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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 1/02/2011 (Cc. 15 /12/2010) Sentenza n. 3633
RIFIUTI - INQUINAMENTO - DANNO AMBIENTALE - Reati in materia di gestione di
rifiuti - Poteri del giudice penale - Sospensione condizionale della pena e
subordinarla alla bonifica del sito - Ripristino ambientale - Fattispecie - Art.
165 c.p. - Art. 256, co. 1, lett. a), e co. 2, d.Lvo n.152/06 - Art. 181, d.L.vo
n. 42/04 - Art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380/01 - Art. 734 c.p.. Nel caso di
reati inerenti alla materia dei rifiuti, per perseguire lo scopo di ripristinare
ecologicamente le aree inquinate, l'ordinamento offre al giudice penale una sola
possibilità, che è quella di concedere, ove applicabile, la sospensione
condizionale della pena, e di subordinarla alla bonifica del sito. Mentre in
caso di condanna per gli altri, o per altri reati che cagionino danni
ambientali, il giudice può subordinare la sospensione condizionale della pena al
ripristino ambientale o a una bonifica del sito non legislativamente
regolamentata, e tuttavia soggetta al controllo della autorità giudiziaria o di
un organo tecnico appositamente delegato, in virtù del principio generale
consacrato nell'art. 165 c.p., secondo cui il detto beneficio può essere
subordinato alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato
(Cass. 12/6/08, n. 37280; Cass. 20/11/06, n. 13456; Cass. 30/5/03, n. 35501).
Fattispecie: decreto penale di condanna in ordine ai reati di cui all'art. 256,
co. 1, lett. a), e co. 2, d.Lvo n.152/06, perché, in difetto della prescritta
autorizzazione, si effettuava attività di trasporto rifiuti non pericolosi; del
reato di cui all'art. 181, d.L.vo n. 42/04, in relazione all'art. 44, lett. c),
d.P.R. n. 380/01, perché, in assenza di qualsiasi autorizzazione, effettuava
lavori costituiti da scarifica dello stato vegetale, con asporto di terreno; del
reato di cui all'art. 734 c.p. perché distruggeva o alterava le bellezze
naturali dei luoghi soggetti a speciale protezione da parte dell'Autorità. (dich.
inammissibile il ricorso avverso il decreto penale di condanna, reso dal Gip
presso il Tribunale di Treviso in data 17/10/09) Pres. Ferrua, Est. Gazzara,
Ric. Chiappetta. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 1/02/2011 (Cc. 15
/12/2010) Sentenza n. 3633
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill. mi Signori:
- dott. Giuliana Ferrua
Presidente
- dott. Renato Grillo
Consigliere
- dott. Guida Mulliri
Consigliere
- dott. Luigi Marini
Consigliere
- dott. Santi Gazzara
Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da: Chi. Gi., nato a Bassano del Grappa il 3/6/38
- avverso il decreto penale di condanna, reso dal Gip presso il Tribunale di
Treviso in data 17/10/09
- visti gli atti, la ordinanza ed il ricorso
- udita la relazione svolta dal consigliere dott. Santi Gazzara
- lette le conclusioni del P.G.: inammissibilità del ricorso
Osserva
RITENUTO IN FATTO
Il Gip presso il Tribunale di Treviso, in data 17/10/09, ha reso decreto penale
di condanna nei confronti di Chi. Gi., in ordine ai reati di cui all'art. 256,
co. 1, lett. a), e co. 2, d.Lvo n.152/06, perché quale legale rappresentante
della s.r.l. " Centro Commerciale", in difetto della prescritta autorizzazione,
effettuava attività di trasporto rifiuti non pericolosi; del reato di cui
all'art. 181, d.L.vo n. 42/04, in relazione all'art. 44, lett. c), d.P.R. n.
380/01, perché nella indicata qualità, in assenza di qualsiasi autorizzazione,
effettuava lavori costituiti da scarifica dello stato vegetale, con asporto di
terreno; del reato di cui all'art. 734 c.p. perché distruggeva o alterava le
bellezze naturali dei luoghi soggetti a speciale protezione da parte
dell'Autorità, determinando la pena in euro 17.420,00 di ammenda; ha ordinato il
dissequestro dell'area interessata al deposito, subordinatamente a idoneo
smaltimento del materiale ivi stoccata e alla bonifica del sito interessato.
Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto,
con i seguenti motivi:
- illegittimità ed irritualità del decreto penale di condanna per violazione
dell'art. 323 c.p.p., in quanto non sussistendo gli estremi di legge per
disporre la confisca, ovvero la conversione in sequestro conservativo, il
decidente ha disposto la permanenza del sequestro prevenivo sino allo
smaltimento dei rifiuti presenti nell'area in questione, così esercitando un
potere non attribuitogli ex lege;
- violazione dell'art. 323, commi 3 e 4 c.p.p. in relazione agli artt. 25 e 97
Costituzione, nonché agli artt. 192, 256, d.L.vo n. 152/06, in quanto il giudice
penale ha esercitato un potere riservato ai giudici amministrativi, e perché, in
ogni caso, il potere di ordinare lo smaltimento dei materiali si appartiene alla
competenza esclusiva della autorità amministrativa;
- violazione degli artt. 239 e 240, d.L.vo n.152/06 in relazione agli artt. 25 e
97 della Costituzione;
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha inoltrato in atti requisitoria
scritta nella quale conclude per la inammissibilità del ricorso.
Il difensore del Chi… ha inoltrato in atti memoria nella quale specifica
ulteriormente le ragioni poste a sostegno del ricorso e insiste per
l'accoglimento di esso.
RILEVATO IN DIRITTO
Preliminarmente necessita esaminare se possa considerarsi abnorme il
provvedimento impugnato, e ciò al fine di ritenere o meno correttamente proposto
il ricorso.
Orbene, è opportuno osservare che la difesa (del Chi…) non ha esperito la
rituale opposizione a decreto penale, ex art. 461 c.p.p., ma ha volutamente,
esplicitando le ragioni a sostegno di questa sua scelta, censurato il decreto
penale de quo in punto di abnormità di tal provvedimento nella parte in cui
subordina il dissequestro del terreno alla rimessione in pristino dello stesso.
Rilevasi che il Gip presso il Tribunale di Treviso, senza alcun dubbio, ha
errato nel condizionare il dissequestro dell'area interessata al deposito allo
smaltimento del materiale ivi stoccato e alla bonifica della area medesima,
visto che nel caso di sequestro preventivo, ex art. 323 c.p.p. il giudice che
pronuncia la sentenza di condanna deve ordinare la restituzione delle cose
sequestrate, a meno che non ne disponga la confisca o che, sempre su apposita
istanza della parte legittimata, decida di mantenere il sequestro ai fini di
garanzia conservativa.
Quindi, la restituzione è atto dovuto e incondizionato, sul presupposto che sono
tipicamente venute a mancare le esigenze che legittimano il mantenimento della
misura cautelare reale, salva la possibilità di convertire il sequestro per gli
altri fini determinati dalla legge o di sostituirlo con la confisca.
In caso di reati in materia di rifiuti, per perseguire lo scopo di ripristinare
ecologicamente le aree inquinate, l'ordinamento offre al giudice penale una sola
possibilità, che è quella di concedere, ove applicabile, la sospensione
condizionale della pena, e di subordinarla alla bonifica del sito.
Mentre in caso di condanna per gli altri reati in materia di gestione di
rifiuti, o per altri reati che cagionino danni ambientali, il giudice può
subordinare la sospensione condizionale della pena al ripristino ambientale o a
una bonifica del sito non legislativamente regolamentata. e tuttavia soggetta al
controllo della autorità giudiziaria o di un organo tecnico appositamente
delegato, in virtù del principio generale consacrato nell'art. 165 c.p., secondo
cui il detto beneficio può essere subordinato alla eliminazione delle
conseguenze dannose o pericolose del reato (Cass. 12/6/08, n. 37280; Cass.
20/11/06, n. 13456; Cass. 30/5/03, n. 35501).
Nella specie il giudice, pertanto, ha errato nel condizionare la restituzione
dell'area in sequestro alla bonifica del sito.
Ne consegue la indubbia illegittimità del provvedimento, ma non la abnormità di
esso, e ciò perché il decidente ha male esercitato il potere ex lege
attribuitogli, illegittimità questa che il ricorrente avrebbe dovuto eccepire in
sede di opposizione al decreto penale e non, direttamente, davanti al giudice di
legittimità, e ciò in quanto la circostanza che un provvedimento sia illegittimo
non giustifica, di per sé, la sua impugnabilità per cassazione in nome della
categoria della abnormità, che non può essere utilizzata per eludere il
principio di tassatività, ex art. 568 c.p.p., secondo cui le sentenze sono
sempre ricorribili, purché non altrimenti impugnabili, laddove il rimedio
impugnatorio, riservato, nella specie, al prevenuto con la rituale opposizione
di cui al citato art. 461 c.p.p., si incarica di escludere tale evenienza per il
decreto penale (Cass. 16/12/09, Silvano).
La manifesta infondatezza della prima censura formulata in ricorso preclude
l'esame degli ulteriori motivi in esso atto spiegati.
Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2010, n. 186, della Corte
Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che (il
Chi…) abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 c.p.p., deve,
altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa
delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella
misura di euro 1.000.00.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della
Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 15/12/2010.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA 1 Feb. 2011
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