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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 10/03/2011, n. 9690
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Area boscata e aree assimilate - Definizione -
Riferimenti normativi. La qualificazione di una zona come area boscata é
rilevante ai fini della disciplina paesaggistica in quanto rientrante tra i beni
soggetti a tutela in base alla legge, perché rientranti tra quelli individuati
dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 142, comma 1,
segnatamente, dalla lettera g) che contempla "i territori coperti da foreste e
da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a
vincolo di rimboschimento, come definiti dal Decreto Legislativo 18 maggio 2001,
n. 227, articolo 2, commi 2 e 6".Il Decreto Legislativo 18 maggio del 2001, n.
227 articolo 2, comma 6 fornisce, a sua volta, una definizione di bosco ed
assimila al bosco altre aree. Ciò posto si osserva che il bosco, così come
definito, é caratterizzato dalla presenza di vegetazione e da un'estensione
minima, mentre per le radure e le altre superfici che interrompono il bosco,
rientranti tra le "aree assimilate", é previsto un limite massimo di estensione
superato il quale viene meno l'assimilazione. Dette aree vengono, appunto,
assimilate al bosco perché non posseggono le caratteristiche indicate nella
definizione.
Le radure, in particolare, presentano, evidentemente, l'assenza di vegetazione
del tipo di quella che caratterizza il bosco altrimenti, come le altre aree
indicate, non potrebbero interromperlo. Tale distinzione, peraltro, ha un senso
evidente con riferimento alla tutela che la legge intende assicurare ad aree di
particolare pregio paesistico che non sarebbe giustificata per superfici
estranee, per caratteristiche, ai boschi ed alle foreste. (conferma sentenza
emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce). Pres. Ferrua - Est.
Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE,
Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Area boscata e aree assimilate - Macchia
mediterranea - Distinzione tra "macchia alta" e "macchia bassa" - Irrilevanza.
Non spetta al proprietario dell'area procedere ad una soggettiva valutazione
delle caratteristiche della vegetazione al fine di individuarne la
riconducibilità alla definizione di "macchia mediterranea". La formulazione
letterale della definizione di cui al Decreto Legislativo 18 maggio del 2001, n.
227, fa rientrare nella nozione di bosco sia la vegetazione arborea, sia la
macchia mediterranea come tale, indipendentemente dal suo carattere arboreo o
arbustivo (Sez. 3, n. 1874, 23 gennaio 2007), sicché non si dovrebbe più
distinguere tra "macchia alta", di predominanza arborea, e "macchia bassa", di
natura arbustiva (contra Sez. 3 n. 6011, 14 dicembre 2001 e n. 48118, 4 novembre
2011). (conferma sentenza emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce). Pres. Ferrua - Est. Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Piano Urbanistico Territoriale Tematico della
regione Puglia (PUTT/P) - Natura di intervento di pianificazione a carattere
generale - Efficacia. Il Piano Urbanistico Territoriale Tematico della
regione Puglia (PUTT/P) é riconducibile alla categoria dei piani urbanistico
territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e,
pertanto, costituisce un intervento di pianificazione a carattere generale
efficace su tutto il territorio regionale, non limitato alle aree e ai beni
elencati nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1997, articolo
82, comma 5, ovvero alle aree già sottoposte a uno specifico vincolo paesistico
(Sez. 3, n. 42916, 11 novembre 2009; Sez. 3, n. 41078, 6 novembre 2007).
(conferma sentenza emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce).
Pres. Ferrua - Est. Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Opere eseguite in assenza di autorizzazione
amministrativa - Necessità di autorizzazione
paesaggistica - Valutazione ai fini di cui all'art. 181 D.Lgs. 42/2004 -
Competenza dell'autorità giudiziaria penale - Artt. 146 e 149 D.Lgs. 42/2004. La valutazione del combinato
disposto degli articoli 146 e 149 del Decreto Legislativo 22 gennaio del 2004,
n. 42, circa la necessità o meno dell'autorizzazione paesaggistica allo scopo di
verificare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui
all'articolo 181 del medesimo decreto é di competenza dell'autorità giudiziaria
penale e non subisce condizionamenti dall'eventuale difforme opinione
dell'autorità amministrativa (Sez. 3 n. 35401, 24 settembre 2007). (conferma
sentenza emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce). Pres. Ferrua
- Est. Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Interventi non soggetti ad autorizzazione - Valutazione sulla necessità o meno di autorizzazione paesaggistica - Tipologia di lavori - Soggettiva interpretazione da parte del privato - Esclusione - Art. 149 D.Lgs. 42/2004. Con riferimento specifico alle ipotesi contemplate dal Decreto Legislativo 22 gennaio del 2004, n. 42, articolo 149, la valutazione circa la non soggezione dell'intervento ad autorizzazione paesaggistica, in base alla tipologia dei lavori, non può essere lasciata ad una soggettiva interpretazione della normativa di settore da parte del privato che detti lavori intende eseguire, sottraendo ogni possibilità di controllo preventivo all'autorità amministrativa. Lo scopo della norma é infatti quello di evitare, per tale tipologia di interventi, lo specifico procedimento autorizzatorio normalmente previsto, però, é di tutta evidenza che vengono posti dei limiti precisi che tengono conto dell'impatto dei lavori, nelle lettere a) (i lavori non devono alterare lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici), b) (gli interventi non devono comportare l'alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili e deve trattarsi di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio) e nella lettera c), secondo cui i lavori ivi indicati devono essere previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia. (conferma sentenza emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce). Pres. Ferrua - Est. Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Distruzione o deturpamento di bellezze naturali - Configurabilità - Successivo ripristino dello stato dei luoghi - Irrilevanza. Per la configurabilità della contravvenzione di cui all'articolo 734 c.p., é necessaria una effettiva distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi protetti, attesa la sua natura di reato di danno. L'evento dannoso può essere determinato attraverso qualsiasi condotta attiva od omissiva in considerazione della natura di reato a forma libera. L'alterazione che tale condotta comporta non deve, tuttavia, essere necessariamente grave e irreparabile, non incidendo sulla configurabilità del reato la circostanza che l'intervento eseguito consenta il successivo ripristino dello stato dei luoghi preesistente attraverso la rimozione dell'opera o in altro modo. (conferma sentenza emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce). Pres. Ferrua - Est. Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Distruzione o deturpamento di bellezze naturali - Interventi abusivi preesistenti - Configurabilità del reato - Art. 734 c.p.. La configurabilità del reato di cui all'articolo 734 c.p., non é esclusa dalla preesistenza di altri interventi, ben potendo un'opera abusiva seguire ad altre e concorrere all'alterazione dell'originaria conformazione del paesaggio (SS.UU. n. 72, 10 gennaio 1994), sempre che il giudice motivi adeguatamente in ordine al verificarsi della permanente menomazione della situazione di bellezza naturale attribuita al sito (Sez. 3, n. 46992, 9 novembre 2004). (conferma sentenza emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce). Pres. Ferrua - Est. Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Opere eseguite in assenza di autorizzazione amministrativa - Estinzione del reato ex art. 181, c. 1 quinquies, D. Lgs. n. 42/2004 - Onere della prova. L'articolo 181, comma 1 quinquies del Decreto Legislativo 22 gennaio del 2004, n. 42 (introdotto dalla "legge delega ambientale" 15 dicembre del 2004, n. 308) prevede una forma di estinzione del reato paesaggistico conseguente alla spontanea rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa e, comunque, prima che intervenga la condanna. Trattandosi di causa estintiva di un reato già perfezionato in tutti i suoi elementi essenziali, il relativo onere probatorio incombe sull'imputato (Sez. 3, n. 37371, 1 ottobre 2008). é peraltro evidente che anche lo spontaneo ripristino non può non essere preventivamente comunicato alle competenti autorità amministrative, non solo perché le effettive finalità potrebbero essere equivocate prima del completamento delle opere di ripristino, ma anche perché chi vi provvede ha sicuro interesse alla documentazione certa della spontaneità e tempestività dell'azione riparatoria, considerate le conseguenze favorevoli che, per legge, ne derivano. (conferma sentenza emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce). Pres. Ferrua - Est. Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Vizio di motivazione - Valutazione delle risultanze probatorie - Sindacato di legittimità - Limiti - Art. 606 lett. e) c.p.p. Il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all'articolo 606 c.p.p. dalla Legge n. 46 del 2006, Sez. 6, n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6, n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6, n. 23528, Sez. 3, n. 12110, 19 marzo 2009). (conferma sentenza emessa il 25/11/2009 dalla Corte d'Appello di Lecce). Pres. Ferrua - Est. Ramacci - P.M. Passacantando - Ric. Tu. Al. Gi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana
- Presidente
Dott. PETTI Ciro
- Consigliere
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria
- Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla I.
- Consigliere
Dott. RAMACCI Luca
- est. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TU. Al. Gi. nato a (Omissis);
avverso la sentenza emessa il 25 novembre 2009 dalla Corte d'Appello di Lecce;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAMACCI Luca;
Udito Pubblico Ministero nella persona del Dott. PASSACANTANDO Guglielmo che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Sentito il difensore Avv. Borgogno Roberto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'Appello di Lecce, con sentenza in data 25 novembre 2009, confermava
la condanna inflitta a TU. Al. dal Tribunale di Lecce il 23 settembre 2008 per
violazione della Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 146 e 181 e
articolo 734 c.p. in relazione all'esecuzione, in assenza della prescritta
autorizzazione, di un intervento di "smacchiamento e taglio di piante di pino di
Aleppo per circa mq 3750" su area "suscettibile di essere qualificata come
boscata".
Avverso tale decisione il TU. proponeva ricorso per cassazione.
Con un primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di
motivazione contestando, in particolare, la natura di "area boschiva" della zona
oggetto dell'intervento trattandosi, al contrario, di radura non equiparabile a
bosco ai sensi del Decreto Legislativo n. 227 del 2001, articolo 2, il quale
uguaglia ai boschi le radure e tutte le superfici di estensione inferiore ai
2000 mq che interrompono la continuità del bosco, mentre l'area interessata
dall'intervento per cui é processo si sviluppava su una superficie di 4000 mq,
come documentato da fotografie satellitari e dal consulente della difesa.
Aggiungeva, inoltre, che i lavori eseguiti consistevano nel diserbo e nella
pulizia dell'area, ove erano presenti erbe infestanti e sparsi elementi di
"gariga", estranei alla nozione legislativa di bosco e che la Corte territoriale
aveva errato nel calcolare la superficie dell'area medesima.
Precisava, inoltre, che gli alberi tagliati erano in numero esiguo e che, sul
punto, la contestazione era generica in quanto il numero effettivo delle piante
tagliate non era indicato.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge con riferimento
al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149 in relazione alla Legge
Regionale Puglia 12 maggio 1997, n. 15 ed al D.P.G.R. 4 aprile 2006, rilevando
che le opere seguite erano sottratte al regime autorizzatorio ai sensi del
Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149, lettera c) in quanto
rientranti nel novero delle opere antincendio imposte dalla richiamata normativa
regionale e rese ancor più necessarie dal fatto che la zona interessata dai
lavori era fortemente antropizzata.
Con un terzo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione in relazione
alla contestazione della violazione di cui all'articolo 734 c.p..
Osservava, sul punto, che risultava mancante la prova in ordine alla effettività
del danno, la quale non poteva risultare dalla semplice affermazione, contenuta
in sentenza, che il taglio della vegetazione aveva alterato il luogo, poiché per
la configurazione della contravvenzione é necessaria una lesione significativa
della bellezza naturale tale da turbarne il godimento estetico.
Aggiungeva che il rilascio di un'autorizzazione per la realizzazione di alcuni
manufatti, che si sarebbero sovrapposti al fronte della pineta, evidenziava
l'esistenza di un intervento molto più invasivo ed implicava l'inoffensività in
concreto dell'intervento in contestazione.
Con un quarto motivo di ricorso deduceva la violazione dell'articolo 181, comma
1 ter in relazione al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 142,
146 e 181, in quanto l'autorizzazione rilasciata successivamente per
l'esecuzione di parcheggi, un punto di ristoro ed altri manufatti nell'area dove
sarebbe avvenuto il disboscamento implicherebbe, necessariamente, l'esecuzione
di lavori di diradamento della vegetazione presente e comporterebbe l'estinzione
del reato ai sensi del menzionato articolo 181, comma 1ter.
Con un quinto motivo di ricorso denunciava la violazione di legge in riferimento
all'articolo 417 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181,
comma 1 quinquies, lamentando che la genericità dell'imputazione avrebbe
impedito all'imputato di porre in essere quella condotta positiva dalla quale il
menzionato articolo 181, comma 1 quinquies fa derivare l'estinzione del
reato di cui al comma 1 della medesima disposizione.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso é infondato.
Con riferimento al primo motivo di ricorso occorre osservare che l'impugnato
provvedimento indica chiaramente che l'area interessata é ricompresa nel PUTT/P,
ove é classificata come "ambito territoriale esteso di valore rilevante B" e,
conseguentemente soggetta a vincolo paesaggistico.
Come specificato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 42916, 11
novembre 2009; Sez. 3, n. 41078, 6 novembre 2007), il Piano Urbanistico
Territoriale Tematico della regione Puglia (PUTT/P) é riconducibile alla
categoria dei piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei
valori paesistici e ambientali e, pertanto, costituisce un intervento di
pianificazione a carattere generale efficace su tutto il territorio regionale,
non limitato alle aree e ai beni elencati nel Decreto del Presidente della
Repubblica n. 616 del 1997, articolo 82, comma 5, ovvero alle aree già
sottoposte a uno specifico vincolo paesistico.
Nel Titolo 1, articolo 2.01, comma 1.2 si individuano come aree di "valore
rilevante B" quelle ove "sussistano condizioni di compresenza di più beni
costitutivi con o senza prescrizioni vincolistiche preesistenti".
Secondo il comma 2 del medesimo articolo, i terreni e gli immobili compresi
negli ambiti territoriali estesi di valore eccezionale, rilevante, distinguibile
e relativo, sono sottoposti a tutela diretta dal Piano e:
1) non possono essere oggetto di lavori comportanti modificazioni del loro stato
fisico o del loro aspetto esteriore che per tali lavori sia stata rilasciata
l'autorizzazione paesaggistica di cui all'articolo5.01;
2) non possono essere oggetto degli effetti di pianificazione di livello
territoriale e di livello comunale senza che per detti piani sia stato
rilasciato il parere paesaggistico di cui all'articolo 5.03;
3) non possono essere oggetto di interventi di rilevante trasformazione, cosi
come definiti nell'articolo 4.01, senza che per gli stessi sia stata rilasciata
la attestazione di compatibilità paesaggistica di cui all'articolo 5.04.
La collocazione all'interno dell'area interessata dal PUTT/P, pertanto,
consentiva di qualificare l'area come sottoposta a vincolo paesaggistico ed
assoggettata alla relativa disciplina e, avuto riguardo alla tipologia
dell'intervento, come si dirà in seguito, questo non rientrava tra quelli per i
quali, ai sensi dell'articolo 5.2, non é richiesta la preventiva autorizzazione
paesaggistica.
La sussistenza del vincolo in base al PUTT/P renderebbe pertanto superflua ogni
ulteriore considerazione in ordine alla qualificazione dell'area come boscata o
meno, tuttavia, le argomentazioni poste a sostegno del primo motivo di ricorso
sono comunque prive di fondamento anche per quanto attiene la qualificazione
della zona oggetto dell'intervento come area boscata.
Tale qualificazione é rilevante ai fini della disciplina paesaggistica in quanto
rientrante tra i beni soggetti a tutela in base alla legge perché rientranti tra
quelli individuati dall'articolo 142, comma 1 e, segnatamente, dalla lettera g)
che contempla "i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o
danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come
definiti dal Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 227, articolo 2, commi 2 e
6".
Il Decreto Legislativo n. 227 del 2001, articolo 2, commi 6 fornisce, a sua
volta, una definizione di bosco (terreni coperti da vegetazione forestale
arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale,
in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia
mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali,
i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e
d'arboricoltura da legno di cui al comma 5. Le suddette formazioni vegetali e i
terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri
quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al
20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti) ed
assimila al bosco altre aree (fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per
le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria,
salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione
del paesaggio e dell'ambiente in generale, nonché le radure e tutte le altre
superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadri che interrompono la
continuità del bosco).
Ciò posto si osserva che il bosco, così come definito, é caratterizzato dalla
presenza di vegetazione e da un'estensione minima, mentre per le radure e le
altre superfici che interrompono il bosco, rientranti tra le "aree assimilate",
é previsto un limite massimo di estensione superato il quale viene meno
l'assimilazione.
é poi evidente che dette aree vengono, appunto, assimilate al bosco perché non
posseggono le caratteristiche indicate nella definizione.
Le radure, in particolare, presentano, evidentemente, l'assenza di vegetazione
del tipo di quella che caratterizza il bosco altrimenti, come le altre aree
indicate, non potrebbero interromperlo.
Tale distinzione, peraltro, ha un senso evidente con riferimento alla tutela che
la legge intende assicurare ad aree di particolare pregio paesistico che non
sarebbe giustificata per superfici estranee, per caratteristiche, ai boschi ed
alle foreste.
Date tali premesse, deve osservarsi come, dal provvedimento impugnato, emerga
che l'area interessata dall'intervento e sottoposta a sequestro abbia una
superficie di 3967 mq e fosse interessata dalla presenza di alberi (pino
d'Aleppo) e di vegetazione a macchia.
Tali caratteristiche, oggetto di accertamento in fatto sottratto alla cognizione
di questa Corte, sono astrattamente riconducibili alla "vegetazione forestale
arborea associata a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in
qualsiasi stadio di sviluppo" che caratterizza il bosco così come definito dal
Decreto Legislativo n. 227 del 2001 e, pertanto, anche sotto tale profilo ben
poteva ritenersi sussistente il vincolo sull'area medesima che non poteva quindi
ascriversi alla nozione di "radura".
Anche la presenza di "macchia mediterranea", che il menzionato Decreto
Legislativo ricomprende nella nozione di bosco indipendentemente, secondo il
dato letterale, dalla presenza della vegetazione forestale arborea di cui si é
appena detto, avrebbe caratterizzato l'area come vincolata.
Come correttamente osservato dalla Corte territoriale, infatti, non spetta certo
al proprietario dell'area procedere ad una soggettiva valutazione delle
caratteristiche della vegetazione al fine di individuarne la riconducibilità
alla definizione di "macchia mediterranea" secondo i riferimenti contenuti nella
sentenza di questa Corte (Sez. 3, n. 1874, 23 gennaio 2007) richiamata dal
ricorrente.
Peraltro la ricordata decisione si esprime chiaramente nel senso che la
formulazione letterale della definizione fa rientrare nella nozione di bosco
"sia la vegetazione arborea, sia la macchia mediterranea come tale,
indipendentemente dal suo carattere arboreo o arbustivo, sicché non si dovrebbe
più distinguere tra "macchia alta", di predominanza arborea, e "macchia bassa",
di natura arbustiva" aggiungendo di non condividere quella giurisprudenza (Sez.
3 n. 6011, 14 dicembre 2001 e n. 48118, 4 novembre 2011) che pur avendo
meritoriamente distinto "secondo criteri botanici, le nozioni di macchia alta,
macchia bassa e macchia rada o gariga" ha del tutto ignorato la definizione
contenuta nel menzionato Decreto Legislativo n. 227 del 2001.
La distinzione effettuata appare, pertanto, superata dalla definizione normativa
e la decisione che il ricorrente richiama si limita ad osservare, in via del
tutto ipotetica, che in base alla distinzione operata dalla sentenza 6011/01
"...si potrebbe plausibilmente sostenere che dei tre tipi di macchia
individuati... solo la gariga, cioè la scarna coltre vegetale dei suoli più
poveri, resti estranea alla nozione legislativa di bosco".
Si tratta, in definitiva, di una indicazione del tutto ipotetica e che
comporterebbe, in ogni caso, una verifica della oggettiva consistenza e
tipologia di vegetazione.
é appena il caso di aggiungere che anche in questo caso, pur volendo qualificare
l'area come "macchia mediterranea", la presenza di vegetazione (e di alberi di
pino, circostanza non contestata dal ricorrente se non per il numero) ne
escluderebbe la natura di "radura".
Anche il secondo motivo di ricorso é infondato.
La difesa richiama il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149 che
espressamente esclude (lettera c)) dagli interventi soggetti ad autorizzazione
"il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica,
antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati
dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base
alla normativa in materia ", quest'ultima individuata nella normativa regionale
richiamata.
Va osservato, a tale proposito, che questa Corte ha precisato che la valutazione
del combinato disposto del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 146 e
149 circa la necessità o meno dell'autorizzazione paesaggistica allo scopo di
verificare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui
all'articolo 181 del medesimo decreto é di competenza dell'autorità giudiziaria
penale e non subisce condizionamenti dall'eventuale difforme opinione
dell'autorità amministrativa (Sez. 3 n. 35401, 24 settembre 2007).
Tale principio, che il Collegio condivide, va senz'altro ribadito rilevando, con
riferimento specifico alle ipotesi contemplate dal Decreto Legislativo n. 42 del
2004, articolo 149, che, in ogni caso, la valutazione circa la non soggezione
dell'intervento ad autorizzazione paesaggistica in base alla tipologia dei
lavori non può essere lasciata ad una soggettiva interpretazione detta normativa
di settore da parte del privato che detti lavori intende eseguire, sottraendo
ogni possibilità di controllo preventivo all'autorità amministrativa.
Lo scopo della norma é infatti quello di evitare, per tale tipologia di
interventi lo specifico procedimento autorizzatorio normalmente previsto ma é di
tutta evidenza che vengono posti dei limiti precisi che tengono conto
dell'impatto dei lavori nelle lettera a) (i lavori non devono alterare lo stato
dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici) e b) (gli interventi non devono
comportare l'alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni
edilizie ed altre opere civili e deve trattarsi di attività ed opere che non
alterino l'assetto idrogeologico del territorio) e della circostanza che i
lavori siano previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia nella
lettera c).
Nel caso di specie, la tipologia dell'intervento descritto nell'imputazione e
consistito nell'eliminazione della vegetazione e degli alberi presenti nell'area
sequestrata esclude che detti interventi possano essere qualificati come "opere
antincendio" che imponevano comunque, a norma del menzionato articolo 149, una
espressa previsione ed una preventiva autorizzazione.
Di tali atti amministrativi non viene fatta menzione in ricorso se non con il
mero richiamo a disposizioni normative di carattere generale e ad una delibera
della Giunta Regionale della Puglia che riguarda genericamente un piano di
prevenzione e lotta agli incendi.
Non vi era, dunque, alcun elemento oggettivo che la Corte territoriale avrebbe
potuto validamente considerare per escludere la necessità della preventiva
autorizzazione.
La tipologia dell'intervento escludeva anche, come si é accennato in precedenza,
che esso potesse rientrare tra le opere indicate dall'articolo 5.2 del PUTT/P
che individua gli interventi esentati dall'autorizzazione paesaggistica.
Anche in questo caso, tuttavia, l'esenzione sarebbe stata soggetta ad un
controllo da parte dell'autorità amministrativa e non rimessa all'arbitraria
decisione del soggetto interessato all'esecuzione dei lavori.
Il comma 2 del citato articolo stabilisce, infatti, che "Il Sindaco rilascia la
autorizzazione-concessione edilizia per gli interventi esentati, previa
asseverazione del progettista delle opere che attesti la veridicità di quanto
descritto nel progetto stesso".
Va peraltro incidentalmente rilevato come l'assunto difensivo, che indica i
lavori come imposti dalla Regione e finalizzati alla prevenzione degli incendi,
si ponga in contraddizione con quanto affermato nel quarto motivo di ricorso,
dove le opere di disboscamento sono indicate come finalizzate allo sgombero
dell'area per la costruzione di un parcheggio ed altre opere successivamente
realizzate.
Anche sotto tale profilo, dunque, la decisione impugnata appare, immune da
censure.
L'infondatezza del terzo motivo di ricorso é evidente.
Va ricordato, con riferimento al vizio di motivazione, che la consolidata
giurisprudenza di questa Corte é orientata nel senso di ritenere che il
controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta
circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo
accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo con
riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può
risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in
ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio,
limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all'articolo 606
c.p.p. dalla Legge n. 46 del 2006, Sez. 6, n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6, n.
14054, 20 aprile 2006; Sez. 6, n. 23528, Sez. 3, n. 12110, 19 marzo 2009).
Ciò premesso, va ricordato che la natura di reato di danno determina, per la
configurabilità della contravvenzione di cui all'articolo 734 c.p., la necessità
di una effettiva distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi
protetti.
Tale evento può essere determinato attraverso qualsiasi condotta attiva od
omissiva in considerazione della natura di reato a forma libera.
L'alterazione che tale condotta comporta non deve, tuttavia, essere
necessariamente grave e irreparabile, non incidendo sulla configurabilità del
reato, in tale ultimo caso, la circostanza che l'intervento eseguito consenta il
successivo ripristino dello stato dei luoghi preesistente attraverso la
rimozione dell'opera o in altro modo.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche precisato che la configurabilità
del reato non é esclusa dalla preesistenza di altri interventi, ben potendo
un'opera abusiva seguire ad altre e concorrere all'alterazione dell'originaria
conformazione del paesaggio (SS.UU. n. 72, 10 gennaio 1994) sempre che il
giudice motivi adeguatamente in ordine al verificarsi della permanente
menomazione della situazione di bellezza naturale attribuita al sito (Sez. 3, n.
46992, 9 novembre 2004).
Alla luce delle considerazioni appena espresse, si osserva che i giudici
dell'appello abbiano compiutamente adempiuto agli obblighi motivazionali loro
imposti dando conto della circostanza che l'intervento, oggettivamente
considerato, era idoneo a determinare una permanente alterazione dell'area
soggetta a speciale protezione in quanto inserita nel PUTT/P.
Non era dunque necessario dimostrare, come preteso in ricorso, che l'alterazione
dei luoghi fosse tale da suscitare "determinate percezioni sensoriali negative",
ben potendo la semplice descrizione della consistenza e delle modalità
dell'intervento e la indicazione del contesto generale nel quale esso si colloca
rendere esaurientemente conto della sussistenza del danno concreto che
l'articolo 734 c.p. richiede, tanto più quando la valutazione degli effetti
negativi dei lavori eseguiti sia stata in precedenza analizzata nel dettaglio
con riferimento al concorrente reato sanzionato dal Decreto Legislativo n. 42
del 1940, articolo 181.
Anche il quarto motivo di ricorso é infondato.
Come chiaramente indicato nel provvedimento impugnato, l'intervento di
disboscamento é stato eseguito in assenza della preventiva autorizzazione
dell'ente preposto alla tutela del vincolo.
Detta autorizzazione precede, dunque, l'intervento e presuppone una preventiva
valutazione dell'incidenza dello stesso sull'assetto paesaggistico.
Deve essere pertanto espressa, non ammette equipollenti e deve avere ad oggetto
gli interventi che si intende realizzare.
Eventuali autorizzazioni successive non possono riconoscere implicitamente la
compatibilità paesaggistica dell'intervento già eseguito, poiché l'accertamento
di compatibilità paesaggistica presuppone uno specifico procedimento
amministrativo.
L'articolo 181, comma 1 quater prevede, infatti che il proprietario,
possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati
dagli interventi di cui al comma 1-ter presenti apposita domanda all'autorità
preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità
paesaggistica degli interventi medesimi.
L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di
centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi
entro il termine perentorio di novanta giorni.
Si tratta, dunque, di un procedimento autonomamente disciplinato, finalizzato al
rilascio dello specifico accertamento della compatibilità paesaggistica e tale
accertamento non ammette equipollenti.
Infondato é, infine, anche il quinto motivo di ricorso.
Introdotto dalla "legge delega ambientale" n. 308 del 2004, l'articolo 181,
comma 1 quinquies prevede una forma di estinzione del reato paesaggistico
conseguente alla spontanea rimessione in pristino delle aree o degli immobili
soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga
disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa e, comunque, prima che
intervenga la condanna.
Come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 37371, 1 ottobre
2008) trattandosi di causa estintiva di un reato già perfezionato in tutti i
suoi elementi essenziali, il relativo onere probatorio incombe all'imputato.
é peraltro evidente che anche lo spontaneo ripristino non può non essere
preventivamente comunicato alle competenti autorità amministrative, non solo
perché le effettive finalità potrebbero essere equivocate prima del
completamento delle opere di ripristino, ma anche perché chi vi provvede ha
sicuro interesse alla documentazione certa della spontaneità e tempestività
dell'azione riparatoria, considerate le conseguenze favorevoli che, per legge,
ne derivano.
Nella fattispecie, il ricorrente non ha fornito alcun elemento atto a suffragare
neppure la mera intenzione di un intervento ripristinatorio la cui esecuzione
non era certo impedita dalla impossibilità di conoscere il numero esatto di
alberi estirpati.
Lo stesso ricorrente smentisce, peraltro, l'effettiva esistenza di tale
intenzione laddove individua le opere eseguite come propedeutiche all'esecuzione
di altri lavori successivamente autorizzati.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
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