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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE CIVILE Sez. II, 22/02/2011, Sentenza n. 4277
DIRITTO URBANISTICO - Accessori e pertinenze stabilmente incorporati
all’immobile - Disciplina in materia di distanze legali ex art. 873 c.c. -
Applicabilità. Salvo l'ipotesi di sporti con funzione meramente
complementare o decorativa, gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni
consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, in guisa da
ampliarne la superficie o la funzionalità, assumono essi stessi il carattere di
costruzione, sicché se ne deve tener conto ai fini dell'accertamento del
rispetto della normativa sulle distanze, a maggior ragione qualora le distanze
tra costruzioni siano stabilite in un regolamento edilizio comunale che non
preveda espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie.
Pres. ELEFANTE, Est. MANNA - P.M. SCARDACCIONE - Ric. Ma. Cr. Pe., El. Pe.,
(avv. Gi. De. Co.) - (Annulla CORTE D'APPELLO di ROMA, n. 4816/2004 ) CORTE
DI CASSAZIONE, Sezione II civile, 22 febbraio 2011, n. 4277
DIRITTO URBANISTICO - Accessori e pertinenze stabilmente incorporati
all’immobile - Disciplina in materia di distanze legali ex art. 873 c.c. -
Applicabilità. Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze
legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c. e delle disposizioni
legislative e regolamentari aventi carattere integrativo, gli accessori e le
pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al
resto dell'immobile, in maniera tale da ampliarne la superficie o la
funzionalità pratico-economica, costituiscono con l'immobile principale una
costruzione unitaria, che va considerata nel suo insieme indipendentemente dallo
sviluppo orizzontale o verticale dei singoli corpi di fabbrica di cui si
compone, e senza distinguere tra immobile principale e accessori o pertinenze
aventi le ridette caratteristiche, di guisa che le distanze devono essere
calcolate non dalla parete dell'edificio maggiore, ma da quella che risulti più
prossima alla proprietà antagonista. Pres. ELEFANTE, Est. MANNA - P.M.
SCARDACCIONE - Ric. Ma. Cr. Pe., El. Pe., (avv. Gi. De. Co.) - (Annulla CORTE
D'APPELLO di ROMA, n. 4816/2004 ) - CORTE DI CASSAZIONE, Sezione II civile,
22 febbraio 2011, n. 4277
DIRITTO URBANISTICO - Distanze nelle costruzioni ex art. 873 c.c. -
Prevalenza delle norme antisismiche sugli strumenti urbanistici. Le norme
legislative antisismiche sugli intervalli di isolamento fra edifici sono
integrative delle disposizioni degli artt. 873 e ss. c.c. in materia di distanze
fra le costruzioni, essendo dirette a salvaguardare non soltanto l'incolumità
pubblica e privata ma anche ad impedire la creazione di intercapedini dannose e
pericolose tra fabbricati. Pertanto, esse prevalgono sugli strumenti urbanistici
che prevedano distanze inferiori. Pres. ELEFANTE, Est. MANNA - P.M. SCARDACCIONE
- Ric. Ma. Cr. Pe., El. Pe., (avv. Gi. De. Co.) (Annulla CORTE D'APPELLO
di ROMA, n. 4816/2004) - CORTE DI CASSAZIONE, Sezione II civile, 22 febbraio
2011, n. 4277
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANTONINO ELEFANTE - Presidente -
Dott. EMILIO MIGLIUCCI - Consigliere -
Dott. BRUNO BIANCHINI - Consigliere -
Dott. FELICE MANNA - Rel. Consigliere -
Dott. VINCENZO CORRENTI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 13336-200 5 proposto da:
Ma. Cr. Pe. (...), El. Pe. (...), elettivamente domiciliati in Ro., Via Li.
(...), presso lo studio dell'avvocato Gi. De. Co., che li rappresenta e difende;
- ricorrenti -
contro
Ma. An. Di Ce., To. Se., elettivamente domiciliati in Ro., Via Ca. (...), presso
lo studio dell'avvocato An. Ta., che li rappresenta e difende;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 4816/2004 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il
10/11/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2010 dal
Consigliere Dott. FELICE MANNA;
udito l'Avvocato Gi. De. Co. difensore del ricorrente che ha chiesto di
riportarsi alle difese scritte;
udito l'Avvocato An. Ta. difensore del resistente che ha chiesto di riportarsi
anch'egli;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. EDUARDO
VITTORIO SCARDACCIONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso 11.3.1987 Ma. Cr. Pe. ed El. Pe., proprietarie di un fondo in Sa. Fi.,
proponevano innanzi al Pretore di Cassino azione rinunciatoria nei confronti di
To. Se. e di Ma. An. Di Ce., domandando in via cautelare la sospensione dei
lavori di costruzione di un vicino fabbricato, non a distanza legale e lesivo di
"diritti di veduta". I convenuti resistevano alla domanda, sostenendone
l'improponibilità in quanto l'opera era già stata ultimata, e il Tribunale con
sentenza n. 95/02, dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla
domanda cautelare, accertava che l'opera non rispettava le distanze legali, ma
"rigettava" le domande di riduzione in pristino e di risarcimento del danno
perché tardive.
La Corte d'appello di Roma con sentenza n. 481 del 10.11.2004 accoglieva
parzialmente l'appello dei convenuti, e in riforma della pronuncia di primo
grado dichiarava illegittime le sole vedute realizzate dagli appellanti mediante
la costruzione di balconi al primo e al secondo piano dell'edificio, rigettando,
nel resto la domanda.
Considerato quale strumento urbanistico vigente all'epoca dei fatti il Piano di
Ricostruzione (P.d.R.) e non il Regolamento Edilizio Comunale (R.E.C.), poiché
quest'ultimo non risultava ancora approvato, e rilevato che il primo prevedeva
una distanza minima di mt. 5 tra pareti opposte, la Corte romana quanto ai
cortili interni, aderendo alle conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado,
rilevava che l'edificio di proprietà Pe. era stato costruito sul confine, il che
consentiva ai To. Se. - Ma. An. Di Ce. di costruire in aderenza, mentre in
ordine al cortile interno era stata rispettata la distanza anzi detta. In
effetti, osservava il giudice d'appello, correttamente il c.t.u. aveva
considerato, in riferimento alle distanze, le due pareti principali dei
fabbricati, cioè quelle perimetrali, e non il corpo accessorio al piano terra
della proprietà Pe., costituito da servizi igienici, sicché la distanza variava
da mt. 5,65 a mt. 6,20.
Quanto alla distanza esistente ira il fabbricato di nuova costruzione degli
appellanti e l'edificio di proprietà Pe., rilevava la Corte che la variazione
era compresa tra un minimo di mt. 4,71 e un massimo di mt. 5,65, contrastante
con il regolamento comunale, che imponeva una distanza minima di mt. 6 come
larghezza degli intervalli di isolamento, ma nella specie tale spazio non poteva
considerarsi quale intervallo d'isolamento, atteso che l'arto della legge n.
1684/62 vietava in esso qualsiasi tipo di costruzione, anche a carattere
provvisorio, mentre lo spazio tra i due edifici risultava già edificato per la
presenza del locale terraneo delle Pe., per cui poteva applicarsi solo la norma
del Piano di Ricostruzione che imponeva una distanza di mt. 5 tra le facciate di
edifici prospicienti i cortili.
Relativamente al diritto di veduta, vantato dalle attrici, la Corte d'appello
osservava, poi, che nel nuovo fabbricato degli appellanti erano stati realizzati
due balconi, al primo e al secondo piano, in violazione dell'art.906 c.c., che
dovevano, pertanto, essere dichiarati illegittimi.
Per la cassazione di detta sentenza ricorrono Ma. Cr. Pe. ed El. Pe., formulando
due motivi d'impugnazione.
Resistono con controricorso gli intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo d'impugnazione parte ricorrente denuncia l'omessa
motivazione su di un punto decisivo della controversia, ai sensi del n. 5 del
primo comma dell'art.360 c.p.c. La Corte d'appello, si sostiene, benché
investita con il gravame proposto dagli appellanti della questione relativa
all'insussistenza, eccepita da questi ultimi, del diritto di veduta vantato
dalle Pe., ha omesso di svolgere qualsiasi accertamento e valutazione dei fatti
rilevanti ai fini della controversia in ordine all'esistenza del diritto delle
attrici. Tale accertamento sarebbe stato di per sé sufficiente a determinare
l'illegittimità della costruzione To. Se. - Ma. An. Di Ce. almeno per tutta la
parte costruita in aderenza e a chiusura della terrazza. Il giudice del gravame,
invece, ha ignorato del tutto il motivo, senza farsi carico né di confutare le
censure, né di farle proprie.
1.1. - Il motivo è inammissibile per due ragioni concorrenti.
1.1.1. - La prima consiste in ciò, che solo la parte impugnante ha interesse
alla pronuncia su tutti i motivi d'appello, mentre per il divieto della
reformatio in peius (operante anche nel processo civile: v. per tutte e da
ultimo, Cass. n. 14063/06) la parte appellata, che non abbia proposto
impugnazione incidentale, non ha un interesse pari e contrario alla decisione su
ciascun motivo.
Né ha pregio alcuno il ragionamento di tipo eventuale svolto dalle ricorrenti,
secondo cui una diversa impostazione del percorso motivazionale, incentrato
sull'esistenza del diritto di venduta esistente a vantaggio del fondo di loro
proprietà, avrebbe potuto far emergere l'illegittimità dell'intera opera
realizzata dai To. Se. - Ma. An. Di Ce., atteso che le sentenze si impugnano per
quanto hanno deciso, non per quello che avrebbero potuto statuire.
1.1.2. - In secondo luogo, l'omessa pronuncia integra una violazione del
principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all'art. 112
c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell'art. 360, primo
comma, n. 4, c.p.c. (cfr. Cass. nn. 26598/09, 12952/07, 1701/06, 27387/05 e
12475/04), li dove, nella specie, le ricorrenti hanno invece censurato la
sentenza in parte qua ai sensi del n. 5 art. ult. cit.
2. - Con il secondo motivo, articolato in più punti, parte ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione di "norme di diritto", nonché contraddittorietà
e illogicità della motivazione.
2.1. - In particolare, si sostiene che il giudice di merito non solo abbia
apoditticamente affermato che lo strumento urbanistico vigente all'epoca di
Tealizzazione del fabbricato di proprietà degli appellanti fosse il Piano di
Ricostruzione, nonostante remanazione in epoca successiva della legge n. 1684/62
e della legge n. 64/74, ma abbia, altresì, omesso di considerare che, anche
applicando le norme del P.d.R., la costruzione contestata dovesse parimenti
considerarsi illegittima, data la presenza, nel cortile interno, di un edificio
addossato ad una parete del fabbricato Pe., ma costituente senz'altro un
manufatto idoneo a determinare l'obbligo di osservare le distanze, poiché ai
fini dell'applicazione delle norme codicistiche la nozione di costruzione non si
esaurisce in quella di edificio, ma si estende a qualsiasi opera non
completamente interrata avente i requisiti di solidità e immobilizzazione
rispetto al suolo. Oltre a ciò non è del tutto chiaro il passaggio argomentativo
in base al quale il giudice di secondo grado abbia potuto ritenere legittima una
costruzione che in ogni caso si trova, anche sulla terrazza, a distanza di mt.
4,71 dalla proprietà Pe., con evidente violazione delle N.T.A. del P.d.R.
2.1.1. - Prosegue parte ricorrente che risulta confusa e illogica anche la
teoria della Corte di merito sugli intervalli di isolamento, esclusi perché,
secondo il ragionamento del giudice d'appello, lo spazio tra i due fabbricati
risulta già edificato per la presenza del locale terraneo delle Pe. In senso
contrario deve osservarsi che se è vero che per intervallo d'isolamento deve
intendersi la distanza minima tra i muri frontali di due edifici (secondo il
punto C.4.1. del D.M. 16.1.1996), non si comprende perché esso non possa
configurarsi quando una tale situazione venga a verificarsi all'altezza del
solaio del primo piano e non al piano terra, poiché l'intento di scongiurare
danni alle persone in caso di crolli deve essere perseguito anche ai piani
superiori. In secondo luogo, conclude, parte ricorrente, anche a voler tutto
concedere, non può non essere stigmatizzato come sia stata la stessa Corte
d'appello ad affermare che la distanza minima di mt5 doveva comunque essere
rispettata, ed essa sicuramente non esisteva tra i fabbricati "divisi" dalla
terrazza di proprietà Pe.
2.2. - Il motivo è fondato in ordine a entrambe le violazioni prospettate.
2.3. - E' senz'altro erroneo, in primo luogo, che ai fini del computo della
distanza tra costruzioni debba aversi riguardo, come afferma il giudice
d'appello, al distacco intercorrente tra le due pareti "principali" dei
fabbricati (cioè, si legge nella sentenza impugnata, "i muri maestri che partono
dal suolo e si sviluppano verticalmente sino a raggiungere la linea di gronda"),
senza considerare il corpo accessorio della proprietà Pe. posto al piano terra.
2.3.1. - Ed infatti, questa Corte ha avuto modo di rilevare che ai fini
dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt.
873 e seguenti c.c. e delle nonne dei regolamenti locali integrativi della
disciplina codicistica, deve ritenersi "costruzione" qualsiasi opera non
completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed
immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio o incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione
dell'opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo dall'uniformità e
continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla
sua destinazione; e che, salvo l'ipotesi di sporti o aggetti in funzione
meramente complementare o decorativa, gli accessori e le pertinenze che abbiano
dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile,
in guisa da ampliarne la superficie o la funzionalità, assumono il carattere di
costruzione, sicché se ne deve tener conto ai fini dell'accertamento del
rispetto della normativa sulle distanze, a maggior ragione qualora le distanze
tra costruzioni siano stabilite in un regolamento edilizio comunale che non
preveda espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie
(Cass. n. 2228/01; in senso analogo, cfr. Cass. n. 1509/98, secondo cui ove
l'opera da valutare sia costituita da più parti tra loro strutturalmente
collegate in maniera stabile ed in misura tale da costituire un entità unica e
inscindibile sul piano economico-funzionale, i caratteri propri della
costruzione devono essere verificati dal giudice di merito riguardando l'opera
nel suo insieme e non nelle singole sue parti, e rapportando quindi alla stessa,
unitariamente considerata, il giudizio sulla idoneità alla creazione di
intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento
della proprietà immobiliare).
2.3.1.1. - Nello specifico, il giudice d'appello ha rilevato (con accertamento
di fatto non censurato sotto il profilo della logicità e congruità
motivazionale) che il corpo accessorio dell'edificio di proprietà Pe., ubicato
al piano terra e interposto tra questa e la proprietà To. Se., è costituito da
servizi igienici, e dunque - è da ritenere - da una struttura, potenzialmente,
di consistenza apprezzabile e in relazione di stretta funzionalità
pratico-economica con il fabbricato principale, di cui amplia, altresì, la
superficie complessiva, utilizzabile. Ne consegue, in base alle superiori
premesse, che i suddetti immobili di proprietà Pe., principale ed accessorio,
devono essere valutati unitariamente ai fini della distanza tra costruzioni, e
che, in particolare, la distanza stessa debba essere calcolata non dalla linea
esterna del corpo di fabbrica principale, ma dalla parete più prossima
dell'edificio accessorio che si interpone tra questo e l'immobile di proprietà
To. Se. - Ma. An. Di Ce.
2.4. - La decisione impugnata risulta, poi, illogica nella parte in cui pur
partendo dalla premessa che la distanza - compresa tra un minimo di mt. 4,71 e
un massimo di mt. 5,65 - tra il fabbricato di nuova costruzione di proprietà
degli appellanti e i fabbricati Pe., distanza misurata dalla terrazza sita al
primo piano che funge da copertura dei locali terranei di proprietà di queste
ultime parti, contrasterebbe con le prescrizioni del regolamento comunale che
impongono un intervallo d'isolamento minimo di mt. 6, trae l'incomprensibile
conclusione per cui l'art. 6 della legge n. 1684/62, che nelle zone sismiche
vieta qualsiasi costruzione, anche a carattere provvisorio, negli intervalli di
isolamento, non sarebbe applicabile nella specie perché lo spazio tra i due
edifici è già edificato per la presenza in esso del locale terraneo delle Pe.,
con l'altrettanto illogica deduzione per cui dovrebbe, pertanto, ritenersi
applicabile solo la norma del P.d.R. che impone il rispetto della distanza di mt.
5 tra le facciate di edifici prospicienti.
2.4.1. - A tacere del carattere implicitamente ipotetico del ragionamento, che
sconta la pregressa negazione dell'applicabilità del R.E.C. in quanto non ancora
approvato all'epoca della costruzione degli appellanti, siffatto argomentare è
incoerente, poiché negando che la distanza tra gli edifici delle parti possa
qualificarsi come intervallo di isolamento (non per difetto dei suoi
presupposti, ma) per il solo fatto che esso, nella specie, sarebbe già occupato
da una costruzione, in contrasto con quanto prescritto al riguardo dalla stessa
normativa antisismica, contraddice la propria premessa logico-giuridica, per
tornare ad affermare che la sola regola applicabile nel caso in esame sarebbe
quella del Piano di Ricostruzione che fissa in mt. 5 la distanza tra le facciate
di edifici prospicienti i cortili, attuando in tal modo per la seconda volta la
rimozione mentale del rilievo che nella controversia assume la presenza del
locale terraneo di proprietà Pe.
2.4.1.1. - Per contro, come questa Corte ha avuto modo di affermare (v. Cass. n.
1695/04), le norme legislative antisismiche sugli intervalli di isolamento fra
edifici sono integrative delle disposizioni degli artt. 873 e ss. c.c. in
materia di distanze fra le costruzioni, essendo dirette a salvaguardare non
soltanto l'incolumità pubblica e privata ma anche ad impedire la creazione di
intercapedini dannose e pericolose tra fabbricati. Pertanto, esse prevalgono
sugli strumenti urbanistici che prevedano distanze inferiori.
2.4.2. - Di riflesso, nella fattispecie, occorre riscontrare il rispetto (non di
5, ma di) 6 mt. tra il fabbricato di proprietà To. Se. - Ma. An. Di Ce. e quello
di proprietà Pe., considerando quest'ultimo nella maniera unitaria di cui s'è
detto innanzi, comprensivo, cioè, anche del corpo di fabbrica accessorio posto
al piano terra e adibito a servizi igienici.
3. - In conclusione, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va
cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte
d'appello di Roma, che si atterrà ai seguenti principi di diritto: a) "le norme
legislative antisismiche sugli intervalli di isolamento fra edifici sono
integrative delle disposizioni degli artt.873 e ss. c.c. in materia di distanze
fra le costruzioni, essendo dirette a salvaguardare non soltanto l'incolumità
pubblica e privata ma anche ad impedire la creazione di intercapedini dannose e
pericolose tra fabbricati. Pertanto, esse prevalgono sugli strumenti urbanistici
che prevedano distanze inferiori"; b) ai fini dell'osservanza delle norme in
materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c. e delle
disposizioni legislative e regolamentari aventi carattere integrativo, gli
accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente
incorporati al resto dell'immobile, in guisa da ampliarne la superficie o la
funzionalità pratico-economica, costituiscono con l'immobile principale una
costruzione unitaria, che va considerata nel suo insieme indipendentemente dallo
sviluppo orizzontale o verticale dei singoli corpi di fabbrica di cui si
compone, e senza distinguere tra immobile principale e accessori o pertinenze
aventi le ridette caratteristiche, di guisa che le distanze devono essere
calcolate non dalla parete dell'edificio maggiore, ma da quella che risulti più
prossima alla proprietà antagonista".
4. - Conclusivamente, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va
cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, la quale
provvedere al regolamento anche delle spese del presente giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le
spese ad altra sezione della Corte d'appello di Roma.
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