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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. IV, 27/01/2011 Sentenza n. 2814
SICUREZZA DEL LAVORO - Datore di lavoro - Posizione di garanzia - Obblighi
del responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP) - Omessa
valutazione dei rischi - Negligenza colpevole - Rimedi inidonei ai pericoli
inclusi nel documento di valutazione dei rischi - Corresponsabilità con il
datore di lavoro - Artt. 31 e 32 D. L.vo n. 81/2008. Il responsabile del
servizio di prevenzione e protezione (RSPP) non è titolare di alcuna posizione
di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e lo
stesso opera, piuttosto, quale "consulente" in tale materia del datore di
lavoro, il quale è (e rimane) direttamente tenuto ad assumere le necessarie
iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio. Pertanto, la
"designazione" del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare a norma del
Decreto Legislativo n. 81/2008, articolo 31 (individuandolo, ai sensi del
successivo articolo 32, tra persone i cui requisiti siano "adeguati alla natura
dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative"),
non equivale a "delega di funzioni" utile ai fini dell'esenzione del datore di
lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica,
perché gli consentirebbe di "trasferire" ad altri - il delegato - la posizione
di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori.
Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto
ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi
connessi all'espletamento dell'attività lavorativa. Il datore di lavoro, quindi,
è e rimane il titolare della posizione di garanzia nella subiecta materia,
poiché l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il
documento contenente le misure di prevenzione e protezione, appunto in
collaborazione con il RSPP, fa pur sempre capo a lui, tanto che la normativa di
settore, mentre non prevede alcuna sanzione penale a carico del RSPP, punisce
direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto di avere omessa la
valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento. Tuttavia, quanto
detto, non esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro che
rimane persistentemente titolare della "posizione di garanzia", possa profilarsi
lo spazio per una (concorrente) responsabilità del RSPP. (conferma sentenza n.
11004 del 09/11/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI) Pres. Marzano, Est. Piccialli -
Ric. Di. Ma. Al.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. IV, 27/01/2011 Sentenza n.
2814
SICUREZZA DEL LAVORO - Responsabilità prevenzionali e responsabilità per
reati colposi di evento - Corresponsabilità del RSPP con il datore di lavoro -
Presupposti e limiti - D. L.vo n. 81/2008. Anche il RSPP, che pure è privo
dei poteri decisionali e di spesa (e quindi non può direttamente intervenire per
rimuovere le situazioni di rischio), può essere ritenuto (cor)responsabile del
verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente
riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di
conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto
seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative
idonee a neutralizzare detta situazione. Il RSPP, quindi, non può essere
chiamato a rispondere per il solo fatto di non avere svolto adeguatamente le
proprie funzioni di verifica delle condizioni di sicurezza, proprio perché,
difetta una espressa sanzione nel sistema normativo. Il fatto, che la normativa
di settore escluda la sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali
comportamenti inosservanti dei componenti del servizio di prevenzione e
protezione, non significa che questi componenti possano e debbano ritenersi in
ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile
derivante da attività svolte nell'ambito dell'incarico ricevuto. Infatti,
occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali,
derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle
responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati
infortuni sul lavoro o tecnopatie. Ne consegue che il responsabile del servizio
di prevenzione e protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza,
imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento
sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo,
così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura
prevenzionale, risponderà insieme a questi dell'evento dannoso derivatone,
essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere
anche un carattere addirittura esclusivo. (conferma sentenza n. 11004 del
09/11/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI) Pres. Marzano, Est. Piccialli - Ric. Di. Ma.
Al.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. IV, 27/01/2011 Sentenza n. 2814
SICUREZZA DEL LAVORO - Compiti e obblighi del RSPP - Omissione colposa di
segnalazione - Obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio - Misure da
adottare per la sicurezza e la salubrità dell'ambiente di lavoro -
Responsabilità - Presupposti. L'omissione colposa al potere-dovere di
segnalazione in capo al RSPP, impedendo l'attivazione da parte dei soggetti
muniti delle necessarie possibilità di intervento, finisce con il costituire
(con)causa dell'evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione
della condizione di rischio. Con la conseguenza, che, qualora il RSPP, agendo
con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline,
abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una
situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere
l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben potrebbe (rectius,
dovrebbe) essere chiamato a rispondere insieme a questi (in virtu' del combinato
disposto dell'articolo 113 c.p. e articolo 41 c.p., comma 1) dell'evento dannoso
derivatone. (conferma sentenza n. 11004 del 09/11/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI)
Pres. Marzano, Est. Piccialli - Ric. Di. Ma. Al.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE,
Sez. IV, 27/01/2011 Sentenza n. 2814
SICUREZZA DEL LAVORO - Ambiente di lavoro - Nozione. Per "ambiente di
lavoro" deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l'attività lavorativa
si sviluppa ed in cui, indipendentemente dall'attualità dell'attività, coloro
che siano autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedano per
ragioni connesse all'attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in
momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro. (conferma sentenza n. 11004
del 09/11/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI) Pres. Marzano, Est. Piccialli - Ric. Di.
Ma. Al.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. IV, 27/01/2011 Sentenza n. 2814
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. IV Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco
- Presidente
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe
- Consigliere
Dott. MAISANO Giulio
- Consigliere
Dott. IZZO Fausto
- Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia
- Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
1) DI. MA. AL., N. IL (Omissis);
- avverso la sentenza n. 11004/2008 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 09/11/2009;
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/12/2010 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'Ambrosio Vito, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
- Udito il difensore avv. Ragosta M., che conclude per l'accoglimento del
ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli confermava quella di
primo grado che aveva ritenuto la responsabilità di DI. MA. Al. per il reato di
omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in
danno del lavoratore Na. Sa. (fatto del ...).
Le circostanze di tempo e di luogo dell'infortunio sono rimaste incontestate: il
Na., dipendente della AV. In. St. Me. e. Na. s.p.a, alla guida di un trattore
agricolo, utilizzato ordinariamente per la movimentazione dei vagoni ferroviari
all'interno dello stabilimento sopra indicato, mentre compiva la manovra in
retromarcia all'ingresso del capannone n.14 - manovra necessaria per accedere al
capannone n.10, ove doveva essere posizionata una carrozza ferroviaria - cadeva
lateralmente in una fossa di ispezione posta lungo tutto il capannone, lasciata
aperta, e cosi' sbalzato al di fuori della cabina, cadeva in tale fossa, ove
rimaneva schiacciato dalle ruote del trattore.
Il Di. Ma., era stato chiamato a risponderne, quale responsabile del servizio
prevenzione e protezione della società AV., essendosi ravvisati a suo carico
profili di colpa generica e specifica, non avendo lo stesso valutato
adeguatamente i rischi connessi alle mansioni che gli operai dovevano svolgere
durante le operazioni di movimentazione della carrozze, rischi derivanti in
particolare dalla presenza delle fosse di lavorazione non protette al fine di
evitare la caduta accidentale di uomini e i mezzi.
Avverso la predetta decisione propone ricorso per Cassazione l'imputato
articolando due motivi.
Con il primo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione che aveva
addebitato all'imputato la responsabilità per la mancata predisposizione di
adeguate misure di protezione alla fossa di lavorazione presente nel capannone
n.14, sulla scorta delle affermazioni di un teste, smentita dal ricorrente,
secondo il quale per accedere al capannone n.10 si doveva obbligatoriamente
entrare in quello n.14 nonche' sulla affermata inidoneità dei sistemi di
protezione (paletti di recinzione e catenelle di sicurezza da apporre alle fosse
in assenza di attività lavorativa).
Tale ultima valutazione trascurerebbe la circostanza che il documento di
valutazione dei rischi prendeva in considerazione esclusivamente i luoghi nei
quali si poteva svolgere attività lavorativa e che il Di. Ma. aveva segnalato al
datore di lavoro la necessità di tenere rigorosamente chiuso il capannone n.14,
in cui non si svolgeva alcuna attività lavorativa e non competeva certamente al
responsabile del servizio di prevenzione e protezione l'obbligo di sovrintendere
le attività lavorative, controllandone lo svolgimento.
Ciò soprattutto tenuto conto che dalla documentazione in atti emergeva che i
capannoni, compreso quello n.14 rimanevano chiusi proprio in ossequio alle
indicazioni impartite dal Di. Ma..
Con il secondo motivo, strettamente connesso, si duole della manifesta
illogicità della motivazione laddove la Corte di merito aveva trascurato i
limiti del potere si intervento spettante al responsabile del servizio di
prevenzione e protezione, a cui compete segnalare tempestivamente al datore di
lavoro la situazione di pericolo, cosi' come era stato puntualmente fatto
dall'imputato, e non adottare le misure antinfortunistiche e di controllo dello
svolgimento delle attività lavorative, spettante al datore di lavoro.
Il ricorso e' infondato giacche' le argomentazioni del giudicante con
riferimento al profilo della colpevolezza dell'imputato sono convincenti ed in
linea con la giurisprudenza di questa Corte.
Premesso che la chiusura dei capannoni, tra cui il 14, non era effettiva,
risultando spesso le porte aperte ovvero normalmente apribili da parte degli
operai, e che l'operazione posta in essere dalla vittima, comportava
necessariamente l'invasione con il trattore a marcia indietro del detto
capannone posto di fronte a quello dove doveva essere introdotto il materiale
rotabile, i giudici di merito affermano che la responsabilità dell'imputato
risiede nella negligente sottovalutazione dei rischi, collegati alla presenza
nei capannoni di ampie fosse, aventi la lunghezza dei capannoni, e nella
imperizia dimostrata dallo stesso attraverso l'indicazione nel documento di
valutazione dei rischi di rimedi del tutto inidonei (paletti di recinzione e
catenelle di sicurezza da apporre alla fosse quando non vi era attività
lavorativa) ad affrontare la situazione di pericolo.
Da questa premesse in fatto, non sindacabili in questa sede, la sentenza fa
discendere la responsabilità del Di. Ma. , che, nella qualità di responsabile
del servizio di prevenzione e protezione era tenuto non solo a segnalare
l'effettività del rischio ma anche a proporre concreti ed idonei sistemi di
prevenzione e protezione per evitare gli eventi, come quello verificatosi.
Tale conclusione non contrasta, come sostiene il difensore con i principi
consolidati di questa Corte, correttamente richiamati anche nel ricorso, senza
però trame coerente interpretazione.
In proposito, si rileva che la sentenza non pone in discussione il principio che
il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) che non e'
titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa
antinfortunistica e che lo stesso opera, piuttosto, quale "consulente" in tale
materia del datore di lavoro, il quale e' (e rimane) direttamente tenuto ad
assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di
rischio. In effetti, la "designazione" del RSPP, che il datore di lavoro e'
tenuto a fare a norma del cit. Decreto, articolo 31 (individuandolo, ai sensi
del successivo articolo 32, tra persone i cui requisiti siano "adeguati alla
natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività
lavorative"), non equivale a "delega di funzioni" utile ai fini dell'esenzione
del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa
antinfortunistica, perche' gli consentirebbe di "trasferire" ad altri - il
delegato - la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei
confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come e' noto, compete al
datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la
verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività
lavorativa.
Dalla ricostruzione dei compiti del RSPP discende, coerentemente, che il
medesimo e' privo di capacità immediatamente operative sulla struttura
aziendale, spettandogli solo di prestare "ausilio" al datore di lavoro nella
individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella
elaborazione delle procedure di sicurezza nonche' di informazione e formazione
dei lavoratori (cfr. articolo 33 del decreto cit.).
Il datore di lavoro, quindi, e' e rimane il titolare della posizione di garanzia
nella subiecta materia, poiché l'obbligo di effettuare la valutazione dei
rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e
protezione, appunto in collaborazione con il RSPP, fa pur sempre capo a lui,
tanto che la normativa di settore, mentre non prevede alcuna sanzione penale a
carico del RSPP, punisce direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto
di avere omessa la valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento.
Quanto detto, però, non esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di
lavoro che rimane persistentemente titolare della "posizione di garanzia", possa
profilarsi lo spazio per una (concorrente) responsabilità del RSPP.
Anche il RSPP, che pure e' privo dei poteri decisionali e di spesa (e quindi non
può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio), può essere
ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta
questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli
avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla
segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro,
delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (Sezione 4,
13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; Sezione 4, 15 febbraio 2007, Fusilli; Sezione
4, 20 aprile 2005, Stasi ed altro; di recente, cfr. Sezione 4, 2 febbraio 2010,
Proc. Rep. Trib. Gorizia in proc. Visintin ed altro). Il RSPP, quindi, non può
essere chiamato a rispondere per il solo fatto di non avere svolto adeguatamente
le proprie funzioni di verifica delle condizioni di sicurezza, proprio perche'
come si e' visto, difetta una espressa sanzione nel sistema normativo.
Il fatto, però, che la normativa di settore escluda la sanzionabilità penale o
amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei componenti del
servizio di prevenzione e protezione, non significa che questi componenti
possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi
responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell'ambito
dell'incarico ricevuto. Infatti, occorre distinguere nettamente il piano delle
responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro
pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando,
cioe', si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie. Ne consegue che il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con
imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia
dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di
rischio, inducendo, cosi', il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una
doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell'evento dannoso
derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può
assumere anche un carattere addirittura esclusivo (Sezione 4, 15 luglio 2010,
Scagliarmi). Tra i compiti del RSPP, dettagliati dalla richiamata normativa,
rientra anche l'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle
misure da adottare per la sicurezza e la salubrità dell'ambiente di lavoro.
Secondo le regole generali, il RSPP può essere tenuto a rispondere - proprio
perche' la sua inosservanza si pone come concausa dell'evento - dell'infortunio
in ipotesi verificatosi proprio in ragione dell'inosservanza colposa dei compiti
di prevenzione attribuitigli dalla legge.
In altri termini, relativamente alle funzioni che la normativa di settore
attribuisce al RSPP, l'assenza di capacità immediatamente operative sulla
struttura aziendale non esclude che l'eventuale inottemperanza a tali funzioni -
e segnatamente la mancata o erronea individuazione e segnalazione dei fattori di
rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza
nonche' di informazione e formazione dei lavoratori- possa integrare una
omissione rilevante per radicare la responsabilità tutte le volte in cui un
sinistro sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata
o male considerata dal responsabile del servizio.
Ciò perche', in tale evenienza, l'omissione colposa al potere-dovere di
segnalazione in capo al RSPP, impedendo l'attivazione da parte dei soggetti
muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire
(con)causa dell'evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione
della condizione di rischio: con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP,
agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e
discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare
una situazione di rischio, inducendo, cosi', il datore di lavoro ad omettere
l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben potrebbe (rectius,
dovrebbe) essere chiamato a rispondere insieme a questi (in virtu' del combinato
disposto dell'articolo 113 c.p. e articolo 41 c.p., comma 1) dell'evento dannoso
derivatone.
La decisione impugnata e', pertanto, in linea con i principi sopra indicati,
avendo la Corte di merito apprezzato che l'incidente mortale si verificò per
evidenti carenza dell'apparato prevenzionale e per l'utilizzo di una metodica di
lavoro pericolosa che non era stata per tempo evidenziata dal responsabile del
servizio di prevenzione e protezione.
Non e' pertanto dubitabile, la posizione di garanzia in cui si trovava il DI.
Ma. , nella qualità di responsabile della sicurezza, in ragione dei propri
compiti all'interno dell'azienda, che gli imponevano di attivarsi positivamente
per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, provvedendo alla
individuazione e valutazione dei fattori di rischio, all'obbligo di formazione e
di vigilanza dei lavoratori finalizzato proprio ad evitare incidenti come quello
verificatosi in occasione dell'attività di movimentazione della carrozza
ferroviaria.
In questa ottica, le considerazioni del difensore degli imputati che vorrebbero
mettere in discussione il giudizio di responsabilità sostenendo che il Di. Ma.,
aveva adempiuto agli obblighi allo stesso spettanti, prescrivendo la chiusura
dei capannoni e proponendo le misure di prevenzione, mentre spettava al datore
di lavoro, imporre ai lavoratori il rispetto di tali prescrizioni e l'adozione
concreta dei sistemi di protezione, non colgono nel segno, in quanto non tengono
conto della corretta definizione di "ambiente di lavoro" e del concreto
contenuto degli obblighi gravanti sul responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, come sopra delineati.
Sotto il primo profilo, vale la pena di ribadire, come già affermato in altre
sentenze, che in tema per "ambiente di lavoro" deve intendersi tutto il luogo o
lo spazio in cui l'attività lavorativa si sviluppa ed in cui, indipendentemente
dall'attualità dell'attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nel
cantiere e coloro che vi accedano per ragioni connesse all'attività lavorativa,
possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del
lavoro.
Correttamente, pertanto la Corte di merito ha sottolineato che l'ambiente di
lavoro era dato da tutti i locali ove di fatto si svolgevano le operazioni ed
avrebbe dovuto essere reso sicuro in tutti gli ambiente nei quali gli operai
potessero comunque accedere, per qualsiasi motivo, e, pertanto, da esso non
erano esclusi i capannoni per i quali era stata disposta la chiusura
(disposizione, peraltro, rimasta del tutto disattesa, anche per motivi tecnici,
per avere lo spazio necessario per la movimentazione delle carrozze).
In questa prospettiva non assume rilievo la circostanza, evidenziata dalla
difesa, secondo la quale l'imputato, stabilendo il divieto di accesso in
determinati capannoni, tra cui quello n. 14, non era tenuto a predisporre alcuna
misura di prevenzione perche' non erano luoghi di lavoro, dimostrando cosi'
anche di ignorare le modalità con cui gli operai addetti alla movimentazione
delle carrozze svolgevano tale mansione, per eseguire la quale era necessario
entrare a marcia indietro nel capannone.
Quanto alla assenza di poteri di intervento dell'imputato, diretti all'adozione
di misure prevenzionali ed al rispetto delle stesse da parte dei lavoratori, in
quanto di esclusiva competenza del datore di lavoro, le cui conseguenze non
sarebbero pertanto ascrivibili all'imputato, i giudici di merito hanno
esattamente evidenziato che la responsabilità del Di. Ma. non si fonda su tali
profili ma sulla inadeguatezza delle misure suggerite e sulla ignoranza per
negligenza del ciclo produttivo.
Affermazione che si inquadra perfettamente nel quadro normativo sopra delineato
che riconduce la responsabilità del RSPP, tra l'altro, alla mancata o erronea
individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la
mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonche' di informazione e
formazione dei lavoratori.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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