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CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 12/04/2011, Sentenza n. 8367
INQUINAMENTO ACUSTICO - Immissioni ex art. 844 c.c. - Conflitto tra esigenze
della produzione e diritto alla salute - Criterio del c.d. "preuso" - Natura -
Limiti di applicabilità. Il criterio del c.d. "preuso", come evidenziato
dalla collocazione della disposizione nell'ultima parte dell'articolo 844 c.c.,
ha natura meramente sussidiaria e costituisce soltanto una extrema ratio
cui il giudicante può, con prudente apprezzamento di fatto, ricorrere nel
contemperare le opposte esigenze inerenti l'esercizio delle facoltà di godimento
di un immobile adibito ad uso abitativo e quelle produttive di un immobile
destinato ad uso industriale, tenendo comunque presente, nell'ambito di una
doverosa interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica,
che quando le esigenze della produzione entrino in diretto conflitto con quelle
del diritto alla salute, connesse alla fruibilità dell'immobile soggetto alle
immissioni, é a quest'ultimo che va attribuita preminenza, costituendo il
rispetto di tale primario diritto un limite intrinseco all'esercizio di quello
di iniziativa economica e libero esercizio dell'attività imprenditoriale (Cass.
nn. 5564/10, 8420/06, 9865/05, 161/96).(Annulla con rinvio sentenza n. 87/2005
della Corte di Appello di Perugia, dep. il 07/04/2005). Pres. Schettino - Est.
Piccialli - P.M. Fucci - Ric. LA. BA.e altri - Controric. SO. IM. MO. ZE. s.n.c.
(Fattispecie in tema di costruzione industriale - sita in zona residenziale -
contenente silos metallici adibiti all'immagazzinamento di cereali causa di
immissioni di rumori e polveri eccedenti la normale tollerabilità). CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 12/04/2011, Sentenza n. 8367
INQUINAMENTO ACUSTICO - Immissioni - Limiti di tollerabilità stabiliti dalla
normativa speciale in materia di inquinamento acustico - Irrilevanza ai fini
della valutazione ex art. 844 c.c.. I limiti di tollerabilità ambientale
previsti dalla normativa speciale in materia di inquinamento acustico,
perseguendo interessi pubblici e di tutela ambientale dirette a contenere la
diffusività verso una cerchia indeterminata di persone e non, specificamente,
verso il fondo del vicino, fissano soltanto dei limiti minimi di accettabilità
dei rumori, la cui osservanza tuttavia, sul piano civilistico, agli effetti
dell'articolo 844 c.c., non può essere dirimente, dovendo tenersi conto a tal
fine della più diretta e continua esposizione dei soggetti passivi, in ragione
della vicinanza tra il fondo di provenienza e quello di ricezione, con
conseguente necessità di una accurata indagine diretta ad accertarne, secondo la
particolarità della situazione concreta, la normale tollerabilità (Cass. nn.
6223/02, 1151/03, 2166/06). Con la conseguenza che la valutazione della normale
tollerabilità non può che essere riferita al luogo in cui le "propagazioni"
vengano percepite da coloro che fruiscono del bene, in conformità alla
destinazione propria dello stesso, e non anche alla relativa fonte di
provenienza.(Annulla con rinvio sentenza n. 87/2005 della Corte di Appello di
Perugia, dep. il 07/04/2005). Pres. Schettino - Est. Piccialli - P.M. Fucci -
Ric. LA. BA.e altri - Controric. SO. IM. MO. ZE. s.n.c. (Fattispecie in tema di
costruzione industriale - sita in zona residenziale - contenente silos metallici
adibiti all'immagazzinamento di cereali causa di immissioni di rumori e polveri
eccedenti la normale tollerabilità). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. II,
12/04/2011, Sentenza n. 8367
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo
- Presidente
Dott. PICCIALLI Luigi
- rel. Consigliere
Dott. MIGLIUCCI Emilio
- Consigliere
Dott. PROTO Cesare Antonio
- Consigliere
Dott. SCALISI Antonino
- Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LA. BA. (Omissis), LA. RI. (Omissis), GA. EM. (Omissis),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARIA CRISTINA A 8, presso lo studio
dell'avvocato STUDIO LEGALE GOBBI, rappresentati e difesi dall'avvocato MARIANI
MARINI ALARICO;
- ricorrenti -
contro
SO. IM. MO. ZE. s.n.c. DI ZE. GI. E C. già' MO. ZE. ZE. E. FI. s.n.c. DI ZE. GI.
e C, C.F. (Omissis), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI
RIENZO 92, presso lo studio dell'avvocato NARDONE LORENZO, rappresentato e
difeso dagli avvocati LA SPINA GIUSEPPE, BELLINGACCI MARCO;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 87/2005 della CORTE D'APPELLO di PERUGIA, depositata il
07/04/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/03/2011 dal
Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;
udito l'Avvocato LUISA GOBBI con delega dell'avvocato ALARICO MARIANI MARINI
difensore dei ricorrenti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato GIUSEPPE LA SPINA difensore della resistente che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI
Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificalo il 21.8.84 La.Ba. , La. Ri. ed Ga.Em. , quali proprietari,
per quote separate di una villetta sita in (Omissis), citarono al
giudizio del locale Tribunale la società " Mo. Ze. Ze. e. fi. di. Ze. Gi. e C.
s.n.c." esponendo che questa, nel contiguo fondo, già edificato, di sua
proprietà, nonostante la destinazione urbanistica residenziale della zona, aveva
eretto una ulteriore costruzione di tipo industriale, sita a m. 10,60 dal
confine ed alta m. 17 circa, contenente quattro silos metallici adibiti
all'immagazzinamento di cereali. Lamentando violazione del regolamento edilizio,
eliminazione di veduta panoramica, compromissione del passaggio di aria e luce,
nonché immissioni di rumori e polveri eccedenti la normale tollerabilità, gli
attori chiesero la condanna della convenuta alla riduzione in pristino ed al
risarcimento dei danni.
Costituitasi la convenuta, oppose la legittimità, in quanto debitamente
autorizzataceli propria costruzione, contestò la fondatezza delle avverse
pretese ed, in via riconvenzionale, chiese l'eliminazione di alcuni corpi di
fabbrica realizzati dalle controparti in ampliamento del loro immobile, in
quanto abusivi e non osservanti la distanza minima di m. 4 dal confine, prevista
dalla normativa locale, oltre al risarcimento dei danni.
All'esito di lunga e complessa istruttoria, documentale, orale e tecnica, con
sentenza non definitiva del 24.2.2000, il giudice adito respinse le reciproche
domande demolitorie, avendo accertato la sussistenza di un patto scritto
(stipulato nel Omissis) tra La. Ba. e da tal Pi.Vi. , dante causa delle
altre parti), comportante la reciproca deroga all'obbligo dell'osservanza delle
distanze, salvo che a quelle minime di m. 3 tra fabbricati e m. 1,50 dal
confine, ed accoglieva invece quelle risarcitorie attrici, che successivamente
quantificava, con sentenza definitiva del 20.3.02, in complessive lire
44.000.000, oltre agli interessi condannando alle spese del giudizio la società
convenuta.
Proposto appello da quest'ultima, resistito con proposizione di gravame
incidentale da parte degli appellati, con sentenza depositata il 7.4.2005 la
Corte di Perugia, accolto per quanto di ritenuta ragione il gravame principale e
disatteso quello principale, in parziale riforma delle sentenze impugnate,
rigettava le domande originariamente proposte dai La. - Ga. , compensava
interamente le spese del doppio grado di giudizio e confermava nel resto quanto
deciso dal primo giudice.
Considerava essenzialmente la corte umbra, per quanto ancora rileva nella
presente sede: a) che gli attori non potevano dolersi della non conformità alla
destinazione urbanistica del fabbricato industriale e della subita diminuzione
di panoramicità, in considerazione del reciproco patto in deroga accertato in
primo grado, sulla cui validità si era formato il giudicato interno, per tutti
loro vincolante e comportante pertanto anche l'infondatezza della relativa
pretesa risarcitoria; d) che anche in relazione all'articolo 844 c.c., la
domanda di risarcimento era da ritenersi infondata, tenuto conto della
documentata preesistenza, risalente quanto meno al (Omissis),
dell'attività molitoria esercitata sul fondo confinante, 'installazione sul
quale dei silos non poteva considerarsi un evento "anomalo", ma connesso alle
esigenze della produzione, nonché della ubicazione periferica dei fondi delle
parti, elementi che inducevano a considerare con "elasticità" la questione della
concreta tollerabilità delle immissioni rumorose le sole accertate (essendo
rimaste escluse quelle da polveri), che, comprese tra i 61 e 64dB., erano
risultate al di sotto del limite di 70 dB, valido sul territorio nazionale
secondo il D.P.C.M. 1 marzo 1991, e di poco superiori a quello, più severo ma
non motivato, determinato in 60 dB da c.t.u. Avverso la suddetta sentenza i La.
ed il Ga. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi,
illustrati con successiva memoria.. Ha resistito con controricorso la società
intimata, oggi denominata come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione ed errata applicazione
degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione all'articolo 844 c.c. con connesse
omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione su punti decisivi
della controversia.
Si contesta la decisiva rilevanza attribuita al ritenuto "preuso, non solo per
la natura solo sussidiaria di tale criterio, ma anche perché frutto di erronea
ed insufficiente valutazione delle risultanze processuali (in particolare
dell'atto del (Omissis), in narrativa citato), comprovanti che l'acquisto
del suolo su cui erano stati costruiti i silos era avvenuto successivamente a
quello del fondo di La.Ba. , edificato nel (Omissis) ed ulteriormente nel
(Omissis); l'ampliamento realizzato dalla controparte nel (Omissis)
avrebbe riguardato soltanto una casa di abitazione su altro fondo non anche il
molino, mentre la concessione provvisoria, del (Omissis), relativa
all'impianto sull'area acquistata nel (Omissis) dagli Ze. , sarebbe stata
annullata ed infine seguita da una in sanatoria del 1996. Quanto all'attività
molitoria, sarebbe stato documentato dalla parte attrice con certificazioni
della camera di commercio, senza che la corte territoriale ne tenesse conto, che
la relativa iscrizione era avvenuta il 2.2.79 a seguito delle costituzione in
data 31.12.78 della società convenuta.
Con il secondo motivo si lamenta che, in violazione e falsa applicazione degli
articoli 115, 116 c.p.c. ed articolo 844 c.c. e con motivazione carente e
contraddittoria, la corte territoriale abbia, partendo dall'erronea premessa del
"preuso nell'ambito di un altrettanto erroneo contemperamento con le "esigenze
della produzione", ritenuto tollerabili le accertate immissioni rumorose subite
dagli attori, illogicamente attribuendo rilevanza ad un presunto comportamento
acquiescente ultraventennale degli stessi, senza considerare che i silos, in
concreto determinanti tali rumori, erano di recente e, peraltro, abusiva
costruzione, tanto che, come pur dato atto dalla stessa corte in motivazione,
gli attori con l'atto introduttivo del giudizio avevano solo "paventato" che
l'entrata in funzione degli stessi avrebbe prodotto rumoroso traffico veicolare.
Con il terzo motivo, deducente violazione ed errata applicazione degli articoli
112, 346 c.p.c., e dell'articolo 844 c.c., in rel. al D.P.C.M. 1 marzo 1991 ed
alla Legge n. 47 del 1985, articolo 13 con connesse carenze di motivazione, si
lamenta: a) che i giudici di appello, ai fini dell'accertamento della
tollerabilità delle immissioni rumorose, avrebbero ecceduto i limiti
dell'impugnazione, che aveva soltanto lamentato difetto di motivazione in ordine
al recepimento del parere peritale e misurazione a finestre aperte dei rumori,
anziché chiuse, come previsto dal citato DPCM; b) l'inadeguata determinazione
dei limiti accettabilità delle accertate emanazioni rumorose, che avrebbe dovuto
essere operata secondo parametri relativi alla destinazione urbanistica,
residenziale, propria del punto di immissione e non, come ritenuto nella specie,
a quella industriale del fondo di parte convenuta, destinazione peraltro
acquisita soltanto con l'illegittima concessione, poi annullata dal TAR, cui
aveva fatto seguito quella in sanatoria, che tuttavia non avrebbe potuto
pregiudicare i diritti dei terzi; c) la non decisività, agli effetti
dell'articolo 844 c.c., dei limiti di accettabilità, comunque superati, previsti
dalla normativa speciale citata, occorrendo una specifica indagine sulla
concreta tollerabilità, nella specie non compiuta, segnatamente in caso di
superamento di 3 dB del rumore ambientale di fondo.
Con il quarto motivo ci si duole, per violazione e falsa applicazione degli
articoli 112, 346 c.p.c., articoli 871, 872, 873 c.c., articolo 1362 c.c. e
segg., Legge n. 47 del 1985, articolo 13 nonché per omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, del negato diritto al risarcimento dei danni per
privazione di aria luce e panorama. Tale diniego non avrebbe tenuto conto della
natura abusiva, fino alla concessione in sanatoria del 1996, non pregiudicante i
diritti dei terzi, della costruzione dei silos, al riguardo attribuendo
rilevanza alla deroga parziale al rispetto delle distanze stipulata nel (Omissis),
che non avrebbe potuto spiegare alcuna incidenza ai fini dei diversi obblighi di
ordine pubblico, relativi ad altezze e volumi.
Con il quinto motivo si lamenta, infine, omessa motivazione in relazione al
rigetto dell'appello incidentale, con il quale si era lamentato la mancata
quantificazione del danno, pur riconosciuto con la sentenza non definitiva, per
la privazione di aria e luce, non liquidato dal primo giudice sull'erroneo
presupposto che lo stesso fosse stato compreso nella complessiva valutazione
esposta dal c.t.u., che in realtà atteneva ai soli danni da rumore.
Tanto premesso, vanno congiuntamente esaminati per la stretta connessione delle
contenute censure, i primi due motivi.
I motivi sono fondati.
Va anzitutto rilevato che indebitamente i giudici di appello, nel dirimere il
contrasto tra l'esercizio delle facoltà di godimento dell'immobile, adibito ad
uso abitativo, degli attori e quelle produttive, dell'immobile di parte
convenuta, destinato ad uso industriale, hanno attribuito pressocché esclusiva
rilevanza al c.d. "preuso", senza tener conto del principio, più volte affermato
nella giurisprudenza di questa Corte (v., in particolare, Cass. nn. 9865/05,
161/96), che il criterio in questione, come evidenziato dalla collocazione della
disposizione nell'ultima parte dell'articolo 844 c.c., ha natura meramente
sussidiaria e costituisce soltanto un extrema ratio cui il giudicante
può, con prudente apprezzamento di fatto, ricorrere nel contemperare le sopra
menzionate opposte esigenze, tenendo comunque presente, nell'ambito di una
doverosa interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica,
che quando le esigenze della produzione entrino in diretto conflitto con quelle
del diritto alla salute, connesse alla fruibilità dell'immobile soggetto alle
immissioni, é a quest'ultimo che va attribuita preminenza, costituendo il
rispetto di tale primario diritto un limite intrinseco all'esercizio di quello
di iniziativa economica e libero esercizio dell'attività imprenditoriale (v in
particolare Cass. nn. 5564/10, 8420/06).
Nel caso di specie, peraltro, anche nell'accertare la priorità dell'uso, la
motivazione della sentenza impugnata non risulta sufficiente, in punto di
ricostruzione delle effettive vicende edificatorie interessanti i fondi in
questione e della risalenza dell'attività imprenditoriale, non avendo chiarito,
pur a fronte delle specifiche e documentate deduzioni della parte attrice,
secondo cui l'immobile dei La. preesisteva alla realizzazione di quello
ospitante i silos e persino all'acquisto del relativo suolo, se quest'ultimo
intervento fosse stato realizzato sullo stesso fondo su cui era originariamente
esercitata l'attività molitoria, oppure, in ampliamento del precedente
insediamento industriale, su un terreno di successivo acquisto, come sembra
doversi desumere dal contenuto della convenzione di vicinato stipulata nel (Omissis)
tra La.Ba. ed il dante causa della società convenuta, pur ritenuta dalla stessa
corte decisiva ai fini della diversa questione delle distanze. é evidente come,
in siffatta ipotesi di vero e proprio avanzamento dell'insediamento industriale
verso il fondo di parte attrice, ubicato in una zona con destinazione
urbanistica residenziale, il criterio della priorità dell'uso produttivo
perderebbe rilevanza, quali che fossero le successive variazioni adottate dalla
concedente amministrazione comunale nell'assentire l'ampliamento de quo. Quanto
sopra premesso, palese risulta anche la fallacia ed illogicità dell'altro
elemento di giudizio valorizzato dai giudici di secondo grado, secondo cui il
significativo ed ultraventennale silenzio della parte attrice, che avrebbe
tollerato le immissioni in questione e la mancanza di una richiesta di
inibitoria nell'atto introduttivo, costituirebbero ulteriori indici della
sostanziale tollerabilità delle stesse. Ma tale argomentazione non tiene conto
che all'atto dell'instaurazione del giudizio, allorquando i silos, pur in corso
di realizzazione, non erano ancora entrati in funzione, gli attori espressero il
loro timore, come da atto la stessa corte di merito (v. pag. 22, primo rigo),
che le prevedibili operazioni di continuo carico e scarico con veicoli avrebbero
dato luogo ad un incremento delle emanazioni rumorose, timore poi confermato
dall'espletata consulenza tecnica, così aggravando il disagio abitativo degli
istanti, la cui precedente inerzia, a fronte di immissioni di più ridotta
intensità e frequenza, prodotte da un insediamento di minori dimensioni e posto
a maggiore distanza, risulta pertanto del tutto irrilevante.
Fondato é anche il terzo motivo, poiché i giudici di appello, nell'attribuire
decisiva rilevanza ai limiti di tollerabilità ambientale previsti dalla
normativa speciale in materia di inquinamento acustico, non hanno tenuto conto
del consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, v.
Cass. nn. 6223/02, 1151/03, 2166/06), secondo cui, perseguendo tali disposizioni
interessi pubblici e di tutela ambientale, dirette a contenere la diffusività
verso una cerchia indeterminata di persone e non, specificamente, verso il fondo
del vicino, fissano soltanto dei limiti minimi di accettabilità dei rumori, la
cui osservanza tuttavia, sul piano civilistico, agli effetti dell'articolo 844
c.c., non può essere dirimente, dovendo tenersi conto a tal fine della più
diretta e continua esposizione dei soggetti passivi, in ragione della vicinanza
tra il fondo di provenienza e quello di ricezione, con conseguente necessità di
una accurata indagine diretta ad accertarne, secondo la particolarità della
situazione concreta, la normale tollerabilità. Ulteriore palese errore in cui é
incorsa la corte di merito é consistito nell'essersi discostata dal parere del
c.t.u., che aveva ritenuto anche superati i suddetti limiti normativi, in
ragione della destinazione urbanistica abitativa della zona, ritenendo al
riguardo applicabili quelli più favorevoli alla convenuta, in ragione della
destinazione industriale del fondo di provenienza dei rumori, senza tener conto
che il fenomeno in considerazione, agli effetti dell'articolo 844 c.c., non é
dato dalle "emissioni" (rilevanti ai diversi fini della generalizzata
accettabilità ambientale), bensì dalle "immissioni", con la conseguenza che la
valutazione della normale tollerabilità, intesa quale limite legale
all'esercizio delle facoltà di godimento della proprietà immobiliare, non può
che essere riferita al luogo in cui le "propagazioni" vengano percepite da
coloro che fruiscono del bene, in conformità alla destinazione propria dello
stesso, e non anche alla relativa fonte di provenienza.
Infondato é, invece, il quarto motivo, considerato che correttamente i giudici
di merito hanno disatteso le istanze risarcitorie connesse alla denunciata
violazione, nella costruzione dell'immobile sul fondo di parte convenuta, dei
limiti di altezza e volumetria prescritti dalle vigenti norme urbanistiche, in
considerazione dell'accertata sussistenza del patto di vicinato, in narrativa
menzionato, stipulato dallo stesso attore La.Ba. (opponibile ai suoi aventi
causa e litisconsorti La.Ri. ed Ga.Em. ed invocabile, sull'opposto versante,
dalla società convenuta, quale avente causa dall'altro stipulante. Pi. ), che
autorizzando la reciproca edificazione fino a mt. 1,50 dal confine e 3 dal
fabbricato del vicino, precludeva ogni possibilità di dolersi, per privazione di
aria, luce panorama etc., in relazione ad una edificazione realizzata a ben
maggiore distanza da quella assentita. Né vale, al riguardo, richiamare il
disposto dell'articolo 872 secondo cui il vicino che abbia subito danno dalla
edificazione illegittima sotto il profilo urbanistico, ancorché non lesiva delle
norme integrative sulle distanze, ha diritto al relativo risarcimento, posto
che, nel caso di specie, il preventivo consenso espresso dalla parte attrice
eliminava in radice e sotto il profilo civilistico di cui all'articolo 2043 c.c.
l'illiceità del fatto, ferme restante soltanto quelle amministrativa e penale.
Né può, d'altra parte, dedursi la nullità del patto in questione, per violazione
di norme inderogabili di ordine pubblico, nella specie costituite dalle
disposizioni urbanistiche che attualmente sarebbero ostative all'edificazione,
come in concreto realizzata, non risultando, né essendo stato dedotto (ed
apparendo del tutto improbabile, alla stregua della stessa esposizione dei fatti
contenuta in ricorso, nell'ambito della quale si riferisce che il PRG. di Pesaro
fu approvato nel 1974), che all'epoca della stipulazione di quella convenzione,
risalente al (Omissis), le limitazioni in questione fossero già vigenti.
Il quinto motivo, attinente al quantum dell'infondata pretesa risarcitoria sopra
esaminata, resta pertanto reiettivamente assorbito.
Conclusivamente, la sentenza impugnata va cassata in relazione alle accolte
censure, con rinvio per nuovo esame ad altra Corte d'Appello, che si designa, in
ragione della vicinanza, in quella di Roma, cui si demanda anche il regolamento
delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE
accoglie i primi tre motivi di ricorso, rigetta i rimanenti, cassa la sentenza
impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte
d'Appello di Roma.
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