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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/01/2011 (Ud. 15/12/2010) Sentenza n. 2313
DIRITTO DELLE ACQUE - Nozione di acque reflue industriali - Scarico di acque
reflue industriali - Assenza di autorizzazione - Integrazione del reato di cui
all'art. 137 D.L.vo 152/06 (prima art. 59, D.Lgs. n. 152/1999) - art. 74, c.1°,
lett. h) D.Lgs. n. 152/2006, (come mod. dal D.Lgs. n. 4/2008). Nella nozione
di acque reflue industriali definita dall'art. 74, comma primo, lett. h), del
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4)
rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività
produttive, in quanto detti reflui non attengono prevalentemente al metabolismo
umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue
domestiche, come definite dall'art. 74, comma primo, lett. g), del citato
decreto. Inoltre, integra il reato di cui all'art. 59 co. D.l.vo 152/99 (ora
art. 137 D.L.vo 152/06) l’effettuazione di uno scarico di acque reflue
industriali senza aver ottenuto il prescritto provvedimento di autorizzazione da
parte della autorità competenti. Nella specie, si contesta di avere effettuato
il lavaggio di cassette di uva durante la vendemmia e fatto defluire l'acqua di
lavaggio in un canalone per la raccolta delle acque piovane. In una situazione
analoga, anche lo scarico senza autorizzazione di acque reflue derivanti
dall'attività di molitura delle olive è stato ritenuto integrare il reato di cui
all'art. 137 D.L.vo 152/06 (prima previsto dall'art. 59, D.Lgs. 11 maggio 1999,
n. 152). (dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza del Tribunale di
Crotone, sez. dist. di Strangoli in data 22.1.08) Pres. Ferrua, Est. Mulliri,
Ric. Librandi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/01/2011 (Ud.
15/12/2010) Sentenza n. 2313
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dai Signori:
1. dr.ssa Giuliana Ferrua
Presidente
2. dr. Renato Grillo
Consigliere
3. dr.ssa Guida Mulliri
Consigliere rel.
4. dr. Luigi Marini
Consigliere
5. dr. Santi Gazzara
Consigliere
all'esito dell'udienza pubblica del 15 dicembre 2010
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da: Li. An. Ca., nato a Cirò M. il xx.xx.xx imputato art.
59 D.L.vo 152/99
- avverso la sentenza del Tribunale di Crotone, sez. dist. di Strangoli in data
22.1.08
- Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
- Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Vito D'Ambrosio, che ha chiesto
l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione;
osserva
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso - Con la sentenza qui impugnata,
lo Strangoli è stato dichiarato responsabile - e condannato alla pena di 1500 €
di ammenda - per la violazione dell'art. 59 D.L.vo 152/99 per avere, quale
titolare della ditta omonima, effettuato uno scarico di acque reflue industriali
senza aver ottenuto il prescritto provvedimento di autorizzazione da parte della
autorità competenti. In particolare, gli si contesta di avere effettuato il
lavaggio delle cassette di uva durante la vendemmia e fatto defluire l'acqua di
lavaggio in un canalone per la raccolta delle acque piovane.
Avverso tale decisione, l'imputato ha proposto, tramite il difensore, appello (convertito
in ricorso) deducendo:
1) che scarichi di acque é concetto diverso da quello di lavaggio con acqua: nel
primo caso, lo scarico, per quanto discontinuo, è il risultato di un ciclo
produttivo industriale mentre nella specie - anche attenendosi a quanto
accertato nel corso del sopralluogo - si è in presenza di un fatto occasionale;
nel secondo caso, trattandosi di un normale lavaggio, il Tribunale avrebbe
dovuto concludere che non si era in presenza di uno scarico e che non
necessitava alcuna autorizzazione amministrativa.
Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.
2. Motivi della decisione - Il ricorso è manifestamente infondato e,
quindi, inammissibile.
La ragione fondamentale di tale declaratoria risiede nel "vizio di origine"
dell'impugnazione, concepita come appello e, quindi, sviluppata tutta su
argomenti di merito che non si attagliano ad un giudizio in questa sede di
legittimità. D'altro canto, la condanna alla sola pena pecuniaria non avrebbe
potuto che essere censurata - ex art. 593 co. 3 c.p.p. - dinanzi a questa S.C..
Il gravame, perciò, nei suoi contenuti, è contrario alle regole del giudizio di
legittimità ove l'unico controllo sulla motivazione che può essere invocato
attiene alla verifica che il giudice abbia fornito una spiegazione del proprio
convincimento, ancorandosi alle emergenze processuali e mostrando di darne una
lettura non manifestamente illogica né contraddittoria.
Sulla scorta di tali premesse, è da escludere, pertanto, che il presente
giudizio si identifichi con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite
ovvero con la possibilità di formulare un giudizio diverso - da quello espresso
dai giudici di merito - sull'intrinseca adeguatezza della valutazione dei
risultati probatori o sull'attendibilità delle fonti di prova.
Risulta, dunque, inattaccabile la motivazione qui impugnata che, pur nella sua
estrema sintesi, sottolinea un dato di fatto inconfutabile, e cioè, che, a
seguito di lamentele degli abitanti del rione, ispettori ASL avevano effettuato
un sopralluogo presso la cantina Librandi "constatando che, nel piazzale della
cantina veniva effettuato il lavaggio delle cassette di uva durante la
vendemmia, da parte degli operai dipendenti della Cantina Librandi; l'acqua di
lavaggio defluiva in un canalone per la raccolta delle acque piovane".
Ancorché non esplicitato, è chiaro il concetto che il giudicante ha ritenuto
tale condotta integrare il reato di cui all'art. 59 co. d.L.vo 152/99 (ora art.
137 D.L.vo 152/06) e, nel fare ciò, non ha errato essendovi plurime pronunzie di
questa S.C. che affermano la ricorrenza di tale ipotesi contravvenzionale - e la
conseguente necessità della prescritta autorizzazione - tutte le volte in cui vi
sia immissione nella pubblica fognatura di "acque reflue non aventi
caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche" (Sez. III, 18.6.09,
Tonelli, Rv. 244587).
Ed infatti, "nella nozione di acque reflue industriali definita dall'art. 74,
comma primo, lett. h), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal
D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo
svolgimento di attività produttive, in quanto detti reflui non attengono
prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla
nozione di acque reflue domestiche, come definite dall'art. 74, comma primo,
lett. g), del citato decreto." (Sez. III, 5.2.09, Bonaffini, Rv. 243122)
Per tale ragione, dunque, in una situazione assimilabile alla presente, anche lo
scarico senza autorizzazione di acque reflue derivanti dall'attività di molitura
delle olive è stato ritenuto integrare il reato di cui all'art. 137 D.L.vo
152/06 (prima previsto dall'art. 59, D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152) (Sez. III,
20.5.08, De Gregoris, Rv. 240549).
L'inammissibilità del presente ricorso non consente (s.u. 22.3.05, Bracale, Rv.
231164) il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto,
la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell'art. 129 c.p.p. (nella specie, la prescrizione del reato maturata
successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
dichiara
inammissibile il ricorso e
condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 €.
Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 15 dicembre 2010
DEPOSITATO IN CANCELLERIA 24 Gen. 2011
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