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T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II quater - 20 gennaio 2011, n. 551
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Imposizione del vincolo archeologico - Interventi
di bonifica o edificatori - Limitazioni - Manifestazioni di potestà
espropriativa - Esclusione. L'imposizione di vincolo archeologico su un
determinato terreno non esclude - ferma restando la necessità d'acquisizione
dell'autorizzazione da parte della competente Soprintendenza chiamata a
valutare, ai sensi degli art. 11 e 12 l. 1 giugno 1939 n. 1089, la compatibilità
della costruzione con la fruibilità dei beni assoggettati a vincolo - la
possibilità di eseguire eventuali interventi di bonifica o di contenimento dei
terreni né, in linea di principio, l’edificabilità essendo astrattamente
concepibile un particolare tipo di costruzione realizzato senza che i reperti
archeologici subiscano un uso incompatibile col loro carattere storico o
artistico. Ne deriva che il vincolo archeologico di norma ha carattere
conformativo della proprietà, per cui le limitazioni che ne conseguono non
costituiscono manifestazione della potestà espropriativa, bensì appunto di
quella conformativa della proprietà privata ammessa senza indennizzo dall'art.
42 comma 2 cost. (in senso conforme si veda TAR Puglia, Bari, Sez. II, 3
settembre 2002, n. 3815). Pres. Scafuri, Est. Tomassetti - C. s.r.l. (avv.ti
Diurni e Diurni) c. Ministero Per i Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato).
TAR LAZIO, Roma, Sez. II quater - 20 gennaio 2011, n. 551
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Imposizione del vincolo archeologico -
Sottoposizione a vincolo successivamente all’edificazione di manufatti -
Irragionevolezza - Esclusione. L’imposizione di un vincolo archeologico
necessita di indagini e approfondimenti che possono richiedere anche molto tempo
oltre che opportuni finanziamenti non sempre disponibili, con la conseguenza che
non appare illogica la scelta di sottoporre a vincolo una determinata zona anche
a distanza di vari anni ed anche successivamente alla edificazione di manufatti;
anzi, il vincolo indiretto si giustifica maggiormente con la esigenza di non
consentire o comunque regolare un siffatto sfruttamento una volta accertato
l'interesse archeologico del sito proprio al fine di preservare l’intera zona
(si veda, sul punto, Cons. Giust. Amm. Sicilia , Sez. giurisd., 29 dicembre 1997
, n. 579 e TAR Lazio, Sez. II, 23 gennaio 1997, n. 235). Pres. Scafuri, Est.
Tomassetti - C. s.r.l. (avv.ti Diurni e Diurni) c. Ministero Per i Beni
Culturali e Ambientali (Avv. Stato). TAR LAZIO, Roma, Sez. II quater - 20
gennaio 2011, n. 551
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N. 00551/2011 REG.PROV.COLL.
N. 07765/1993 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7765 del 1993, proposto da:
Soc Carme Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Diurni, Vincenzo
Diurni, con domicilio eletto presso Giovanni Diurni in Roma, v.le Bastioni
Michelangelo, 5/A;
contro
Ministero Per i Beni Culturali e Ambientali, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi,
12;
per l'annullamento
- l’annullamento e/o revoca del decreto ministeriale di vincolo archeologico in
data 4 febbraio 1993 relativamente ai mappali distinti al catasto al foglio 37 -
mappali 112-125-127-128, notificato, unitamente alla relazione tecnica e
planimetrica, a mezzo del Messo Comunale di Anagni in data 18 marzo 1993, nonché
di ogni altro atto precedente, conseguente e comunque attinente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni Culturali e
Ambientali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2010 il dott. Alessandro
Tomassetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, regolarmente notificato e depositato, la odierna
ricorrente impugna ildecreto ministeriale di imposizione di vincolo archeologico
emesso dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali in data 4 febbraio 1993
con riguardo ai mappali 112-125-127-128 del foglio 37, notificato, unitamente
alla relazione tecnica e planimetrica, a mezzo del Messo Comunale di Anagni in
data 18 marzo 1993.
Deduce la ricorrente la illegittimità del decreto impugnato per violazione di
legge ed eccesso di potere sotto vari profili.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione resistente.
Alla udienza del 1 dicembre 2010 il ricorso era trattenuto in decisione.
DIRITTO
Sulla materia di cui si discute, il Collegio reputa opportuno il richiamo alla
giurisprudenza amministrativa (Cons. di Stato VI, n. 111 del 2007 e precedenti
ivi indicati), per la quale:
- il vincolo archeologico indiretto è imposto su beni e aree circostanti quelli
sottoposti a vincolo diretto per garantirne una migliore visibilità e fruizione
collettiva o migliori condizioni ambientali e di decoro ed è legittima anche
l'imposizione di un divieto assoluto di edificazione;
- il provvedimento impositivo deve indicare il bene oggetto del vincolo, le cose
in funzione delle quali esso è imposto e le ragioni della tutela;
- la contiguità con il bene direttamente tutelato non è solo fisica, o di
carattere stilistico o estetico tra le aree, ma può essere giustificata anche
per esigenze storiche concernenti i monumenti e le popolazioni circostanti;
- il vincolo archeologico è espressione di valutazioni tecnico-discrezionali,
sindacabili dal giudice amministrativo sotto il profilo della congruità e della
logicità della motivazione, e la sua ampiezza, finalizzata a creare una fascia
di rispetto intorno al bene archeologico, è sindacabile in sede di legittimità
soltanto per macroscopica incongruenza e illogicità;
- per la salvaguardia dell'integrità, del decoro e del godimento del complesso
archeologico e per consentire la prosecuzione delle ricerche senza che
l'intervento dell'uomo le pregiudichi, può essere sottoposta a vincolo anche
un'area estesa ove siano stati rinvenuti reperti di particolare interesse
pubblico.
Nella specie, il provvedimento impositivo afferma “l’importante interesse
archeologico" dell'area in cui insistono le “mura di Anagni” e del versante
occidentale della città di Anagni nel quale sono conservati alcuni tratti delle
mura “comprendenti due ampi emicicli di notevole altezza, databili fra la fine
del III e la metà del II sec. a.C.”. Nel provvedimento, peraltro, si dà atto che
risulta “necessario creare un’area di rispetto per mantenere inalterate le
condizioni ambientali e di godibilità della zona antistante il tratto suddetto
dell’antica cinta muraria, che verrebbe gravemente compromessa da ulteriori
costruzioni, poiché esse ne impedirebbero la visuale e potrebbero inoltre
causare, con lavori di sbancamento, smottamenti di terreno con grave danno alla
stabilità delle mura medesime”.
Alla luce dei precedenti giurisprudenziali e della situazione in fatto che ha
determinato l'adozione dell'atto impugnato, devono essere respinte in quanto
infondate tutte le censure proposte nel presente giudizio.
Con la prima censura l’odierna ricorrente lamenta la illegittimità del
provvedimento per violazione di legge ed eccesso di potere sotto il profilo
della illogicità del vincolo in relazione alla esigenza di effettuare eventuali
opere infrastrutturali e vegetative con riguardo agli immobili già presenti
nella zona vincolata.
L’assunto è infondato.
L'imposizione di vincolo archeologico su un determinato terreno non esclude -
ferma restando la necessità d'acquisizione dell'autorizzazione da parte della
competente Soprintendenza chiamata a valutare, ai sensi degli art. 11 e 12 l. 1
giugno 1939 n. 1089, la compatibilità della costruzione con la fruibilità dei
beni assoggettati a vincolo - la possibilità di eseguire eventuali interventi di
bonifica o di contenimento dei terreni né, in linea di principio,
l’edificabilità essendo astrattamente concepibile un particolare tipo di
costruzione realizzato senza che i reperti archeologici subiscano un uso
incompatibile col loro carattere storico o artistico. Ne consegue, che il
vincolo archeologico di norma ha carattere conformativo della proprietà, per cui
le limitazioni che ne conseguono non costituiscono manifestazione della potestà
espropriativa, bensì appunto di quella conformativa della proprietà privata
ammessa senza indennizzo dall'art. 42 comma 2 cost. (in senso conforme si veda
TAR Puglia, Bari, Sez. II, 3 settembre 2002, n. 3815).
Sotto tale profilo, del resto, la stessa Soprintendenza ha rilevato - nella nota
prot. MBAC-SBA-LAZ n. 13221 in data 8 novembre 2010 - come l’imposizione del
vincolo indiretto non preclude che possano essere autorizzati eventuali progetti
o interventi compatibili con le esigenze di tutela e le prescrizioni del
vincolo, mirando lo stesso a far sì che non fosse ulteriormente messo in
pericolo il contesto ambientale.
Con una seconda, quarta e quinta censura si deduce la illegittimità del
provvedimento impugnato sotto il profilo della illogicità del vincolo in
relazione alla situazione fattuale della zona che, risultando posta in una
fascia altimetrica di gran lunga inferiore rispetto a quella delle “mura”, non
consentirebbe in ogni caso la visione delle stesse.
Le censure sono infondate.
Così come si legge nello stesso provvedimento impugnato l’imposizione del
vincolo si è resa necessaria non solo per garantire che non vi fosse alcun
impedimento alla visuale delle “mura” ma anche e soprattutto al fine di “creare
un’area di rispetto per mantenere inalterate le condizioni ambientali e di
godibilità della zona antistante il tratto suddetto dell’antica cinta muraria,
che verrebbe gravemente compromessa da ulteriori costruzioni, poiché esse ne
impedirebbero la visuale e potrebbero inoltre causare, con lavori di
sbancamento, smottamenti di terreno con grave danno alla stabilità delle mura
medesime”.
Non v’è dubbio, allora, che la motivazione del provvedimento impugnato si fondi
non solo sulla necessità di preservare una visuale delle antiche “mura”, ma
anche con riferimento alla necessità di tutelare l’intero assetto ambientale al
fine di evitare possibili cedimenti della zona sottostante le antiche mura.
Con una terza e sesta censura la ricorrente deduce la illegittimità del
provvedimento impugnato sotto il profilo della illogicità del vincolo in
relazione alla ampiezza del vincolo ed alla distanza degli stessi rispetto alle
mura.
Le censure sono inammissibili e, comunque, infondate.
Rileva il Collegio come secondo la giurisprudenza pacifica siffatti motivi sono
inammissibili poiché la ricorrente sostituisce le sue valutazioni a quelle
tecnico-discrezionali proprie dell'autorità incaricata della specifica tutela.
D’altra parte, come rilevato, nello stesso provvedimento impugnato si fa
riferimento non solo alla “visuale” quanto anche e soprattutto alla
compromissione della zona antistante il tratto murario che potrebbe cedere con
grave danno alla stabilità delle mura medesime.
Quanto, infine, alla censura contenuta nell’ultimo motivo di ricorso è
sufficiente osservare che l’imposizione di un vincolo archeologico necessita di
indagini e approfondimenti che possono richiedere anche molto tempo oltre che
opportuni finanziamenti non sempre disponibili, con la conseguenza che non
appare illogica la scelta di sottoporre a vincolo una determinata zona anche a
distanza di vari anni ed anche successivamente alla edificazione di manufatti;
anzi, il vincolo indiretto si giustifica maggiormente con la esigenza di non
consentire o comunque regolare un siffatto sfruttamento una volta accertato
l'interesse archeologico del sito proprio al fine di preservare l’intera zona
(si veda, sul punto, Cons. Giust. Amm. Sicilia , Sez. giurisd., 29 dicembre 1997
, n. 579 e TAR Lazio, Sez. II, 23 gennaio 1997, n. 235 “anche nel caso in cui
precedentemente l'amministrazione dei beni culturali ed ambientali non abbia
immediatamente introdotto un vincolo , non si configura un'ipotesi di
consumazione dei poteri di tutela di cui alla l. 1 giugno 1939, n. 1089.
Premesso ciò, sulla scorta di nuove verifiche e valutazioni, non è preclusa,
anche a distanza di tempo , l'imposizione di limiti e divieti a tutela
dell'interesse archeologico precedentemente non esaurientemente considerato e
protetto”).
Conseguentemente e per i motivi esposti il ricorso è infondato.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese processuali
tra le parti.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Umberto Realfonzo, Consigliere
Alessandro Tomassetti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/01/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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