ben
presente l'elemento temporale traendone la logica conseguenza di una precisa
volontà da parte del MARIANO avendo fatto trascorrere diversi mesi rispetto alla
presunta data di smarrimento, senza assumere la benché minima iniziativa volta a
riprendere o ricercare l'animale.
Alla stregua di tali indicazioni deve allora disattendersi l'ulteriore tesi
prospettata dalla difesa di una condotta di abbandono necessariamente e solo
dolosa, anche perché il concetto di abbandono come delineato dall'art. 727 c.p.
non implica affatto l'incrudelimento verso l'animale o l'inflizione di
sofferenze gratuite, ma molto più semplicemente quella trascuratezza o
disinteresse che rappresentano una delle variabili possibili in aggiunta al
distacco volontario vero e proprio.
Se così è, correttamente il Tribunale ha escluso che potessero anche profilarsi
dubbi sull'atteggiamento psicologico dell'imputato ovvero sulla circostanza di
un possibile smarrimento del cane, avendo dato valore ben preciso ad alcuni dati
obiettivi valutati in termini di certezza. Tanto basta ad escludere recisamente
l'affermazione del ricorrente secondo la quale il giudice avrebbe fondato il
proprio convincimento sulla base di mere congetture, essendo invece il Tribunale
ricorso alla logica razionale che - in uno alla valutazione di elementi
estrinseci - costituisce la linea ispiratrice della decisione.
Il ricorso va, pertanto, rigettato. Segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 2 febbraio
2011
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 13/05/2011
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