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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23/02/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 6872



PESCA - Disciplina della pesca marittima - Commercializzazione di due esemplari di tonno rosso
(thunnus thinnus) in violazione del regolamento C.E. - Fattispecie - L. n. 963/1965 - L. n.69/2009 - Art.14 L. n.246/2005 - D. L.vo n.179/2009 - All. III parte D.20, Reg. C.E. n.51/2006. La legge del 14.7.1965 n.963 sulla "Disciplina della pesca marittima" non è abrogata per effetto della legge 18 giugno 2009 n.69. Tale norma, nel novellare l'art.14 legge n.246 del 2005, come si evince nella relazione di accompagnamento, "ha spostato l'effetto dell'abrogazione in avanti rispetto all'emanazione del decreto legislativo di salvezza degli atti normativi primari ante 1970..., consentendo un opportuno lasso di tempo idoneo a correggere eventuali errori ed omissioni, prima che si produca l'effetto abrogativo". In particolare I'art.4 della legge n.69/2009 ha aggiunto nella legge 246/2005 il comma 14 ter, secondo il quale "Fatto salvo quanto stabilito dal comma 17 (disposizioni dei codici civile, penale, di procedura e della navigazione), decorso un anno dalla scadenza del termine di cui al comma 14, ovvero del maggior termine previsto dall'ultimo periodo del comma 22, tutte le disposizioni legislative statali non comprese nei decreti legislativi di cui al comma 14, anche se modificate con provvedimenti successivi, sono abrogate". Il Decreto Legislativo 1.12.2009 n.179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1 gennaio 1970 di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'art.14 della L.28 novembre 2005 n.246) ha sottratto espressamente all'effetto abrogativo la Legge n.963 del 14/7/1965 Disciplina della Pesca marittima artt-14,15,21,22,23,24,25,26,27,29,31,32 (AII.1). Fattispecie: commercializzazione di due esemplari di tonno rosso (thunnus thinnus) del peso inferiore ai 10 Kg e di lunghezza inferiore agli 80 cm, in violazione del regolamento C.E. n.51/2006 allegato III parte D.20. (conferma sentenza del 14.10.2009 del Tribunale di Savona) Pres. De Maio, Est. Amoresano, Ric. Trinca. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23/02/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 6872

PESCA - Divieto di commercio del novellame ed altre specie - Conflitto tra normativa italiana e Comunitaria - Disciplina applicabile - Reg. CE n.1624/94 - Artt. 15, lett.c) e 24, L. n. 963/1965. La sanzione prevista dalla legge 963 del 1965 art.24 si correla alla violazione del divieto di commercio del novellame posto dal precedente art.15, lett.c) che non ha carattere generico e non ha bisogno, per concretizzarsi e divenire attuale, di essere necessariamente integrato dal contenuto di atti normativi secondari. Soltanto una specificazione tecnica di dettaglio è demandata, al riguardo, al Regolamento sulla disciplina della pesca marittima n.1639/1968 come modificato dai successivi decreti ministeriali, ma tali decreti non possono porsi in contrasto con il regolamento CE n.1624/94 che ad evidenza non introduce nuove fattispecie incriminatrici rispetto a quelle già previste dalla legge penale italiana. Ove il conflitto di manifesti in forma di incompatibilità evidente il giudice è tenuto, pertanto, a non applicare la disposizione contrastante con quella di fonte comunitaria (Cass. pen. sez.3 n.39345 del 3.7.2007, Baldini; conf. Cass. n.5750/2007; Cass. n.13751/2007; Cass. sez.3 n.17847 del 19.3.2009 - Puglisi; Corte Cost., sentenza del 19.4.1985 n.113 e sentenza del 19.4.1985 n.113 ). Nella specie, va disapplicata la normativa, che consente una tolleranza di novellame del dieci per cento, perché in contrasto con la disciplina comunitaria. Quanto all'aspetto soggettivo, è configurabile un'ipotesi di responsabilità colposa per negligenza, trattandosi di un operatore professionale nei cui confronti si esige la conoscenza della normativa comunitaria. (conferma sentenza del 14.10.2009 del Tribunale di Savona) Pres. De Maio, Est. Amoresano, Ric. Trinca. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23/02/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 6872

TUTELA DELL’AMBIENTE - Obbligo per il datore di lavoro di vigilanza e controllo - Esonero da responsabilità del delegante - Presupposti e limiti. Anche in tema di tutela dell’ambiente, gli obblighi gravanti su un soggetto che svolga attività imprenditoriale possono essere delegati, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia, ma il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Cass. Sez, 4, 25.8.200 n.9343, Archetti; conf. cass. pen. sez.4, 1.4.2004, Rossetto). La delega quindi è in linea generale ed astratta consentita, ma per essere rilevante ai fini dell'esonero da responsabilità del delegante, deve, avere i seguenti requisiti: a) essere puntuale ed espressa, senza che siano trattenuti in capo al delegante poteri residuali di tipo discrezionale; b) il soggetto delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per Io svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni deve essere giustificato in base alle esigenze organizzative dell'impresa; d) unitamente alle funzioni debbono essere trasferiti i correlativi poteri decisionali e di spesa; e) l'esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo. (In particolare in tema di normativa antinfortunistica, Cass..sez.3 n.26122 del 12.4.2005 - Capone). (conferma sentenza del 14.10.2009 del Tribunale di Savona) Pres. De Maio, Est. Amoresano, Ric. Trinca. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23/02/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 6872

DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Responsabilità nelle contravvenzioni - Esenzione - Presupposti e limiti. Per escludere la responsabilità nelle contravvenzioni è necessario, che l'imputato provi di aver fatto quanto era possibile per osservare la legge e che quindi nessun rimprovero può essergli mosso neppure per negligenza o imprudenza. La buona fede acquista giuridica rilevanza solo se si risolva, a causa di un elemento estraneo all'agente, in uno stato soggettivo che sia tale da escludere anche la colpa. Sicchè la buona fede può esentare da responsabilità penale soltanto se il soggetto abbia violato la legge per cause indipendenti dalla sua volontà: la violazione della norma deve apparire, cioè, determinata da errore inevitabile che si identifica con il caso fortuito o la forza maggiore. Ne consegue che, in presenza di un reato, completo in tutti i suoi elementi costitutivi, incombe all'imputato l'onere di provare che l'evento si sia verificato per un avvenimento imprevedibile, estraneo alla sua volontà e che non può in alcun modo essere fatto risalire alla sua attività psichica. Deve trattarsi, quindi, di un fatto non prevedibile e non evitabile, pur con l'impiego di ogni diligenza. (conferma sentenza del 14.10.2009 del Tribunale di Savona) Pres. De Maio, Est. Amoresano, Ric. Trinca. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23/02/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 6872


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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli Ill.mi Sigg.


Dott. Guido De Maio                                        Presidente
Dott. Renato Grillo                                           Consigliere
Dott. Silvio Amoresano                                    Consigliere Est.
Dott. Luigi Marini                                             Consigliere
Dott. Luca Ramacci                                         Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto da:
1) Trinca Roberto nato il 25.4.1966
- avverso la sentenza del 14.10.2009 del Tribunale di Savona
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
- sentite le conclusioni del P. G., dr.Alfredo Montagna, che ha chiesto l'annullamento, senza rinvio, della sentenza perché il fatto non é previsto dalla legge come reato
- sentito il difensore, aw. Marcello Leoni in sost. aw. Andrea Vernazza, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso


OSSERVA


1) Con sentenza del 14.10.2009 il Tribunale di Savona, in composizione monocratica, condannava Trinca Roberto alla pena di euro 516,00 di ammenda per il reato di cui agli artt.15 lett. c) e 24 comma 1 L.963/65 perché, in qualità di fornitore di Bragagnolo, cedeva a quest'ultimo due esemplari di tonno rosso (thunnus thinnus) del peso inferiore ai 10 Kg e di lunghezza inferiore agli 80 cm, in violazione del regolamento C.E. n.51/2006 allegato III parte D.20.


Rilevava il Tribunale che ufficiali di p.g. della Capitaneria di Porto di Savona nel corso di accertamenti, in data 18.10.2006, presso il mercato ittico nello stand n.4 di Bragagnolo Giampiero avevano accertato la presenza di due tonni rossi di misura e peso inferiori a quanto previsto dalla normativa comunitaria e che dai successivi accertamenti il fornitore era stato identificato in Trinca Roberto, rappresentante legale della società Maremosso srl.


Tanto premesso, riteneva il Tribunale che per il tonno rosso (a differenza del tonno obeso) il regolamento comunitario non prevedeva alcuna margine di tolleranza.


Quanto all'elemento psicologico, risultava provato che il prevenuto commercializzava circa 100 tonnellate di pesce fresco e congelato all'anno, per circa cinque milioni di euro di fatturato e che i due tonni oggetto dell'imputazione facevano parte di una partita di Kg.445 venduto al Bragagnolo; riteneva, però, il Tribunale che, trattandosi di ipotesi contravvenzionale, era sufficiente la colpa e l'imputato non aveva provato di aver dato agli autisti una delega formale per il controllo della lunghezza e del peso e, comunque, di aver strutturato la propria azienda con sistemi di controllo idonei ad evitare la commercializzazione di prodotti ittici fuori misura.


2) Propone ricorso per cassazione il difensore del Trinca.


Dopo una premessa in fatto in ordine alla vicenda processuale, denuncia con il primo motivo la inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 91 DPR 1639/68 e del regolamento CEE n.51/2006.


L'art.15 L.963/65 è norma penale in bianco che non definisce la nozione di novellame, rinviando alla normativa nazionale e comunitaria. Il ragionamento del Tribunale che ha ritenuto non applicabile il margine di tolleranza del 10% previsto dall'art.91 DPR 1639/68 non coglie nel segno. Per quanto riguarda la commerciabilità del prodotto non c'è dubbio che prevalga il regolamento comunitario. Per la sanzione penale, invece, I'U.E. si limita a prescrivere i limiti minimi del pescato, lasciando libero il legislatore nazionale di valutare le sanzioni opportune (ed il legislatore italiano ha previsto il margine di tolleranza del 10%). Pertanto quando il pescato del novellame si mantiene nell'ambito del 10%, pur non essendo commerciabile, non è soggetto a sanzione penale. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli artt.187 e 530 c.p.p. e 27 Cost., nonché il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato. Il Tribunale è incorso in un grossolano errore, invertendo l'onere della prova.


Con il terzo motivo denuncia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Stante le dimensioni dell'azienda, il ricorrente non poteva controllare personalmente peso e dimensioni del pescato; aveva pertanto delegato ai cinque autisti siffatto controllo. E la partita di tonno rosso destinata al mercato di Savona era stata, infatti, visionata da un autista. Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale non è necessaria una delega formale, potendo questa essere (come ritenuto anche dalla giurisprudenza della S.C.) anche orale. Peraltro il Tribunale non indica neppure quali misure specifiche l'imputato avrebbe dovuto adottare nell'ambito della organizzazione aziendale, essendosi limitato ad affermare tautologicamente la mancata assunzione di specifiche cautele.


Chiede, pertanto, l'annullamento senza rinvio o, in subordine, con rinvio della sentenza impugnata.


3) Il ricorso è infondato.


3.1) Va, preliminarmente, rilevato che la L.4.7.1965 n.963 sulla "Disciplina della pesca marittima" non risulta abrogata per effetto della L.18 giugno 2009 n.69.
Tale legge, nel novellare l'art.14 L.246 del 2005, come si legge nella relazione di accompagnamento, "ha spostato l'effetto dell'abrogazione in avanti rispetto all'emanazione del decreto legislativo di salvezza degli atti normativi primari ante 1970..., consentendo un opportuno lasso di tempo idoneo a correggere eventuali errori ed omissioni, prima che si produca l'effetto abrogativo". In particolare I'art.4 della L.69/2009 ha aggiunto nella L.246/2005 il comma 14 ter, secondo il quale " Fatto salvo quanto stabilito dal comma 17 (disposizioni dei codici civile, penale, di procedura e della navigazione), decorso un anno dalla scadenza del termine di cui al comma 14, ovvero del maggior termine previsto dall'ultimo periodo del comma 22, tutte le disposizioni legislative statali non comprese nei decreti legislativi di cui al comma 14, anche se modificate con provvedimenti successivi, sono abrogate".

Il Decreto Legislativo 1.12.2009 n.179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1 gennaio 1970 di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'art.14 della L.28 novembre 2005 n.246) ha sottratto espressamente all'effetto abrogativo la Legge-963- 14/7/1965 Disciplina della Pesca marittima- artt-14,15,21,22,23,24,25,26,27,29,31,32 (AII.1).


3.2) A norma dell'art.15 comma 1 lett.c) L.963/65 " è fatto divieto.... di pescare, detenere, trasportare e commerciare il novellame di qualunque specie vivente marina oppure le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, senza la preventiva autorizzazione del Ministero della Marina mercantile".


Secondo l'orientamento più recente di questa Corte, che va qui ribadito, le disposizioni "interne" che prevedono un margine di tolleranza del 10% sono in contrasto con la normativa comunitaria.

Tale normativa comunitaria non prevede, infatti, alcuna deroga al divieto di pesca e di commercializzazione del novellame.


Quanto ai rapporti tra diritto comunitario e diritto interno, è pacifico che il primo sia fonte produttiva di norme immediatamente efficaci e vincolanti all'interno degli Stati aderenti.


La Corte costituzionale, con la sentenza 5.6.1984 n.170, ha affermato che, nelle materie riservate alla normazione della Comunità europea, il giudice ordinario deve applicare direttamente la norma, la quale prevale sulla legge nazionale incompatibile, anteriore o successiva; ciò in quanto l'ordinamento dello Stato e quello della Comunità europea sono due sistemi reciprocamente autonomi e, al tempo stesso, coordinati secondo le previsioni del Trattato di Roma, la cui osservanza forma oggetto, proprio in forza del'art.11 della Costituzione, di una specifica, piena e continua garanzia.


La medesima Corte Cost., con sentenza del 19.4.1985 n.113, dopo aver ribadito che, allorquando una fattispecie cada sotto il disposto della disciplina prodotta dagli organi della comunità immediatamente applicabile nel territorio dello Stato, la regola comunitaria deve ricevere, da parte del giudice statale, necessaria ed immediata applicazione, pure in presenza di incompatibili statuizioni della legge ordinaria dello Stato, non importa se anteriore o successiva, ha precisato che tale principio deve essere rispettato non soltanto ove si tratti di disciplina prodotta dagli organi della Comunità mediante regolamento, ma anche di statuizioni risultanti da sentenze interpretative della Corte di Giustizia.


Non si è mai dubitato dell'efficacia immediata, in bonam partem, del diritto comunitario, con la conseguente disapplicazione, totale o parziale delle norme penali interne eventualmente incompatibili (Cass.sez.3, 1.7.1999, Valentini). Diversa è invece "la problematica dell'influenza in malam partem che deve misurarsi con il principio di legalità, con la teoria delle fonti e con la lettura costituzionalmente orientata dell'art.5 cod.pen., allorché il significato di una norma penale dipende dalla sua integrazione con altre norme, ed in proposito deve distinguersi il caso in cui I'eterointegrazione incide soltanto sulla definizione del fatto, dai casi nei quali incida sullo stesso precetto."


"La sanzione prevista dalla L.963 del 1965 art.24 si correla alla violazione del divieto di commercio del novellame posto dal predente art.15, lett.c) che non ha carattere generico e non ha bisogno, per concretizzarsi e divenire attuale, di essere necessariamente integrato dal contenuto di atti normativi secondari. Soltanto una specificazione tecnica di dettaglio è demandata, al riguardo, al Regolamento sulla disciplina della pesca marittima n.1639/1968 come modificato dai successivi decreti ministeriali, ma tali decreti non possono porsi in contrasto con il regolamento CE n.1624/94 che ad evidenza non introduce nuove fattispecie incriminatrici rispetto a quelle già previste dalla legge penale italiana. Ove il conflitto di manifesti in forma di incompatibilità evidente (come nella vicenda in esame) il giudice è tenuto, pertanto, a non applicare la disposizione contrastante con quella di fonte comunitaria" (cfr. Cass. pen. sez.3 n.39345 del 3.7.2007, Baldini; conf.n.5750 del 2007 Rv236251; n.13751 del 2007 Rv.236117 e più di recente Cass. sez.3 n.17847 del 19.3.2009 - Puglisi).


Va quindi disapplicata la normativa, che consente una tolleranza di novellame del dieci per cento, perché in contrasto con la disciplina comunitaria.
Quanto all'aspetto soggettivo, è configurabile un'ipotesi di responsabilità colposa per negligenza, trattandosi di un operatore professionale (il ricorrente è legale rappresentante della società Maremosso s.r.I.) nei cui confronti si esige la conoscenza della normativa comunitaria.


3.3) In relazione al secondo e terzo motivo il Tribunale ha correttamente ritenuto che non vi fosse prova di una delega.
Secondo giurisprudenza di questa Corte, gli obblighi gravanti su un soggetto che svolga attività imprenditoriale possono essere delegati, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia, ma il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (cfr. Cass. Sez,4, 25.8.200 n.9343- Archetti; conf.cass.pen.sez.4, 1.4.2004, Rossetto).
La delega quindi è in linea generale ed astratta consentita, ma per essere rilevante ai fini dell'esonero da responsabilità del delegante, deve, come ribadito da questa Corte (in particolare in tema di normativa antinfortunistica, cfr.sez.3 n.26122 del 12.4.2005 - Capone), avere i seguenti requisiti:
a) essere puntuale ed espressa, senza che siano trattenuti in capo al delegante poteri residuali di tipo discrezionale;
b) il soggetto delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per Io svolgimento del compito affidatogli;
c) il trasferimento delle funzioni deve essere giustificato in base alle esigenze organizzative dell'impresa;
d) unitamente alle funzioni debbono essere trasferiti i correlativi poteri decisionali e di spesa;
e) l'esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.


3.3.1) Nel caso di specie non solo non è stata provata l'esistenza di una delega scritta, ma si assume che sarebbe stato demandato agli autisti, incaricati del trasporto (i quali svolgevano quindi altre mansioni e non avevano alcuna competenza specifica), di eseguire il controllo del peso e delle dimensioni del pescato.


3.4) In relazione all'elemento soggettivo dei reati contravvenzionali, il Tribunale non ha certo invertito l'onere della prova.

Per escludere la responsabilità nelle contravvenzioni è necessario, infatti, che l'imputato provi di aver fatto quanto era possibile per osservare la legge e che quindi nessun rimprovero può essergli mosso neppure per negligenza o imprudenza.
La buona fede acquista giuridica rilevanza solo se si risolva, a causa di un elemento estraneo all'agente, in uno stato soggettivo che sia tale da escludere anche la colpa. Sicchè la buona fede può esentare da responsabilità penale soltanto se il soggetto abbia violato la legge per cause indipendenti dalla sua volontà: la violazione della norma deve apparire, cioè, determinata da errore inevitabile che si identifica con il caso fortuito o la forza maggiore.
Ne consegue che, in presenza di un reato, completo in tutti i suoi elementi costitutivi, incombe all'imputato l'onere di provare che l'evento si sia verificato per un avvenimento imprevedibile, estraneo alla sua volontà e che non può in alcun modo essere fatto risalire alla sua attività psichica.Deve trattarsi, quindi, di un fatto non prevedibile e non evitabile, pur con l'impiego di ogni diligenza.
Come ricordato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n.322/2007 il principio di colpevolezza di cui all'art.27 Cost, è rispettato quando si attribuisca "valenza scusante all'ignoranza o all'errore che presenti carattere di inevitabilità: giacchè deve essere mosso all'agente almeno il rimprovero di non aver evitato, pur potendolo, di trovarsi nella situazione soggettiva di manchevole o difettosa conoscenza del dato rilevante".


Nella fattispecie il Tribunale ha fatto buon governo di tali principi, evidenziando che l'imputato avrebbe potuto fornire una delega, demandando formalmente il controllo della lunghezza e del peso di ogni singolo esemplare trasportato, dotando il delegato di poteri decisionali e di autonomia organizzativa sulle modalità di controllo, oppure "avrebbe potuto strutturare diversamente la propria azienda introducendo sistemi di controllo idonei ad evitare l'acquisto, il trasporto e la commercializzazione di prodotti ittici fuori misura".


P. Q. M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Così deciso in Roma il 19 gennaio 2011


DEPOSITATO IN CANCELLERIA 23 Feb. 2011



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