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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 16/02/2011 (Ud. 1/12/2010), Sentenza n. 5855



DIRITTO URBANISTICO - D.i.a. - Certificazione del tecnico abilitato - Funzione pubblicistica - D.P.R. n.380/2001. Riveste la natura di certificazione, la relazione del tecnico abilitato che accompagna la D.i.a. ed attesta la fedeltà della ricostruzione in fatto (Cass. sentenza n.30401/2009, Zazzaro) oppure la veridicità delle affermazioni concernenti la conformità del progetto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie (Cass. sentenza n.1818/2008, Baldessari; Cass. sentenza n.27699 /2010, Coppola e altro). Di conseguenza è assegnata al professionista ed alla sua relazione un funzione pubblicistica che si esprime in sede di D.i.a. al pari delle attribuzioni che spettano all'ente territoriale competente nella ipotesi di rilascio del permesso di costruire. (conferma sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA emessa il 29/09/2009) Pres. Squassoni, Est. Marini, Ric. Volpetti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 16/02/2011 (Ud. 1/12/2010), Sentenza n. 5855

DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Giudizio di legittimità - Rilettura degli elementi di fatto - Esclusione. Il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Pertanto, è preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. (conferma sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA emessa il 29/09/2009) Pres. Squassoni, Est. Marini, Ric. Volpetti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 16/02/2011 (Ud. 1/12/2010), Sentenza n. 5855


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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli Ill.mi Sigg.:


Dott.ssa Claudia Squassoni                    Presidente

Dott. Amedeo Franco                             Consigliere

Dott. Luigi Marini                                   Consigliere Rel.

Dott. Luca Ramacci                               Consigliere

Dott. Santi Gazzarra                              Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- Sul ricorso proposto da:
1) VOLPETTI CORRADO, nato a Accumuli il xx/xx/xxxx/

2) MICHELINI GINO, nato a Accumuli il x/ad/xxxxx

- Avverso la sentenza emessa in data 29 Settembre 2009 dalla CORTE DI APPELLO DI ROMA, che ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Rieti al termine di rito abbreviato ha condannato il Sig. Volpetti alla pena di tre mesi di reclusione, convertita nella pena pecuniaria di 3.420,00 euro di multa in ordine ai reati ex art.44, lett.b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e art.481 c.p.; ha condannato il Sig.Michelini in relazione all'art.44, lett.b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 alla pena di un mesi di arresto, convertita nella pena pecuniaria di 1.140 di ammenda, nonché alla pena di 2.400,00 euro di ammenda, e cosi complessivamente alla pena di 3.540,00 euro di ammenda. Fatto accertato il 12 maggio 2005.
- Sentita la relazione effettuata dal Consigliere LUIGI MARINI
- Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. GIOACCHINO IZZO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
- Udito il Difensore, Avv. PIETRO FAUSTO CAROTTI, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


RILEVA


Con sentenza emessa in data 29 Settembre 2009 la CORTE DI APPELLO DI ROMA ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Rieti al termine di rito abbreviato ha condannato il Sig.Volpetti, quale progettista e direttore dei lavori, alla pena di tre mesi di reclusione, convertita nella pena pecuniaria di 3.420,00 euro di multa in ordine ai reati ex art.44, lett.b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e art.481 c.p.; ha condannato il Sig.Michelini, quale committente, in relazione all'art.44, lett.b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 alla pena di un mesi di arresto, convertita nella pena pecuniaria di 1.140 di ammenda, nonché alla pena di 2.400,00 euro di ammenda, e così complessivamente alla pena di 3.540,00 euro di ammenda.


I giudici di merito hanno ritenuto che le opere realizzate divergessero in maniera sensibile da quelle presentate a mezzo del D.i.a e che la relazione tecnica di accompagnamento di tale relazione presentasse contenuti non veritieri al fine di consentire una sopraelevazione non prevista dalla D.i.a. e comportante un aumento volumetrico abusivo, oggetto dell'imputazione. La qualità di esercente un servizio di pubblica necessità esistente in capo al professionista è stata ritenuta indubbia e pertanto sussistente il delitto previsto dall'art.481 c.p.


Sulla base di tali considerazioni la Corte di Appello ha respinto tutti i motivi di impugnazione presentati dagli odierni ricorrenti.


Con unico atto presentato dal Difensore i Sigg. Volpetti e Nichelini propongono ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello.


Con primo motivo lamentano violazione di legge in relazione all'art.44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e vizio di motivazione; le divergenze tra quanto esposto nella D.i.a. e quanto realizzato si sostanziano in differenze parziali che non ricadono nell'ambito della fattispecie incriminatrice, la quale richiede che la difformità sia "totale" (comma 2-bis del citato art.44).


Con secondo motivo lamentano violazione di legge con riferimento all'art.48 I c.p. contestato al solo Sig.Volpetti. A parere dei ricorrenti, infatti, la relazione tecnica che accompagna la D.i.a avrebbe natura di atto sottoposto dal privato all'ente comunale e sarebbe privo di quella connotazione pubblicistica che, invece, è stata ravvisata dai giudici di merito; in tal senso si è espressa la giurisprudenza della Quinta Sezione Penale della Corte.


OSSERVA


1. Alla luce del contenuto del primo motivo di ricorso la Corte ritiene necessario ricordare che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l'altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla legge n.46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall'appello".


Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell'art.606, lett. e) c.p.p. non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l'intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.


Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lett.e) dell'art.606 c.p.p. apportata dall'art.8, comma primo, lett.b) della legge 20 febbraio 2006, n.46, dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc.Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).


L'applicazione dei principi ora ricordati al caso in esame conduce alla conclusione che il motivo di impugnazione deve essere respinto. La motivazione della sentenza impugnata, infatti, non solo ripercorre (prima parte di pag.3) le differenze esistenti tra il contenuto della dichiarazione del privato in sede di D.i.a. e le opere effettivamente eseguite, ma mette in evidenza come tali differenze abbiano comportato un significativo aumento volumetrico non previsto; in particolare, la difformità di altezza e lo spostamento di due finestre hanno modificato la struttura del sottotetto fino a mutarne radicalmente le caratteristiche. Un simile accertamento di fatto, se correttamente motivato dal giudice di merito, non può essere oggetto di rivalutazione in sede di legittimità.


2. Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte osserva che la decisione della Quinta Sezione Penale richiamata dai ricorrenti risulta superata dalla più recente giurisprudenza, ivi comprese le decisioni con cui questa Sezione ha affermato la natura di certificazione della relazione del tecnico abilitato che accompagna la D.i.a. ed attesta la fedeltà della ricostruzione in fatto (sentenza n.30401 del 2009, Zazzaro, rv 244588) oppure la veridicità delle affermazioni concernenti la conformità del progetto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie (sentenza n.1818 del 2008, Baldessari, rv 242478; sentenza n.27699 del 2010, Coppola e altro, rv 247927).

Tali decisioni assegnano al professionista ed alla sua relazione un funzione pubblicistica che si esprime in sede di D.i.a. al pari delle attribuzioni che spettano all'ente territoriale competente nella ipotesi di rilascio del permesso di costruire.

Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto e i ricorrenti condannati, ai sensi dell'art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Cosi deciso in Roma il 1° Dicembre 2010

DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 1 6 Feb. 2011



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