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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 18/04/2011, Sentenza n. 8870
DIRITTO URBANISTICO - DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Distanze nelle costruzioni
- Azione di regolamento di confini associata a richiesta di rilascio o di
riduzione in pristino di un fondo usurpato - Litisconsorzio necessario nei
confronti dei titolari di diritti reali sulla porzione di fondo ritenuto
usurpato - Sussistenza. Nell'azione di regolamento dei confini non ricorre
ipotesi di litisconsorzio necessario in quanto la domanda finium regundorum
è in sé strutturalmente diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa (Cass. 9
febbraio 1995 n. 1462). Nel caso in cui, invece, la predetta azione sia
associata a richiesta di rilascio o di riduzione in pristino della parte di
fondo che si ritiene usurpata in conseguenza dell'incertezza oggettiva o
soggettiva dei confini, il contraddittorio esige di essere esteso, e se del caso
integrato, sul versante passivo, nei confronti di tutti coloro che vantano
diritti reali su tale parte del fondo o sulle opere e sui manufatti su di essa
insistenti, stante l'inscindibilità e indivisibilità della situazione dedotta in
giudizio. Pertanto si versa in un'ipotesi di litisconsorzio necessario laddove
vi sia coesistenza, in un unico processo, di un'azione tendente all'accertamento
dei limiti della dimensione spaziale del diritto di proprietà e di una azione
tendente ad ottenere la modificazione fisica di una situazione di fatto
correlata ad una situazione di diritto strutturalmente plurisoggettiva, ma
unitaria ai fini della tutela di un interesse di cui non è concepibile il
concreto soddisfacimento se non nell'esecuzione nei confronti di tutti i
soggetti congiuntamente portatori di un diritto confliggente con l'interesse
dell'attore, con incidenza sulla sfera giuridica di ciascuno di essi (v. Cass.
20 gennaio 2010 n. 921; Cass. 7 maggio 1997 n. 9510). Fattispecie in tema di
violazione di distanze tra proprietà contigue mediante costruzione di opere su
parti di fondo altrui e conseguente esercizio di azione giudiziale tendente
all'ottenimento della rimessione in pristino, alla demolizione dei fabbricati
abusivi e al risarcimento danni. (annulla con rinvio sent. n. 758/2004 della
Corte d'appello di Bologna, depositata il 13 maggio 2004). Pres. Rovelli - Est.
Falaschi - P.M. Russo - Ric. Te. Pe. e altri - Controric. Ag. Pe. CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 18/04/2011, Sentenza n. 8870
DIRITTO URBANISTICO - Distanze nelle costruzioni - Occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui - Perdita della disponibilità del bene da parte del proprietario usurpato - Determinazione del danno. In ipotesi di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato è in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed alla impossibilità per costui di conseguire l'utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso (Cass., Sez. II, 8 marzo 2010, n. 5568; Cass., Sez. III, 11 febbraio 2008, n. 3251; Cass., Sez. III, 8 maggio 2006, n. 10498). La determinazione del risarcimento del danno ben può essere operata, in tali ipotesi, facendo riferimento al cosiddetto "danno figurativo". Fattispecie in tema di violazione di distanze tra proprietà contigue mediante costruzione di opere su parti di fondo altrui e conseguente esercizio di azione giudiziale tendente all'ottenimento della rimessione in pristino, alla demolizione dei fabbricati abusivi e al risarcimento danni. (annulla con rinvio sent. n. 758/2004 della Corte d'appello di Bologna, depositata il 13 maggio 2004). Pres. Rovelli - Est. Falaschi - P.M. Russo - Ric. Te. Pe. e altri - Controric. Ag. Pe. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 18/04/2011, Sentenza n. 8870
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Impugnazioni - Richiesta di rinnovazione di
consulenza tecnica - Censure sulle valutazioni effettuate dal consulente tecnico
- Sindacato giudiziale - Estensione. La consulenza tecnica può essere sia
strumento di valutazione tecnica che di accertamento di situazioni di fatto
rilevabili solo mediante il ricorso a determinate cognizioni tecniche. Qualora
si richieda la rinnovazione della consulenza contestando non i dati tecnico -
storici accertati, ma le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal
giudice di primo grado, il giudice non ha obbligo di motivare il diniego, che
può essere anche implicito, bensì solo quello di rispondere alle censure tecnico
- valutative mosse dal convenuto alle valutazioni di uguale natura contenute
nella decisione (Cass. 14 febbraio 1980 n. 1103. Fattispecie in tema di
violazione di distanze tra proprietà contigue mediante costruzione di opere su
parti di fondo altrui e conseguente esercizio di azione giudiziale tendente
all'ottenimento della rimessione in pristino, alla demolizione dei fabbricati
abusivi e al risarcimento danni. (annulla con rinvio sent. n. 758/2004 della
Corte d'appello di Bologna, depositata il 13 maggio 2004). Pres. Rovelli - Est.
Falaschi - P.M. Russo - Ric. Te. Pe. e altri - Controric. Ag. Pe. CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 18/04/2011, Sentenza n. 8870
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli III.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Luigi Antonio ROVELLI
- Presidente
Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO
- Consigliere
Dott. Pasquale D'ASCOLA
- Consigliere
Dott. Vincenzo CORRENTI
- Consigliere
Dott.ssa Milena FALASCHI
- Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al NRG. 17797/05) proposto da:
Te. Pe., El. Pe., Elv. Pe., Sa. Pe., Lu. Pe. e Na. Pe., rappresentati e difesi,
in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall'Avv.to Lo. Ca. del foro
di Ge. e dall'Avv.to Ma. Te. Ba. Fe. del foro di Ro., elettivamente domiciliati
presso lo studio del secondo in Ro., viale Gi. Ce., (Omissis);
- ricorrenti -
contro
Ag. Pe., quale procuratrice generale di Ma. Ri. (che agisce in proprio e quale
unica erede di An. Pe. ved. Ri.), rappresentata e difesa dall'Avv.to Lu. Fa. del
foro di Ge. e dall'Avv.to De. Ba. del foro di Ro., in virtù di procura speciale
a margine del controricorso, domiciliata presso lo studio del secondo in Ro.,
via del Co., (Omissis);
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna n. 758/2004 depositata il
13 maggio 2004.
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 25 gennaio 2011
dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Rosario Giovanni Russo, che - assenti le parti - ha concluso per
l'inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso, con condanna alle spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 30 marzo 1982 An. Pe. e Ag. Pe.,
quest'ultima in qualità di procuratrice generale di Ma. Ri. (figlia di An. Pe.),
evocavano, dinanzi al Pretura di Bobbio, Do. Pe. e Ma. Pe., lamentando che
questi ultimi, quali proprietari dei fondi confinanti con quelli di proprietà
delle attrici, in Ot., loc. S. Ma., avevano violato i confini e le distanze tra
le proprietà contigue, eseguendo abusivamente opere su immobili ed occupando
illegittimamente parti di terreno di loro proprietà; chiedevano, pertanto, la
rimessione in pristino, la demolizione dei fabbricati abusivi ed il risarcimento
dei danni.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, che
contestavano la pretesa attorea, all'esito dell'istruzione della causa, il
Pretore adito, dichiarava la propria incompetenza per valore, concedendo il
termine di sei mesi per la riassunzione della causa avanti al Tribunale di
Piacenza.
Riassunto dalle attrici il giudizio nei termini concessi innanzi al Tribunale
dichiarato competente, i convenuti si costituivano, richiamando tutte le difese
della precedente fase; veniva acquisito al giudizio il fascicolo d'ufficio della
Pretura.
In data 19.10.1989 veniva dichiarata l'interruzione del giudizio per decesso di
Do. Pe. Con ricorso depositato in data 29.1.1990, notificato a Ma. Pe. e a Sa.
Pe., coerede di Do. Pe., presso l'ultimo domicilio del defunto, il processo
veniva riassunto. Dopo differimenti di ufficio, con provvedimento presidenziale
veniva fissata l'udienza del 25.3.1993 per la trattazione della causa, nella
quale si costituiva il solo Ma. Pe. All'udienza successiva, dichiarato il
decesso del convenuto costituito, il giudizio veniva nuovamente interrotto.
Parte attrice provvedeva ad ulteriore riassunzione con ricorso depositato il
22.4.1994, notificato personalmente a tutti gli eredi, fissata la prima udienza
per il 24.11.1994, data che veniva rinviata d'ufficio al 23.3.1995, poi al
15.6.1995, ancora al 29.2.1996 ed infine al 20.6.1996.
Si costituivano le convenute Elv. Pe. (figlia di Do. Pe.) e Te. Pe. (figlia di
Ma. Pe.) eccependo l'intervenuta estinzione del giudizio e, nel merito,
contestavano le domande proposte.
Dichiarata all'udienza di precisazione delle conclusioni la contumacia di El. Pe.,
Lu. Pe., Na. Pe. e Sa. Pe., il Tribunale adito dichiarava: a) che i confini tra
le proprietà delle attrici e quelle dei convenuti erano coincidenti con quelli
individuati dalla C.T.U., disponendo l'apposizione di idonei termini a spese
comuni delle parti; b) la illegittima occupazione della proprietà delle attrici
(mapp. (Omissis) foglio (Omissis) NCT Ot.) per effetto della
costruzione di un portico baraccone, di un balcone e di una rampa esterna di
scale facenti parte dell'immobile di proprietà dei convenuti per l'allargamento
del perimetro di base dello stesso e condannava i medesimi convenuti al
ripristino dello stato dei luoghi; c) l'illegittima occupazione di altro terreno
attoreo (mapp. (Omissis) foglio (Omissis) NCT Ot.) a seguito
dell'allargamento di una strada poderale su esso insistente ad opera di Do. Pe.,
condannando gli eredi di questo ultimo al ripristino dello stato dei luoghi, a
loro cura e spese, mediante arretramento della strada medesima; d) la
responsabilità di Do. Pe. per il crollo del muro di contenimento di altro
mappale delle proprietà attoree (mapp. (Omissis) foglio (Omissis)
NCT Ot.), condannando gli eredi al ripristino a loro spese; e) la condanna dei
convenuti, secondo la rispettiva responsabilità, al risarcimento dei danni,
calcolati in via equitativa ed alla rifusione delle spese di giudizio. In virtù
di rituale appello interposto da tutti i convenuti, che eccepivano
preliminarmente la estinzione del giudizio per mancata riassunzione nei modi e
termini di legge, quanto meno nei confronti di El. Pe., Elv. Pe., Sa. Pe., Lu.
Pe. e Na. Pe., in via subordinata, chiedevano dichiararsi l'intervenuta
usucapione in favore di Te. Pe. delle porzioni di fabbricati e/o manufatti
eretti dal padre, Ma. Pe., la Corte di Appello di Bologna, nella resistenza
della appellata Ma. Ri., la quale precisava che nella pendenza del giudizio di
primo grado era deceduta anche An. Pe., per cui si costituiva in proprio e quale
erede della madre, rigettava integralmente l'appello.
A sostegno dell'adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava
preliminarmente che il giudice di prime cure correttamente non aveva dichiarato
l'estinzione del giudizio sussistendo litisconsorzio sostanziale fra gli
originari convenuti, Do. Pe. e Ma. Pe., per cui essendo intervenuta la
riassunzione parziale, il giudice era obbligato ad ordinare l'integrazione del
contraddittorio.
Aggiungeva che la doglianza circa l'essere stati i convenuti evocati in giudizio
quali proprietari di un unico terreno, mentre essi avevano diviso i loro beni
comuni sin dal 1975, non teneva conto che l'ordine di demolizione era stato
disposto in relazione alle rispettive titolarità dei beni.
Né poteva essere condivisa la censura circa le conclusioni cui era pervenuto il
C.T.U. in primo grado non essendo state mosse contestazioni sotto il profilo
tecnico, neanche da parte dei c.t. di parte.
Inoltre il giudice di primo grado aveva esaurientemente chiarito che
l'ampliamento aveva interessato entrambe le proprietà - di Ma. Pe. e di Do. Pe.
- avendo entrambi i convenuti demolito la precedente casa di pietra,
edificandone, al suo posto, una nuova a quattro piani, intervenuto lo
sconfinamento precedentemente alla divisione del 1975 ed anzi nell'atto di
divisione del 16.11.1975 era stato inserito proprio la sopraelevazione, segno
inequivocabile che al momento della divisione questa era già stata realizzata.
Né poteva trovare accoglimento la domanda riconvenzionale di intervenuta
usucapione per avere il giudice del merito ricostruito la situazione in modo
differente rispetto alla prospettazione di parte appellante, per cui non erano
maturati i termini perché si compisse l'usucapione invocata, non ricorrendo,
peraltro, nella specie l'ipotesi di cui all'art. 938 c.c.
Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Bologna hanno proposto
ricorso per cassazione i Pe., eredi di Ma. Pe. e Do. Pe., che risulta articolato
su due motivi, al quale ha resistito con controricorso Ma. Ri., in proprio e
quale erede della madre An. Pe.
Hanno presentato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. e i ricorrenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione
degli arti 303 e 305 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.),
per avere errato la Corte territoriale a non dichiarare l'avvenuta estinzione
del giudizio per mancata riassunzione dello stesso nel termine di legge, dopo la
interruzione disposta il 19.10.1989, a causa del decesso di Do. Pe., avvenuto il
28.11.1988. Infatti, risulterebbe che il ricorso in riassunzione sia stato
depositato in cancelleria il 29.1.1990, ma notificato collettivamente ed
impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio di Do. Pe. solo il 29.3.1990,
dunque oltre l'anno di cui all'art. 303, Il comma, c.p.c., per cui si sarebbe
prodotto l'effetto di cui all'art. 305 c.p.c.
La censura va parzialmente accolta per quanto di seguito si esporrà.
E' preliminare l'accertamento del thema decidendum qualificando l'azione
intrapresa da Ag. Pe. (unitamente alla sua dante causa, Ma. Ri.), si da potere
prendere posizione in ordine alle conseguenze della mancata riassunzione nei
termini del giudizio di primo grado nei confronti degli eredi di Do. Pe.,
essendo pacifico che la forma di notificazione agevolata agli eredi della parte
defunta, prevista dall'art. 303, comma 2, c.p.c. trovando fondamento nella
presunzione legale che gli eredi, nel periodo di un anno dalla morte, facciano
capo al domicilio del de cuius per tutte le questioni o i rapporti
inerenti la successione, può avere come punto di riferimento oggettivo
esclusivamente l'evento stesso del decesso (v. Cass. 20 ottobre 2008 n. 25548).
Con la conseguenza che il citato art. 303, comma 2, c.p.c. non può essere
interpretato nel senso che l'anno durante il quale è consentita la citazione in
riassunzione degli eredi della parte defunta in via impersonale nell'ultimo
domicilio del de cuius decorra dalla data di deposito del ricorso per la
riassunzione.
Orbene dal tenore della decisione impugnata e degli atti di entrambe le parti
emerge che l'intimata (e la sua dante causa) ha adito il giudice di prime cure
denunciando, in primo luogo, la violazione dei confini e delle distanze operata
dai convenuti, proprietari di fondi confinanti con quelli di sua proprietà, che
realizzando opere di restauro di una costruzione già esistente, avevano occupato
parte del suo terreno, per cui ha chiesto la determinazione dei confini e la
rimessione in pristino dei luoghi (con demolizione delle parti di fabbricato
insistenti sul proprio lotto). Inoltre la medesima parte intimata ha assunto
l'illegittima occupazione anche di altro terreno a seguito di allargamento di
strada poderale su esso insistente ad opera di Do. Pe., nonché la responsabilità
di quest'ultimo per il crollo del muro di contenimento esistente su altro
mappale della stessa intimata.
Per orientamento della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 9 febbraio 1995
n. 1462) nell'azione di regolamento dei confini non ricorre ipotesi di
litisconsorzio necessario in quanto la domanda finium regundorum è in sé
strutturalmente diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa, ma allorché sia
associata a richiesta di rilascio o di riduzione in pristino della parte di
fondo che si ritiene usurpata in conseguenza dell'incertezza oggettiva o
soggettiva dei confini, il contraddittorio esige di essere esteso, e se del caso
integrato, sul versante passivo, nei confronti di tutti coloro che vantano
diritti reali su tale parte del fondo o sulle opere e sui manufatti su di essa
insistenti, stante l'inscindibilità e indivisibilità della situazione dedotta in
giudizio. Tale orientamento ritiene questo collegio di dovere condividere,
ritenendolo adeguato alla ipotesi della coesistenza, in un unico processo, di
un'azione tendente all'accertamento dei limiti della dimensione spaziale del
diritto di proprietà e di una azione tendente ad ottenere la modificazione
fisica di una situazione di fatto correlata ad una situazione di diritto
strutturalmente plurisoggettiva ma unitaria ai fini della tutela di un interesse
di cui non è concepibile il concreto soddisfacimento se non nell'esecuzione nei
confronti di tutti i soggetti congiuntamente portatori di un diritto
confliggente con l'interesse dell'attore, con incidenza sulla sfera giuridica di
ciascuno di essi (v. Cass. 20 gennaio 2010 n. 921; Cass. 7 maggio 1997 n. 9510).
Ne discende che, relativamente alla prima domanda, sussistendo ipotesi di
litisconsorzio necessario dal lato passivo, la decisione dei giudici di merito
sul punto appare corretta, in quanto seppure non pronunciata la integrazione
necessaria del contraddittorio, nella sostanza la estinzione del giudizio è
stata evitata con la regolare notificazione a ciascuno degli eredi di Do. Pe.
del secondo atto di riassunzione (intervenuto a seguito della ulteriore
interruzione del giudizio per decesso anche di Ma. Pe., evento dichiarato dopo
solo una udienza dalla reintroduzione del giudizio per decesso di Do. Pe.).
Né è condivisibile l'assunto dei ricorrenti secondo cui tra i convenuti non
sussisterebbe ipotesi di comunione con riferimento alla realizzazione del
rifacimento del fabbricato in contesa, per avere i germani Do. Pe. e Ma. Pe.
provveduto alla divisione del patrimonio comune con atto del 16.11.1975, giacché
il balcone e la rampa esterna di scale di cui si chiede l'arretramento fanno
parte di un unico corpo di fabbrica che è di proprietà, per quota, dei fratelli
Pe. e dette opere hanno comportato la modificazione complessiva del perimetro
dell'edificio, bene che per sua natura è strutturalmente indivisibile.
Di converso detta impostazione non può essere condivisa con riferimento alle
domande di ripristino formulate dalle attrici relativamente alla strada poderale
ed al muro di contenimento, essendo state le istanze proposte esclusivamente nei
confronti di Do. Pe., indicato quale unico autore dell'occupazione ovvero
dell'illecito. La situazione ivi fatta valere non comporta, perciò, alcun
vincolo di solidarietà fra gli originari convenuti, per essere Ma. Pe. estraneo
all'occorso (come si evince già dall'assunto di parte attrice), e
conseguentemente trattandosi di posizioni scindibili della lite, dovendosi
considerare la controversia scindibile in più cause, seppure dedotte nello
stesso giudizio, ove all'interruzione del processo per morte di uno dei
contraddittori segua l'atto di riassunzione non effettuato nel termine previsto
nei confronti dei suoi eredi, ma validamente e tempestivamente eseguito solo nei
riguardi di uno dei convenuti, il processo è validamente riassunto solo quanto
ai rapporti processuali relativi a quest'ultimo e si estingue, invece,
limitatamente alla parte deceduta (e ai suoi aventi causa).
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa
applicazione degli arti 2697 c.c., 113 e 115 c.p.c., nonché l'omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, giacche la
decisione dei giudici di merito troverebbe fondamento sulla relazione del C.T.U.
che è errata ed il giudice del gravame non avrebbe accolto l'istanza di
rinnovazione e/o supplemento di consulenza formulata dagli eredi di Ma. Pe. e
Do. Pe., né avrebbe preso in esame il risultato della perizia asseverata dagli
stessi prodotta.
I ricorrenti, inoltre, di dolgono del mancato accoglimento delle riconvenzionali
spiegate di acquisto per usucapione ovvero ex art. 938 c.c.
Inoltre, la censura denuncia anche l'assenza di una puntuale domanda di
arretramento della strada poderale oltre il confine del mappale (Omissis),
nonché l'erronea attribuzione della responsabilità a Do. Pe. del crollo di un
muro di contenimento. Infine, viene censurata la quantificazione del danno per
non avere le parti fornito alcun elemento di giudizio al riguardo.
II motivo è in parte infondato e in parte assorbito per quanto sopra affermato.
Per ciò che attiene alle doglianze relative alla erroneità delle conclusioni del
C.T.U. è notorio che la consulenza tecnica può essere sia strumento di
valutazione tecnica che di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo
mediante il ricorso a determinate cognizioni tecniche. Qualora si richieda la
rinnovazione della consulenza contestando non i dati tecnico - storici
accertati, ma le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice
di primo grado, il giudice non ha obbligo di motivare il diniego, che può essere
anche implicito, bensì solo quello di rispondere alle censure tecnico -
valutative mosse dal convenuto alle valutazioni di uguale natura contenute nella
decisione (v. Cass. 14 febbraio 1980 n. 1103), Nella specie, peraltro, l'omesso
espresso rigetto dell'istanza di rinnovazione non dà luogo a vizio di omessa
pronuncia, avendo il giudice del merito con sufficiente motivazione riconosciuto
come esaurienti i risultati conseguiti dal C.T.U., giacché in tale
riconoscimento risultano adeguatamente contenute le ragioni che lo hanno indotto
a non ammettere le nuove indagini.
D'altro canto anche in sede di legittimità le parti ricorrenti si sono limitate
a dedurre una generica erroneità della consulenza tecnica d'ufficio, senza
specificare per quale vizio le conclusioni siano da ritenere incongrue, non
potendo certo essere necessaria la rinnovazione per il solo fatto che gli
strumenti attuali di misurazione - secondo le stesse allegazioni - sarebbero di
maggiore precisione.
Relativamente alla doglianza per il mancato accoglimento della domanda
riconvenzionale di acquisto per usucapione ovvero ex art. 938 c.c. si tratta di
censura che attiene alla valutazione delle risultanze probatorie, che
costituisce tipica prerogativa del giudice di merito, non censurabile in sede di
legittimità se, come nel caso di specie, risulta sorretta da congrua ed adeguata
motivazione.
Uguale considerazioni valgono per la censura che investe la qualificazione del
danno: precisato che il danno risarcibile è solo quello afferente
all'occupazione del mappale (Omissis) foglio (Omissis) (a seguito
dell'edificazione di un balcone e di una rampa esterna di scale, con
modificazione del perimetro di fabbrica), per cui per la parte restante il
motivo è assorbito dalla pregiudiziale questione della estinzione del giudizio
per le domande proposte nei soli confronti di Do. Pe., la corte distrettuale ha
correttamente specificato le voci di danno e le ragioni del ricorso alla
liquidazione ai sensi dell'art. 1226 c.c. Del resto questa Corte ha avuto modo
di chiarire che in fattispecie del genere di quella in esame, concernenti
occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il
proprietario usurpato è in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto
della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed alla
impossibilità per costui di conseguire l'utilità anche solo potenzialmente
ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di
esso (v. da ultimo, Cass., Sez. II, dell'8 marzo 2010, n. 5568; Cass., Sez. III,
dell'11 febbraio 2008, n. 3251; Cass., Sez. III, dell'8 maggio 2006, n. 10498).
La determinazione del risarcimento del danno ben può essere operata, in tali
ipotesi, facendo riferimento al cosiddetto "danno figurativo".
Quanto, infine, la mancata formulazione da parte delle attrici di domanda per
l'arretramento della strada poderale, premesso - al solo fine di meglio definire
le rispettive posizioni - che già in sede di precisazione delle conclusioni nel
giudizio di primo grado le attrici hanno puntualizzato le loro istanze, nei
termini sopra riportati, il motivo è ritenere assorbito per la pregiudiziale
questione dell'estinzione del giudizio relativamente alle domande formulate nei
confronti del solo Do. Pe.
In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso nei limiti sopra esposti
e conseguentemente va dichiarata l'estinzione del processo in relazione alla
domanda di condanna degli eredi di Do. Pe. all'arretramento della strada
poderale, nonché a quella di ripristino e di risarcimento dei danni relativa al
muro crollato; va dichiarato assorbito il secondo motivo per la parte relativa
al risarcimento dei danni liquidati in riferimento alle domande per le quali è
stato dichiarato estinto il relativo giudizio; va rigettato per il resto il
ricorso. Alla pronuncia consegue la cassazione della sentenza impugnata nei
limiti di cui sopra, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di
Bologna. Il giudice del rinvio come sopra individuato viene, inoltre, investito
della decisione relativa all'onere delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso nei limiti di cui in motivazione e
conseguentemente dichiara l'estinzione del processo in relazione alla domanda di
condanna degli eredi di Do. Pe. all'arretramento della strada poderale e a
quella di condanna degli stessi al ripristino e al risarcimento danni relativa
al muro crollato;
dichiara assorbito il secondo motivo per la parte relativa al risarcimento dei
danni e lo rigetta per il resto;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di
cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.
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