AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
RIFIUTI - Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti - Obbligo
ripristinatorio - Natura - Art. 14 D.lgs. 22/97. L'obbligo ripristinatorio
previsto dal Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, articolo 14, si
configura come una sanzione amministrativa. I soggetti tenuti sono tutti quelli
che hanno un titolo di godimento sul terreno sul quale si é verificato
l'abbandono o il deposito o dal quale si sono originate le immissioni. (riforma
sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 - dep.
26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA). CORTE
DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
RIFIUTI - Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti - Soggetti
responsabili ex art. 14 D.lgs. 22/97 - Individuazione. In tema di abbandono
di rifiuti, il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, articolo 14, comma 3,
prevede la corresponsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti
personali o reali di godimento sull'area ove sono stati abusivamente abbandonati
o depositati rifiuti, solo in quanto la violazione sia agli stessi imputabile a
titolo di dolo o colpa. Tale riferimento va inteso, per le sottese esigenze di
tutela ambientale, in senso lato, comprendendo, quindi, qualunque soggetto che
si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da
consentirgli - e per ciò stesso imporgli - di esercitare una funzione di
protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere
adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente;
per altro verso, il requisito della colpa postulato da tale norma può ben
consistere nell'omissione delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria
diligenza suggerisce ai fini di un'efficace custodia (Cass. sez. un. n. 4472 del
2009). (riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del
16/11/2005 - dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di
Marnate (VA). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n.
6525
RIFIUTI - Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti - Rimozione, avvio a recupero e smaltimento dei rifiuti ex art. 14 D.lgs. 22/97 - Rilevanza. Le condotte ripristinatorie previste dall'art. 14, comma 3, del Decreto Legislativo 5 febbraio del 1997, n. 22 hanno ciascuna una rilevanza autonoma, una cosa essendo la "rimozione", altra "l'avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti", altra il "ripristino dello stato dei luoghi". Ognuno dei soggetti indicati o, comunque, contemplati implicitamente dalla norma (Cass. sez. un. n. 4472 del 2009), può certamente rendersi responsabile di tutte o solo di alcune delle inadempienze a tali condotte ad essa correlate. Inoltre, le anzidette condotte ripristinatorie, pur non essendo escluso che possano tenersi d'iniziativa del soggetto obbligato, diventano obbligatorie se e quando il sindaco abbia disposto con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere. (riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 - dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
RIFIUTI - Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti - Modalità di adempimento delle condotte ripristinatorie - Proprietario - Titolare di un diritto reale o personale di godimento - Obbligo ripristinatorio - Sussistenza - Art. 14 D.lgs. 22/97. Le modalità, previste dall'art. 14 del Decreto Legislativo 5 febbraio del 1997, n. 22, con le quali l'obbligo di tenere le condotte ripristinatorie dev'essere adempiuto, sono necessariamente correlate all'atteggiarsi della situazione giuridica che i soggetti espressamente contemplati (e gli altri che sono ad essi apparentabili) hanno sull'area di abbandono o deposito dei rifiuti o di origine dell'immissione. In particolare, la circostanza che la norma contempli la situazione di proprietà o di diritto reale di godimento come giustificativa dell'imposizione dell'obbligo, poiché notoriamente il proprietario ed anche il titolare di un diritto reale di godimento (almeno dell'usufrutto, posto che l'usufruttuario può locare il bene) possono godere indirettamente del bene, comporta che dell'obbligo ripristinatorio questi soggetti debbano rispondere non solo se esercitano il godimento del fondo direttamente, ma anche se lo esercitino indirettamente e, quindi, quanto al proprietario, anche se egli abbia concesso un diritto reale di godimento oppure un diritto personale di godimento (come la locazione) e, quanto al titolare del diritto reale di godimento, se abbia locato il bene. (riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 - dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
RIFIUTI - Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti - Attività ripristinatorie - Rifiuto di adempimento da parte dell'usufruttuario o del conduttore del bene - Obblighi del proprietario del terreno ex art. 14 D.lgs. 22/1997. La rimozione, l'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti e il ripristino dello stato dei luoghi sono attività che, per essere compiute, richiedono l'esistenza di un potere diretto sul terreno. Quando vi sia un diritto reale o personale di godimento sul bene, il proprietario non ha questo potere diretto sul terreno, ma l'obbligo di cui é onerato ai sensi dell'articolo 14, comma 3, del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, non per questo può dirsi a lui non riferibile. Sia il proprietario verso l'usufruttuario, sia il proprietario verso il conduttore possono pretendere che l'usufruttuario e il conduttore tengano essi le condotte di cui a loro volta sono verosimilmente onerati (per essere a loro volta in colpa o di dolo) e, nel caso di rifiuto, essi possono attivarsi giudizialmente per ottenere che l'usufruttuario o il conduttore provvedano, oppure per chiedere di essere autorizzati in loro vece a provvedere. L'azione in sede giudiziale può naturalmente concretarsi anche in via cautelare. Se del caso, ove la situazione sia tale da determinare o una situazione di abuso del diritto dell'usufruttuario o di uso illecito del ben locato, l'azione giudiziale può anche indirizzarsi nella prospettiva della richiesta di accertamento dell'estinzione del diritto di usufrutto per abuso dell'usufruttuario o nella richiesta di risoluzione del contratto locativo per uso della cosa non consentito ed anzi illecito. Ciò, al fine di riacquisire la disponibilità del fondo e provvedere alle attività ripristinatorie imposte. (riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 - dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
RIFIUTI - Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti - Concorso del fatto colposo altrui (danneggiante e danneggiato) - Rilevabilità d'ufficio della situazione riconducibile all'articolo 1227 c.c., comma 1. Anche in materia di rifiuti, il giudice deve proporsi, anche d'ufficio, la questione dell'eventuale concorso di colpa da parte del danneggiato e, in caso di accertata sussistenza di tale concorso, deve procedere, altresì, in sede d'accertamento della responsabilità, alla qualificazione dell'incidenza causale del concorso stesso. Infatti, allorquando si prende in esame la colpa dell'autore del danno, si prende, per ciò stesso, in considerazione anche la colpa eventuale del danneggiato, in quanto le colpe dei due soggetti si fronteggiano e la gravità della colpa dell'uno va posta in correlazione con la gravità della colpa dell'altro, al fine di accertare l'entità dell'efficienza causale del fatto colposo del debitore dell'indennizzo (Cass. n. 23794 del 2009 e n. 3672 del 2010 - contra Cass. n. 1687 del 1969). Fattispecie, in tema di mancata eliminazione di rifiuti da un terreno concesso in locazione ai fini della definizione di responsabilità ex art. 14 D.lgs. 22/1997 in riferimento alle figure del proprietario e del conduttore. (riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 - dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Giudizio di Cassazione - Decisione - Erroneità
delle richieste delle parti - Irrilevanza. Il giudice di legittimità
provvede d'ufficio sulla cassazione della sentenza impugnata con o senza rinvio
o decidendo nel merito, secondo che il vizio riscontrato rientri nelle ipotesi
previste dagli articoli 382 e 383 c.p.c., o articolo 384 c.p.c., comma 1, ult.
parte, sicché é irrilevante l'eventuale erroneità delle richieste delle parti in
un senso o nell'altro (Cass. n. 12235 del 2002; Cass. sez. un. n. 6994 del 2010;
per una particolare ipotesi di rilevanza della richiesta della parte ricorrente
con riguardo ad error in procedendo, si veda Cass. n. 917 del 2010).
(riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 -
dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA).
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Qualificazione giuridica del fatto - Omessa
impugnazione - Limiti nel successivo giudizio di legittimità. Ove il giudice
d'appello affermi che la riconduzione da parte del giudice di primo grado della
vicenda giudicata sotto una certa disciplina normativa, non essendo stata
sottoposta ad impugnazione, é coperta da giudicato interno e, quindi, ritenga di
dover esaminare i motivi di appello proposti tenendo ferma la qualificazione
della vicenda sulla base di quella disciplina, la Corte di cassazione, in sede
di ricorso contro la sentenza d'appello, qualora l'affermazione sull'esistenza
del detto giudicato non sia stata censurata, é anch'essa vincolata a procedere
all'esame dei motivi di ricorso sulla base della stessa disciplina normativa.
(riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 -
dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA).
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Omessa sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. - Nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, c.p.c. - Deducibilità con ricorso per cassazione. La mancata sospensione del giudizio, nei casi in cui se ne assume la necessarietà, integra un vizio della decisione, astrattamente idoneo ad inficiare la successiva pronuncia di merito, essa, traducendosi nella violazione di una norma processuale, ricade nella previsione dell'articolo 360 c.p.c., n. 4, ed é quindi deducibile con il ricorso per cassazione avverso la sentenza che contenga eventuali provvedimenti sulla sospensione, ovvero ribadisca o modifichi precedenti ordinanze adottate in materia nella fase dell'istruzione della causa, fermo restando che eventuali provvedimenti di sospensione, se positivi, sono autonomamente impugnabili con istanza di regolamento di competenza, ai sensi dell'articolo 42 cod. proc. civ., come sostituito dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353, articolo 6 (Cass. n. 16992 del 2007). (riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 - dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Impugnazioni - Rigetto della domanda sulla base di una pluralità di autonome statuizioni - Motivi di appello aventi ad oggetto solo alcune statuizioni della sentenza - Riforma integrale della sentenza - Esclusione. Affinché possa ritenersi che l'atto di appello investa nella sua totalità la sentenza impugnata, la quale abbia rigettato la domanda con una pluralità di autonome statuizioni, non é sufficiente la richiesta di riforma integrale della sentenza medesima o il generico richiamo alle domande ed eccezioni formulate in primo grado, qualora le censure svolte con i motivi siano limitate soltanto ad una od alcune di dette statuizioni, e, quindi, precludano di individuare un'inequivoca volontà di devolvere al giudice di secondo grado il riesame anche delle altre (Cass. n. 22271 del 2004). (riforma sentenza n. 2757/2005 della Corte di Appello di Milano del 16/11/2005 - dep. 26/11/2005). Pres. Preden - Est. Frasca - Ric. Comune di Marnate (VA). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 22/03/2011, Sentenza n. 6525
www.AmbienteDiritto.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto
- Presidente
Dott. AMATUCCI Alfonso
- Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo
- Consigliere
Dott. AMENDOLA Adelaide
- Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele
- rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24871-2006 proposto da:
COMUNE DI MARNATE (VA) (Omissis), in persona del Sindaco pro tempore Ce.
Ce. , considerato domiciliato "ex lege" in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE
DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'Avvocato RAVIZZOLI ANGELO giusta
delega in atti;
- ricorrente -
e contro
SA. CE. &. C. SPA;
- intimato -
sul ricorso 29078-2006 proposto da:
SA. CE. &. C. SPA, (Omissis), in persona del legale rappresentante dott.
Cr. Ma. , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI MONTE FIORE 22, presso lo
studio dell'avvocato GATTAMELATA STEFANO, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati SALA GIUSEPPE, SALA CLAUDIO giusta procura a margine
del controricorso con ricorso incidentale e con ricorso incidentale
condizionato;
- ricorrente -
e contro
COM. MARNATE;
- intimato -
avverso la sentenza n. 2757/2005 della CORTE D'APPELLO di MILANO, Sezione 1
civile emessa il 16/11/2005, depositata il 26/11/2005; R.G.N. 4379/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/01/2011 dal
Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito l'Avvocato STEFANO GATTAMELATA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto
che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del
ricorso incidentale assorbito l'incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.1. Nel settembre del 2000 il Comune di Marnate conveniva davanti al Tribunale
di Busto Arsizio la s.p.a. Sa. Ce. , nella sua qualità di proprietaria di un
terreno in (Omissis) e, premetteva: che all'inizio dell'anno (Omissis)
la U.S.S.L. territoriale aveva accertato la presenza su di esso, condotto in
locazione da Si. Ad. e Ca.Au. , di materiali classificati come rifiuti
tossico-nocivi; che il terreno era stato sottoposto a sequestro penale il (Omissis)
dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio; che con
varie ordinanze sindacali fra il (Omissis) era stata ingiunto inutilmente
alla convenuta e con la prima ordinanza anche ai due conduttori di sgomberare il
terreno dai detti materiali; che nel (Omissis) l'esondazione del fiume (Omissis)
aveva cagionato la fuoriuscita di parte dei materiali dal terreno ed inquinato i
terreni dei proprietari confinanti, con la conseguenza che esso attore aveva
dovuto eseguire interveti di bonifica ambientale per un costo di lire
1.916.730.000.
Sulla base di tali premesse, adducendo che ai sensi del Decreto Legislativo n.
22 del 1997, articolo 14, comma 3, la convenuta, quale proprietaria del terreno
doveva ritenersi responsabile dell'inquinamento ai sensi degli articoli 2043 e
2051 c.c. per avere Omissis di vigilare sui due conduttori, per non avere
attuato alcun intervento pur essendo consapevole della presenza dei rifiuti e
per non avere ottemperato alle ordinanze sindacali, chiedendo il dissequestro
del terreno, il Comune chiedeva la condanna della società convenuta alla
rifusione di costi sopportati e al risarcimento del danno ambientale.
p.1.1. La convenuta si costituiva e contestava l'avversa pretesa.
Il Tribunale, con sentenza del giugno 1989, riteneva nella fattispecie
applicabile in via esclusiva l'articolo 14 del citato Decreto Legislativo e,
reputata sussistente la colpa della convenuta, condannava la medesima al
pagamento della somma corrispondente al costo sopportato per i lavori di
bonifica dal Comune, mentre negava il diritto al risarcimento del danno
ambientale, in quanto quei lavori l'avevano eliminato.
p.2. La sentenza veniva appellata dalla s.p.a. Sa. Ce. e, nella resistenza del
Comune, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 26 novembre 2005, ne
disponeva la riforma e respingeva la domanda del Comune.
p.3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione in via principale il
Comune di Marnate sulla base di tre motivi (il quarto non essendo tale, perché
si limita a propugnare - per il caso di accoglimento degli altri e, quindi di
cassazione della sentenza -la decisione nel merito).
La s.p.a. Sa. Ce. ha resistito con controricorso, nel quale ha svolto un motivo
di ricorso incidentale e tre motivi di ricorso incidentale condizionato.
p.4. La resistente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.1. Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso incidentale a quello
principale, in seno al quale é stato proposto.
p.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione del Decreto
Legislativo n. 22 del 1997, articolo 14 violazione articolo 42 Cost., violazione
articolo 2697 c.c., in materia di onere della prova in relazione all'articolo
360, comma 1, n. 3".
Vi si censura la seguente parte della motivazione della sentenza impugnata,
nella quale la Corte territoriale - dopo avere rilevato che la Sa. Ce. poteva
essere chiamata a rispondere della mancata eliminazione dall'area di sua
proprietà dei rifiuti unicamente alla stregua del Decreto Legislativo n. 22 del
1997, articolo 14, comma 3, e che, quale proprietaria, ai sensi di detta norma,
la responsabilità per la rimozione, l'avvio a recupero e lo smaltimento, nonché
per le spese di ripristino dello stato dei luoghi, le poteva essere attribuita
solo per dolo o colpa - ha, una volta rilevato che il dolo non era ipotizzabile,
ritenuto inesistente la colpa osservando, nel censurare il diverso avviso della
sentenza di primo grado, quanto segue: "vero é, come si legge in sentenza, che
la s.p.a. Sa. Ce. era consapevole della presenza dei rifiuti tossico-nocivi in
questione, ma é altresì vero che si é attivata per la loro eliminazione, come da
accordo scritto con i due conduttori del terreno - Si. e Ca. - in data
(Omissis), con il quale questi ultimi si sono impegnati ad attuare lo sgombero
entro il (Omissis), con pattuizione di una penale a loro carico di lire
100.000 per ogni giorno di ritardo. La società appellante si é dunque adoperata
nel limite del possibile per eliminare il pericolo di danno ambientale inerente
ai rifiuti di cui trattasi. Essa, d'altra parte, non aveva potere diretto di
ingerenza sull'immobile concesso in locazione e quanto ivi esistente".
Questa motivazione - ad avviso del Comune ricorrente - avrebbe escluso
erroneamente la colpa per le seguenti ragioni:
a) nella specie non si trattava di deposito occasionale di rifiuti avvenuto
senza autorizzazione, ma di deposito avvenuto con l'autorizzazione della
proprietaria;
b) la Corte territoriale avrebbe esaminato la questione ricercando ed escludendo
soltanto una colpa commissiva e non anche una colpa in senso omissivo, in
particolare astenendosi dall'indagare "quale livello di iniziativa e di
attivazione in funzione preventiva avrebbe potuto esigersi in concreto dal
proprietario per impedire ed evitare non solo lo sversamento abusivo dei rifiuti
sulla sua proprietà, ma anche il permanere incustodito per più di 6 anni di
rifiuti tossico-nocivi sul terreno";
c) la cessione in locazione del terreno a produttore di beni che richiedono
sostanze inquinanti, secondo una dottrina integrerebbe comportamento colposo.
A queste deduzioni l'illustrazione del motivo fa seguire la formulazione di due
quesiti di diritto, ancorché l'articolo 366-bis c.p.c. non sia applicabile al
ricorso.
Quindi, alla pagina nove si articolano tre capoversi con enunciazioni del tutto
astratte e prive di riferimenti alla vicenda ed alla motivazione, sia in punto
di soggetto gravato dell'onere della colpa, sia di rilievo dell'articolo 42
Cost., comma 2 nel ricostruire la posizione del proprietario.
Nella quarta proposizione si imputa alla Corte milanese di avere ignorato il
principio che imporrebbe "in capo al proprietario un minimo di diligenza
esigibile nel gestire il suo bene tale da impedire o comunque ostacolare fatti
di abbandono di rifiuti" ed ancora le si addebita di avere sostenuto una tesi
secondo cui "al proprietario che non abbia materialmente posto in essere
l'attività non possa essere ascritta alcuna responsabilità nella causazione
dell'inquinamento", attribuendo siffatto contenuto a questo passo della
motivazione: "alla società appellante non può essere addebitata colpa per
omissione di controllo, dato che a soli quattro mesi di distanza é stato
eseguito quel sequestro penale che ha tolto al Si. e al Ca. , senza recupero da
parte della società stesa, la disponibilità dell'area e la possibilità di
prelevarvi e portare altrove i rifiuti tossici. Non ha poi base probatoria il
dubbio espresso dal primo giudice in ordine alla affidabilità dei due conduttori
per l'esecuzione di una efficace e tempestiva operazione di sgombero, che non
risulta richiedesse particolari competenze".
Le affermazioni della Corte territoriale mal si coordinerebbero con la natura
giuridica e gli effetti dell'onere reale, perché ridurrebbero "la posizione del
proprietario incolpevole a quella del soggetto meramente inerte e passivo,
mentre le previsioni dell'onere reale e del privilegio speciale immobiliare
previste dal Decreto Legislativo n. 22 del 1997 limitano fortemente il principio
dell'irresponsabilità del proprietario inerte".
L'illustrazione del motivo si chiude con la sottolineatura della particolare
importanza che assumerebbe l'obbligo giuridico di impedire il fatto, dal quale
discenderebbe l'imposizione di una soglia di diligenza minima al proprietario,
che, peraltro non rappresenterebbe una vessazione nei suoi riguardi.
p.3. Con il secondo motivo ci si duole di "violazione del Decreto Legislativo n.
22 del 1997, articolo 14; violazione articolo 42 Cost.; violazione articolo 2697
c.c. in materia di onere della prova in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma
1, n. 3); ovvero: Violazione articolo 360 c.p.c., n. 5 per incongruità,
contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione e per omessa ed erronea
valutazione delle risultanze documentali; omessa insufficiente, contraddittoria
motivazione circa i punti decisivi della controversia prospettati dal Comune di
Marnate in relazione all'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e articolo 360
c.p.c., comma 1, n. 5)".
3.1. Sotto un primo aspetto, si rileva che la Corte territoriale, pur essendo
partito dalla premessa che la società resistente, quale proprietaria, avesse un
dovere di attivarsi "per non aggravare il pericolo di inquinamento", avrebbe,
tuttavia, erroneamente ritenuto che essa si fosse attivata "nei limiti del
possibile" attraverso la stipula dell'accordo del (Omissis), tenuto conto
che non aveva potere diretto di ingerenza sull'immobile e su quanto su di esso
esistente perché l'immobile era stato concesso in locazione. L'errore commesso
dalla Corte meneghina sarebbe stato di avere considerato, per valutare l'onere
di attivazione soltanto la conclusione del detto accordo, tra l'altro risultante
da "documento non confermato dalle prove testimoniali espletate", e non anche il
fatto ben più pregnante della mancata attivazione di procedure giudiziali sia
per la risoluzione del contratto locativo per uso del terreno non conforme alla
legge e per il suo rilascio, sia per ottenere "l'esecuzione coattiva
dell'asserito impegno di sgombero da parte del Si. e del Ca. ".
p.3.2. Sotto un secondo aspetto si rileva che la resistente non aveva mai
prodotto alcun contratto di locazione dell'immobile che giustificasse la
detenzione qualificata del Si. e del Ca. , bensì soltanto un contratto del (Omissis)
con altro soggetto.
Si sostiene, quindi, che detta omissione sarebbe "certamente significativa",
rimarcando, altresì, che del contratto locativo nemmeno si erano dedotti i
termini e quale fosse l'attività denunciata dai conduttori, onde non sarebbe
"sufficientemente convincente" la motivazione con cui la Corte territoriale ha
escluso l'esistenza di alcun profilo di colpa sulla proprietaria. Ed anzi gli
elementi in discorso, non considerati dal quella Corte, sarebbero idonei "a
fondare un autonomo titolo di colpa (omissiva) concorrente con quella
ascrivibile al comportamento del responsabile dei fatti di inquinamento".
A sostegno di tali deduzioni si fa riferimento a dottrina che avrebbe ravvisato
in capo al proprietario un onere di controllo sull'attività compiuta sul fondo
anche in caso di affitto, se del caso riconducibile all'ambito dell'articolo
2050 c.c. nel caso di conferimento della disponibilità per l'attività causativa
dell'inquinamento.
p.3.3. Si assume, quindi, che l'affitto del fondo non esenterebbe il
proprietario dall'onere di controllare che di esso si faccia un uso conforme a
legge e che, pur non estrinsecandosi esso in un potere di controllo e vigilanza
sul rispetto delle norme ambientali e sanitarie, si configurerebbe un dovere di
attivazione, allorquando l'esistenza di una situazione potenzialmente
riconducibile all'articolo 14 citato risulti, per le attività compiute sul
fondo, percepibile con la media diligenza. Nella specie tale possibilità tanto
più si sarebbe potuta configurare in capo alla resistente, tenuto conto:
aa) che essa é azienda produttrice di farmaci e, come tale edotta delle
normative ambientali e sui rifiuti;
bb) che le opere realizzate sul terreno - consistenti nell'accumulo di rifiuti,
nella sistemazione di ben nove cisterne e nella realizzazione di "opere di
condotti e tubazioni di conduzione di liquido oleoso a una caldaia ai fini della
combustione" e, dunque, in sostanza, di un impianto di smaltimento di rifiuti
pericolosi attraverso termodistruzione - erano ben visibili e non occulte, onde
risultava inverosimile che la Sa. Ce. ignorasse che cosa stava avvenendo sul
terreno.
Ne seguirebbe che del tutto insufficiente si sarebbe dovuto ritenere
l'affidamento agli stessi soggetti inquinatori dell'effettuazione delle
operazioni relative allo smaltimento, senza che la società si attivasse
direttamente e controllasse lo svolgimento di detta attività e senza che fosse
verificata l'abilitazione all'operazione di detti soggetti (come aveva rilevato
il Tribunale in primo grado).
Se mal non si comprende, si assume, poi, che la Sa. Ce. aveva addirittura
conservato la custodia materiale dopo il sequestro penale dei rifiuti, posto che
era stato nominato custode il signor As. , cioè proprio il soggetto che per
conto della stessa aveva conferito l'incarico di sgomberare ai conduttori.
Si fa riferimento, inoltre, come profilo di colpa specifica all'inosservanza
delle ordinanze sindacali, che non erano state sospese in via cautelare dal
giudice amministrativo e che imponevano di attivarsi per impedire ogni possibile
inquinamento del sito.
Tutte tali complessive considerazioni evidenzierebbero l'error in iudicando
della corte territoriale in ordine all'esclusione della colpa della resistente.
p.4. Con il terzo motivo si denuncia "violazione articoli 2721 e 2724 c.c. in
relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 39", sotto il profilo che al
documento relativo al verbale del (Omissis), prodotto come documento n. 22 e
presente nel fascicolo della Sa. Ce. , si sarebbe dato credito quanto alla
consegna del terreno, ancorché il teste As. non avesse confermato il capitolo di
prova per testi dedotto dalla stessa con la memoria del 17 gennaio 2001 e nel
quale si assumeva che l'area era stata consegnata al Si. con la presa di
possesso da parte sua dei beni di cui al detto verbale. Il detto teste,
dipendente della società, aveva infatti affermato di non avere consegnato alcuna
area, ma di avere firmato "qualcosa in presenza di un maresciallo dei
carabinieri" e, dunque, presumibilmente il verbale del sequestro penale.
Non essendo stato il verbale del (Omissis) confermato per testi, nessuna
prova vi era "in ordine alla vicenda ed ai rapporti relativi alla consegna del
terreno di cui trattasi".
p.5. Il quarto motivo - come s'é già avvertito - non é tale, ma si risolve nella
sollecitazione, per il caso di accoglimento degli altri, ad una cassazione con
decisione sul merito.
p.6. Con l'unico motivo di ricorso incidentale non condizionato si lamenta
"violazione e/o falsa applicazione articolo 91 c.p.c., comma 1 e articolo 92
c.p.c., comma 2 circa la condanna della parte soccombente al rimborso delle
spese, ex articolo 360, comma 1, n. 3" e, in prima battuta sull'assunto della
soggezione del giudizio, avuto riguardo alla data di proposizione del ricorso
per cassazione, alla disciplina dell'articolo 92 c.p.c., comma 2 introdotta
dalla Legge n. 263 del 2005, articolo 2 si lamenta che la Corte milanese abbia
compensato le spese senza indicare le ragioni della compensazione. In seconda
battuta si deduce che la compensazione, pur valutata alla stregua della
disciplina precedente, non sarebbe stata giustificata.
p.6.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato si prospetta
"violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 295 c.p.c. sulla sospensione
del giudizio, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3" e si lamenta che
erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che fondatamente il
Tribunale aveva disatteso l'istanza di sospensione del giudizio in attesa della
definizione dei giudizi amministrativi introdotti avverso alcune ordinanze rese
dal Sindaco del Comune di Marnate.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato si deduce "violazione
e/o falsa applicazione articolo 346 c.p.c. sulla decadenza della domande ed
eccezioni non riproposte, ex articolo 360 c.p.c., comma 1 comma, n. 3",
adducendo che erroneamente ed in violazione dell'articolo 346 c.p.c. la Corte
milanese avrebbe ritenuto non esaminabile l'eccezione di prescrizione, in quanto
non vi era stata censura in ordine alla statuizione di rigetto del giudice di
primo grado ed alle argomentazioni che la sorreggevano. Si assume che
l'eccezione era stata riproposta con l'atto di appello "a mezzo si menzione
nell'atto introduttivo (v, p. 7 atto di appello), formulazione di domanda nelle
conclusioni dell'atto di appello, confermata in sede di precisazione delle
conclusioni medesime, articolato richiamo delle ragioni a fondamento in sede di
comparsa conclusionale".
Con quello che viene indicato come terzo motivo si sollecita decisione nel
merito, fondata sull'applicazione della prescrizione nei termini in cui era
stata eccepita, sulla cui illustrazione ci si diffonde.
p.7. Il Collegio preliminarmente rileva che l'esame del primo motivo di ricorso
incidentale condizionato - concernente questione rilevabile d'ufficio - deve
seguire quello del ricorso principale, perché la questione che ne é oggetto é
stata espressamente decisa dalla sentenza impugnata e, dunque, l'interesse
all'esame del motivo può sorgere solo per l'ipotesi di accoglimento in tutto od
in parte del ricorso principale (in termini, ex multis, Cass. sez. un.
5456 del 2009).
p.8. L'esame dei primi due motivi del ricorso principale può avvenire
unitariamente, stante la loro stretta connessione: con essi, infatti, si censura
la valutazione con cui la Corte territoriale ha escluso la ricorrenza di una
responsabilità della resistente alla stregua del Decreto Legislativo n. 22 del
1997, articolo 14, comma 3, per mancanza di comportamento colpevole.
p.8.1. Prima di procedere all'esame dei due motivi, la Corte rileva
l'infondatezza delle eccezioni di incongruenza dei quesiti di diritto formulati
dal ricorrente e di mancanza di correlazione fra i motivi e le conclusioni del
ricorso principale.
La prima eccezione é irrilevante, perché il ricorso non é soggetto alla
disciplina dell'articolo 366-bis c.p.c., essendo stata la sentenza impugnata
pubblicata anteriormente al 2 marzo 2006 (Decreto Legislativo n. 40 del 2006,
articolo 27, comma 2), onde i quesiti sono stati prospettati inutiliter,
non incombendo sul ricorrente l'onere di formularli.
La seconda eccezione - motivata con il rilievo che nelle conclusioni del ricorso
si é chiesta la cassazione senza rinvio ai sensi dell'articolo 382, comma 3, e
che tale richiesta sarebbe del tutto inconferente risputo ai motivi - non può
giustificare l'inammissibilità del ricorso, pur essendo indubitabile che
effettivamente l'applicazione di detta norma e, dunque, la cassazione senza
rinvio da essa prevista é stata richiesta senza alcuna coerenza con i motivi, i
quali potrebbero giustificare o una cassazione con rinvio ai sensi dell'articolo
383 c.p.c. o una cassazione e decisione nel merito, siccome si postula con
quello che parte ricorrente ha prospettato come quarto motivo. Viene, infatti,
in rilievo il consolidato principio di diritto secondo cui "Il giudice di
legittimità provvede d'ufficio sulla cassazione della sentenza impugnata con o
senza rinvio o decidendo nel merito, secondo che il vizio riscontrato rientri
nelle ipotesi previste dagli articoli 382 e 383 c.p.c., o articolo 384 c.p.c.,
comma 1, ult. parte, sicché é irrilevante l'eventuale erroneità delle richieste
delle parti in un senso o nell'altro". (Cass. n. 12235 del 2002; Cass. sez. un.
n. 6994 del 2010; per un'ipotesi eccezionale e del tutto particolare di
rilevanza della richiesta della parte ricorrente con riguardo ad error in
procedendo, si veda, invece, Cass. n. 917 del 2010. Ma nella specie non ricorre
una situazione simile a quella considerata da tale decisione).
Si aggiunga che in via subordinata parte ricorrente ha chiesto anche la
cassazione con rinvio.
p.8.2. Ciò chiarito, il Collegio rileva che i primi due motivi sono fondati per
le ragioni e nei limiti in cui si dirà.
é necessario premettere alcune precisazioni giustificative dei limiti entro i
quali i motivi verranno ritenuti fondati.
p.8.2.1. La prima precisazione é nel senso che si é formata cosa giudicata
interna nel corso delle fasi di merito su tre questioni, una relativa alla
individuazione della cornice normativa entro la quale la vicenda dev'essere
ricondotta, la seconda concernente una situazione relativa ad un fatto storico,
la terza concernente la posizione della resistente.
Sotto il primo profilo, la sentenza impugnata - alla pagina sette - dice
espressamente che la sentenza di primo grado aveva ricondotto la vicenda sotto
l'ambito del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 14 e che tale
qualificazione non era stata oggetto di impugnativa e su di essa si era formata
cosa giudicata. Né i motivi di ricorso principale né quelli di ricorso
incidentale hanno censurato tale affermazione ed anzi si muovono nel presupposto
della condivisione di quella qualificazione. Ne consegue che questa Corte deve
apprezzare il ricorso e, di riflesso la vicenda nei limiti in cui ne é stata
investita con i motivi di ricorso, ritenendo che essa trovi collocazione
normativa sotto l'ambito della disciplina del citato articolo 14 (il cui
contenuto, come é noto, é ora, in ragione dell'abrogazione dei esso da parte del
Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 264 trasfuso nell'articolo 192 di
quest'ultimo). E ciò ancorché restino non scrutinabili le ragioni per cui una
vicenda come quella di cui é processo, articolatasi per gran parte dei fatti
storici e soprattutto delle condotte rilevanti anteriormente all'entrata in
vigore della norma dell'articolo 14 (atteso che la stessa esondazione del fiume
(Omissis), che provocò la dispersione di rifiuti tossico-nocivi si verificò
anteriormente e semmai l'attività di bonifica eseguita dal Comune si collocò
successivamente (come dai documenti n. 10, 11 e 12, cui si allude
nell'esposizione del fatto nel ricorso). D'altro canto, l'avere la Corte
territoriale affermato che per effetto della mancata censura della riconduzione
della vicenda da parte della sentenza di primo grado sotto l'ambito
dell'articolo 14 citato si era formato giudicato rende impossibile in questa
sede valutare se la Corte territoriale abbia applicato correttamente il concetto
di giudicato interno oppure avesse la possibilità di esercitare il potere di
qualificazione normativa dei fatti a prescindere da una impugnazione sul punto:
l'avere espressamente quella Corte ravvisato in giudicato interno imponeva alla
parte interessata di proporre, in caso di dissenso, impugnazione sul punto in
questa sede e l'assenza di tale impugnazione preclude ogni valutazione sul punto
da parte di questa Corte.
Il principio di diritto che viene in rilievo é il seguente: "ove il giudice
d'appello affermi che la riconduzione da parte del giudice di primo grado della
vicenda giudicata sotto una certa disciplina normativa, non essendo stata
sottoposta ad impugnazione, é coperta da giudicato interno e, quindi, ritenga di
dover esaminare i motivi di appello proposti tenendo ferma la qualificazione
della vicenda sulla base di quella disciplina, la Corte di cassazione, in sede
di ricorso contro la sentenza d'appello, qualora l'affermazione sull'esistenza
del detto giudicato non sia stata censurata, é anch'essa vincolata a procedere
all'esame dei motivi di ricorso sulla base della stessa disciplina normativa".
Sotto un secondo aspetto la sentenza impugnata ha rilevato che per mancanza di
impugnazione della sentenza di primo grado si era formato giudicato interno
sulla circostanza che, all'inizio dell'anno (Omissis), il terreno su cui
insistevano i rifiuti era condotto in locazione da Si.Ad. e Ca.Au. , in forza,
evidentemente, di un contratto stipulato con la qui resistente. Sulla rilevata
esistenza del giudicato interno non é stata proposta alcuna censura, che avrebbe
dovuto evidenziare l'insussistenza della formazione del giudicato interno per
difetto di impugnazione sul punto della sentenza di primo grado. Ne consegue che
lo scrutinio dei motivi di ricorso principale (e di quelli del ricorso
incidentale) deve avvenire sulla base del dato incontestabile che vi era quel
rapporto di locazione. Da qui la conseguenza che, là dove la seconda censura
proposta dal secondo motivo (e di cui si é riferito al precedente punto 3.2.)
sembrerebbe adombrare un dubbio sull'effettiva esistenza del rapporto locativo,
se ne deve rilevare l'inammissibilità. Di modo che la censura può soltanto
essere apprezzata nel profilo che, in ragione del carattere non chiaro dei
termini del contratto, imputa alla Corte territoriale di avere male apprezzato
la configurabilità nel comportamento della resistente di una colpa.
Sotto il terzo aspetto, la sentenza impugnata ha altresì rilevato che si era
formata cosa giudicata interna sul fatto che i due conduttori Si. e Ca. fossero
"gli unici responsabili diretti della presenza nel terreno stesso dei rifiuti
tossico-nocivi" di cui la competente U.S.S.L. aveva accertato l'esistenza sul
terreno di proprietà della Sa. Ce. "nei primi mesi di tale anno cioè del (Omissis)".
Anche su questo punto non é stato proposto alcun motivo di ricorso.
p.8.3. Sulla base dei punti fermi appena evidenziati si può procedere
all'inquadramento, nell'ambito (necessitato, per quel che si é detto) della
fattispecie normativa di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 14
della vicenda per come devoluta a questa Corte sulla base dei motivi di ricorso
principale.
Il tenore della norma (sostanzialmente immutato nella norma che l'ha
sostituita), sotto la rubrica "Divieto di abbandono", era il seguente: "1.
L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono
vietati. 2. é altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo
stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. 3. Fatta salva
l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i
divieti di cui ai commi 1 e 2 é tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a
recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi
in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di
godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o
colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessaria ed
il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in
danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate. 4. Qualora
la responsabilità del fatto illecito di cui al comma 1 sia imputabile ad
amministratori o rappresentanti di persona giuridica, ai sensi e per gli effetti
del comma 3 sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che
subentrano nei diritti della persona stessa".
Nella fattispecie normativa sono contemplate nel comma 1 e nel comma 2 anzitutto
tre condotte, rappresentate da "abbandono" di rifiuti "sul suolo e nel suolo",
da "deposito incontrollato" sempre sul suolo o nel suolo, e dalla " immissione
di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque
superficiali e sotterranee".
Ciascuna di queste tre condotte da luogo - ferma la soggezione alle sanzioni
previste dall'articolo 50 o dall'articolo 51 dello stesso Decreto Legislativo,
che colpiscono direttamente la condotta di abbandono o di deposito - alla
conseguenza dell'insorgenza di un obbligo di attivazione, rappresentato dal
dover provvedere alla "rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei
rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi".
Queste condotte ripristinatorie sono imposte innanzitutto all'autore delle
condotte contemplate dai commi 1 e 2. In secondo luogo lo sono in via solidale
al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento e al titolare di
un diritto personale di godimento sull'area interessata dalle condotte suddette
(che, per quanto attiene alla immissione, é, evidentemente, quella da cui
l'immissione avviene). Tali soggetti sono tenuti alle condotte ripristinatorie,
il cui inadempimento da luogo poi alla soggezione alle spese di recupero, purché
vi sia stata una loro condotta dolosa o colposa. Siffatta condotta, secondo
l'apparente tenore della norma deve riguardare la stessa condotta contemplata
nei commi 1 e 2, nel senso che detti soggetti debbono aver tenuto una condotta,
commissiva od omissiva, che ha concorso (con quella dell'autore materiale della
violazione) alla verificazione della violazione ed é stata frutto di un loro
atteggiamento doloso o colposo.
Tale condotta commissiva od omissiva per il proprietario concedente del diritto
reale di godimento o della locazione sul bene si può naturalmente concretare:
a1) sia nell'avere consentito espressamente o anche tacitamente l'uso del fondo
da parte dell'usufruttuario o del conduttore come deposito di rifiuti; a2) sia
nell'essere rimasti inerti dopo avere conosciuto di tale adibizione, cioè nel
non avere esercitato contro l'usufruttuario o il conduttore i poteri intesi a
far cessare la situazione di utilizzazione del fondo come deposito.
Nonostante l'apparente limitazione in tal senso non può, poi, dubitarsi che
anche l'inadempimento della condotta ripristinatoria alla cui tenuta quei
soggetti sono obbligati una volta che ricorra la situazione di causazione dolosa
o colpevole nel senso appena detto (con l'autore materiale della violazione) dev'essere
frutto di dolo o colpa.
L'obbligo ripristinatorio, infatti, si configura come una sanzione
amministrativa. I soggetti in questione sono tutti quelli che hanno un titolo di
godimento sul terreno sul quale si é verificato l'abbandono o il deposito o dal
quale si sono originate le immissioni.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anzi relativizzato l'indicazione delle
figure in questione sottolineando che "In tema di abbandono di rifiuti, sebbene
il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, articolo 14, comma 3,
(applicabile "ratione temporis") preveda la corresponsabilità solidale
del proprietario o dei titolari di diritti personali o reali di godimento
sull'area ove sono stati abusivamente abbandonati o depositati rifiuti, solo in
quanto la violazione sia agli stessi imputabile a titolo di dolo o colpa, tale
riferimento va inteso, per le sottese esigenze di tutela ambientale, in senso
lato, comprendendo, quindi, qualunque soggetto che si trovi con l'area
interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli - e per
ciò stesso imporgli - di esercitare una funzione di protezione e custodia
finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica
abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente; per altro verso, il
requisito della colpa postulato da tale norma può ben consistere nell'omissione
delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini
di un'efficace custodia. (Fattispecie relativa ad ordinanza nei confronti di un
Consorzio di bonifica per provvedere alla rimozione, all'avvio al recupero, allo
smaltimento ed alla messa in sicurezza dei rifiuti depositati lungo un fiume)
(così Cass. sez. un. n. 4472 del 2009).
p.8.3.1. Va chiarito, altresì, che le condotte ripristinatorie del comma 3 della
norma hanno, peraltro, ciascuna una rilevanza autonoma, una cosa essendo la
"rimozione", altra "l'avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti", altra il
"ripristino dello stato dei luoghi". Ognuno dei soggetti indicati o comunque -
secondo la prospettiva delle Sezioni Unite contemplati implicitamente dalla
norma può certamente rendersi responsabile di tutte o solo di alcune delle
inadempienze a tali condotte ad essa correlate.
Va rilevato, inoltre, che le condotte ripristinatorie, pur non essendo escluso
che possano tenersi d'iniziativa del soggetto obbligato, diventano obbligatorie
se e quando il sindaco abbia disposto con ordinanza le operazioni a tal fine
necessarie ed il termine entro cui provvedere.
Le modalità (che sono cosa diversa dalle operazioni) con le quali l'obbligo di
tenere le condotte ripristinatorie dev'essere adempiuto sono necessariamente
correlate all'atteggiarsi della situazione giuridica che i soggetti
espressamente contemplati (e gli altri che sono ad essi apparentabili) hanno
sull'area di abbandono o deposito dei rifiuti o di origine dell'immissione. In
particolare, la circostanza che la norma contempli la situazione di proprietà o
di diritto reale di godimento come giustificativa dell'imposizione dell'obbligo,
poiché notoriamente il proprietario ed anche il titolare di un diritto reale di
godimento (almeno dell'usufrutto, posto che l'usufruttuario può locare il bene)
possono godere indirettamente del bene, comporta che dell'obbligo
ripristinatorio questi soggetti debbano rispondere non solo se esercitano il
godimento del fondo direttamente, ma anche se lo esercitino indirettamente e,
quindi, quanto al proprietario, anche se egli abbia concesso un diritto reale di
godimento oppure un diritto personale di godimento (come la locazione) e, quanto
al titolare del diritto reale di godimento, se abbia locato il bene.
p.8.3.2. Ora, rimozione, avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti e
ripristino dello stato dei luoghi sono attività che, per essere compiute,
richiedono l'esistenza di un potere diretto sul terreno. Quando vi sia un
diritto reale o personale di godimento sul bene, il proprietario non ha questo
potere diretto sul terreno, ma l'obbligo di cui é onerato ai sensi dell'articolo
14, comma 3 non per questo può dirsi a lui non riferibile. Sia il proprietario
verso l'usufruttuario, sia il proprietario verso il conduttore possono
pretendere che l'usufruttuario e il conduttore tengano essi le condotto di cui a
loro volta sono verosimilmente onerati (per essere a loro volta in colpa o di
dolo) e, nel caso di rifiuto, essi possono attivarsi giudizialmente per ottenere
che l'usufruttuario o il conduttore provvedano, oppure per chiedere di essere
autorizzati in loro vece a provvedere. L'azione in sede giudiziale può
naturalmente concretarsi anche in via cautelare. Se del caso, ove la situazione
sia tale da determinare o una situazione di abuso del diritto dell'usufruttuario
o di uso illecito del ben locato, l'azione giudiziale può anche indirizzarsi
nella prospettiva della richiesta di accertamento dell'estinzione del diritto di
usufrutto per abuso dell'usufruttuario o nella richiesta di risoluzione del
contratto locativo per uso della cosa non consentito ed anzi illecito. Ciò, al
fine di riacquisire la disponibilità del fondo e provvedere alle attività
ripristinatorie imposte.
p.8.3.3. Va rilevato, altresì, che nella presente vicenda il Comune
verosimilmente avrebbe potuto, una volta eseguito il ripristino, procedere alla
riscossione coattiva se del caso ai sensi del testo unico sulla riscossione
coattiva delle entrate patrimoniali, ma, naturalmente, nulla gli impediva di dar
corso - come fece - alla sua pretesa in via di azione ordinaria.
p.9. Alla luce del ricostruito quadro normativo può ora passarsi all'esame dei
primi due motivi di ricorso, i quali, al di là di una certa farraginosità
espositiva, censurano la valutazione con cui la Corte d'Appello di Milano ha
ritenuto di escludere che, agli effetti della pretesa recuperatoria fatta valere
dal Comune, la Sa. Ce. versasse in colpa.
p.9.1. La motivazione resa dalla Corte lombarda é viziata in iure al riguardo in
tutti i suoi passaggi e in primo luogo nel passaggio cui si riferisce il primo
motivo di ricorso e che é stato riportato sopra al paragrafo 2.
Invero, una volta acquisita consapevolezza dell'esistenza dei rifiuti sul
terreno concesso in locazione, la stessa stipulazione dell'accordo del (Omissis)
per l'eliminazione dei rifiuti con i due conconduttori, sia pure con la
pattuizione di una penale, si é risolta - come invece non ha colto la Corte
milanese - in un comportamento diretto a consentire, nell'economia dello
svolgimento del rapporto locativo, la protrazione della permanenza sul terreno
del deposito di rifiuti da chiunque fosse stato effettuato, fossero stati i
conconduttori o terzi soggetti, e, quindi, in una condotta di violazione
dell'articolo 14, comma 1, del citato Decreto Legislativo.
Infatti, anziché pretendere dai conduttori l'immediata rimozione dei rifiuti, la
qui resistente acconsentiva alla loro permanenza sul terreno. Al riguardo, una
volta considerato che come s'é veduto, la previsione del dovere di rimozione e
ripristino é imposta dall'articolo 14, comma 3 direttamente al proprietario e lo
é anche quando egli eserciti indirettamente il godimento, é palese che,
acquisita la consapevolezza della presenza dei rifiuti, il dovere di attivarsi
si radicava immediatamente sulla convenuta e doveva essere azionato utendo,
anche nei termini adombrati sopra in ragione dell'eventuale atteggiamento di
rifiuto dei conduttori, di tutte le facoltà esercitabili contro i conduttori per
esigere che la situazione illecita cessasse. Invece, la resistente ha consentito
che l'esercizio del godimento continuasse per dieci mesi, pur pattuendo lo
sgombero entro quel termine e prevedendo una penale una volta decorso il
termine.
Va rilevato che priva di pregio, giusta le osservazioni ricostruttive già
svolte, é l'affermazione della Corte territoriale che la resistente non aveva
potere di ingerenza diretta sull'immobile. é sufficiente osservare che la
resistente poteva pretendere lo sgombero immediato e, contro il rifiuto dei
conduttori, adire le vie giudiziali, anche in via cautelare, per ottenerlo onde
non diventare corresponsabile della violazione dell'articolo 14, comma 1.
L'agire della resistente si é risolto, invece, in una sorta di affidamento ai
conduttori dell'incarico di provvedere alla rimozione. Ma in tal modo la
resistente (e la Corte territoriale di riflesso) non hanno considerato che, una
volta conosciuta l'esistenza dei rifiuti sull'immobile locato era anch'essa
direttamente obbligata a rimuoverli usando delle facoltà proprie della sua
posizione di proprietaria locatrice, perché aveva acquisito consapevolezza che
il godimento dell'immobile, da essa conferito con il contratto, si svolgeva
consentendo un deposito illecito. La pattuizione intervenuta con i conduttori in
buona sostanza si é risolta anche neh"appaltare ad essi la realizzazione della
rimozione, che, sia pure attraverso i poteri inerenti il contratto locativo
contro i medesimi e, in ultima analisi, anche l'azione in giudizio, avrebbe
ormai dovuto assicurare anch'essa.
A far tempo dal (Omissis) é certo, dunque, che la resistente diventò
corresponsabile nella sua qualità della violazione di cui all'articolo 14, comma
1.
Il comportamento tenuto con la stipula dell'accordo, non essendosi concretato
nella pretesa alla rimozione immediata é certamente contra ius (perché
omissivo dell'attivazione necessaria per far cessare immediatamente la
situazione di deposito) ed inoltre colpevole, perché non si é risolto nella
tenuta dell'unica condotta che sarebbe stata doverosamente esigibile una volta
conosciuta la presenza dei rifiuti e che, del resto, era pienamente possibile.
La stessa previsione del termine entro il quale la rimozione da parte dei
conduttori doveva avvenire, si é concretata in una iniziativa volta a perpetuale
la situazione di illecito deposito e, dunque, nella condivisione della
responsabilità dello stesso.
Del tutto sorprendente ed illogica in iure é l'affermazione della Corte milanese
là dove - pur ipotizzata un'eventuale eccessività del termine di dieci mesi,
peraltro non cogliendo il rilievo di quanto appena si é osservato - ne assume
l'irrilevanza perché il danno ambientale si sarebbe verificato dopo ben sei
anni, cioè nel (Omissis), quando l'(Omissis) esondò.
Intanto, si deve osservare che non si discute di danno ambientale, bensì della
pretesa al costo del ripristino, tant'é che già il primo giudice rigettò la
domanda relativa al danno ambientale con statuizione definitiva. Ed allora, il
fatto che l'esondazione si sia verificata nel (Omissis), una volta
considerato che le spese di ripristino sono quelle occasionate da essa, perché i
rifiuti sotto l'azione del fiume hanno cagionato i danni che hanno richiesto
l'attività di ripristino, va valutato nel senso che ai fini della responsabilità
per esse sia configurabile la permanenza della situazione di deposito illecito
fino a che si verificò l'esondazione soltanto od anche per responsabilità della
resistente, il che potrà incidere sull'ammontare dell'obbligo di ripristino,
come si dirà di seguito.
p.9.2. La Corte territoriale, oltre ad avere errato nel valutare l'accordo del (Omissis),
ha escluso la colpa della resistente altresì perché l'area e gli stessi rifiuti
erano stati sottoposti a sequestro penale.
Anche tale esclusione é erronea.
Non lo é, come pretenderebbe il ricorrente, perché la custodia a seguito del
sequestro penale era stata attribuita a dipendente della resistente per conto
della stessa. La sentenza impugnata lo ha espressamente escluso e sul punto si
sarebbe dovuto proporre apposito motivo di ricorso, che, invece, non lo é stato.
Fermo, dunque, che la custodia risultava attribuita ad un terzo, si osserva che,
una volta considerato che la Sa. Ce. era soggetto corresponsabile della
violazione ed obbligato al ripristino, al fine di far cessare la sua condizione
di corresponsabile dell'obbligo di ripristino nella qualità di proprietaria del
terreno, in disparte la totale mancanza di attivazione nei riguardi dei
conduttori quanto al rapporto locativo, bene si sarebbe potuta attivare presso
l'autorità penale sollecitando o il dissequestro dell'area e dei rifiuti od
anche dei soli rifiuti, al fine di adempiere l'obbligo di rimozione e di
metterli in sicurezza, oppure avrebbe potuto sollecitare quella autorità
all'adozione di eventuali cautele per la custodia dei rifiuti sì da escludere
ogni situazione di pericolo.
é del tutto errata l'affermazione della Corte territoriale che l'esistenza della
situazione di sequestro penale esenterebbe da colpa la società resistente,
perché aveva "tolto al Si. ed al Ca. , senza recupero da parte della società
stessa, la disponibilità dell'area e la possibilità di prelevarvi e portare
altrove i rifiuti tossici". Deve, infatti, rilevarsi che, non solo - per quanto
osservato sull'accordo del (Omissis) - che i conduttori non potessero
adempiere all'impegno di rimozione (ma anch'essi avrebbero potuto attivarsi
presso l'autorità penale) é circostanza del tutto irrilevante, perché la
resistente, divenuta corresponsabile della violazione dell'articolo 14, comma 1,
era obbligata essa stessa; ma, inoltre, l'affermazione trascura di considerare
che la posizione della società non era quella di soggetto nella disponibilità
materiale dell'area e dei rifiuti, bensì di soggetto che, godendo indirettamente
dell'area tramite i conduttori, aveva l'obbligo di attivarsi sul piano del
rapporto locativo e, sopravvenuto il sequestro, interloquendo con l'autorità
penale.
Il sopravvento sequestro penale, infatti, nessun mutamento rispetto alla
situazione della resistente ebbe, in definitiva, ad operare: essa non aveva la
materiale detenzione prima e ha continuato a non averla dopo. L'onere di
attivarsi non era correlato prima a detta detenzione e ha continuato a non
esserlo dopo.
L'atteggiamento di inerzia della società resistente appare allora del tutto
ingiustificato.
é appena il caso di rilevare che anche nella situazione antecedente al nuovo
articolo 104-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale
(introdotto dalla lettera b) della Legge n. 94 del 2009, articolo 2, comma 9 che
ha previsto l'istituto dell'amministrazione dei beni sequestrati (su cui,
recentemente Cass. pen. n. 22028 del 2010 e n. 35081 del 2010), situazioni di
sequestro di aree contaminate da rifiuti e di rifiuti bene potevano essere
gestite dagli interessati prospettando all'autorità penale l'opportunità
dell'adozione di specifiche misure custodiali, posto che nell'ambito del potere
di custodia dei beni sequestrati certamente quella autorità poteva stabilire
determinate modalità di svolgimento di essa.
9.3. Il terzo motivo di ricorso é improcedibile, perché non si é prodotto il
verbale di udienza dal quale dovrebbe riscontrarsi la testimonianza cui si fa
riferimento, siccome imponeva l'articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 e, fra
l'altro, nel fascicolo d'ufficio della Corte d'Appello non é presente il
fascicolo d'ufficio del giudizio di primo grado, in cui la prova venne assunta.
Inoltre, non si é trascritto il contenuto del verbale del (Omissis), onde
il motivo difetta anche di autosufficienza.
p.10. Venendo all'esame del ricorso incidentale, che, in ragione della
sussistenza delle condizioni di fondatezza dei primi due motivi del ricorso
principale, deve esaminarsi anche quanto ai motivi condizionati, il Collegio
rileva quanto segue.
p.10.1. La cassazione della sentenza in accoglimento del ricorso principale ed
il rinvio fanno venir meno la statuizione sulle spese cui il motivo di ricorso
incidentale non condizionato si riferisce.
Esso resta, dunque, assorbito.
p.10.2. Il primo motivo di ricorso incidentale é inammissibile per difetto di
autosufficienza.
Il Collegio osserva anzitutto che é condivisibile il principio di diritto
secondo cui "La mancata sospensione del giudizio, nei casi in cui se ne assume
la necessarietà, integra un vizio della decisione, astrattamente idoneo ad
inficiare la successiva pronuncia di merito; essa, traducendosi nella violazione
di una norma processuale, ricade nella previsione dell'articolo 360 c.p.c., n.
4, ed é quindi deducibile con il ricorso per cassazione avverso la sentenza che
contenga eventuali provvedimenti sulla sospensione, ovvero ribadisca o modifichi
precedenti ordinanze adottate in materia nella fase dell'istruzione della causa,
fermo restando che eventuali provvedimenti di sospensione, se positivi, sono
autonomamente impugnabili con istanza di regolamento di competenza, ai sensi
dell'articolo 42 cod. proc. civ., come sostituito dalla Legge 26 novembre 1990,
n. 353, articolo 6." (Cass. n. 16992 del 2007).
Nella specie il motivo é, tuttavia, inammissibile per difetto di autosufficienza
per queste ragioni.
Infatti, non solo non si riproduce - se non genericamente quanto alla mera
intestazione dei motivi di uno di essi - il contenuto dei ricorsi introdotti
contro le ordinanze del Sindaco del Comune di Marnate, ma nemmeno si indica se e
dove i relativi ricorsi sarebbero stati prodotti, sì da mettere in grado la
Corte di esaminare il preteso rapporto di pregiudizialità.
Ne consegue che viene in rilievo in primo luogo il consolidato principio di
diritto secondo cui "Con riferimento al regime processuale anteriore al Decreto
Legislativo n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della cosiddetta
autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi
dell'articolo 360 cod. proc. civ., n. 5 (ma la stessa cosa dicasi quando la
valutazione dev'essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi
dell'articolo 360, n. 3 o di un vizio integrante error in procedendo ai sensi
dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito
di prove documentali, é necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto
nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di
merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo
d'ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di
giudizio di legittimità essa é rinvenibile. L'esigenza di tale doppia
indicazione, in funzione dell'autosufficienza, si giustificava al lume della
previsione del vecchio n. 4 dell'articolo 369 c.p.c., comma 2, che sanzionava
(come, del resto, ora il nuovo) con l'improcedibilità la mancata produzione dei
documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di
merito) ai sensi dell'articolo 372 cod. proc. civ., comma 1" (Cass. n. 12239 del
2007, seguita da numerose conformi).
9.3. Il secondo motivo di ricorso incidentale é manifestamente infondato, perché
l'articolo 346 c.p.c. é invocato a torto. Poiché la sentenza di primo grado
aveva rigettato l'eccezione di prescrizione, la decisione al riguardo, come
correttamente ha affermato la Corte territoriale, avrebbe dovuto essere
impugnata sul punto con apposito motivo di appello, che invece non venne svolto.
é appena il caso di rilevare che la citata norma riguarda non la posizione
dell'appellante, ma quella dell'appellato e, dunque, non é dato comprendere come
la resistente possa invocarla.
D'altro canto, é stato condivisibilmente rilevato che "Affinché possa ritenersi
che l'atto di appello investa nella sua totalità la sentenza impugnata, la quale
abbia rigettato la domanda con una pluralità di autonome statuizioni, non é
sufficiente la richiesta di riforma integrale della sentenza medesima o il
generico richiamo alle domande ed eccezioni formulate in primo grado, qualora le
censure svolte con i motivi siano limitate soltanto ad una od alcune di dette
statuizioni, e, quindi, precludano di individuare un'inequivoca volontà di
devolvere al giudice di secondo grado il riesame anche delle altre." (Cass. n.
22271 del 2004, fra tante).
p.11. Conclusivamente, il ricorso principale é accolto quanto ai primi due
motivi. Il terzo motivo é dichiarato improcedibile. L'unico motivo di ricorso
incidentale non condizionato é assorbito. Il primo motivo di ricorso incidentale
condizionato é dichiarato inammissibile, mentre il secondo é rigettato.
Il giudice di rinvio, in ragione della cassazione della sentenza impugnata, in
accoglimento dei primi due motivi di ricorso principale, deciderà sulla
controversia considerando che la resistente versava in una situazione di colpa
nella causazione della situazione che ha determinato le spese di ripristino
sopportate dal Comune.
é da rilevare che non ricorrono le condizioni per la decisione sul merito.
Il Collegio, infatti, osserva - cosa che può fare d'ufficio non essendo sul
punto necessari accertamenti di fatto e trattandosi di quaestio iuris non
riservata al monopolio del potere di rilevazione delle parti - che, avuto
riguardo alla consecuzione della vicenda fino all'esondazione del fiume
(Omissis), risulta l'esistenza di una situazione nella quale, ferma l'esistenza
del comportamento colpevole rilevante sul piano causale della resistente, appare
necessario verificare se la causazione delle spese sopportate per l'attività di
ripristino risulta addebitabile interamente ai soggetti contemplati
dall'articolo 14, comma 3, cioè ai conduttori ed alla proprietaria Sa. Ce. ,
quali responsabili ai sensi dell'articolo 14, comma 1, oppure risulti
addebitabile ad essi soltanto in parte alla stregua dell'articolo 1227 c.c.,
comma 1, data la pacifica protrazione della permanenza della presenza dei
rifiuti per ben sei anni prima della esondazione. In particolare, la Corte
ritiene meritevole di verifica l'ipotesi che alla determinazione del danno abbia
potuto concorrere anche il fatto della stessa amministrazione comunale, giacché
essa, al di là dell'esercizio dei poteri amministrativi con le sue ordinanze, si
sarebbe dovuta attivare presso l'autorità penale per l'adozione di opportune
cautele volte ad evitare la permanenza della situazione di deposito
potenzialmente pericoloso fino all'evento della esondazione dell'(Omissis).
Il giudice di rinvio, dunque, ferma l'attribuzione alla Sa. Ce. di una
responsabilità nella causazione delle spese di ripristino, provvederà, sulla
base della valutazione delle risultanze degli atti a stabilire se tale
responsabilità riguardi l'intero loro ammontare oppure, per avere concorso alla
loro causazione anche i comportamenti dell'amministrazione comunale, concerna
solo una parte di esse.
Il Collegio non ignora che una non recente decisione della Corte, circa la
rilevazione d'ufficio dell'esistenza di una fattispecie riconducibile
all'articolo 1227 c.c., comma 1, si era così espressa: "Il giudice deve proporsi
anche d'ufficio la questione dell'eventuale concorso di colpa da parte del
danneggiato e, in caso di accertata sussistenza di tale concorso, deve
procedere, altresì, in Sede d'accertamento della responsabilità, alla
qualificazione dell'incidenza causale del concorso stesso. Infatti, allorquando
si prende in esame la colpa dell'autore del danno, si prende, per ciò stesso, in
considerazione anche la colpa eventuale del danneggiato, in quanto le colpe dei
due soggetti si fronteggiano e la gravità della colpa dell'uno va posta in
correlazione con la gravità della colpa dell'altro, al fine di accertare
l'entità dell'efficienza causale del fatto colposo del debitore dell'indennizzo.
Tuttavia il concorso di colpa del danneggiato può essere rilevato dal giudice
sempre che la controparte, pur non avendolo specificamente dedotto, abbia
ritualmente prospettato al giudice di merito gli elementi di fatto dai quali si
possa desumere la ricorrenza del fatto colposo del danneggiato. Qualora, poi, il
giudice di primo grado non abbia rilevato d'ufficio se le dedotte circostanze
potessero integrare una colpa concorrente del danneggiato, la parte ha l'Onere
di proporre appello per tale omissione, dato che la rilevabilità d'ufficio non
comporta altresì che essa possa farsi valere in ogni stato e grado del processo
e se non abbia proposto appello, non può dedurre per la prima volta in
Cassazione la questione del concorso di colpa del danneggiato" (Cass. n. 1687
del 1969).
La decisione non sembra condivisibile nella parte finale, perché essa, là dove
postula la formazione di una sorta di giudicato implicito, é in contraddizione
con la rilevabilità d'ufficio della situazione riconducibile all'articolo 1227
c.c., comma 1, del resto ormai consolidata nella giurisprudenza della Corte (si
vedano di recente Cass. n. 23794 del 2009 e n. 3672 del 2010).
Un limite alla rilevabilità d'ufficio in sede di legittimità della fattispecie
di cui all'articolo 1227, comma 1 può in realtà ravvisarsi solo sotto il profilo
che siano necessari accertamenti di fatto.
Peraltro, nella specie il Collegio non procede alla rilevazione d'ufficio della
fattispecie de qua in funzione di decisione, bensì per giustificare la necessità
che la cassazione sia disposta con rinvio. Occorre, infatti, come s'é detto, che
il giudice di merito proceda alla verifica in concreto del modo di essere della
fattispecie sulla base degli elementi di fatto acquisiti al giudizio, che da
questa Corte non sono esaminabili.
p.11.1. Il giudice di rinvio si designa in altra sezione della Corte d'Appello
di Milano, che deciderà comunque in persona di diversi magistrati addetti
all'ufficio anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso
principale. Dichiara improcedibile il terzo. Dichiara assorbito il motivo di
ricorso incidentale non condizionato. Rigetta i ricorso incidentale
condizionato. Rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, comunque
in persona di diversi magistrati addetti all'ufficio, anche per le spese del
giudizio di cassazione.
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562