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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 9276
SALUTE - Sostanze alimentari e bevande - Produzione e vendita - Vigenza della
disciplina sugli alimenti - Ratio - L. n. 283/62 e s.m. - L. n.
441/63 - Art. 14 c. 17 lett. a), L. 246/05 - All. 1, n. 1891 del D. L.vo n.
179/09. L’art. 14 comma 17 lett. a), della L. 246/05, stabilisce che
dall'effetto abrogativo rimangono escluse le disposizioni contenute (oltre che
nei vari codici) anche in ogni altro testo normativo recante nell'epigrafe la
denominazione "codice" o "testo unico", il che consente di affermare che la
legge n. 283\62 e s.m., in materia di alimenti, va esclusa dall'effetto
abrogativo in quanto il relativo testo normativo recita nel suo incipit
l'espressione "Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo Unico
delle leggi sanitarie approvato con Regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265 -
Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e
delle bevande". In altri termini non avrebbe avuto alcun senso su un piano
squisitamente logico, da un lato, escludere espressamente dall'abrogazione la
legge n. 441/63 modificativa della L. 283/62 e, dall'altro, non includere
quest'ultima tra le leggi sopravvissute, il che giustifica la mancata espressa
indicazione di questa nell'elenco delle leggi da salvare in coerenza, del resto,
con quanto previsto in via generale dall'art. 14 comma 17 della L. n. 246/05
disciplinante la sorte generale delle leggi da mantenere in vigore. Né la
situazione pare mutare in relazione alla circostanza che tra le norme da
escludere dal menzionato effetto abrogativo non figurasse il D.P.R. 3.8.1968 n.
1255 concernente la modifica, ex art. 1 del regolamento allegato, dell'art. 6
della L. 283/62, in quanto detto D.P.R. è stato a sua volta abrogato
espressamente dal D.P.R. 23.4.2001 n. 290. In conclusione, pertanto, può
affermarsi che, il paventato effetto abrogativo della L. n. 283/62 deve
ritenersi del tutto escluso. (riforma sentenza della Corte di Appello di Brescia
del 15/01/2010 che confermava la sentenza del Tribunale di Brescia resa in data
25/06/2007) Pres. De Maio, Est. Grillo, Ric. Facchi. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 9276
SALUTE - Sostanze alimentari destinati ad un immediato consumo - Congelamento
preventivo di conservazione - Esclusione - Danno alla salute - Reato di pericolo
astratto presunto. Non è conforme a legge, la procedura di conservazione
attraverso il congelamento preventivo di alimentari destinati ad un immediato
consumo, sussistendo i presupposti e i comprensibili rischi di alterazione del
prodotto a seguito di uno scongelamento (del quale oltretutto non é dato
conoscere le procedure) ovvero ad un congelamento. (riforma sentenza della Corte
di Appello di Brescia del 15/01/2010 che confermava la sentenza del Tribunale di
Brescia resa in data 25/06/2007) Pres. De Maio, Est. Grillo, Ric. Facchi.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n.
9276
SALUTE - Tentativo di frode in commercio - Presupposti per la configurabilità
del reato - Fattispecie. Ai fini della configurabilità del tentativo di
frode in commercio non è necessaria l'effettiva messa in vendita del prodotto,
essendo indicativa in tal senso la destinazione alla vendita del prodotto
diverso per origine provenienza o quantità o qualità rispetto a quelle
dichiarate o convenute (Cass. Sez. 2^ 28.10.2010 n. 41758) e non è neppure
necessario l'inizio di una concreta contrattazione tra il cliente e l'esercente
(Cass. Sez. 3^ 18.11.2008 n. 6885), va anche ricordato, che integra l'ipotesi
delittuosa in parola anche la mera esposizione sul banco vendita di prodotti con
segni mendaci, indipendentemente dal contatto con la clientela. Nella specie,
segni mendaci correttamente individuati nell'etichettatura del prodotto offerto
in vendita (un pezzo di fesa magra di Kg. 6,700 indicante una data - 3 gennaio
2005 - diversa da quella dell' 1 gennaio 2005 contenuta nel vassoio da dove quel
pezzo di carne era stato estratto, per essere contestualmente posizionato sul
banco vendita). Invero, uno dei dati qualificanti la condotta penalmente
rilevante è dato proprio dalla diversa etichettatura della data di scadenza
rispetto a quella originaria che implica la messa in vendita di aliud pro alio
(Cass. S.U. 25.10/2000 n. 28). (riforma sentenza della Corte di Appello di
Brescia del 15/01/2010 che confermava la sentenza del Tribunale di Brescia resa
in data 25/06/2007) Pres. De Maio, Est. Grillo, Ric. Facchi. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 9276
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Mezzi di prova - Prova decisiva - Mancata
assunzione - Superfluità di ulteriori mezzi istruttori - Art. 495 c. 2 c.p.p.-
Art. 507 c.p.p.. La mancata assunzione di una prova decisiva può essere
dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta
l'ammissione ai sensi dell'art. 495 comma 2 c.p.p. con la conseguenza che il
relativo motivo non può essere fatto valere in sede di legittimità ove quel
mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito rivolto al
giudice di merito ad avvalersi dei poteri integrativi probatori ex art. 507
c.p.p. senza esito positivo attesa la ritenuta non necessità da parte del
giudice investito della questione ai fini della decisione (Cass. Cass. Sez. 6^
5.8.2003 n. 33105). (riforma sentenza della Corte di Appello di Brescia del
15/01/2010 che confermava la sentenza del Tribunale di Brescia resa in data
25/06/2007) Pres. De Maio, Est. Grillo, Ric. Facchi. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 9276
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
1. Dott. DE MAIO Guido
Presidente
2. Dott. GRILLO Renato
Consigliere Rel.
3. Dott. AMORESANO Silvio
Consigliere
4. Dott. MARINI Luigi
Consigliere
5. Dott. RAMACCI Luca
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
FACCHI Albertino, nato a Poncarale l'8.1.1951
- avverso la sentenza emessa il 15 dicembre 2009 dalla Corte di Appello di
Brescia;
- udita nella pubblica udienza del 19 gennaio 2011 la relazione fatta dal
Consigliere Dr. Renato GRILLO;
- udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Alfredo MONTAGNA che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per il
reato di cui al capo a) e per il rigetto nel resto;
- sentito//
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Con sentenza del 15 gennaio 2010 la Corte di Appello di Brescia confermava la
sentenza del Tribunale di Brescia resa in data 25 giugno 2007 con la quale
FACCHI Albertino, imputato dei reati di cui all'art. 5 lett. b) della L. 283/62
e di cui agli artt. 56 e 515 c.p. [fatti commessi in Brescia il 3 gennaio 2005],
veniva ritenuto colpevole dei detti reati e condannato, con le circostanze
attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena di € 1.200 di multa.
Con la detta sentenza la Corte Territoriale disattendeva i motivi di appello in
base ai quali la difesa aveva, in via principale, richiesto l'assoluzione
dell'imputato dal reato sub a) perché il fatto non sussiste (in quanto mancava
la prova del cattivo stato di conservazione dei prodotti alimentari); dalla
imputazione sub b) per identica ragione (sul presupposto che non vi era prova
che le etichette rinvenute nel cestino dei rifiuti -- recanti una data di
scadenza diversa ed antecedente - fossero proprio quelle precedentemente apposte
sui prodotti, poi staccate e sostituite con etichette recanti date diverse e
posteriori); la nullità della ordinanza di diniego di ammissione dei testi
indicati in lista (sul presupposto che si trattasse di una richiesta generica
riferita per relationem al capo di imputazione) e del diniego di assunzione di
un teste ex art. 507 c.p.p. , osservando:
1) quanto, al primo motivo, che la prova del cattivo stato di conservazione si
traeva da quanto constatato de visu dai verbalizzanti e dallo stato di
congelamento dei prodotti alimentari conservati a temperature tra loro diverse;
2) quanto al secondo motivo, che la stessa presenza dei prodotti all'interno del
banco di vendita e, soprattutto, la circostanza che uno dei prodotti proveniva
da un vassoio recante una data diversa (3 gennaio 2005) da quella ivi figurante
(1 gennaio 2005) faceva ragionevolmente presumere che le etichette rinvenute
all'interno del cestino fossero esattamente quelle originariamente apposte, poi
sostituite da quelle nuove indicanti una data postuma;
3) che correttamente il giudice aveva negato sia l'ammissione dei testi indicati
in lista (per genericità del capitolato di prova), sia l'assunzione di un teste
a norma dell'art. 507 c.p.p, in quanto non ritenuto indispensabile.
Ha proposto ricorso in questa sede l'imputato, articolando i tre distinti
motivi.
Con riferimento al primo, afferente al reato di cui al capo a) (violazione della
legge sulla disciplina degli alimenti e bevande), ha dedotto mancanza e
manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione di
responsabilità, avendo la Corte omesso di specificare in cosa consistesse il
cattivo stato di conservazione, dato invece per scontato sulla base del solo
dato del preventivo congelamento dei prodotti e quali fossero gli elementi
indicativi di una destinazione alla vendita e/o distribuzione dei prodotti
medesimi, anche questa data per scontata, in quanto ritenuta "in re ipsa".
Rilevava, in proposito, che il reato in parola dovesse qualificarsi come
fattispecie di pericolo presunto e come, in concreto, non esistesse alcuno degli
indici tipici per affermare lo stato di cattiva conservazione della merce,
evidenziando, poi, come la Corte territoriale fosse incorsa in contraddizione
avendo, per un verso, affermato lo stato di cattiva conservazione e, per altro
verso, omesso di indicare i presupposti atti a dimostrare tale stato.
Con riguardo, poi, alla seconda ipotesi di reato in contestazione (tentata frode
in commercio), denunciava omessa motivazione sul punto relativo alla
individuazione delle caratteristiche difformi al vero necessarie per
l'integrazione della fattispecie.
Con il terzo motivo lamentava come già esposto con l'atto di appello, assoluta
mancanza di motivazione della ordinanza di rigetto della richiesta di parziale
rinnovazione del dibattimento e violazione della legge processuale (art. 603
c.p.p. in relazione all'art. 507 c.p.p.) in relazione all'immotivato diniego da
parte del Tribunale di integrare la prova per testi sollecitata alla fine della
istruzione dibattimentale, nonché nullità dell'ordinanza con la quale il
Tribunale aveva negato l'ammissione dei testi a discolpa per genericità della
prova.
In sede di discussione il difensore rilevava anche come, per effetto del D. L.vo
n. 212/10 (c.d. "semplificazione legislativa"), l'originaria ipotesi di reato
contemplata al capo a) dovesse ritenersi venuta meno per effetto di abrogazione
di legge e concludeva per l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata,
senza rinvio.
Ciò precisato in punto di fatto, prioritario appare - con riguardo alla
contestazione di cui al capo a) - l'esame della questione prospettata dalla
difesa del ricorrente in sede di discussione, concernente l'intervenuta
abrogazione della legge 283/62: una eventuale soluzione nel senso auspicato dal
ricorrente determinerebbe, infatti, il venir meno del reato ed il conseguente
annullamento della sentenza impugnata senza rinvio sul punto.
Per un corretto inquadramento del tema in esame pare opportuno, anzitutto,
effettuare una ricognizione del quadro normativo di riferimento, prendendo le
mosse dal testo della Legge- delega 28 novembre 2005 n. 246 (intitolata
"Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005") le cui disposizioni
sono entrate in vigore il 16 dicembre 2005.
In tale legge veniva previsto all'art. 14 comma 12, un termine massimo di 24
mesi (scadente il 16 dicembre 2007) entro il quale il Governo avrebbe dovuto
individuare le disposizioni legislative statali vigenti, evidenziando le
eventuali incongruenze e antinomie normative afferenti ai vari settori
legislativi oggetto dell'intervento di semplificazione e compendiando i
risultati in una relazione finale da trasmettere al Parlamento entro il medesimo
termine: spirato il quale, nei ventiquattro mesi successivi (quindi entro il 16
dicembre 2009), così come previsto ai commi 14 e 15 del medesimo art. 14, il
Governo era delegato ad adottare i vari decreti legislativi aventi lo scopo di
individuare quali, tra le varie disposizioni legislative dello Stato oggetto di
quella ricognizione, pubblicate anteriormente all' 1 gennaio 1970, dovessero
permanere in vigore, provvedendo poi al riordino complessivo della materia
oggetto dei detti decreti ed alla relativa semplificazione normativa.
Veniva altresì previsto in via generale - in deroga a quanto contemplato nei
menzionati commi 12, 14 e 15 - che una serie di disposizioni, delle quali non
rileva in questa sede indicare l'elenco completo, era comunque sottratta al
regime di ricognizione e successiva semplificazione legislativa: tra tali
disposizioni - per quanto qui di specifico interesse - venivano indicate alla
lettera a) quelle, antecedenti all' 1 gennaio 1970, contenute nel codice civile,
nel codice penale, nel codice di procedura civile, nel codice di procedura
penale e nel codice della navigazione - ivi incluse le disposizioni preliminari
e di attuazione - nonchè ogni altro testo normativo recante nell'epigrafe
l'indicazione "codice" ovvero "testo unico" e, alla lettera g), le disposizioni
elencate nei decreti legislativi di cui al comma 14 (D. Lgs.vi 179/09; 212/10 e
213/10 rispettivamente emanati 1'1 dicembre 2009 - il primo - e il 13 dicembre
2010 - gli altri due).
Proseguendo nell'analisi della normativa di riferimento, il primo di tali
decreti attuativi della delega conferita con la L. 246/05 - vale a dire il D.
L.vo 179/09 - individuava i criteri guida da seguire in vista del riordino della
materia e degli interventi di semplificazione, indicando anche i contenuti dei
due allegati (Allegato 1 - riguardante tutte quelle disposizioni anteriori all'
1 gennaio 1970, anche se modificate con leggi successive, la cui permanenza in
vigore si reputava "indispensabile" - e Allegato 2 - riguardante altre
disposizioni da non abrogare anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 14 commi
14, 14 bis e 14 ter della L. 246/05 e successive modificazioni), nonchè i
significati da attribuire a determinate espressioni contenute nel testo.
In particolare per "disposizioni legislative statali" si dovevano intendere
tutte quelle comprese in ogni singolo atto normativo dello Stato avente valore
di legge come indicato negli allegati 1 e 2, con effetto limitato a singole
disposizioni soltanto nei casi espressamente menzionati. L'espressione
"pubblicate anteriormente al l° gennaio 1970" si riferiva a tutte quelle
contenute in atti legislativi statali pubblicati tra il 17 marzo 1861 e il 31
dicembre 1969. L'espressione "anche se modificate con provvedimenti successivi"
si riferiva ad atti legislativi statali modificativi delle leggi antecedenti al
1 gennaio 1970, intervenuti successivamente a detta data.
Ed infine con il termine "permanenza in vigore" ci si intendeva riferire a tutte
quelle disposizioni legislative statali indicate negli allegati 1 e 2 del D.
L.vo in parola, nel testo vigente al momento della sua entrata in vigore.
I Decreti legislativi successivi (nn. 212/10 e 213/10) rispettivamente
abrogavano le disposizioni legislative di cui all'elenco allegato in conformità
a quanto previsto dall'art. 14 comma 14 quater della Legge 246/05 ed escludevano
dal detto effetto abrogativo tutte quelle altre disposizioni legislative
antecedenti all' 1 gennaio 1970 contenute nei tre allegati al decreto, cosi come
previsto dal D. L.vo n.179/09.
Va poi doverosamente ricordato che, per effetto di un avviso di rettifica
pubblicato nella G.U.R.I. n. 4 del 7 gennaio 2011 (rettifica riguardante il D.
L.vo n. 213/10) venivano escluse dal c.d. "effetto abrogativo" alcune norme
preindividuate delle quali, comunque, non rileva far cenno in quanto non
specificamente riguardanti la materia in esame.
Ad una prima lettura sembrerebbe quindi che la legge 283/62, concernente la
disciplina igienica della produzione e della vendita di alimenti e bevande, in
quanto emanata prima del 1 gennaio 1970 e non espressamente compresa nell'elenco
delle leggi da salvare, debba ritenersi abrogata per effetto dei vari decreti
legislativi succedutisi alla legge delega 246/05.
Ed in questo senso militerebbe -- a prescindere da un orientamento dottrinario
confermativo della ipotesi abrogativa - anche una recente sentenza pronunciata
da questa Corte (Cass. Sez. 3^ 25.2.2010 n. 12572) secondo la quale il detto
effetto abrogativo si sarebbe maturato il 16 dicembre 2010.
A ben vedere la decisione testè ricordata, nel disporre l'annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata in ordine al reato di cui all'art. 5 lett. d)
della Legge 283/62, ha espresso in via incidentale tale convincimento
preannunciando una abrogazione della legge a far data dal 16 dicembre 2010,
facendo leva sulle disposizioni contenute nel comma 14 ter contenuto nella L.
69/09 modificativa della L. 246/05 che individuavano nel termine di un anno
dalla data del 16 dicembre 2009, quello di definitiva abrogazione della legge
(al pari, naturalmente, di tutte le altre incluse espressamente o implicitamente
negli elenchi allegati ai vari Decreti Legislativi successivi).
Convincimento - come cennato - espresso in forma anticipatoria ed incidentale,
sulla base di una prima lettura del dato normativo testuale, senza uno specifico
approfondimento del tema in quanto ritenuto non indispensabile vista comunque la
intervenuta maturazione del termine prescrizionale che consentiva di superare,
allo stato degli atti, la questione in termini diversi. Esigenze di brevità
suggeriscono di non esplicitare nella sua interezza il ragionamento logico-
giuridico seguito dalla Corte che, nel richiamare i dati normativi emergenti
dalla Legge 246/05 e dai decreti legislativi successivamente emanati (si tratta
- come già fatto cenno - dei decreti n. 210/10; 212/10 e 213/10) ha ritenuto
che, per effetto delle modifiche apportate dall'art. 4 dalle L. 69/09 all'art.
14 della L. 246/05, tutte le disposizioni legislative statali non comprese nei
decreti legislativi di cui al comma 14, anche se successivamente modificate,
dovessero intendersi abrogate (così come previsto dall'art. 14 comma 14 ter
della L. 246/05 come modificata dall'art. 4 della L. 69/09) e coerentemente
concluso che alla data della decisione (25 febbraio 2010) quell'effetto
abrogativo ipotizzato e preannunciato per le ragioni su esposte, non si era
ancora verificato.
Ma a prescindere dalle argomentazioni - certamente non vincolanti in questa sede
proprio perché frutto di una valutazione semplicemente incidentale e non
approfondita del tema, risolto in altro modo - contenute nella cennata
decisione, ritiene oggi questa Corte melius re perpensa di giungere a
conclusioni diametralmente opposte a quelle ipotizzate dalla Corte nella
sentenza sopra citata.
In favore della soluzione positiva adottata con la presente sentenza militano
ragioni suffragate, anzitutto, da un dato normativo testuale e da una lettura
sistematica delle norme vigenti.
Riallacciandosi a quanto previsto dal cennato art. 14 comma 17 lett. a), della
L. 246/05, può senza tema di smentita, stabilirsi che dall'effetto abrogativo in
parola rimangono escluse le disposizioni contenute (oltre che nei vari codici)
anche in ogni altro testo normativo recante nell'epigrafe la denominazione
"codice" o "testo unico": il che consente di affermare che la legge in esame va
esclusa dall'effetto abrogativo in quanto il relativo testo normativa recita nel
suo incipit l'espressione "Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del
testo Unico delle leggi sanitarie approvato con Regio decreto 27 luglio 1934 n.
1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze
alimentari e delle bevande".
Ma vi è di più: tale legge è stata ulteriormente modificata ed integrata dalla
L. 26.2.1963 n. 441 entrata in vigore 12 aprile 1963.
Orbene, detta legge figura tra quelle espressamente escluse dall'intervento
abrogativo, in quanto indicata al n. 1891 dell'elenco di cui all'allegato 1 del
D. L.vo 179/09 riguardante le leggi da mantenere in vigore.
Se, allora, la legge di modifica di quella che a prima vista potrebbe apparire
inclusa nel novero delle leggi da eliminare è stata espressamente lasciata in
vigore, segno è che il legislatore non aveva alcuna intenzione di abrogare la
legge-madre verosimilmente attesa la sua importanza generale e le conseguenze
che ne sarebbero derivate sul piano della tutela generale della salute.
In altri termini non avrebbe avuto alcun senso su un piano squisitamente logico,
da un lato, escludere espressamente dall'abrogazione la legge 441/63
modificativa della L. 283/62 e, dall'altro, non includere quest'ultima tra le
leggi sopravvissute: il che giustifica la mancata espressa indicazione di questa
nell'elenco delle leggi da salvare in coerenza, del resto, con quanto previsto
in via generale dall'art. 14 comma 17 della L. 246/05 disciplinante la sorte
generale delle leggi da mantenere in vigore.
Né la situazione pare mutare in relazione alla circostanza che tra le norme da
escludere dal menzionato effetto abrogativo non figurasse il D.P.R. 3.8.1968 n.
1255 concernente la modifica, ex art. 1 del regolamento allegato, dell'art. 6
della L. 283/62, in quanto detto D.P.R. è stato a sua volta abrogato
espressamente dal D.P.R. 23.4.2001 n. 290.
Conclusivamente può affermarsi che, allo stato attuale, il paventato effetto
abrogativo della L. 283/62 deve ritenersi del tutto escluso.
Se queste sono le conclusioni che questa Corte ritiene di formulare in
subiecta materia, una volta escluso il venir meno della legge per effetto di
provvedimenti legislativi di tenore abrogativo, debbono esaminarsi nel merito i
rilievi formulati dal ricorrente: rilievi che - è bene subito precisare - non
sono comunque fondati.
In particolare l'argomento prospettato dal ricorrente riguardante l'affermato
(da parte della Corte territoriale) cattivo stato di conservazione delle
sostanze alimentari - elemento tipizzante della contestazione sub a) - sulla
base del solo dato rappresentato dal congelamento preventivo di alimentari
destinati ad un immediato consumo, non può trovare accoglimento, dovendosi
concordare con quanto argomentato dalla Corte di Appello circa il fatto che si
trattasse di una procedura di conservazione non corretta degli alimenti
destinati al consumo a causa di quei comprensibili rischi di alterazione del
prodotto che sarebbero potuti conseguire ad uno scongelamento (del quale
oltretutto non é dato conoscere le procedure) ovvero ad un congelamento.
In questo senso può convenirsi con le conclusioni cui è giunta la Corte
territoriale che, implicitamente e sinteticamente, ha ricordato quali fossero le
regole fondamentali di una corretta procedura di conservazione dei prodotti
alimentari, senza che potesse incidere il grado di commestibilità della sostanza
alimentare o l'eventuale verificarsi di un danno alla salute estranei alla
fattispecie, che si configura come reato di pericolo astratto presunto.
Né in tale motivazione sono ravvisabili salti logici ovvero contraddizioni
interne come prospettato dalla difesa del ricorrente, tenuto conto che, seppure
in termini generali, la Corte ha esaustivamente evidenziato come la tecnica di
congelamento del prodotto fosse indicativa di per sè di una conservazione non
conforme a legge, non occorrendo indicare i vari presupposti dimostrativi di
tale stato negativo.
Ma anche con riguardo all'altro profilo riguardante il reato in esame, deve
concordarsi con la Corte in ordine alla ritenuta destinazione per la vendita dei
prodotti alimentari meglio descritti nel capo a) della imputazione, laddove si
tenga conto del dato generale della collocazione di tali prodotti all'interno di
un supermercato ex sé finalizzato allo smercio dei prodotti ed al particolare
tipo di confezionamento di alcuni di detti prodotti, nonché ancora alla
predisposizione per alcuni di essi (carne tritata) delle operazioni preliminari
per la messa in vendita cui erano intenti alcuni degli addetti al settore.
In questo senso non appare condivisibile quanto sostenuto dalla difesa in ordine
ad una motivazione sostanzialmente apodittica offerta dalla Corte, in quanto il
richiamo fatto dal giudice di appello ai dati analizzati dal giudice di primo
grado (la cui decisione si salda con quella di secondo grado) consente di
escludere che la Corte abbia proceduto sulla base di meri dati presuntivi.
Tanto precisato, deve comunque osservarsi che alla data di emissione della
sentenza di appello era trascorso il termine massimo prescrizionale pari -
secondo il regime previgente di cui all'art. 157 c.p. applicabile nella specie
attesa l'epoca di commissione del reato - ad anni quattro e mesi sei comprensivi
della proroga, decorrenti dalla data di accertamento del fatto - reato
(qualificabile come istantaneo), non essendosi rilevate cause di sospensione
della prescrizione.
Quanto, poi, ai motivi di ricorso formulati con riferimento al reato di cui al
capo b), gli stessi sono ugualmente infondati, dovendosi condividere le
motivazioni - esenti da vizi logici - con le quali la Corte territoriale è
giunta alla conclusione che nella condotta descritta in tale capo di imputazione
fosse ravvisabile il tentativo di frode in commercio.
Premesso che ai fini della configurabilità del tentativo di frode in commercio
non è necessaria l'effettiva messa in vendita del prodotto, essendo indicativa
in tal senso la destinazione alla vendita del prodotto diverso per origine
provenienza o quantità o qualità rispetto a quelle dichiarate o convenute (Cass.
Sez. 2^ 28.10.2010 n. 41758) e non apparendo necessario l'inizio di una concreta
contrattazione tra il cliente e l'esercente (Cass. Sez. 3^ 18.11.2008 n. 6885),
va anche ricordato, sulla base di giurisprudenza uniforme di questa Corte, che
integra l'ipotesi delittuosa in parola anche la mera esposizione sul banco
vendita - come è accaduto nel caso de quo -- di prodotti con segni mendaci,
indipendentemente dal contatto con la clientela: segni mendaci correttamente
individuati dalla Corte nell'etichettatura del prodotto offerto in vendita (un
pezzo di fesa magra di Kg. 6,700 indicante una data - 3 gennaio 2005 - diversa
da quella dell' 1 gennaio 2005 contenuta nel vassoio da dove quel pezzo di carne
era stato estratto, per essere contestualmente posizionato sul banco vendita).
Invero uno dei dati qualificanti la condotta penalmente rilevante è dato proprio
dalla diversa etichettatura della data di scadenza rispetto a quella originaria
che implica la messa in vendita di aliud pro alio (v. anche Cass. S.U.
25.102000 n. 28).
Non può quindi convenirsi con la difesa del ricorrente circa la mancanza di
motivazione da parte della Corte, esplicitata invece in modo adeguato e conforme
anche ai dati probatori acquisiti al processo, attraverso la indicazione di dati
diversi dal vero, contenuti nel prodotto collocato sul banco vendita.
Quanto, infine, alle censure afferenti alla mancanza di motivazione in merito al
diniego della rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale in grado di
appello, le stesse non sono fondate, posto che correttamente ed in modo congruo,
la Corte territoriale - al pari di quanto già statuito dal Tribunale - ha
ritenuto la prova dichiarativa sollecitata dalla difesa nella fase di appello
non decisiva (per tale dovendosi intendere quella che possa risultare
determinante per un esito diverso del processo).
Peraltro, come precisato ripetutamente da questa Corte, la mancata assunzione di
una prova decisiva può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui
sia stata chiesta l'ammissione ai sensi dell'art. 495 comma 2 c.p.p. con la
conseguenza che il relativo motivo non può essere fatto valere in sede di
legittimità ove quel mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso
l'invito rivolto al giudice di merito ad avvalersi dei poteri integrativi
probatori ex art. 507 c.p.p. senza esito positivo attesa la ritenuta non
necessità da parte del giudice investito della questione ai fini della decisione
(Cass. Cass. Sez. 6^ 5.8.2003 n. 33105).
Né può ritenersi - come sostenuto dalla difesa - che il diniego da parte del
Tribunale di avvalersi dei poteri integrativi di cui all'art. 507 c.p.p. fosse
immotivato, in quanto - come correttamente ricordato dalla Corte di Appello - il
contenuto dell'ordinanza pronunciata dal primo giudice derivava proprio dalla
constatata superfluità di ulteriori mezzi istruttori.
Analogamente è a dirsi dell'ordinanza con la quale il Tribunale ha ritenuto di
non ammettere i testi indicati in lista, avendo la Corte territoriale confermato
il dato della genericità, non tanto e non solo del capitolato di prova indicato
attraverso un mero rinvio al capo di imputazione, ma anche di quest'ultimo, in
termini tali da inibire una assunzione di testi c.d. "libera" senza la benché
minima delimitazione del thema probandum.
E' peraltro noto che vige in materia il principio di una sua indicazione
attraverso la c.d. "capitolazione", implicita o esplicita, delle circostanze
sulle quali dovrà vertere l' esame (Cass. Sez. 2^ 19.10.2000 n. 192), nel caso
di specie non rispettato.
Sulla base di tali considerazioni, va allora disposto l'annullamento della
sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo a) per
estinzione dello stesso a seguito di intervenuta prescrizione con contestuale
eliminazione della quota di aumento della pena pecuniaria (multa) pari ad €
200,00 come determinata dal Tribunale, rientrando ciò nei poteri di questa
Corte, ai sensi dell'art. 620 lett. 1) c.p.p.
Va, per il resto rigettato il ricorso come sopra proposto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo
a) perché estinto per intervenuta prescrizione ed elimina la relativa pena nella
misura di € 200,00 di mul ta . Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma il 19 gennaio 2011
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 9 Mar. 2011
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