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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25/02/2011 (Ud. 17/11/2010), Sentenza n. 7214
RIFIUTI - Rifiuti allo stato liquido - Natura del percolato - Nesso
funzionale - art. 2, lett. m), del D.Lgs. 13.1.2003, n. 36 - Direttiva
1999/31/CE - All. D) parte IV, D.Lgs. n. 152/2006. I "rifiuti allo stato
liquido" sono costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfa, senza
versamento diretto, non convogliandoli cioè in via diretta in corpi idrici
ricettori, bensì avviandoli allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo
di trasporto (Cass., sez. III, 4.5.2005, n. 20679). Alla stregua del principio
generale - secondo il quale è l'interruzione del nesso funzionale e diretto
delle acque reflue con il corpo idrico ricettore a ricondurre la gestione delle
acque reflue medesime nell'ambito dei rifiuti - va individuata la disciplina del
"percolato", che l'art. 2, lett. m), del D.Lgs. 13.1.2003, n. 36 {Attuazione
della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti] definisce quale
"liquido che si origina prevalentemente dall'infiltrazione di acqua nella massa
dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi". Pertanto, il "percolato", ben
può assumere la connotazione di "rifiuto" [come è confermato dall'attuale
previsione dell'Allegato D) alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006: punti 19 07,
19 07 02 e 19 07 03] ma ciò soltanto allorquando lo stesso non si configuri
quale acqua sostanzialmente "di processo" direttamente smaltita in un corpo
idrico ricettore. (conferma sentenza n. 144/2009 CORTE APPELLO di POTENZA, del
22/10/2009) Pres. Ferrua, Est. Fiale, Ric. Copeti. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 25/02/2011 (Ud. 17/11/2010), Sentenza n. 7214
INQUINAMENTO IDRICO - Nozione di “acque reflue domestiche“ ed “acque reflue
industriali”. Le "acque reflue domestiche" sono quelle "provenienti da
insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal
metabolismo umano e da attività domestiche". Mentre la nozione di "acque reflue
industriali' ricomprende "qualsiasi tipo di scarico di acque reflue scaricate da
edifici in cui si svolgono attività commerciali e industriali, diverse dalle
acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento". (conferma
sentenza n. 144/2009 CORTE APPELLO di POTENZA, del 22/10/2009) Pres. Ferrua,
Est. Fiale, Ric. Copeti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25/02/2011 (Ud.
17/11/2010), Sentenza n. 7214
TUTELA DELL’AMBIENTE - Reati ambientali - Impianto di trattamento e
smaltimento di rifiuti solidi urbani - Legale rappresentante di una società -
Responsabilità personale e responsabilità concorrente. In tema di reati
ambientali, il legale rappresentante di una società esercente un impianto di
trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani è tenuto, quale destinatario
degli obblighi previsti dalle norme di settore, ad osservare le disposizioni
legislative, regolamentari e provvedimentali in materia di tutela
dell'ambientale, nonché a richiedere tutte le prescritte autorizzazioni (Cass.,
sez. III, 8.5.2009, n. 19332, Soria; Cass. 3.3.2009, n. 9497, Martinengo). Tale
soggetto, inoltre, non può essere esonerato dalla responsabilità personale a
causa dell'eventuale responsabilità concorrente di colui che in concreto
gestisce l'impianto, tenuto conto che il legale rappresentante dell'ente
imprenditore risponde pur sempre a titolo di colpa per inosservanza del dovere
di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative di prevenzione del danno
da inquinamento (Cass., sez. III, 10.5.2005, n. 20512). (conferma sentenza n.
144/2009 CORTE APPELLO di POTENZA, del 22/10/2009) Pres. Ferrua, Est. Fiale,
Ric. Copeti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25/02/2011 (Ud.
17/11/2010), Sentenza n. 7214
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Modificazione dell'assetto del territorio -
Assenza di autorizzazione - Reato paesaggistico - Configurabilità - Art. 181, 1°
c., D.Lgs. n. 42/2004. In tema di tutela delle zone paesistiche, configura
il reato di cui all'art. 181, 1° comma, del D.Lgs. n. 42/2004 qualunque
modificazione dell'assetto del territorio, in assenza di autorizzazione, attuata
attraverso interventi di qualsiasi genere, in quanto con le disposizioni a
tutela del paesaggio si è inteso assicurare una immediata informazione ed una
preventiva valutazione da parte della pubblica Amministrazione dell'impatto sul
paesaggio di ogni tipo di attività intrinsecamente idonea a comportare
modificazioni ambientali e paesaggistiche. Nella specie, compromissione dei
valori del paesaggio indotta dall'insudiciamento evidente delle acque di un
torrente e dell'invaso di una diga attraverso lo scarico del percolato. Inoltre,
l'esistenza del vincolo paesaggistico non può porsi in dubbio allorché si
consideri che l'attività incriminata si è svolta all'interno del Parco nazionale
del Pollino [area tutelata ex lege già ai sensi della legge n. 431/1985
ed attualmente a norma dell'art. 142, 1° comma - lett. f), del D.Lgs. n.
42/2004]. (conferma sentenza n. 144/2009 CORTE APPELLO di POTENZA, del
22/10/2009) Pres. Ferrua, Est. Fiale, Ric. Copeti. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 25/02/2011 (Ud. 17/11/2010), Sentenza n. 7214
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Principio della correlazione tra fatto
contestato e fatto ritenuto in sentenza. Il principio della correlazione tra
fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza non va inteso in senso
rigorosamente formale o meccanicistico ma, conformemente al suo scopo ed alla
sua funzione, in senso realistico e sostanziale. La verifica dell'osservanza
di detto principio non può esaurirsi, quindi, in un pedissequo e mero confronto
puramente letterale tra contestazione e sentenza, ma va condotta sulla base
della possibilità assicurata all'imputato di difendersi in relazione a tutte le
circostanze del fatto, sicché deve escludersene la violazione ogni volta che non
sia ravvisabile pregiudizio delle possibilità di compiuta difesa. (In
particolare, con riferimento al principio di correlazione fra imputazione
contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una
trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie
concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da
pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione e vertendosi in materia
di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando
l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella
condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Cass.
Sezioni Unite - sentenza n.16 del 22.10,1996, ric. Di Francesco). (conferma
sentenza n. 144/2009 CORTE APPELLO di POTENZA, del 22/10/2009) Pres. Ferrua,
Est. Fiale, Ric. Copeti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25/02/2011 (Ud.
17/11/2010), Sentenza n. 7214
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIULIANA FERRUA.
- Presidente -
Dott. CLAUDIA SQUASSONI
- Consigliere
Dott. MARIO GENTILE
- Consigliere -
Dott. ALDO FIALE
- Consigliere Rel. -
Dott. ELISABETTA ROSI
- Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
l) COPETI FRANCESCO N. IL 03/08/1957
- avverso la sentenza n. 144/2009 CORTE APPELLO di POTENZA, del 22/10/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2010 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. ALDO FIALE
- Udito il Procuratore Generale in
persona del Dott. Gioacchino Izzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
- Udito il difensore Avv.to Nicola D'Argento, il quale ha chiesto l'accoglimento
del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Potenza, con sentenza del 22.10.2009, confermava la
sentenza 14.11.2008 del Tribunale monocratico di Lagonegro, che aveva affermato
la responsabilità penale di Copeti Francesco in ordine ai reati di cui:
- agli arti. 45 e 59 legge n. 152/1999 [per avere - in qualità di rappresentante
legale della s.p.a. "Medio Agri", affidataria della gestione dell'impianto di
smaltimento dei rifiuti solidi urbani del Comune di Sant'Arcangelo, di proprietà
della locale Comunità montana - effettuato, senza autorizzazione, lo scarico del
percolato prodotto in detto impianto nel corso d'acqua denominato "Fiumarella",
all'interno del Parco nazionale del Pollino - acc. in Sant'Arcangelo, il
16.2.20061;
- all'art. 181 D.Lgs. n. 42/2004 [per avere effettuato l'attività di scarico
anzidetta, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, senza l'autorizzazione
dell'autorità preposta alla tutela del vincolo] e, riconosciute circostanze
attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena complessiva
(condizionalmente sospesa) di mesi quattro di arresto ed euro 22.500,00 di
ammenda, con ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi;
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Copeti, il quale ha
eccepito:
- violazione dell'art. 521 c.p.p., poiché all'imputato era stato originariamente
contestato lo svernamento di "percolato" mentre la condanna ha riguardato lo
scolo di "acque reflue", in una situazione in cui, a fronte di liquami
provenienti dall'interno di un impianto di trattamento dei rifiuti, non
sarebbero identificabili acque reflue industriali né urbane;
- la mancanza di prova certa che i reflui inquinanti provenissero dall'impianto
di trattamento e di smaltimento di rifiuti solidi urbani del Comune di
Sant'Arcangelo e la incongruità del diniego della richiesta rinnovazione del
dibattimento, che avrebbe consentito di fare chiarezza sul punto;
- la incongrua individuazione della responsabilità dell'imputato, collegata
esclusivamente alla sua qualità di responsabile legale della società affidataria
dell'impianto di smaltimento dei rifiuti, non tenendo conto in tal modo
dell'esistenza, nella compagine societaria, di organi tecnici preposti a
specifici compiti connessi alle varie fasi dello smaltimento;
- l'insussistenza del reato paesaggistico, non potendo configurarsi
l'effettuazione di alcun "lavoro" che abbia coinvolto beni protetti e non
essendo stato specificato "di quali beni paesaggistici si tratterebbe".
Lo stesso difensore, poi, con memoria del 27.10.2010, ha articolato "motivi
nuovi", prospettando che:
- dopo la sentenza di primo grado sono stati rinviati a giudizio, per i medesimi
fatti, il dirigente responsabile dell'ufficio tecnico della s.p.a. "Medio Agri"
ed il responsabile tecnico dell'impianto sito nel Comune di Sant'Arcangelo:
vertendosi, pertanto, in tema di "connessione" per la contestata cooperazione
colposa con il Copeti, il presente processo non potrebbe essere deciso
separatamente da quello di nuova instaurazione;
- non potrebbe ravvisarsi alcuna responsabilità del titolare della società di
gestione di un impianto di smaltimento dei rifiuti nell'ipotesi (corrispondente
a quella in esame) in cui esiste l'obbligo giuridico di affidare la cura
dell'organizzazione tecnica dell'impianto ad un altro soggetto professionale, le
cui competenze esclusive sono stabilite coattivamente e dettagliatamente dalla
legge;
- incongruamente non sarebbe stato accertato se, tenuto conto della suddivisione
delle competenze nella gestione della discarica, "vi sia stato il rispetto delle
prescrizioni imposte nel provvedimento di autorizzazione regionale";
- non sarebbero state valutate le prescrizioni prese, all'interno della
discarica, per l'efficiente raccolta del percolato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
1. Va affermata, anzitutto, la correttezza dell'inquadramento giuridico della
vicenda operato dai giudici del merito ed in particolare la esattezza
dell'applicazione, nella specie, della normativa in materia di tutela delle
acque dall'inquinamento e non di quella dettata in materia di rifiuti.
I fatti (accertati il 16.2.2006) sono antecedenti all'entrata in vigore del D.
Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e l'art. 8, 1° comma - lett. e), del D.Lgs. n.
22/1977, all'epoca vigente [attualmente art. 185, 1° comma - lett. b), n. 1, del
D.Lgs. n. 152/2006 e succ. modif.], già escludeva dal novero dei rifiuti le
acque di scarico, ad eccezione dei rifiuti allo stato liquido. I "rifiuti allo
stato liquido" sono costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfa,
senza versamento diretto, non convogliandoli cioè in via diretta in corpi idrici
ricettori, bensì avviandoli allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo
di trasporto (vedi Cass., sez. III, 4.5.2005, n. 20679).
Alla stregua del principio generale - secondo il quale è l'interruzione del
nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo idrico ricettore a
ricondurre la gestione delle acque reflue medesime nell'ambito dei rifiuti - va
individuata la disciplina del "percolato", che l'art. 2, lett. m), del D.Lgs.
13.1.2003, n. 36 {Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche
di rifiuti] definisce quale "liquido che si origina prevalentemente
dall'infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli
stessi".
Il "percolato", dunque, ben può assumere la connotazione di "rifiuto" [come è
confermato dall'attuale previsione dell'Allegato D) alla parte IV del D.Lgs. n.
152/2006: punti 19 07, 19 07 02 e 19 07 03] ma ciò soltanto allorquando lo
stesso non si configuri quale acqua sostanzialmente "di processo" direttamente
smaltita in un corpo idrico ricettore.
Nella specie, invece, non si adduce in ricorso l'insussistenza di un nesso
funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo idrico ricettore.
2. Non si ravvisa, inoltre, alcun elemento che possa dare consistenza alla
denunciata violazione dell'art. 521 c.p.p.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, il principio della
correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza non va inteso in
senso rigorosamente formale o meccanicistico ma, conformemente al suo scopo ed
alla sua funzione, in senso realistico e sostanziale.
La verifica dell'osservanza di detto principio non può esaurirsi, quindi, in un
pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, ma
va condotta sulla base della possibilità assicurata all'imputato di difendersi
in relazione a tutte le circostanze del fatto, sicché deve escludersene la
violazione ogni volta che non sia ravvisabile pregiudizio delle possibilità di
compiuta difesa.
Le Sezioni Unite - con la sentenza n.16 del 22.10,1996, ric. Di Francesco -
hanno affermato, in particolare, che "con riferimento al principio di
correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del
fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della
fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla
legge, si da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione" e "...
vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto
insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a
trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto
dell'imputazione".
Nella vicenda in esame, i contenuti essenziali dell'addebito risultano riferiti,
nel capo di imputazione, alla effettuazione dello scarico, nel corso d'acqua
denominato "Fiumarella", del percolato prodotto nell'impianto di smaltimento dei
rifiuti solidi urbani del Comune di Sant'Arcangelo ed in relazione a tale
condotta illecita l'imputato ha avuto piena possibilità di difendersi ed è stato
condannato previa corretta qualificazione di quel percolato quale acqua di
scarico non domestica e senza alcuna immutazione dell'addebito.
La qualificazione è corretta, perché le "acque reflue domestiche" sono quelle
"provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti
prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche"; mentre la
nozione di "acque reflue industriali' ricomprende "qualsiasi tipo di scarico di
acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali e
industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di
dilavamento".
3. Quanto alla riconducibilità, in punto di fatto, dei reflui inquinanti
all'impianto di smaltimento "de quo", i giudici del merito hanno dato
puntualmente conto degli accertamenti eseguiti dai verbalizzanti, i quali,
risalendo il torrente "Fiumarella", ebbero a ripercorrere a ritroso il deflusso
delle chiazze nerastre notate sulla superficie delle acque dell'invaso della
diga di Monte Cotugno fino ad individuarne la fonte originaria costituita dal
pozzetto di scarico delle acque piovane posto all'uscita dell'impianto, ove già
erano visibili altre analoghe macchie di colore nerastro.
La difesa prospetta genericamente la possibilità di provenienza di sostanze
inquinanti da altre fonti, ma le censure concernenti asserite carenze
argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e
dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono proponibili
nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia
sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso
a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti
sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua
di una possibile diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel
merito della sentenza impugnata.
Deve altresì rilevarsi che, con i motivi di appello, era stata richiesta, ex
art. 603 c.p.p., la rinnovazione parziale del dibattimento per l'espletamento di
una consulenza tecnica di ufficio rivolta ad accertare la presunta pericolosità
del percolato e tale richiesta deve ritenersi legittimamente respinta, esulando
dall'impostazione dell'impianto accusatorio.
4. Il Collegio ritiene - conformandosi all'orientamento di carattere generale
espresso, in tema di reati ambientali, dalla giurisprudenza costante di questa
Corte (vedi ad esempio Cass., sez. III: 8.5.2009, n. 19332, Soria; 3.3.2009, n.
9497, Martinengo; 26.11.2001, Spada) - di dovere affermare il principio secondo
il quale il legale rappresentante di una società esercente un impianto di
trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani è tenuto, quale destinatario
degli obblighi previsti dalle norme di settore, ad osservare le disposizioni
legislative, regolamentari e provvedimentali in materia di tutela
dell'ambientale, nonché a richiedere tutte le prescritte autorizzazioni.
Tale soggetto, inoltre, non può essere esonerato dalla responsabilità personale
a causa dell'eventuale responsabilità concorrente di colui che in concreto
gestisce l'impianto, tenuto conto che il legale rappresentante dell'ente
imprenditore risponde pur sempre a titolo di colpa per inosservanza del dovere
di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative di prevenzione del danno
da inquinamento (vedi Cass., sez. III, 10.5.2005, n. 20512).
5. L'affermata sussistenza del reato paesaggistico risulta conforme al
consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, in tema di tutela
delle zone paesistiche, configura il reato di cui all'art. 181, 1° comma, del
D.Lgs. n. 42/2004 qualunque modificazione dell'assetto del territorio, in
assenza di autorizzazione, attuata attraverso interventi di qualsiasi genere, in
quanto con le disposizioni a tutela del paesaggio si è inteso assicurare una
immediata informazione ed una preventiva valutazione da parte della pubblica
Amministrazione dell'impatto sul paesaggio di ogni tipo di attività
intrinsecamente idonea a comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche.
Nella specie, l'esistenza del vincolo paesaggistico non può porsi in dubbio
allorché si consideri che l'attività incriminata si è svolta all'interno del
Parco nazionale del Pollino [area tutelata ex lege già ai sensi della
legge n. 431/1985 ed attualmente a norma dell'art. 142, 1° comma - lett. f), del
D.Lgs. n. 42/2004] ed i giudici del merito (pure a fronte di un reato formale e
di pericolo) hanno accertato una effettiva compromissione dei valori del
paesaggio indotta dall'insudiciamento evidente delle acque di un torrente e
dell'invaso di una diga.
6. Manifestamente infondata, infine, è la richiesta di "attuazione della
disciplina di legge sulla competenza per connessione", svolta con i "motivi
nuovi" depositati dal difensore, in quanto la riunione di processi è prevista
dall'art. 17 c.p.p., nei casi di connessione di cui all'art. 12 dello stesso
codice, soltanto per procedimenti pendenti nello stesso stato e grado davanti al
medesimo giudice e quando non derivi un ritardo nella definizione degli stessi.
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 616
c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
ROMA, 17.1 1.2010
DEPOSITATO IN CANCELLERIA 25 Feb. 2011
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