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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 27/5/2011 (Ud. 13/4/2011) Sentenza n. 21311
DANNO AMBIENTALE - Risarcimento del danno ambientale - Natura pubblica -
Legittimazione enti territoriali - a costituirsi parte civile nei processi per
reati ambientali - Artt. 309, co. 1 e 311 D.L.vo n.152/06 e s.m.. Il
risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come
lesione dell'interesse pubblico e generale dell'ambiente, ora previsto e
disciplinato soltanto dall'art. 311 D.L.vo n.152\06 spetta esclusivamente allo
Stato. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti
pubblici territoriali e le regioni, sono legittimati ad agire, ex art. 2043
c.c., per ottenere qualsiasi risarcimento del danno patrimoniale, ulteriore e
concreto, che abbiano dato prova di avere subito dalla medesima condotta lesiva
dell'ambiente in attinenza alla lesione di altri loro diritti patrimoniali,
diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente (Cass.
21/10/2010, n. 41015; Cass. 11/2/2010, n. 14828). (conferma sentenza n.
10974/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 25/02/2009) Pres. Squassoni, Est.
Gazzara, Ric. Roma. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 27/5/2011 (Ud.
13/4/2011) Sentenza n. 21311
DANNO AMBIENTALE - Risarcimento del danno ambientale in forma specifica -
Competenza esclusiva dello Stato - Altri danni patrimoniali risarcibili -
Regioni e gli enti territoriali minori - Legittimazione a costituirsi ai sensi
dell'art. 2043 c.c.. La normativa vigente riserva allo Stato ed in
particolare al ministro dell'ambiente e della tutela del territorio il potere di
agire per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se
necessario, per equivalente patrimoniale, anche esercitando l'azione civile in
sede penale (art. 311 D.L.vo n.152\06). Le regioni e gli enti territoriali
minori, in forza dell'art. 309, co. 1, possono presentare denunce ed
osservazioni nell'ambito di procedimenti finalizzati alla adozione di misure di
prevenzione, precauzione e ripristino, oppure possono sollecitare l'intervento
statale a tutela dell'ambiente, mentre non hanno più il potere di agire iure
proprio per il risarcimento del danno ambientale. A seguito del citato mutamento
legislativo, la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati
ambientali spetta non soltanto al ministro dell'ambiente, ex art. 311 co. 1, d.
L.vo 152/06, ma anche all'ente pubblico territoriale, che, per effetto della
condotta illecita, abbia subito un danno patrimoniale risarcibile, ai sensi
dell'art. 2043 c.c. (Cass. 28/10/09, Ciarloni). (conferma sentenza n. 10974/2007
CORTE APPELLO di NAPOLI, del 25/02/2009) Pres. Squassoni, Est. Gazzara, Ric.
Roma. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 27/5/2011 (Ud. 13/4/2011) Sentenza
n. 21311
RIFIUTI - DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Indagini preliminari - Decorrenza del
termini - Ritardi nella iscrizione - Effetti e limiti - Gravi indizi di reato e
indispensabilità dell’intercettazione - Fattispecie: intercettazioni telefoniche
relative ad un imponente traffico di rifiuti pericolosi - Artt. 407, co. 3, 266
e ss. c.p.p.. Il termine delle indagini preliminari decorre dalla data in
cui il p.m. ha iscritto nel registro delle notizie di reato il nome della
persona cui il reato è attribuito, senza che al Gip sia consentito stabilire una
diversa decorrenza. Sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione,
tanto della notizia di reato, quanto del nome della persona cui lo stesso reato
è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto
previsto dall'art. 407, co. 3, c.p.p.. Né l'eventuale violazione del dovere di
tempestiva iscrizione, che pur potrebbe configurare responsabilità disciplinari
o addirittura penali a carico del p.m. negligente, è causa di nullità degli atti
compiuti, non ipotizzabile in assenza di una espressa previsione di legge, in
ossequio al principio di tassatività, fissato dall'art. 177 del codice di rito
(Cass. S.U. 24/9/09, n. 40538; Cass. 8/4/08, Bruno). Conseguentemente la
tardività della iscrizione nel registro delle notizie del reato non può
determinare la inutilizzabilità delle indagini (intercettazioni telefoniche)
acquisite precedentemente a detta iscrizione (Cass. S.U. 21/6/2000, Tammaro).
Sicché, i gravi indizi di reato, che costituiscono, il presupposto per il
ricorso alle intercettazioni attengono alla esistenza dell'illecito penale e non
alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicché per procedere
legittimamente ad intercettazioni non è necessario che tali indizi siano a
carico di una persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano
essere captate a fine di indagine (Cass. 21/12/06, n. 42017 ). Nella specie, le
disposte intercettazioni telefoniche risultavano pienamente giustificate dal
fatto che erano in corso indagini relative ad un imponente traffico di rifiuti
pericolosi. (conferma sentenza n. 10974/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
25/02/2009) Pres. Squassoni, Est. Gazzara, Ric. Roma. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 27/5/2011 (Ud. 13/4/2011) Sentenza n. 21311
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. CLAUDIA SQUASSONI
- Presidente
Dott. GUICLA MULLIRI - Consigliere
Dott. GIULIO SARNO
- Consigliere
Dott. LUCA RAMACCI
- Consigliere
Dott. SANTI GAZZARA - Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
1) ROMA ELIO N. IL 03/04/1951
- avverso la sentenza n. 10974/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 25/02/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. SANTI GAllARA
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Sante Spinaci che ha
concluso per l'inammissibilità
- Udito, per la parte civile, I'Avv. //
- Uditi difensor Avv.ti G.L. e C.F., i quali hanno concluso insistendo sui
motivi dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Gup presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza del 7/12/06,
resa a seguito di rito abbreviato. dichiarava Roma Elio colpevole dei reati di
cui agli arti. 416 c.p.. 256 e 260, d.P.R. 152/06, e unificatili ex art. 81
c.p., individuata la violazione più grave in quella di associazione a
delinquere, lo condannava alla pena di anni 7 di reclusione, con applicazione
delle pene accessorie, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili,
da liquidarsi in separata sede e al pagamento di una provvisionale per ciascuna
di esse.
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 25/2/09, chiamata a pronunciarsi
sugli appelli avanzati nel!"interesse dell'imputato e dai difensori dell'Adiconsum
e del Consorzio per la Tutela della Mozzarella di Bufala Campana, ha confermato
la sentenza di prime cure.
I difensori del Roma propongono autonomi ricorsi per cassazione, con i motivi di
seguito riportati:
- violazione degli artt. 74 e segg. c.p.p.. 18, L. 349/86 e 4, L. 265/89, rilevato che la Corte territoriale ha omesso di argomentare e dare adeguato riscontro ad uno specifico motivo di appello, con cui la difesa del prevenuto eccepiva la illegittimità della costituzione delle parti civili, limitandosi a condividere quanto sul punto il Tribunale aveva affermato:
- nullità della sentenza per violazione degli artt. 335 e 407, co. 3. c.p.p.
inutilizzabilità delle risultanze investigative, in quanto, la tardività della
iscrizione del prevenuto nel registro degli indagati, che andava eseguita
immediatamente, non avrebbe potuto permettere di considerare utilizzabili gli
atti di indagine compiuti, considerando quale termine a quo la predetta
tardiva iscrizione. E' evidente che nella mancanza della iscrizione del Roma
Elio nel registro degli indagati i decreti di intercettazione dovevano ritenersi
nulli, poiché emessi in assenza di gravi indizi di reato.
- violazione degli artt. 191, 266 e ss. c.p.p., col considerare che solo alla
data del 5/10/05 il p.m. acquisì la documentazione relativa al volume di affari
della R.F.G. s.r.l..
L'assenza di cognizione di tale elemento in tempo precedente determina, come logica conseguenza, che erano insussistenti gli elementi per procedere in ordine al reato di cui all'art. 53 bis, d.Lvo 22/97 per mancanza del requisito quantitativo del traffico ingente, derivando da ciò la inutilizzabilità di tutte le intercettazioni effettuate. in quanto le stesse non potevano essere disposte solo in relazione alla contravvenzione di cui al citato art. 51;
- violazione degli artt. 416 e 417 c.p.p.. in quanto non si palesa correttamente
ed esaustivamente accettabile il discorso giustificativo svolto dal decidente,
nel rigettare le ragioni addotte dalla difesa del prevenuto, con il limitarsi a
ritenere la insussistenza di ogni e qualunque lesione al diritto di difesa: la
richiesta di rinvio a giudizio, stilata dal p.m. presenta, di contro. dei
profili insuperabili di nullità. collegati alla genericità ed imprecisione della
imputazione formulata.
Si contraddice lo stesso decidente sul punto allorché prima afferma che detta
lacunosità non determina difetto alcuno, per poi affermare che la stessa
genericità di imputazione, operata dal p.m., costituirebbe causa di nuIlità
relativa, sanata dalla scelta del rito abbreviato.
- violazione dell'ari. 63 c.p.p. in relazione ai reati contestati. perché c
indubbio che i giudici di merito hanno posto a fondamento del proprio giudizio
elementi indizianti acquisiti in violazione del disposto normativo di cui al
citato articolo, in quanto emerge dagli atti che i soggetti in questione sono
stati escussi in merito ad alcuni sversamenti di concimi per allevamenti su
fondi di loro proprietà che hanno costituito oggetto di specifiche attività di
accertamento da parte della p.g..
Sussisteva. con netta evidenza, la necessità di escutere i proprietari dei
terreni con le garanzie di cui all'art, 63 c.p.p., potendosi. all'esito
dell'accesso sul fondo, ipotizzare la sussistenza del reato di cui all'art. 51.
d.l.vo 22/97 a carico degli stessi:
- nullità della sentenza per violazione dell'art. 192 c.p.p. in relazione ai
reati contestati, perché i giudici di merito hanno individuato la R.G.F. s.r.l.
come elemento fondamentale del compendio di mezzi, utilizzato dalla associazione
a delinquere promossa dall'imputato e dal figlio di esso, Roma Francesco,
ignorando tutte le prove documentali, relative alla regolare attività svolta
dalla società predetta, rinvenibili nelle certificazioni abilitative
all'esercizio della attività a cui la R.G.F. era autorizzata. Va, sul punto,
sottolineata una ulteriore lacuna nella pronuncia impugnata, derivante dal
rigetto della istanza di rinnovo della istruttoria dibattimentale, che avrebbe
permesso di acclarare l'assunto della difesa del prevenuto, in ordine alla
corrispondenza tra attività svolta dalla società e autorizzazioni alla stessa
rilasciate:
- errata applicazione della legge penale cd illogicità della motivazione in
relazione agli artt. 416 c.p., 192 c.p.p. e 125 c.p.p.. rilevato che non
sussiste nella specie, alcun elemento che possa fate ritenere concretizzato il
reato di associazione a delinquere. Il discorso svolto sul punto da parte della
Corte distrettuale, con netta evidenza, si palesa elusivo, non ottempera al
dovuto riscontro al precipuo motivo di appello, trincerandosi su apodittiche
affermazioni, in difetto di ogni e qualunque supporto, ma, specialmente,
allontanandosi dai parametri individuanti la fattispecie di reato contestata:
- ha errato il giudice di merito nel non volere ritenere la incompatibilità e. tutto al più, l'assorbimento del reato di cui all'art. 416 c.p. con quello previsto dall'art. 260, L. 152/06, visto che quest'ultima norma descrive una fattispecie associativa speciale, rispetto a quella più genericamente individuata dall'art. 416 c.p.:
- ulteriore censura viene mossa al diniego delle attenuanti generiche e di
quelle di cui all'art. 114 c.p.. diniego non sopportato da adeguata e corretta
giustificazione, anzi sul punto si può affermare che la giustificazione è
fisicamente assente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati e vanno rigettati.
La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente a sostegno della
affermata colpevolezza del prevenuto in ordine ai reati ad esso ascritti, si
palesa in tutta evidenza, logica e corretta.
La censura avanzata col primo motivo. relativa alla illegittimità della
costituzione delle parti civili, è priva di pregio.
Sul punto si osserva che l'art. 18, co. 3, L. 349/86, attribuiva allo Stato e
agli enti territoriali, sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo, la
legittimazione a promuovere la relativa azione per il risarcimento del danno,
anche se esercitata in sede penale.
Il suddetto art. 18 è stato, però, abrogato dal d. L.vo 152/06 art. 3 1 8. co.
2. lett. a), ad eccezione del co. 5, che riconosce alle associazioni
ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale.
La normativa vigente riserva allo Stato ed in particolare al ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio il potere di agire per il
risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per
equivalente patrimoniale, anche esercitando l'azione civile in sede penale (art.
311).
Le regioni e gli enti territoriali minori, in forza dell'art. 309, co. 1,
possono presentare denunce ed osservazioni nell'ambito di procedimenti
finalizzati alla adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino,
oppure possono sollecitare l'intervento statale a tutela dell'ambiente, mentre
non hanno più il potere di agire iure proprio per il risarcimento del
danno ambientale.
A seguito del citato mutamento legislativo la giurisprudenza di questa Corte ha
rilevato che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati
ambientali spetta non soltanto al ministro dell'ambiente, ex art. 311 co. 1, d.
L.vo 152/06, ma anche all'ente pubblico territoriale, che, per effetto della
condotta illecita, abbia subito un danno patrimoniale risarcibile, ai sensi
dell'art. 2043 c.c. (Cass. 28/10/09, Ciarloni ).
Di tal ché il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé
considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale dell'ambiente, ora
previsto e disciplinato soltanto dall'art. 311 cit. spetta esclusivamente allo
Stato; tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti
pubblici territoriali e le regioni, sono legittimati ad agire, ex art. 2043
c.c., per ottenere qualsiasi risarcimento del danno patrimoniale, ulteriore e
concreto, che abbiano dato prova di avere subito dalla medesima condotta lesiva
dell'ambiente in attinenza alla lesione di altri loro diritti patrimoniali,
diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente (Cass.
21/10/2010, n. 41015; Cass. 11/2/2010, n. 14828).
In dipendenza di quanto osservato, nel caso in esame, a giusta ragione, i
giudici di merito hanno ritenuto sussistere, in capo alle parti civili la
legitimatio ad processum.
Del pari non meritevole di accoglimento risulta essere il secondo motivo di
ricorso, osservando che questa Corte ha affermato che il termine delle indagini
preliminari decorre dalla data in cui il p.m. ha iscritto nel registro delle
notizie di reato il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al
Gip sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali
ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato, quanto del nome
della persona cui lo stesso reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di
conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, co. 3, c.p.p.; né
l'eventuale violazione del dovere di tempestiva iscrizione, che pur potrebbe
configurare responsabilità disciplinari o addirittura penali a carico del p.m.
negligente, è causa di nullità degli atti compiuti, non ipotizzabile in assenza
di una espressa previsione di legge, in ossequio al principio di tassatività,
fissato dall'art. 177 del codice di rito (Cass. S.U. 24/9/09, n. 40538; Cass.
8/4/08, Bruno).
Conseguentemente la tardività della iscrizione nel registro delle notizie del
reato del Roma non può determinare la inutilizzabilità delle indagini ( nella
specie intercettazioni telefoniche) acquisite precedentemente a detta iscrizione
(Cass. S.U. 21/6/2000, Tammaro ).
In ordine alla acquisizione di elementi indizianti in violazione delle
disposizioni normative di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p. si evidenzia che
l'autorizzazione a disporre la intercettazione di conversazioni o comunicazioni
telefoniche, o di altre forme di telecomunicazione, presuppone la esistenza di
gravi indizi di reato, compreso tra quelli indicati al co. 1 del citato art.
266, e la indispensabilità della intercettazione.
I gravi indizi di reato, che costituiscono, quindi, il presupposto per il
ricorso alle intercettazioni attengono alla esistenza dell'illecito penale e non
alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicché per procedere
legittimamente ad intercettazioni non è necessario che tali indizi siano a
carico di una persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano
essere captate a fine di indagine (ex plurimis Cass. 21/12/06, n. 42017).
Nella specie, come, evidenziato dai giudici di merito, le disposte
intercettazioni telefoniche risultavano pienamente giustificate dal fatto che
erano in corso indagini relative ad un imponente traffico di rifiuti pericolosi.
Infondata si palesa la eccezione di violazione del diritto di difesa,
determinata dalla imprecisione e genericità della imputazione, così come
formulata, per due ordini di motivi: in primis i capi di imputazione sono
sufficientemente completi e permettono all'imputato di predisporre una piena ed
adeguata contestazione all'accusa; di poi, la applicazione del rito premiale,
invocata dal prevenuto è preclusiva alla proposizione di detta eccezione.
In ordine alla contestata violazione dell'art. 63 c.p.p., si ribadisce che la
sanzione di inutilizzabilità erga omnes " delle dichiarazioni assunte
senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto, sin dall'inizio,
essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula,
che a carico dell'interessato siano già acquisiti, prima della escussione,
indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dalla autorità procedente,
non rilevando a tale proposito eventuali sospetti o intuizioni personali
dell'interrogante ( Cass. 23/4/09, n. 8 ).
Ne consegue che tale condizione non può automaticamente farsi derivare dal solo
fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in
vicende potenzialmente suscettibili di dare luogo alla formulazione di addebiti
penali a loro carico, occorrendo, invece, che tali vicende, per come percepite
dalla autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non potere formare
oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente la esistenza di
responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi
(Cass. 8/11/07, n. 40/60).
Ossevarsi, ancora, che ai sensi del citato art. 63 c.p.p. le dichiarazioni rese
da coloro che avrebbero dovuto, sin dall'inizio della deposizione, essere
sentiti con le modalità prescritte per l'audizione degli indagati e, di contro,
sono stati assunti in difetto di esse, sono inutilizzabili contra se e
contra alios.
Se, invece, nel corso della escussione la loro posizione di persona informata
sui fatti muta in quella di indagata, le pregresse dichiarazioni da essi fornite
non possono essere utilizzate contra se, ma lo possono contra alios: nel
caso di specie nessuna emergenza giustifica la conclusione del ricorrente,
peraltro immotivata, che le due indicate persone fossero destinatarie di
indagini ab origine.
Peraltro, la Corte territoriale rileva, a giusta ragione, come, anche a volere
ritenere inutilizzabili le dichiarazioni de quibus, l'impalcatura del
teorema accusatorio non sarebbe risultato affatto compromessa, visto che la
prova di reità risulta solidalmente assicurata dagli esiti dei controlli operati
dai C.C. sui fondi agricoli siti nei Comuni di Castel Volturno, Villa Literno,
San Tammaro e Falciano del Massico, nel corso dei quali vennero direttamente
constatati sversamenti di fanghi di depurazione e di altri materiali inquinanti.
Non meritevole di accoglimento è, del pari, la eccezione di violazione dell'art.
192 c.p.p.: il giudice, a giusta ragione, ritiene che a nulla rileva che la
società di cui il prevenuto era amministratore occulto avesse ottenuto tutte le
attestazioni per esercitare la attività che secondo statuto era indicata, in
quanto, parallelamente a detta attività (lecita), ne veniva svolta altra
tendente a realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira.
La doglianza, di poi, tende ad una rivalutazione della piattaforma probatoria,
su cui al giudice di legittimità è precluso di procedere a rianalisi estimativa.
Sulla concretizzazione del reato contestato al capo a), la sentenza appare
cornpiutamente argomentata, rilevato che il giudice di merito richiama le
emergenze istruttorie che cristallizzano la condotta in quella tipica prevista
dall'art. 416 c.p.p., in ragione del carattere dell'accordo criminoso,
determinante un vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascuno
degli associati di fare parte di un sodalizio e di partecipare con contributo
causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale: il Roma Elio,
era il promotore e il gestore della associazione; il figlio di costui, Roma
Francesco, il Bellotta Nicola, il Cantone Francesco, il Diana Raffaele e il
Falcone Gaudenzio, contribuivano, ciascuno, adempiendo ai compiti loro demandati
dal prevenuto, a far si che l'attività illecita raggiungesse lo scopo prefisso.
Ne, nella specie, è da considerare il reato di cui all'art. 416 c.p. assorbito
dalla fattispecie criminosa di cui all'art. 260, d.lvo 152/06, e ciò in
dipendenza della diversità degli illeciti commessi dai consociati, costituente
il vasto programma delinquenziale posto in essere dalla associazione.
Il diniego delle attenuanti generiche e la quantificazione della pena, nella
misura come inflitta, risultano ampiamente e correttamente argomentati, con
l'evidenziare gli elementi ritenuti preclusivi all'accoglimento delle istanze
avanzate dalla difesa dell'imputato: la durata operativa della associazione, il
quantitativo di rifiuti illecitamente accettati presso l'impianto, l'entità di
essi sversati e solo in limitatissima misura censiti dagli inquirenti, il numero
e la dimensione dei terreni interessati agli sversamenti, la pericolosità di una
parte di essi rifiuti, la ingente quantità dei profitti conseguiti e programmati
in uno alla lesione degli interessi tutelati; la pericolosità soggettiva del
Roma, ravvisabile nei precedenti penali a carico, nella spregiudicata
insensibilità dimostrata nel, perpetrare la condotta illecita contestatagli;
elementi tutti ampiamente giustificativi delle conclusioni a cui è pervenuto il
decidente nel non applicare l'art. 62 bis c.p. e nel determinare il trattamento
sanzionatorio inflitto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 13/4/2011.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 27/05/2011
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