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T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 13 gennaio 2011, n. 6
INQUINAMENTO - Bonifica - Artt. 242 e ss. d.lgs. n. 152/2006 - Obbligo di
bonifica - Proprietario dell’area inquinata - Facoltà di eseguire gli interventi
- Opere realizzate dall’amministrazione competente - Privilegio speciale
immobiliare sul fondo. La legge pone l’obbligo di bonifica in capo al
responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di
ricercare ed individuare (v. gli artt. 242 e 244 del D.Lgs. n. 152/2006), mentre
il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati
hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica (art. 245 D.Lgs.
n. 152/2006); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza
di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle
Amministrazioni competenti (art. 250 decreto cit.), salvo, a fronte delle spese
da esse sostenute, l’esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo,
a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi
relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a
trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253 decreto cit.).
Pres. Corasaniti, Est. Settesoldi - A. s.p.a. e altro (avv.ti Giadrossi e
Tommasini) c. Ministero dell’Ambiente e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.).
TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 13 gennaio 2011, n. 6
INQUINAMENTO - Bonifica - Diritto dell’amministrazione al recupero degli
oneri di bonifica - Azione di ingiustificato arricchimento. Il diritto
dell’amministrazione al recupero degli oneri della bonifica va ricondotto
nell’alveo delle azioni di ingiustificato arricchimento, rispetto alle quali la
azione in parola si differenzia essenzialmente per l’esistenza di particolari
forme di garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano
il recupero dei costi di intervento. Pres. Corasaniti, Est. Settesoldi - A.
s.p.a. e altro (avv.ti Giadrossi e Tommasini) c. Ministero dell’Ambiente e altri
(Avv. Stato) e altri (n.c.). TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 13/01/2011,
n. 6
INQUINAMENTO - Bonifica - Responsabilità per danni all’ambiente - Natura -
Responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.. - Art. 311, c. 2 d.lgs. n. 152/2006.
Dal D.Lgs. n. 152/2006 ( art. 311, comma 2) si evince che la responsabilità
per i danni all’ambiente rientra nel paradigma della “tradizionale”
responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. “responsabilità aquiliana ex
art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità
oggettiva. Pres. Corasaniti, Est. Settesoldi - A. s.p.a. e altro (avv.ti
Giadrossi e Tommasini) c. Ministero dell’Ambiente e altri (Avv. Stato) e altri (n.c.).
TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 13 gennaio 2011, n. 6
INQUINAMENTO - Provvedimento impositivo della bonifica - Notifica al
proprietario dell’area inquinata - finalità. Il provvedimento impositivo
della messa in sicurezza e bonifica va notificato al proprietario al fine di
renderlo edotto dell’onere reale gravante sul fondo (che egli ha facoltà di
assolvere per liberare l’area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure
di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o
corresponsabilità, del proprietario (e, anche a maggior ragione, del mero
utilizzatore di cui non viene dimostrata e nemmeno minimamente postulata la
responsabilità) per l’inquinamento del sito. Pres. Corasaniti, Est. Settesoldi -
A. s.p.a. e altro (avv.ti Giadrossi e Tommasini) c. Ministero dell’Ambiente e
altri (Avv. Stato) e altri (n.c.). TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 13
gennaio 2011, n. 6
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N. 00006/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00356/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 356 del 2008, proposto da:
Auta Marocchi Spa, Am Immobiliare Spa, rappresentati e difesi dagli avv.
Alessandro Giadrossi, Gilberto Tommasini, con domicilio eletto presso Alessandro
Giadrossi Avv. in Trieste, via S. Caterina Da Siena 5;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e Ispesl,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in
Trieste, piazza Dalmazia 3;
Ministero Infrastrutture, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, Regione Friuli-Venezia Giulia, Provincia di
Trieste, Comune di Trieste, Comune di Muggia, Comune di San Dorligo della Valle,
Autorita' Portuale di Trieste, Capitaneria di Porto di Trieste, Agenzia
Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Friuli Venezia Giulia, Apat, Icram, Enea,
Iss - Istituto Superiore di Sanita', Asl 101 - Triestina, C.C.I.A.A. di Trieste
ed Ezit, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del decreto dd. 6 giugno 2008, emesso dal Direttore Generale del Ministero
dell'Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, delle determinazioni della
Conferenza dei Servizi decisoria dd. 28.5.2008, delle determinazioni assunta
dalla Conferenza di Servizi Istruttoria dd. 4.4.2008 e di ogni altro atto
connesso, presupposto o conseguente
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare e dell’ Ispesl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2010 il dott. Oria
Settesoldi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ricorrente espone di svolgere la propria attività in area in locazione, che
ricade nel perimetro del Sito di Interesse Nazionale individuato dal d.m. 24
febbraio 2003, n. 11025, ove si prevede l'effettuazione di "attività di
caratterizzazione per accertare le effettive condizioni di inquinamento al fine
di pervenire alla individuazione del perimetro definitivo".
Nel mese di marzo 2005 l'Auta Marocchi predisponeva una proposta di piano di
caratterizzazione relativo all'area da essa utilizzata avvalendosi di
professionisti che esperivano indagini da cui risultava l'assenza di alcuna
forma di contaminazione attuale, con la precisazione che non si conoscevano
episodi avvenuti in passato, di contaminazione del sito. Venivano definite
altresì le indagini necessarie alla verifica dello stato di contaminazione del
terreno e delle acque sotterranee rispetto all'area contermine a quella in cui è
insediata la Auta Marocchi S.p.a., con la previsione, sotto quest'ultimo
aspetto, di installare alcuni tubi piezometrici.
Detto piano di caratterizzazione veniva approvato con prescrizioni dalla
conferenza di servizi decisoria, indetta dal Ministero dell'Ambiente, della
Tutela del Territorio e del Mare, del 27 aprile 2005 e si indicava la necessità
di integrarlo con riferimento alla residua area di competenza della ricorrente.
Il piano integrativo veniva redatto nel novembre e nell'elaborato veniva
descritto l'intervento realizzato dalla Auta Marocchi, consistente nella posa in
opera di cinque tubi piezometrici per il controllo delle acque sotterranee,
nonché riportati i risultati delle analisi delle acque sotterranee estratte da
un unico piezometro (CA9) in quanto i residui quattro erano rimasti asciutti.
Veniva riscontrato un modesto superamento dei limiti previsti dall'allegato 1 al
d.m. 471 del 1999 con riferimento all'alluminio, all'arsenico e al manganese.
I professionisti affermavano che la modesta contaminazione da metalli pesanti
riscontrata nel campione prelevato dal piezometro CA9 era accettabile e non
poteva, in ogni caso, essere ricondotta in alcun modo all'attività della Auta
Marocchi. Veniva inoltre esclusa la necessità di procedere ad interventi di
barrieramento idraulico, attesa l'eccessiva onerosità degli stessi, l'assenza di
pericoli di ordine sanitario, la sussistenza di un confinamento fisico dell'area
già determinato dall'asfaltatura esistente sull'intera superficie della stessa,
rilevando altresì il basso coefficiente di trasmissività idraulica del terreno
(in nessuno dei campioni di terreno prelevati era stata infatti riscontrata la
presenza dei metalli presenti nel campione di acqua di falda).
Al fine di ottenere la restituzione dell'area agli usi legittimi, venivano
proposte alcune misure di sicurezza consistenti in prescrizioni tecniche
limitative dell'attività edilizia sul fondo utilizzato dalla Auta Marocchi
(pagine 68 - 70).
La conferenza di servizi decisoria del 13 marzo 2006 prendeva atto dei risultati
della caratterizzazione dell'area ed approvava il piano integrativo, "a
condizione che siano ottemperate tutte le prescrizioni sopra formulate dalla
Conferenza di Servizi istruttoria del 19 dicembre 2005, dal Comune di Trieste e
da APAT di concerto con la Direzione per la Qualità della Vita" . - Nelle
premesse, infatti, veniva specificato come la documentazione relativa alle
analisi doveva essere rivista, sulla base di svariate prescrizioni da
applicarsi, sia per ciò che atteneva alle verifiche relative ai suoli che a
quelle relative alla falda.
Veniva, in ogni caso richiesto alla Auta Marocchi la predisposizione di idonei
interventi di messa in sicurezza della falda, alla luce delle evidenze di
contaminazione riscontrate nel campione estratto dal piezometro CA9, lasciando
all'utilizzatrice dell'area la scelta sulle modalità da adottare e, in
particolare la scelta se aderire alla soluzione unitaria o continuare a
procedere singolarmente.
Nella conferenza di servizi decisoria del 7 settembre 2006 veniva deliberato di
chiedere ad Autamarocchi di adottare idonei interventi di messa in sicurezza
della falda contaminata e di richiedere all'ARPA Friuli Venezia Giulia di
chiarire se i risultati della caratterizzazione delle acque di falda riportati
nell'elaborato redatto nel mese di novembre 2005 potessero ritenersi validati,
attesa la riscontrata presenza di alcune discrepanze rispetto a quanto accertato
dall'agenzia regionale. La conferenza di servizi, inoltre, richiedeva la
trasmissione dei dati relativi alle attività di estrazione dell'acqua dalla
falda dai pozzi piezometrici.
Nel mese di luglio 2007 la conferenza di servizi decisoria prendeva atto dei
contenuti dello" Studio sui livelli naturali di arsenico baro ferro e manganese"
redatto dall'ARPA Friuli Venezia Giulia, nel quale veniva chiarito come le
concentrazioni di manganese e ferro riscontrate nelle acque di falda all'interno
del perimetro del Sito di Interesse Nazionale di Trieste non avessero origine
antropica. Al fine di ottenere conferma di ciò, la conferenza di servizi
deliberava di chiedere all’ARPA Friuli Venezia Giulia di effettuare ulteriori
prelievi nell'area non antropizzata a monte del Sito di Interesse Nazionale di
Trieste.
Nel mese di novembre 2007 il consorzio Copernico S.c.a r.l., su incarico della
Auta Marocchi, redigeva una relazione tecnico-descrittiva dei dati riscontrati
nel corso dei prelievi dell'acqua di falda effettuati tramite i cinque
piezometri, dando atto del fatto che "la precedente caratterizzazione effettuata
nel sito, infatti, non permetteva con i dati di un unico piezometro di
sviluppare un accurato modello concettuale dell'area". Nell'elaborato si
riportavano i risultati dei tre monitoraggi della falda effettuati
rispettivamente, nei mesi di giugno, settembre e ottobre 2007, dando atto del
superamento della CSC relativamente ai parametri ferro, manganese e boro - tutti
non ascrivibili ad origine antropica, come rilevato dall'ARPA - nonché con
riferimento al parametro arsenico in un solo piezometro (CA4) e al valore dei
solfati, giudicato ascrivibile all'interazione della falda con l'acqua di mare.
Si descrivevano altresì le metodologie d'indagine adottate (realizzazione di una
pompa a tre stadi per il prelievo d'acqua dai piezometri), facendo rientrare tra
queste anche lo spurgo del piezometro CA4, adottato quale intervento di messa in
sicurezza, con contestuale monitoraggio delle acque di falda.
In data 1.2.2008 la ricorrente inviava al Ministero dell’Ambiente – direzione
qualità della vita una nota integrativa, precisando che il piezometro dove era
stata rilevata la presenza di arsenico si trovava sull’area in corrispondenza
della zona dei serbatoi interrati di proprietà della ENI Div. R&M spa, che è il
soggetto obbligato ad effettuare l’emungimento dei piezometri installati in
detta zona e che, a seguito degli interventi di messa in sicurezza operati da
ENI, i valori di arsenico nel piezometro CA4 risultavano dimezzati.
Infine, in data 28 maggio 2008, la Conferenza di Servizi decisoria indetta dal
Ministero dell’Ambiente, prendeva atto degli esiti delle tre campagne di
monitoraggio e recepiva anche le prescrizioni indicate nella conferenza di
servizi istruttoria del 4 aprile 2008, nella quale si era deliberato di
richiedere all’utilizzatrice dell’area un ulteriore intervento, qualificato come
messa in sicurezza d’emergenza, consistente nell’emungimento dei piezometri con
contestuale “dimostrazione dell’efficienza idraulica nonché l’efficacia
idrochimica del sistema di sbarramento proposto”.
Seguiva il decreto direttoriale Ministero dell’Ambiente di adozione delle
determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria del 28.5.08.
Il ricorso si rivolge avverso detto atto e le conferenze prodromiche ( decisoria
e istruttoria) del 28.5 e 4.8.2008 e deduce i seguenti motivi:
1) Violazione dell’art. 3 l. 241/90, atteso il difetto assoluto di motivazione
del decreto del Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare
del 6 giugno 2008 – violazione dell’art. 14 ter della l. 241/90 – violazione
dell’art. 252 del d.lgs 153/2006 – incompetenza dell’organo che ha emesso il
decreto del 6 giugno 2008, attesa la mancanza di un’intesa con il ministero
dello sviluppo economico.
La decisione di “considerare definitive tutte le prescrizioni stabilite nel
verbale della conferenza di servizi decisoria del 28.5.2008” sarebbe del tutto
immotivata mentre la legge richiede una motivazione ad hoc non supplibile per
relationem. Sarebbe mancata anche la necessaria intesa con il ministero dello
sviluppo economico.
Il profilo di doglianza relativo alla mancata acquisizione del parere del
Ministero dello Sviluppo economico è poi stato rinunciato con memoria
14.10.2009.
2) Violazione degli artt. 242, 245 e 252 d.lgs 152/2006 - violazione del
principio “ chi inquina paga” applicabile agli interventi di bonifica e altresì
di messa in sicurezza d’emergenza - violazione degli artt. 7, 8 e 15 del d.m.
471 del 1999 – eccesso di potere per illogicità manifesta, attesa l’evidente
erroneità nella valutazione dei presupposti per ordinare la messa in sicurezza
dell’area al proprietario o all’utilizzatore incolpevole dell’inquinamento –
eccesso di potere per difetto di istruttoria in punto individuazione del
responsabile della contaminazione – violazione dell’art. 3 della l. 241/1990,
atteso il difetto di motivazione sul punto.
Le attività di messa in sicurezza sono state ordinate alla ricorrente senza dar
atto di alcun accertamento in ordine alla responsabilità della contaminazione
delle acque di falda, in relazione alla quale non sarebbero state effettuate le
necessarie verifiche ed alla quale la ricorrente sarebbe necessariamente
estranea, non avendo mai realizzato opere o attività suscettibili di interessare
il sottosuolo dell’area utilizzata. Non si tratterebbe di atti di urgenza, per i
quali è prevista la competenza sindacale ex art. 50 comma 5 d.lgs 267/2000,
sicchè questa non può essere invocata per escludere la necessità della previa
individuazione del responsabile dell’inquinamento.
3) Violazione degli artt. 242, 245 e 252 nonché dell’allegato 3 alla parte quarta del d.lgs 152/2006 - violazione dell’art. 5 dell’allegato 3 del D.M. 471 del 1999 – Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica e illogicità manifesta, attesa l’evidente erroneità nella valutazione dei presupposti per ordinare un intervento di messa in sicurezza operativa dell’area;
L’ordine impartito, comportando la posa in opera di un sistema di sbarramento
idraulico che consenta di intercettare tutta l’acqua di falda e di prelevarla
per impedirne la propagazione a valle, ancorchè qualificato come messa in
sicurezza d’emergenza, sarebbe in realtà un vero e proprio ordine di bonifica o
di messa in sicurezza operativa, trattandosi di una misura prevista proprio tra
le misure di contenimento da adottarsi nell’ambito degli interventi di messa in
sicurezza operativa ai sensi dell’allegato 3 alla parte IV del d.lgs 152/2006.
Non essendo noto il grado di accettabilità della contaminazione riscontrata
nelle campagne di monitoraggio del 2007, in assenza di una analisi di rischio
sito specifica ai sensi dell’art. 242 c. 11 e c. 4 del d.lgs 152/2006 – che era
già in vigore all’epoca in cui si è manifestata la contaminazione , non
sussistevano i presupposti per ordinare all’utilizzatore dell’area una misura di
contenimento.
Anche in ipotesi di applicazione alla fattispecie del d.m. 471/1999 l’intervento
andrebbe classificato come misura di sicurezza e – in quanto previsto come
intervento con funzione parzialmente sostitutiva al risanamento – avrebbe
richiesto la già previa effettuazione di interventi di bonifica o l’approvazione
di un progetto che accertasse l’impossibilità di rispettare i valori di
concentrazione limite.
4) Violazione dell’art. 245 del dlgs 152/2006 e dell’art.7 del D.M. 471/99 –
eccesso di potere per illogicità manifesta, attesa l’evidente erroneità nella
valutazione del presupposto costituito dalla repentinità della contaminazione –
eccesso di potere per difetto di istruttoria, attesa la comprovata diminuzione
dei valori di contaminazione – violazione del principio del minimo mezzo –
eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione in punto origine
naturale della contaminazione – violazione dell’art.3 della l. 241/90 – eccesso
di potere per contraddittorietà con le determinazioni assunte nella conferenza
di servizi del 26 luglio 2007;
Ove le attività prescritte venissero qualificate come messa in sicurezza
d’emergenza mancherebbe comunque il requisito della repentinità della situazione
d’emergenza. Le risultanze dell’iter procedimentale dimostrerebbero, invece, che
la contaminazione deriverebbe da fattori pregressi e sarebbe in progressiva
diminuzione. Sarebbe stato anche imposto il mezzo più dispendioso senza verifica
della sua effettiva necessità.
5) Violazione della l. 241/90 – violazione del principio del contraddittorio
procedimentale; per il mancato coinvolgimento nel procedimento del proprietario
del terreno, la AM Immobiliare spa.
6) Eccesso di potere per illogicità, attesa la previsione di un termine per
ottemperare alle prescrizioni di 10 giorni a decorrere dalla data della
conferenza di servizi istruttoria del 4 aprile 2008 – eccesso di potere per
contraddittorietà; perché il termine imposto, oltre ad essere insufficiente per
la complessità dell’opera, viene fatto decorrere da una data anteriore a quella
del decreto ministeriale impugnato.
Come questo Tribunale ha già avuto diffusamente occasione di precisare con la
precedente sentenza n. 837/2009, in linea di principio si ritengono” illegittime
quelle determinazioni amministrative che pongono in tutto o in parte a carico
del proprietario o del detentore di un fondo i costi e gli oneri, anche
procedurali, di bonifica dei suoli o dell’ambiente dai danni derivanti
dall’inquinamento; a meno che non venga accertata rigorosamente la
responsabilità dei soggetti suindicati, anche in relazione alla specifica
attività svolta.”
Pertanto ne deriva che in caso di inquinamento c.d. “diffuso”, ossia in quei
casi in cui detto accertamento non sia possibile o risulti oltremodo
difficoltoso, la bonifica non può che restare a carico della Pubblica
amministrazione ed i relativi vantaggi dei privati proprietari o detentori dei
fondi bonificati, in termini di aumento di valore del fondo, potranno costituire
giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle
azioni di arricchimento.
Infatti, come già chiarito con la sopracitata sentenza, la legge pone l’obbligo
di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità
amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare (v. gli artt. 242 e 244
del D.Lgs. n. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile
dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di
effettuare interventi di bonifica (art. 245 D.Lgs. n. 152/2006); nel caso di
mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le
opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250
decreto cit.), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l’esistenza di un
privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica
e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso,
onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno
(art. 253 decreto cit.).
Da tutto il sistema normativo di cui al D.Lgs. n. 152/2006 emerge quindi che
l’Amministrazione è tenuta ad accertare la responsabilità dell’inquinamento e,
in caso di accertamento infruttuoso, è la stessa Amministrazione che dovrà
procedere alla bonifica, per poi operare il recupero delle somme a carico del
proprietario del fondo incolpevole, ma salvaguardando in questo caso l’apporto
partecipativo di queste ultime, in specie per quanto riguarda le modalità
dell’intervento e fermo restando, comunque, che a carico del suddetto
proprietario il recupero degli oneri della bonifica potrà avvenire solo nel
limite dell’arricchimento di valore che il disinquinamento avrà apportato al
fondo.
“Sotto quest’ultimo profilo” – affermava infatti la succitata sentenza – “il
diritto dell’amministrazione al recupero delle somme va ricondotto nell’alveo
delle azioni di ingiustificato arricchimento, rispetto alle quali la azione in
parola si differenzia essenzialmente per l’esistenza di particolari forme di
garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano il
recupero dei costi di intervento.”
Il TAR ha chiarito anche che dal D.Lgs. n. 152/2006 ( art. 311, comma 2) si
evince che la responsabilità per i danni all’ambiente rientra nel paradigma
della “tradizionale” responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d.
“responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia
forma di responsabilità oggettiva.
E’ quindi evidente che, applicando questi concetti anche al caso di specie, si
deve anzitutto ribadire che sul proprietario dell’area inquinata non
responsabile della contaminazione ( e a maggior ragione sull’utilizzatore della
stessa non proprietario) non incombe l’obbligo di porre in essere gli interventi
ambientali in questione, avendo solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare
l’espropriazione del terreno interessato, gravato, per l’appunto, da onere
reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale
assistite anche da privilegio speciale immobiliare.
L’imposizione dell’onere reale sui terreni oggetto di intervento di bonifica
presuppone, infatti, non solo il pieno coinvolgimento del proprietario
incolpevole nel procedimento, ma, prima ancora, che sia stato compiuto ogni
possibile sforzo per identificare il responsabile della contaminazione e
imporgli l’intervento di ripristino e/o il relativo costo, dando adeguato
riscontro motivazionale di tali indagini dell’espletamento e dei risultati di
tali indagini.
Infatti in tema di responsabilità da inquinamento vige il principio comunitario,
espressamente richiamato dall’art. 239 del D.Lgs. n. 152/2006, secondo cui “chi
inquina paga”.
Pertanto si deve concludere che il provvedimento impositivo della messa in
sicurezza e bonifica va notificato al proprietario al fine di renderlo edotto
del suindicato onere reale (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l’area
dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato
accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario (e,
anche a maggior ragione, del mero utilizzatore di cui non viene dimostrata e
nemmeno minimamente postulata la responsabilità) per l’inquinamento del sito.
Ciò premesso risulta fondata la censura riguardante il mancato accertamento
della responsabilità della contaminazione, sotto i profili della mancanza di una
apposita istruttoria e di correlati referti motivazionali, in spregio alla
normativa surriferita ed all’art. 3 della legge n. 241 del 1990, il cui
carattere assorbente esime il Collegio dal prendere in esame le altre censure,
che restano assorbite.
Il ricorso deve essere pertanto accolto, con conseguente annullamento:
1) dell’impugnato verbale della conferenza di servizi decisoria del 28.5.2008 e
del relativo decreto di approvazione del 6.6.2008 in parte qua, vale a dire
nelle parti relative alla società ricorrente;
2) del gravato verbale della conferenza di servizi istruttoria del 4 aprile 2008
in parte qua, vale a dire nelle parti relative alla società ricorrente.
Le spese vanno compensate tra le parti per giusti motivi ad eccezione
dell’importo del contributo unificato che va posto a carico del soccombente
Ministero.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione
Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati nei termini di cui in
motivazione.
Condanna il Ministero dell'Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare a
rifondere alla parte ricorrente l’importo del contributo unificato nei termini
di legge e compensa tra le parti le restanti spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Saverio Corasaniti, Presidente
Oria Settesoldi, Consigliere, Estensore
Rita De Piero, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/01/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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