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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 1/02/2011 (Cc. 21/12/2010) Sentenza n. 3638



RIFIUTI - Attività organizzate per il traffico illecito - Artt. 260 D.L.vo n. 152/06 e 53 bis D.L.vo n. 22/97 - Continuità normativa. Tra il disposto di cui all’articolo 53 bis D.L.vo n. 22/97 e quello ora contemplato dall’articolo 260 D.L.vo n. 152/06 sussiste continuità normativa del reato (Cass. Sez. III, 8/03/2007, n. 9794). Tale assunto trova conferma non solo nell'identità di contenuto dei due articoli, ma anche nel disposto dell’articolo 264, comma primo, lettera i) D.L.vo n. 152/06 laddove il legislatore espressamente afferma l'intento di "...assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta" e, a tale proposito, dispone che i provvedimenti attuativi del D. L.vo n. 5 febbraio 1997 n. 22 continuino ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del D.L.vo n. 152/06. (dich. inammissibile il ricorso avverso la sentenza emessa il 3/12/2009 dal G.U.P. del Tribunale di Larino) Pres. Ferrua, Est. Ramacci, Ric. PG in proc. D’Alessandro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 1/02/2011 (Cc. 21/12/2010) Sentenza n. 3638

DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Sentenza di patteggiamento e ricorso per Cassazione - Presupposti e limiti. In tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l'erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l'eventualità' che l'accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (Cass. Sez. IV, 18/3/2010, n. 10692). Inoltre, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti della sentenza di patteggiamento e diretto a far valere asseriti vizi afferenti a questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, poiché l'accusa, come giuridicamente formulata, non può essere rimessa in discussione, in quanto l'applicazione concordata della pena presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato. (Cass. Sez. V, 4/6/2010, n. 21287; Conf., Cass. sez. II, 14/01/2009, n. 5420). Sicché, non assume rilievo la mancata indicazione in sentenza degli aumenti imputabili a ciascuno dei reati unificati sotto il vincolo della continuazione (Cass. Sez. I, 5/05/2008 n. 17815) e la mancanza di indicazioni in merito al giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche concesse e l'aggravante contestata, essendo la mera affermazione della congruità della pena sufficiente a soddisfare l'obbligo di motivazione (Cass. Sez. III, 11/11/2009, n. 42910; Cass. Sez. V, 10/11/1999 n. 4715). (dich. inammissibile il ricorso avverso la sentenza emessa il 3/12/2009 dal G.U.P. del Tribunale di Larino) Pres. Ferrua, Est. Ramacci, Ric. PG in proc. D’Alessandro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 1/02/2011 (Cc. 21/12/2010) Sentenza n. 3638


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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.ssa Giuliana FERRUA                                 Presidente

Dott. Alfredo TERESI                                         Consigliere

Dott. Amedeo FRANCO                                     Consigliere

Dott. Silvio AMORESANO                                  Consigliere

Dott. Luca RAMACCI                                         Consigliere Est.


ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 

- sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Campobasso nel procedimento contro D'AL. MI. nato a Ururi il xx/xx/xxx
- avverso la sentenza emessa il 3/12/2009 dal G.U.P. del Tribunale di Larino Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
- Letta le requisitoria del Pubblico Ministero nella persona del Dott. Sante SPINACI che ha concluso per l'accoglimento del ricorso


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Campobasso proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa il 19 novembre 2009 dal G.U.P. presso il Tribunale di Larino con la quale, su concorde richiesta delle parti, il procedimento a carico di D'ALESSANDRO Michele veniva definito mediante applicazione della pena finale di euro 6.840 di multa, in sostituzione di mesi 6 di reclusione, per i reati di cui agli articoli 81,112 C.P., 53bis D.L.vo n.22/97; 434 C.P.;483 C.P.; 640, I e II comma C.P.


Con il primo motivo il ricorrente denunciava la violazione dell'articolo 606 lettere b) ed e) C.P.P., premettendo che l'originaria imputazione riguardava anche il reato di associazione per delinquere aggravata dal numero degli associati superiori a dieci e quello di gestione illecita di rifiuti speciali pericolosi, connotati dalla presenza di arsenico e solfuri, in parte smaltiti mediante interramento in aree coltivate o interessate dalla presenza di falde acquifere tanto, che era stato contestato anche il reato sanzionato dall'articolo 434 C.P.


Con il secondo motivo lamentava, inoltre, la errata applicazione dell'articolo 444, comma II C.P.P. per avere il G.I.P. ritenuto acriticamente corretta la qualificazione dei fatti prospettata dalle parti, ritenendo più grave il reato di cui all'articolo 53bis D.L.vo n. 22/97 - ormai abrogato e sostituito, dopo l'entrata in vigore del D.L.vo n.152/06 dal'articolo 260 del medesimo decreto — pur in presenza di altri reati particolarmente gravi quali il disastro, la truffa aggravata ed il falso.


Denunciava, altresì, che mancava ogni esplicitazione, da parte del G.I.P., sulle ragioni che avevano indotto alla concessione delle attenuanti generiche e l'omissione del necessario giudizio di comparazione tra dette attenuanti e l'aggravante del fatto commesso da più di cinque persone, contestata per il reato ritenuto più grave, della quale non si era tenuto conto.


Veniva inoltre ritenuta errata l'applicazione dell'articolo 81 C.P., per avere il giudice omesso l'indicazione dei singoli aumenti di pena, applicando, poi, l'aumento di un mese di reclusione e determinando così una pena del tutto incongrua rispetto alla gravità dei fatti.


Con il terzo motivo denunciava la violazione, per erronea applicazione, dell'articolo 53 Legge n. 689/81 perché, nel determinarsi a sostituire la pena detentiva, il G.I.P. non aveva tenuto conto della gravità dei fatti contestati e non aveva motivato sul punto.


Concludeva pertanto per l'annullamento della sentenza impugnata.


In data 3 dicembre 2010, la difesa del D'ALESSANDRO depositava una memoria difensiva e di replica nella quale chiedeva la reiezione del ricorso del Procuratore Generale, assumendo che la modifica dell'imputazione era stata effettuata dal Pubblico Ministero autonomamente e senza preventivo accordo sul reato, come dimostrato dalla scansione temporale risultante dal verbale di udienza e trovava giustificazione nel contenuto dell'ordinanza applicativa di misura cautelare, dove il G.I.P. riteneva assorbito il reato associativo in quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.


Aggiungeva, infine, che la pena applicata era congrua ed era stata coerentemente ratificata dal G.U.P.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Il ricorso è inammissibile.


Va in primo luogo osservato che correttamente il ricorso evidenzia l'erroneo riferimento, relativamente al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, all'ormai abrogato articolo 53 bis D.L.vo n. 22/97.


Tale riferimento, tuttavia, è irrilevante.


Invero, l'articolo 264 D.L.vo n.152/97 ha espressamente abrogato, unitamente ad altre disposizioni, l'intero decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 in precedenza destinato alla disciplina dei rifiuti.


Il menzionato delitto è ora disciplinato dall'articolo 260 del D.L.vo n. 152/06, il cui contenuto è identico a quello della disposizione abrogata.
Deve dunque concludersi, come peraltro già è avvenuto (Sez. III n. 9794, 8 marzo 2007), che tra il disposto dei due articoli sussiste continuità normativa.


Tale assunto trova peraltro conferma non solo nell'identità di contenuto dei due articoli, ma anche nel disposto del citato articolo 264, comma primo, lettera i) D.L.vo n. 152/06 laddove il legislatore espressamente afferma l'intento di "(...) assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta" e, a tale proposito, dispone che i provvedimenti attuativi del D. L.vo n. 5 febbraio 1997 n. 22 continuino ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del D.L.vo n. 152/06.


Indipendentemente dall'errato richiamo alla disposizione abrogata, merita tuttavia attenzione la denunciata riformulazione in udienza dell'originaria imputazione mediante riconduzione, nell'unico capo riguardante il menzionato articolo 53 bis D.L.vo n. 22/97, dei fatti originariamente riferiti non solo al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ma anche a quelli di associazione per delinquere aggravata e illecita gestione di rifiuti.


Il Pubblico Ministero aveva infatti esercitato l'azione penale, mediante richiesta di rinvio a giudizio, con riferimento ai reati indicati nell'originaria imputazione, poi modificata nel corso dell'udienza preliminare, come indicato in sentenza, considerando i capi A), B) e C) come un unico capo (denominato capo A)) riferito alla sola ipotesi delittuosa di cui all'articolo 53 bis D.L.vo n. 22/97.


Tale modifica dell'imputazione non sarebbe ammissibile allorquando si risolva in un accordo sui reati e non sulla pena che la legge non consente (v. Sez. IV n. 10692, 18 marzo 2010) ma ciò, nella fattispecie, non è avvenuto, avendo comunque il Pubblico Ministero contestato tutti i fatti originariamente ipotizzati inglobandoli, successivamente, in un'unica imputazione.


La riformulazione dell'originaria imputazione con le modalità in precedenza descritte è pertanto frutto di un patto tra le parti che, non risolvendosi in un accordo sui reati, è invece il risultato di una diversa qualificazione dei fatti contestati che vede concordi le parti stesse sottoposto al vaglio critico del giudice che lo ha recepito.


Ciò posto, occorre ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ha precisato che "in tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l'erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l'eventualità' che l'accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità" (Sez. IV n. 10692, 18 marzo 2010).


Ed ancora: "è inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti della sentenza di patteggiamento e diretto a far valere asseriti vizi afferenti a questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, poiché l'accusa, come giuridicamente formulata, non può essere rimessa in discussione, in quanto l'applicazione concordata della pena presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato". (Sez. V. n. 21287, 4 giugno 2010. Conforme, sez. II n. 5420, 14 gennaio 2009).


Inoltre, non assume rilievo la mancata indicazione in sentenza degli aumenti imputabili a ciascuno dei reati unificati sotto il vincolo della continuazione (cfr. Sez. I n. 17815, 5 maggio 2008) e la mancanza di indicazioni in merito al giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche concesse e l'aggravante contestata, essendo la mera affermazione della congruità della pena sufficiente a soddisfare l'obbligo di motivazione (v. Sez. III n. 42910, 11 novembre 2009; Sez. V n. 4715, 10 novembre 1999).


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso


Così deciso in Roma i121 dicembre 2010

DEPOSITATO IN CANCELLERIA 1 Feb. 2011



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