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T.A.R.
LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 11 marzo 2011, n. 398
ASSOCIAZIONI E COMITATI -
Associazioni ambientaliste - Legittimazione ad impugnare atti incidenti
sull’ambiente - Iscrizione nell’elenco ministeriale ex art. 13 L. n. 349/86 -
Legittimazione riconosciuta caso per caso - Criterio aggiuntivo. Il criterio
che attribuisce la legittimazione a impugnare atti amministrativi incidenti
sull’ambiente agli enti a carattere nazionale iscritti nell’apposito elenco
tenuto dal Ministero dell’ambiente, ai sensi dell'art. 13 della l. 8 luglio 1986
n°349 non è sostitutivo, ma aggiuntivo rispetto al criterio secondo cui la
legittimazione può essere riconosciuta, caso per caso, “ad associazioni locali,
indipendentemente dalla loro natura giuridica”, le quali “perseguano
statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed
abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di
afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione
collettiva che si assume leso” ( C.d.S. sez. IV 8 novembre 2010 n°7907; C.d.S.
sez. VI 13 settembre 2010 n°6554) Pres. Petruzzelli, Est. Gambato Spisani - S.S.
e altri (avv. Granara) c.Regione Lomabardia (avv. Fidani) , Comune di Cremona
(avv.ti Boccalini e Ghilardi) e Provincia di Cremona (avv. Rizzo) - TAR
LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 11 marzo 2011, n. 398
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Realtà rappresentative di cittadini associati -
Legittimazione - Principio di sussidiarietà orizzontale. Il principio di
sussidiarietà orizzontale, vigente a livello di Unione europea e comunque
introdotto nel nostro ordinamento in modo esplicito dalla riforma del titolo V
parte II della Costituzione, conduce nel dubbio ad affermare, e non a negare, la
legittimazione ad impugnare un provvedimento amministrativo da parte di una
realtà rappresentativa di cittadini associati, in quanto si tratta di realtà che
i pubblici poteri debbono promuovere, non ostacolare (TAR Puglia Lecce 5 aprile
2005 n°1847 e Liguria 11 maggio 2004 n°747 e 18 marzo 2004 n°267) Pres.
Petruzzelli, Est. Gambato Spisani - S.S. e altri (avv. Granara) c.Regione
Lomabardia (avv. Fidani) , Comune di Cremona (avv.ti Boccalini e Ghilardi) e
Provincia di Cremona (avv. Rizzo) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 11 marzo
2011, n. 398
AMBIENTE - Impianti idonei ad incidere sulla salute degli abitanti -
Legittimazione a ricorrere - residenza - Sufficienza - Prova dell’effettività
del danno subendo - Necessità - Esclusione. Ove si tratti della
realizzazione di un impianto astrattamente idoneo a incidere sulla salute degli
abitanti di una porzione ampia di territorio, dedurre la semplice residenza sul
posto è sufficiente a radicare la legittimazione, senza che ai ricorrenti si
debba addossare “il gravoso onere della la prova dell'effettività del danno
subendo, prova che, non potendo prescindere dall'effettiva realizzazione
dell'impianto, finirebbe per svuotare di significato il principio costituzionale
del diritto di difesa predicato dall'articolo 24 della Costituzione, rendendolo
possibile solo allorquando il diritto alla salute ovvero all'ambiente salubre
fossero già definitivamente ed irrimediabilmente compromessi o esposti a
pericolo (C.d.S. sez. V 18 agosto 2010 n° 5819). Pres. Petruzzelli, Est. Gambato
Spisani - S.S. e altri (avv. Granara) c.Regione Lomabardia (avv. Fidani) ,
Comune di remona (avv.ti Boccalini e Ghilardi) e Provincia di Cremona (avv.
Rizzo) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 11 marzo 2011, n. 398
VIA - Artt. 19-24 d.lgs. n. 152/2006 - Procedimento a doppio stadio -
Verifica di assoggettabilità. La Valutazione di impatto ambientale è
l’istituto, previsto ora dagli artt. 19-24 del D. lgs. 3 aprile 2006 n°152,
mediante il quale, nella formula dell’art. 5 lettera b) del T.U. “vengono
preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un progetto”. Detto
istituto prevede, in sintesi, l’elaborazione di uno studio particolarmente
complesso ed oneroso, che per tal ragione, come previsto dal legislatore
nazionale in ossequio alla normativa uniforme europea, non è imposto
indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di influenzare negativamente
l’ambiente. Per taluni di essi è previsto infatti un procedimento a doppio
stadio: nella prima fase, si compie appunto lo screening, ovvero nella
terminologia dell’art. 5 lettera m) del T.U. la “verifica di assoggettabilità”,
che serve a “valutare, ove previsto, se progetti possono avere un impatto
significativo e negativo sull'ambiente e devono essere sottoposti alla fase di
valutazione”; la VIA poi si fa nella seconda fase, che è eventuale, ovvero ha
luogo solo se lo screening conclude in tal senso. Pres. Petruzzelli, Est.
Gambato Spisani - S.S. e altri (avv. Granara) c.Regione Lomabardia (avv. Fidani)
, Comune di cremona (avv.ti Boccalini e Ghilardi) e Provincia di Cremona (avv.
Rizzo) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 11 marzo 2011, n. 398
VIA - Verifica di assoggettabilità - Discrezionalità tecnica - Sindacato
giurisdizionale - Limiti. L’attività mediante la quale l’amministrazione
provvede alle valutazioni poste alla base della verifica di assoggettabilità a
VIA è connotata da discrezionalità tecnica, e quindi può essere sindacata in
sede giurisdizionale di legittimità nei limiti del non corretto esercizio del
potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta,
della erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura
valutativa e dei relativi esiti (C.d.S. sez. V 1 ottobre 2002 n°7262); le
illegittimità e incongruenze debbono essere “macroscopiche” e “manifeste”
(C.d.S. sez. V 17 maggio 2005 n°2460, con riguardo al sindacato sulla VIA di un
impianto industriale; conforme, sempre in tema di valutazioni di impatto
ambientale, anche C.d.S. sez. VI 19 febbraio 2008 n°561). Pres. Petruzzelli,
Est. Gambato Spisani - S.S. e altri (avv. Granara) c.Regione Lomabardia (avv.
Fidani) , Comune di cremona (avv.ti Boccalini e Ghilardi) e Provincia di Cremona
(avv. Rizzo) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 11 marzo 2011, n. 398
AMBIENTE - Principio di precauzione - Adozione di misure preventive - Limite.
Le misure preventive adottate in base al principio di precauzione, comprensive
all’evidenza della proibizione preventiva di una certa attività, non si possono
fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere
supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici. (Corte CE
9 settembre 2003 C-236/01 Monsanto, Corte CE 5 febbraio 2004 C- 24/00
Commissione vs. Repubblica Francese; TAR Lombardia Brescia 11 aprile 2005 n°304,
TAR Campania Napoli 27 febbraio 2007 n°1231, TAR Veneto 24 febbraio 2004 n°396 e
da ultimo C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2010 n°183) Pres. Petruzzelli, Est. Gambato
Spisani - S.S. e altri (avv. Granara) c.Regione Lomabardia (avv. Fidani) ,
Comune di cremona (avv.ti Boccalini e Ghilardi) e Provincia di Cremona (avv.
Rizzo) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 11 marzo 2011, n. 398
INQUINAMENTO - VIA - AIA - Rilascio per ciascun singolo impianto - Concetto
di impianto - Aspetti oggettivi- Autonomia tecnica - Artt. 1 e 2 d.lgs. n.
59/2005 - D.Lgs. n. 128/2010. Ai sensi dell’art. 1 comma 2 del d. lgs. 18
febbraio 2005 n°59, abrogato dal d.lgs. 29 giugno 2010 n°128, che peraltro
contiene norme di identico contenuto, l’AIA è rilasciata per gli “impianti di
cui all’allegato I”; cosa sia un “impianto” è spiegato dal successivo art. 2
comma 1 lettera c), che lo definisce come “l'unità tecnica permanente in cui
sono svolte una o più attività elencate nell'allegato I e qualsiasi altra
attività accessoria, che siano tecnicamente connesse con le attività svolte nel
luogo suddetto e possano influire sulle emissioni e sull'inquinamento”. Il
principio, logico prima che giuridico, è quindi che per ogni “impianto” serva
una distinta AIA, e che il concetto di impianto sia essenzialmente oggettivo e
tecnico, non dipendente dalla volontà di chi lo gestisce, il quale potrebbe, per
le più varie ragioni, denominare unico impianto un complesso in realtà
costituito da impianti diversi, o voler separare attraverso distinte
denominazioni una realtà tecnica unitaria. Il singolo impianto è, più
precisamente, individuato dalla sua autonomia tecnica, ovvero dalla sua
possibilità di funzionare ed essere utilizzato in via autonoma, a prescindere
dal vincolo teleologico con impianti in qualche modo complementari (TAR Emilia
Romagna Bologna sez. I 26 novembre 2007 n°3365; C.d.S. sez. IV 11 maggio 2010
n°2825 e sez. VI 22 novembre 2006 n°6831, con riguardo ad un metanodotto
terrestre connesso ad un impianto marino di rigassificazione, ma capace di
trasportare gas proveniente anche da altre fonti, e C.d.S. sez. VI 16 marzo 2005
n°1102, relativa alle dighe foranee e alle dighe mobili che nel loro insieme
costituiscono il cd. progetto MOSE di difesa della laguna veneta dalle alte
maree, ma possono funzionare le une indipendentemente dalle altre). Pres.
Petruzzelli, Est. Gambato Spisani - S.S. e altri (avv. Granara) c.Regione
Lomabardia (avv. Fidani) , Comune di cremona (avv.ti Boccalini e Ghilardi) e
Provincia di Cremona (avv. Rizzo) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 11 marzo
2011, n. 398
VIA - Parere con prescrizioni - Equivalenza a parere negativo -
Inconfigurabilità. In tema di Valutazione di Impatto Ambientale, parere con
prescrizioni non significa inidoneità del progetto ad essere positivamente
valutato; piuttosto progetto in sé è accettabile, che si presta, secondo
l’amministrazione consulente, ad essere ulteriormente migliorato: ne consegue
che il ricorso allo strumento delle "prescrizioni" non può essere visto come
sintomatico di un progetto incompatibile con l'ambiente e che non può assumersi
un’equivalenza fra parere negativo e parere con prescrizioni (C.d.S. sez. V 5
gennaio 2004 n°1) Pres. Petruzzelli, Est. Gambato Spisani - S.S. e altri (avv.
Granara) c.Regione Lomabardia (avv. Fidani) , Comune di cremona (avv.ti
Boccalini e Ghilardi) e Provincia di Cremona (avv. Rizzo) - TAR LOMBARDIA,
Brescia, Sez. I - 11 marzo 2011, n. 398
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N. 00398/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00370/2009 REG.RIC.
N. 00579/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 370 del 2009, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Stefano Siboni, Danilo Pellegatta, Alfredo Davide Gardani, Fabio Lombardi,
Giuseppe Aradori, Bruno Zoppi, Giovanna Grisi, Mario Siboni, Maria Teresa
Puliti, Luigina Aldina Stroppa, Chiara Albina Rota, Mariateresa Tosi, Rita
Ravera, Giuseppina Fogliazza, Franco Bernardelli, Rodolfo Caviglia, Dante
Ferrari, Gaetano Bozzi, Grazia Calabro', Nino Contardi, Oliviero Siboni, Maria
Tosini, Aldo Zorza, Ivan Loris Davo', Claudio Traversini, Maria Scandolara,
Giuliano Rini, Coordinamento Ambientalisti della Lombardia, rappresentati e
difesi dall'avv. Daniele Granara, con domicilio eletto presso Annamaria Sommer
in Brescia, p.za Vittoria, 11 (Fax=030/3758896);
contro
Regione Lombardia, rappresentato e difeso dall'avv. Viviana Fidani, con
domicilio eletto presso Donatella Mento in Brescia, via Cipro, 30; Comune di
Cremona, rappresentato e difeso dagli avv. Edoardo Boccalini, Lamberto Ghilardi,
con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Carlo Zima, 3;
Provincia di Cremona, rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Rizzo, con
domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Carlo Zima, 3;
nei confronti di
Acciaieria Arvedi Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio Cugurra, Bruno
Guareschi, Roberto Guareschi, Mario Sanino, Stefania Vasta, con domicilio eletto
presso Stefania Vasta in Brescia, via Vitt. Emanuele II, 1; Comune di Spinadesco,
Comune di Sesto ed Uniti, Arpa Lombardia, Arpa Lombardia - Dipartimento di
Cremona, Conferenza dei Servizi c/o Provincia di Cremona, Comune di
Pizzighettone, Comando dei Vigili del Fuoco di Cremona; Ministero dell'Interno,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge
in Brescia, via S. Caterina, 6;
sul ricorso numero di registro generale 579 del 2010, proposto da:
Coordinamento dei Comitati Ambientalistici della Lombardia, Luigi Frigoli, Laura
Grassi, Paolo Italia, Mario Siboni, Antonietta Beltrami, Gianfranco Moia,
Giovanna Mazzini, Carla Francesca Moia, Giuseppe Aradori, Luigina Aldina
Stroppa, Ezio Corradi, Claudio Traversini, Maria Scandolara, Maria Teresa Tosi,
Franco Bernardelli, Stefano Siboni, Massimo Schettino, Marilena Paganin, Danilo
Moia, Luigi Paolo Pagani, rappresentati e difesi dagli avv. Matteo Ceruti, Anna
Maria Sommer, con domicilio eletto presso Annamaria Sommer in Brescia, p.za
Vittoria, 11 (Fax=030/3758896);
contro
Comune di Spinadesco, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Rizzo, con
domicilio eletto presso Giovanni Onofri in Brescia, via Ferramola, 14; Sportello
Unico delle Imprese del Comune di Pizzighettone e Associati;
nei confronti di
Acciaieria Arvedi Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio Cugurra, Bruno
Guareschi, Roberto Guareschi, Stefania Vasta, con domicilio eletto presso
Stefania Vasta in Brescia, via Vitt. Emanuele II, 1; Agenzia Regionale
Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia, Asl 304 - A.S.L. della Provincia di
Cremona, Provincia di Cremona; Comune di Cremona, rappresentato e difeso dagli
avv. Edoardo Boccalini, Enrico Cistriani, con domicilio eletto presso T.A.R.
Segreteria in Brescia, via Carlo Zima, 3;
per
quanto al ricorso n. 370 del 2009:
(A1 - ricorso principale, depositato il 10 aprile 2009)
l’annullamento previa sospensione
del decreto 26 gennaio 2009 n°534, con il quale il Dirigente della Struttura
prevenzione inquinamento atmosferico e impianti della Regione Lombardia ha
escluso la necessità di V.I.A. ai sensi degli artt. 1 comma 6 e 10 del D.P.R. 12
aprile 1996 per il progetto di ampliamento di un impianto per la produzione e la
lavorazione dell’acciaio sito nei Comuni di Cremona e Spinadesco;
di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente, conseguente ovvero comunque
connesso, cognito e non, nessuno escluso, e segnatamente:
dei titoli edilizi, di data sconosciuta, emessi dal Responsabile di servizio del
Comune di Cremona, propriamente rappresentati dai provvedimenti 9 febbraio 2009
prot. n°6800 e 6805, di conferma dei permessi di costruire 3 luglio 2007 n°96/A
e 19 luglio 2007 n°76/A;
(A2 – primi motivi aggiunti, depositati il 12 novembre 2009)
del provvedimento 9 febbraio 2009 prot. n°6805, con il quale il Direttore del
Settore gestione territorio e sviluppo economico – Sportello unico per le
imprese e l’edilizia del Comune di Cremona ha confermato l’efficacia del
permesso di costruire 28 giugno 2007 n°96/a, con il rispetto delle condizioni
contenute nel suddetto decreto 26 gennaio 2009 n°534;
di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente, conseguente ovvero comunque
connesso, cognito e non, nessuno escluso;
(A3 – secondi motivi aggiunti, depositati il 30 luglio 2010)
l’annullamento
del decreto 22 marzo 2010 n°184, con il quale il Dirigente del Settore
agricoltura e ambiente della Provincia di Cremona ha rilasciato autorizzazione
integrata ambientale per il progetto di ampliamento di un impianto per la
produzione e la lavorazione dell’acciaio sito nei Comuni di Cremona e Spinadesco;
del decreto 27 maggio 2010 n°544, con il quale il Dirigente del Settore
agricoltura e ambiente della Provincia di Cremona ha rilasciato autorizzazione
integrata ambientale per un nuovo complesso di trattamento superficiale di
rotoli di nastro di acciaio laminato a caldo sito nei Comuni di Cremona, Sesto
ed Uniti Spinadesco;
di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente, conseguente ovvero comunque
connesso, cognito e non, nessuno escluso, in particolare:
della deliberazione 22 dicembre 2009 n°142, con la quale il Consiglio
provinciale di Cremona ha approvato modifiche non sostanziali al PTCP;
delle deliberazioni 17 marzo 2010, conclusive della conferenza di servizi
concernente la domanda di autorizzazione integrata ambientale per il progetto di
ampliamento di un impianto per la produzione e la lavorazione dell’acciaio sito
nei Comuni di Cremona e Spinadesco;
del decreto 2 aprile 2010 n°98, con il quale il Dirigente del Settore caccia,
pesca ed aree naturali della Provincia di Cremona ha espresso valutazione di
incidenza sul progetto di ampliamento di un impianto per la produzione e la
lavorazione dell’acciaio sito nei Comuni di Cremona e Spinadesco;
della nota 4 maggio 2010 prot. n°46494 e del relativo allegato tecnico di
convocazione della conferenza di servizi;
delle deliberazioni 25 maggio 2010, conclusive della conferenza di servizi
concernente la domanda di autorizzazione integrata ambientale per un nuovo
complesso di trattamento superficiale di rotoli di nastro di acciaio laminato a
caldo sito nei Comuni di Cremona, Sesto ed Uniti Spinadesco;
della deliberazione 11 marzo 2010 n°4, con la quale il Consiglio comunale di
Spinadesco ha approvato il piano attuativo concernente il suddetto progetto di
ampliamento di un impianto per la produzione e la lavorazione dell’acciaio;
della deliberazione 17 marzo 2010 n°154 e dell’allegata relazione, con le quali
la Giunta provinciale di Cremona ha espresso parere di compatibilità con il PTCP
del permesso di costruire in variante al PRG del Comune di Spinadesco,
rilasciato nel quadro del suddetto progetto di ampliamento di un impianto per la
produzione e la lavorazione dell’acciaio;
del provvedimento 21 aprile 2010 prot. n°1851, con il quale il Responsabile
dello sportello unico edilizia del Comune di Spinadesco ha prorogato i termini
di validità delle DIA 156, 159 e 171/2007, 180, 188 e 192/2008 nonché 224 e
231/2009 presentate dalla Acciaieria Arvedi S.p.A.;
del decreto 27 aprile 2010 n°369, con il quale il Dirigente del Settore
agricoltura e ambiente della Provincia di Cremona ha preso atto che la
Acciaieria Arvedi S.p.A. ha adempiuto alle condizioni di efficacia prescritte
nel predetto decreto 22 marzo 2010 n°184;
del provvedimento 28 aprile 2010 prot. n°2013, con il quale il Responsabile del
Servizio tecnico del Comune di Spinadesco ha rinnovato il permesso di costruire
11 giugno 2008 n°89 rilasciato alla Acciaieria Arvedi S.p.A.;
della concessione edilizia 1 aprile 2008 n°577 del Comune di Sesto ed Uniti;
della concessione edilizia 3 aprile 2009 n°19/a del Comune di Cremona;
nonché per la condanna
delle amministrazioni intimate al risarcimento del danno;
(A4 – terzi motivi aggiunti, depositati il 30 novembre 2010)
l’annullamento
della deliberazione 6 settembre 2010 n°19, con la quale il Consiglio comunale di
Spinadesco ha approvato ai sensi dell’art. 5 D.P.R. 20 ottobre 1998 n°447 il
permesso di costruire in variante al PRG a favore della Acciaieria Arvedi S.p.A.
di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente, conseguente ovvero comunque
connesso, cognito e non, nessuno escluso, e in particolare:
dell’allegato A alla predetta deliberazione;
dell’atto 7 aprile 2010 prot. n°18187 col quale il Comune di Cremona ha
dichiarato di nulla rilevare in merito;
della deliberazione 21 maggio 2010 n°44, con la quale la Giunta comunale di
Spinadesco ha espresso parere favorevole alla suddetta richiesta di permesso di
costruire in variante;
della determinazione 10 giugno 2010 n°169, con la quale il Responsabile del
settore assetto territorio del Comune di Pizzighettone ha approvato il verbale
conclusivo della conferenza di servizi afferente la suddetta richiesta di
permesso di costruire in variante;
della convenzione fra la Acciaieria Arvedi e il Comune di Spinadesco per la
realizzazione del relativo insediamento produttivo;
dell’atto 12 marzo 2009 prot. n°1086, di obbligo espresso dal legale
rappresentante della Acciaieria Arvedi;
della dichiarazione 23 maggio 2008 di conformità della suddetta richiesta di
variante alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del
lavoro;
del decreto 27 maggio 2010 n°544 del Dirigente del Settore agricoltura e
ambiente della Provincia di Cremona, già citato;
del parere di conformità 27 gennaio 2010 prot. n°1061 del Ministero
dell’Interno, Comando provinciale dei Vigili del fuoco di Cremona, afferente la
realizzazione di un impianto di produzione di miscela azoto-idrogeno al servizio
del nuovo stabilimento Arvedi;
della richiesta di parere 16 ottobre 2009 prot. n°20068;
dell’atto 28 dicembre 2009 prot. n°16230 del Comando provinciale dei Vigili del
fuoco di Cremona;
dell’atto 26 marzo 2008 prot. n°4083 del Comando provinciale dei Vigili del
fuoco di Cremona;
della certificazione energetica edifici 23 maggio 2008 dell’Acciaieria Arvedi;
dell’atto 7 luglio 2010 prot. n°8812, con il quale il Responsabile dello
sportello unico del Comune di Pizzighettone ed associati ha trasmesso al Comune
di Spinadesco gli atti della conferenza di servizi;
dell’atto 11 luglio 2010, con il quale Responsabile dello sportello unico del
Comune di Pizzighettone e il Responsabile dell’ufficio tecnico comunale del
Comune di Spinadesco hanno disposto la pubblicità degli elaborati relativi
all’intervento richiesto dalla Arvedi;
dell’atto 2 agosto 2010 prot. n°3150, di obbligo espresso dal legale
rappresentante della Acciaieria Arvedi;
dell’atto 25 agosto 2010, con il quale il Responsabile del servizio tecnico del
Comune di Spinadesco dà atto che agli elaborati suddetti non sono pervenute
osservazioni;
dell’atto 9 settembre 2010, con il quale si è comunicata alla Arvedi la
approvazione del permesso di costruire in variante;
nonché per la condanna
delle amministrazioni intimate e della controinteressata al risarcimento del
danno;
quanto al ricorso n. 579 del 2010:
per l’annullamento
della già citata deliberazione 11 marzo 2010 n°4, con la quale il Consiglio
comunale di Spinadesco ha approvato il piano attuativo concernente il suddetto
progetto di ampliamento di un impianto per la produzione e la lavorazione
dell’acciaio;
di ogni atto presupposto, collegato, inerente, conseguente e derivato, e in
particolare:
della deliberazione 18 dicembre 2009 n°22, con la quale il Consiglio comunale di
Spinadesco ha adottato il piano attuativo suddetto;
dei verbali 9 settembre e 9 ottobre 2009 della relativa conferenza di servizi;
della deliberazione 7 ottobre 2009 n°487, con la quale la Giunta provinciale di
Cremona ha espresso parere favorevole;
del decreto 1 febbraio 2007 n°218, con il quale il Dirigente del settore
agricoltura della Provincia di Cremona ha espresso valutazione di incidenza
ambientale;
della deliberazione 18 marzo 2009 n°23, con la quale la Giunta comunale di
Spinadesco ha espresso atto di indirizzo per la rinnovazione del piano
attuativo;
della deliberazione 12 maggio 2009 n°487, con la quale la Giunta provinciale di
Cremona ha deliberato di promuovere un accordo di programma;
del relativo decreto 13 maggio 2009 n°48 del Presidente della Provincia di
Cremona;
delle deliberazioni 25 maggio 2009 n°64 e 29 maggio 2009 n°65 e 66, con le quali
la Giunta comunale di Spinadesco ha autorizzato il Sindaco alla stipula di tale
accordo;
dell’accordo stesso;
del provvedimento 13 aprile 2010 n°1002, con il quale lo Sportello unico delle
imprese del Comune di Pizzighettone ed associati ha rilasciato alla Acciaieria
Arvedi permesso di costruire relativo alle barriere acustiche afferenti il
progetto di ampliamento;
di ogni atto presupposto, collegato, inerente, conseguente e derivato, e in
particolare:
del parere 15 giugno 2007 dell’ARPA Lombardia, Dipartimento della Provincia di
Cremona;
del parere 18 giugno 2007 dell’Azienda ULSS;
del parere 6 giugno 2007 n°13 della Commissione per il paesaggio ed il decoro
urbano;
della relazione 6 giugno 2007 del Responsabile dello Sportello unico edilizia
del Comune di Spinadesco;
del provvedimento 13 aprile 2010 n°1003, con il quale lo Sportello unico delle
imprese del Comune di Pizzighettone ed associati ha rilasciato alla Acciaieria
Arvedi permesso di costruire relativo ai capannoni afferenti il progetto di
ampliamento;
di ogni atto presupposto, collegato, inerente, conseguente e derivato, e in
particolare:
del parere 15 giugno 2007 dell’ARPA Lombardia, Dipartimento della Provincia di
Cremona;
del parere 18 giugno 2007 dell’Azienda ULSS;
del parere 6 giugno 2007 n°14 della Commissione per il paesaggio ed il decoro
urbano;
della relazione 6 giugno 2007 del Responsabile dello Sportello unico edilizia
del Comune di Spinadesco;
Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lombardia e di Comune di
Cremona e di Provincia di Cremona e di Acciaieria Arvedi Spa e di Ministero
dell'Interno e di Comune di Spinadesco e di Acciaieria Arvedi Spa e di Comune di
Cremona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2011 il dott. Francesco
Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’odierna controinteressata Acciaieria Arvedi S.p.a. gestisce, fra gli altri
propri stabilimenti, principalmente un impianto per la produzione di acciaio
tramite fusione di rottame ferroso, cd. acciaieria di seconda fusione, sito alla
via Acquaviva 18 del Comune di Cremona ed estendentesi parte nel territorio di
quel Comune, parte nel confinante territorio del Comune di Spinadesco, e nel
quadro delle proprie politiche aziendali ne ha da lungo tempo programmato il
potenziamento, detto nella prassi locale il “raddoppio”, attraverso un complesso
intervento che prevede la costruzione di nuovi fabbricati adiacenti agli
esistenti, la demolizione di altro fabbricato preesistente, l’installazione di
un nuovo forno fusorio con tecnologia consteel, l’installazione di due forni per
ferroleghe, la realizzazione di un nuovo laminatoio, l’installazione di un nuovo
impianto di abbattimento polveri per i nuovi forni, il miglioramento
dell’impianto abbattimento fumi già esistente e l’integrazione di esso con il
nuovo, il rifacimento dell’impianto di trattamento delle acque di processo, con
recupero completo delle stese, la realizzazione di una vasca raccolta acque e di
un impianto di trattamento chimico fisco delle acque stesse, la riorganizzazione
della viabilità di stabilimento e dei relativi magazzini, la realizzazione di un
deposito temporaneo di rifiuti e di barriere antirumore, nonché l’impianto di un
bosco filtro verso l’abitato di Spinadesco, e tutto ciò allo scopo di aumentare
la capacità di produzione, che passerebbe da novecentomila a due milioni e
quattrocentomila t/a. In particolare, la citata tecnologia consteel comporta che
si passi da una lavorazione discontinua, in cui i carichi di rottame da fondere
vengono versati nel forno e fusi ad uno ad uno in arco voltaico, ad una
lavorazione continua, in cui un forno di grande capacità a forma di barile
coricato, cd. forno siviera, mantiene costantemente al proprio interno acciaio
liquido e fonde per immersione nello stesso il rottame che lo alimenta senza
interruzioni attraverso un nastro trasportatore a galleria, realizzando un
considerevole risparmio in termini di consumo di energia e di emissione di fumi
(per la descrizione dei vari impianti di cui consta l’intervento programmato, v.
allegato tecnico al decreto screening 26 gennaio 2009 n°534 , atto impugnato con
il ricorso principale nel procedimento 370/09, doc. 1 ricorrenti prodotto il 12
aprile 2009 nello stesso; i dati ulteriori sull’Arvedi sono non controversi in
causa, e comunque costituiscono fatto localmente notorio; le caratteristiche del
processo consteel sono da ultimo dato di comune esperienza).
Per realizzare l’intervento in parola, la Arvedi ha intrapreso le necessarie
procedure amministrative, e per quanto qui interessa ha ottenuto dapprima il
decreto 18 maggio 2006 n°5155, ovvero un primo decreto screening, con il quale
il Dirigente della Struttura prevenzione inquinamento atmosferico e impianti
della Regione Lombardia ha in proposito escluso ai sensi degli artt. 1 comma 6 e
10 del D.P.R. 12 aprile 1996 la necessità di V.I.A. (doc. 5 ricorrenti in
ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, copia di esso); ha ottenuto poi dal
Comune di Cremona i titoli abilitativi necessari a realizzare gli edifici
destinati ad ospitare i nuovi impianti, ovvero i permessi di costruire 3 luglio
2007 n°96/A e 19 luglio 2007 n°76/A; ha ottenuto ancora il decreto 14 dicembre
2007 n°15880, con il quale il Dirigente della Struttura prevenzione inquinamento
atmosferico e impianti della Regione Lombardia le rilasciava in merito una prima
autorizzazione integrata ambientale (doc. 6 ricorrenti in ricorso 370/09
prodotto il 12 aprile 2009, copia di esso); ha ottenuto infine dal Comune di
Spinadesco, ove come si è detto si trova parte dello stabilimento, nonché dallo
Sportello unico associato per le imprese ad esso pertinente, l’approvazione di
un conforme piano urbanistico attuativo, con apposita delibera consiliare 1
giugno 2007 n°30, nonché, in esecuzione di tale piano, il rilascio dei permessi
di costruire 19 giugno 2007 n°430 e 19 giugno 2007 n°431, relativi
rispettivamente alla costruzione delle citate barriere acustiche e di alcuni
capannoni sempre previsti dal progetto (v. per tutto ciò doc. 2 ricorrenti in
ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, copia sentenza TAR Lombardia Brescia
10 dicembre 2008 n°1739, di cui appresso).
Avverso tale complesso di atti, un gruppo di soggetti in massima parte
coincidenti con gli odierni ricorrenti, ha proposto impugnazione, radicata
avanti questo Tribunale con ricorsi rubricati ai nn°1425/2006, 802/2007 e
1103/2007, e decisa, previa riunione degli stessi con la sentenza della Sezione
già citata, 10 dicembre 2008 n°1739, confermata in sede di appello da C.d.S.
sez. V 26 agosto 2010 n°5950 (prodotta in copia dai ricorrenti nel ricorso
370/2009 il 24 dicembre 2010) e quindi passata in giudicato.
Tale sentenza, per quanto qui interessa, ha accolto in parte i ricorsi predetti
ed ha disposto l’annullamento degli atti già citati, ovvero del primo decreto
screening 18 maggio 2006 n°5155, dell’AIA 14 dicembre 2007 n°15880 e dei titoli
edilizi, permessi di costruire 3 luglio 2007 n°96/A e 19 luglio 2007 n°76/A
rilasciati dal Comune di Cremona, nonché deliberazioni 3 aprile 2007 n°15 e 1
giugno 2007 n°30 della Giunta comunale di Spinadesco e permessi di costruire 19
giugno 2007 nn° 430 e 431 rilasciati dallo Sportello unico delle imprese del
Comune di Pizzighettone ed associati, il tutto con gli effetti conformativi di
cui in motivazione, dei quali meglio si dirà in prosieguo (doc. 2 ricorrenti in
ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, cit.).
Sul presupposto che tale sentenza di annullamento comportasse, in sintesi
estrema, sostanzialmente un obbligo di rinnovare la procedura, la Arvedi si
attivava quindi in tal senso, e otteneva dapprima dalla Regione Lombardia un
nuovo decreto screening, 26 gennaio 2009 n°534, con il quale la competente
autorità, all’esito di una asserita nuova e più approfondita valutazione della
fattispecie, giungeva alle medesime conclusioni del decreto annullato, ovvero
nuovamente escludeva la necessità di VIA per l’intervento programmato (doc. 1
ricorrenti in ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, copia di esso);
otteneva poi nuovamente dal Comune di Cremona i titoli edilizi di competenza
dello stesso, per realizzare le costruzioni pertinenti.
Avverso tali atti, meglio indicati in epigrafe, hanno allora proposto nuova
impugnazione, rubricata al n°370/2009, le persone fisiche pure meglio elencate
in epigrafe, le quali, come si è accennato, coincidono in gran parte con le
persone fisiche ricorrenti nei pregressi procedimenti 1425/2006, 802/2007 e,
come già avvenuto in tale occasione, si sono qualificate residenti nei Comuni di
Cremona o Spinadesco, in area limitrofa all’impianto in parola, ovvero
proprietari di immobili nella stessa posizione; assieme a loro ha parimenti
proposto impugnazione l’ente giuridico Coordinamento dei comitati ambientalisti
della Lombardia, anch’esso già ricorrente nei procedimenti 1425/2006, 802/2007 e
1103/2007, il quale si è qualificato, ora come allora, associazione volta a
tutelare l’ambiente ed il paesaggio, fra l’altro nel sito interessato (cfr.
ricorso introduttivo nel ricorso 370/2009, p. 5); tutti costoro hanno anzitutto
articolato, nel ricorso principale depositato il 10 aprile 2009, otto censure,
corrispondenti secondo logica ai seguenti quattro motivi:
- con il primo di essi, corrispondente alle censure prima a p. 14 dell’atto e
quarta, rubricata questa per errore come terza, a p. 29, hanno dedotto
violazione del disposto della citata sentenza 10 dicembre 2008 n°1739, ovvero
eccesso di potere, in relazione a tutti gli atti impugnati (ciò è ribadito nel
paragrafo a p. 41 come sesta censura), in quanto a loro avviso la riedizione
dell’attività amministrativa compiuta dalla Regione e dal Comune di Cremona
sarebbe non rispettosa degli effetti conformativi dell’annullamento disposto in
tal sede, anche per esser stata compiuta ad impianti ormai realizzati;
- con il secondo di essi, rubricato come censura seconda a p. 17 dell’atto,
premettono che nella zona interessata dall’intervento si trovano sia il Parco
locale di interesse sovra comunale del Po e Morbasco, sia due Siti di interesse
comunitario, protetti ai sensi delle direttive 79/409/CEE “Uccelli” e 92/43/CEE
“Habitat”, precisamente il SIC IT 20A0501 “Spinadesco” e la Zona di protezione
speciale degli “Spiaggioni del Po” (si tratta di fatti notori, salvo quanto in
prosieguo sulla loro esatta dislocazione). Deducono quindi violazione degli
artt. 19-24 del D. lgs. 3 aprile 2006 n°152, sostenendo che l’intervento
ricadrebbe, almeno parzialmente, all’interno di aree naturali protette, e quindi
andrebbe per ciò solo assoggettato a VIA;
- con il terzo di essi, corrispondente alle censure terza, rubricata per errore
come seconda a p. 21 dell’atto, quinta, rubricata per errore come quarta a p. 31
dell’atto e sesta, pure rubricata per errore come quinta a p. 35 dell’atto,
deducono ancora violazione degli artt. 19 e ss. del d. lgs. 3 aprile 2006 n°152,
ovvero eccesso di potere anche sotto il profilo del mancato rispetto del
principio di precauzione. In proposito, premettono in sintesi che premettendo
che secondo le norme citate il decreto screening, nel decidere se sottoporre o
no un intervento a VIA, deve tener conto di tutta una serie di elementi, in
particolare di tutti gli effetti diretti e indiretti del progetto sull’ambiente,
sotto il profilo della sua incidenza su aree protette limitrofe, sul reticolo
idrogeologico, sulle vicine zone abitate, e nel far ciò deve tener presente
anche la cd. alternativa zero, ovvero la possibilità di non realizzare affatto
l’intervento, in particolare alla luce del principio di precauzione, che a loro
avviso (p. 29 dell’atto, quarto e quinto rigo) imporrebbe di ritenere il rischio
inaccettabile sino a prova positiva del contrario. Ciò premesso, affermano che
al pari di quello già annullato di cui si è detto anche il nuovo decreto
screening non rispetterebbe le norme citate, e risulterebbe invece carente sotto
tutta una serie di profili rilevanti. Sempre a loro avviso, in dettaglio, il
decreto impugnato non considererebbe la possibile incidenza dell’intervento
sulle aree protette di cui si è detto, particolarmente il SIC Spinadesco, sul
quale l’istruttoria sarebbe “mancata completamente” (pp. 23-25 e 32-35
dell’atto; a p. 35 terzultimo rigo è la citazione); non considererebbe poi gli
effetti sulle risorse idriche, sulle emissioni sonore e sulla gestione dei
rifiuti prodotti (p. 39 dell’atto) e risulterebbe in conclusione motivato con
“mera formula di stile” (p. 36 dell’atto quartultimo rigo). Il motivo presente e
quelli precedenti sono riferiti, come risulta dal paragrafo dell’atto a p. 41
rubricato come censura sesta, ma costituente in realtà la settima nell’ordine,
sono riferiti a tutti gli atti impugnati;
- con il quarto motivo, infine, rubricato come settima censura, in realtà
corrispondente all’ottava a p. 41 dell’atto, e relativo ai soli titoli edilizi,
deducono violazione degli artt. 10 e 12 del TU Edilizia, premettendo che, come
pacifico, lo stabilimento Arvedi si estende tanto in Comune di Cremona, quanto
in Comune di Spinadesco. Deducono quindi che illegittimamente il Comune di
Cremona avrebbe assentito costruzioni che riguardano anche il territorio di
altro ente.
Hanno resistito al ricorso principale la Regione Lombardia, con atto 14 aprile
2009 e memoria 28 aprile 2009, la Provincia di Cremona, con memoria 28 aprile
2009, il Comune di Cremona, con atto 15 aprile e memoria 28 aprile 2009, e la
Acciaieria Arvedi, con atto 14 aprile e memoria 28 aprile 2009; le parti in
questione:
- in via preliminare, hanno eccepito la inammissibilità del ricorso per difetto
di legittimazione attiva dei ricorrenti, sotto un duplice profilo. Per quanto
riguarda le persone fisiche, dato e non concesso che la semplice qualità di
residenti, ovvero di proprietari di immobili, nei comuni interessati, sia
sufficiente a radicare la legittimazione stessa, contestano che tale qualità,
pur asserita, sia in fatto provata (memoria Provincia Cremona 28 aprile 2009 p.
10 in fine). Per quanto riguarda invece il Comitato, sostengono parimenti che
nulla sarebbe provato in ordine alla sua rappresentatività e attività non
occasionale a tutela dell’ambiente (ibidem, p. 14);
- sempre in via preliminare, hanno eccepito la inammissibilità del ricorso anche
sotto diverso profilo, rappresentato dalla sostanziale indeterminatezza dei
motivi dedotti, che non terrebbero conto dell’effettivo contenuto del decreto
screening impugnato, e rappresenterebbero una pedissequa ripetizione di quelli
già dedotti nel ricorso 1425/2006 (memoria Arvedi 28 aprile 2009, p. 12);
- la Provincia di Cremona ha poi sostenuto, ancora in via preliminare, anche il
difetto di propria legittimazione passiva, non essendo impugnati propri atti
(memoria 28 aprile cit, p. 15);
- nel merito, hanno premesso in fatto che lo stabilimento Arvedi, come del resto
accertato anche dalla sentenza 10 dicembre 2008 n°1739, si trova all’esterno
delle aree protette citate dai ricorrenti (in particolare, memoria Provincia 28
aprile 2009 pp. 23 e 24; memoria Comune Cremona pari data p. 3; memoria Arvedi
pari data p. 17); il Comune di Cremona ha poi chiarito che i titoli edilizi
impugnati sono rappresentati dai provvedimenti 9 febbraio 2009 prot. n°6800 e
6805, di conferma dei permessi di costruire 3 luglio 2007 n°96/A e 19 luglio
2007 n°76/A, provvedimenti di conferma adottati in quanto l’annullamento dei
permessi di costruire in questione era stato operato soltanto per illegittimità
derivata, e non per vizi propri (memoria Comune 28 aprile 2009 p. 4 e ss. nonché
doc. Comune 5 e 6 in ricorso 370/2009, copia provvedimenti di conferma). Tutte
le parti hanno poi difeso il contenuto del decreto screening, affermando che
esso avrebbe congruamente considerato tutti i profili indicati dalla sentenza di
annullamento di cui sopra.
In esito alla camera di consiglio del 30 aprile 2009, la Sezione disponeva
istruttoria, prescrivendo con ordinanza 4 maggio 2009 n°91 alla Regione di
depositare una relazione di chiarimenti, pervenuta nei termini il 5 agosto 2009;
da tale relazione argomentavano la Regione, con memoria 9 novembre 2009, e la
Arvedi, con memoria 6 novembre 2009, per ulteriormente sostenere la legittimità
del decreto screening impugnato, specularmente contestata dai ricorrenti anche
alla luce della relazione in parola con memoria 7 novembre 2009.
Alla successiva camera di consiglio del giorno 11 novembre 2009, le parti
chiedevano rinvio, per consentire il decorso dei termini a difesa relativi ai
primi motivi aggiunti di cui appresso; in seguito, con atto depositato il 13
novembre successivo, rinunciavano all’istanza cautelare, in vista di una
sollecita trattazione del merito, del che la Sezione dava atto con ordinanza
sempre del 13 novembre 2009 n°691.
In seguito, appunto con atto di motivi aggiunti depositato il 12 novembre 2009,
i ricorrenti impugnavano dichiaratamente il “provvedimento 9 febbraio 2009 prot.
n°6805, con il quale il Direttore del Settore gestione territorio e sviluppo
economico – Sportello unico per le imprese e l’edilizia del Comune di Cremona ha
confermato l’efficacia del permesso di costruire 28 giugno 2007 n°96/A”,
provvedimento che peraltro come si è già detto rappresenta uno dei titoli
edilizi, già gravati con il ricorso principale, rilasciati dal Comune di Cremona
per assentire l’intervento in parola; avverso tale provvedimento riproponevano
come censura di vizi di illegittimità derivata tutti i motivi già dedotti con il
ricorso principale; proponevano poi un motivo ulteriore, di violazione degli
artt. 7 ed 8 della l. 7 agosto 1990 n°241, per omissione dell’avviso di avvio
del procedimento, al quale affermano di avere avuto titolo.
Resisteva specificamente a tali motivi aggiunti il Comune di Cremona, con
memoria 6 novembre 2009, nella quale eccepiva la loro irricevibilità in quanto
rivolti tardivamente avverso un provvedimento già prodotto dal Comune stesso nel
quadro delle proprie difese concernenti il ricorso principale. Per parte sua,
anche la Regione, con memoria 11 giugno 2010, ribadiva le proprie difese.
Parallelamente, la Arvedi continuava il rinnovo dei procedimenti necessari ad
avviare l’impianto, e otteneva in tal senso il decreto 22 marzo 2010 n°184, con
il quale il Dirigente del Settore agricoltura e ambiente della Provincia di
Cremona le ha rilasciato l’autorizzazione integrata ambientale (doc. ti 1.1 e 2
ricorrenti prodotti il 30 luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso
370/09, copie del decreto e del pertinente allegato tecnico); otteneva parimenti
un secondo provvedimento di AIA, il decreto 27 maggio 2010 n°544, sempre del
Dirigente del Settore agricoltura e ambiente della Provincia di Cremona (doc. 4
ricorrenti prodotto il 30 luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso
370/09, copia di esso, completa di allegato tecnico), AIA relativa però, secondo
la lettera del provvedimento stesso, ad un impianto diverso di pertinenza della
medesima Arvedi, ovvero ad un nuovo complesso di trattamento superficiale di
rotoli di nastro di acciaio laminato a caldo – in termini correnti, impianto di
zincatura- sito nei Comuni di Cremona, Sesto ed Uniti e Spinadesco, nelle
vicinanze dell’acciaieria per cui è processo, nuovo impianto per il quale era
stata a suo tempo esclusa la necessità di VIA con il decreto screening 27 marzo
2008 n°3015 della Regione Lombardia, decreto che non consta impugnato (cfr.
secondo ricorso per motivi aggiunti depositato il 30 luglio 2010 p. 78 ultimo
paragrafo); sempre la Arvedi otteneva infine dai Comuni di Spinadesco e Sesto ed
Uniti, il cui territorio come si è detto è interessato dagli impianti in parola,
il rilascio dei necessari titoli abilitativi necessari a realizzare le relative
costruzioni (doc. ti 1.5 e 1.6 ricorrenti prodotti il 30 luglio 2010 nei secondi
motivi aggiunti al ricorso 370/09, copie del piano attuativo e del permesso di
costruire rilasciati dal Comune di Spinadesco per l’acciaieria; non constano
prodotti i titoli pertinenti all’impianto di zincatura).
Nella pendenza del termine per impugnare tali provvedimenti, i ricorrenti, con
istanza 11 giugno 2010, ottenevano anzitutto differimento dell’udienza pubblica
fissata per il 23 giugno 2010; avverso i provvedimenti stessi, e avverso tutti
gli altri meglio indicati in epigrafe, proponevano poi effettivamente
impugnazione, con il secondo atto di motivi aggiunti, depositato il 30 luglio
2010 e articolato in ordine logico nei dieci motivi di cui appresso:
- con il primo di essi, rubricato come primo a p. 67 dell’atto, ripropongono
come denuncia di vizi di illegittimità derivata tutti i motivi già dedotti
contro gli atti impugnati con il ricorso principale e con il primo ricorso per
motivi aggiunti;
- con il secondo di essi, rubricato come decimo a p. 109 dell’atto, deducono
ancora violazione degli artt. 7 ed 8 della l. 7 agosto 1990 n°241, per omissione
dell’avviso di avvio del procedimento, al quale affermano di avere avuto titolo
anche in tale fattispecie;
- con il terzo motivo, rubricato come secondo a p. 68 dell’atto, deducono
ulteriore violazione del disposto della sentenza 10 dicembre 2008 n°1739, che a
loro avviso avrebbe escluso la possibilità di rinnovare l’AIA di cui al decreto
184/2010 riutilizzando, come fatto nella specie, l’allegato tecnico pertinente
all’AIA annullata;
- con il quarto motivo, rubricato come terzo a p. 70 dell’atto, deducono ancora
violazione del disposto della sentenza 10 dicembre 2008 n°1739, che, sempre a
loro avviso, avrebbe escluso anche la possibilità di rinnovare, come fatto nella
specie, i titoli edilizi;
- con il quinto motivo, rubricato come quarto a p. 72 dell’atto, deducono
violazione degli artt. 2, 5, 7 e 10 del d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59 quanto ad
entrambi i provvedimenti di AIA impugnati, che a loro avviso rappresenterebbero
il risultato di una illegittima e artificiosa scissione in due stabilimenti
diversi, appunto l’acciaieria e l’impianto di zincatura, di una realtà
produttiva unica, che quindi a loro avviso avrebbe dovuto essere considerata da
un’unica AIA;
- con il sesto motivo, rubricato come quinto a p. 83 dell’atto, deducono ancora
violazione degli artt. 2, 5, 7 e 10 del d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59 nonché
degli artt. 2, 8 e 9 del d. lgs. 11 maggio 2005 n°133. Premettono in proposito
in punto di fatto che, a loro avviso, l’acciaieria per cui è causa, in quanto
acciaieria di seconda fusione, e quindi utilizzatrice di rottame come materia
prima dovrebbe essere soggetta ai più rigorosi limiti di emissioni in atmosfera
previsti dal Regolamento CE 304/2009 per gli impianti di termodistruzione di
rifiuti. In tali termini, i limiti di legge previsti sarebbero nel caso di
specie superati in entrambe le AIA per i parametri relativi alle diossine e ai
furani, per i quali è autorizzata un’emissione di 0,5 nanogrammi/metro cubo
contro i 0,1 nanogrammi/metro cubo consentiti, nonché per i parametri relativi
ai metalli pesanti, con 6 milligrammi/metro cubo contro i 0,55 consentiti, e
agli ossidi di azoto, con 400 milligrammi/metro cubo contro i 200 consentiti.
Sempre a tal proposito, argomentando dalla relazione di un tecnico di parte,
certo Caldiroli (doc. 10 ricorrenti prodotto il 30 luglio 2010 nei secondi
motivi aggiunti al ricorso 370/09), i ricorrenti affermano che da notizie di
stampa l’acciaieria avrebbe già raggiunto una produzione superiore a quella
autorizzata, e che ciò qualificherebbe ulteriormente i decreti di AIA come
“incompleti, lacunosi e contraddittori” (p. 90 atto, undecimo rigo);
- con il settimo motivo, rubricato come sesto a p. 90 dell’atto, deducono
eccesso di potere per asserita mancata considerazione, da parte di entrambi i
decreti AIA, dei pareri emessi nelle conferenze di servizi relative. In
proposito affermano che in base al parere espresso dal Comune di Cremona in tal
sede si ricaverebbe l’intento di prevedere un limite inderogabile di 5
milligrammi/metro cubo per l’emissione di polveri sottili totali, ma che di tal
parere nel decreto AIA 184/2010 non si sarebbe tenuto conto, prevedendo invece
senza ragione un limite doppio; affermano ancora che nessuno dei due decreti AIA
impugnati si farebbe carico di individuare un limite massimo per le emissioni
acustiche, che secondo ragione a fronte di un ampliamento degli impianti non
potrebbero che aumentare;
- con l’ottavo motivo, rubricato come settimo a p. 96 dell’atto e relativo al
solo impianto di zincatura, deducono violazione degli artt. 25 e 97 della l.r.
Lombardia 11 marzo 2005 n°12, che come è noto, ha introdotto per ciascun comune
un nuovo tipo di strumento urbanistico generale, detto piano per il governo del
territorio, e nelle more dell’approvazione dello stesso consente ad ogni Comune
solo limitati interventi di pianificazione, tra i quali, per quanto interessa,
l’approvazione di strumenti di programmazione negoziata ai sensi dell’art. 5 del
D.P.R. 20 ottobre 1998 n°447, purché conformi al PTCP. Nel caso di specie,
rientra nella relativa previsione di strumento di programmazione negoziata il
rilascio, da parte del Comune di Spinadesco, di un permesso di costruire in
variante (per la precisione, quello di cui alla deliberazione 6 settembre 2010
n°19 del Consiglio comunale di Spinadesco), permesso per il quale la Provincia
ha espresso parere di compatibilità con il PTCP con deliberazione della Giunta
17 marzo 2010 n°154 (doc. 9 ricorrenti prodotto il 30 luglio 2010 nei secondi
motivi aggiunti al ricorso 370/09, copia di essa). Assumono allora in proposito
i ricorrenti che il permesso di costruire in variante di che trattasi sarebbe
illegittimo, in quanto il parere provinciale, essendo subordinato a
prescrizioni, sarebbe in sostanza un parere negativo;
- con il nono motivo, rubricato come ottavo a p. 102 dell’atto, deducono
violazione degli artt. 14 e 25 della citata l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12,
perché il piano attuativo del Comune di Spinadesco necessario a realizzare
l’ampliamento dell’acciaieria sarebbe stato approvato, con la ricordata
deliberazione consiliare 11 marzo 2010 n°4 (doc. 1.5 ricorrenti prodotto il 30
luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso 370/09, copia di essa) in
mancanza della necessaria scheda tecnica;
- con il decimo motivo, rubricato come nono a p. 106 dell’atto, relativo secondo
logica anch’esso ai soli titoli edilizi, deducono, in modo simile a quanto
esposto nel motivo quarto del ricorso principale, violazione degli artt. 10 e 12
del TU Edilizia, ricordando ancora che lo stabilimento Arvedi si estende nel
territorio di più comuni e quindi dovrebbe essere considerato come realtà
unitaria. Deducono quindi che illegittimamente ciascuno dei comuni interessati
avrebbe assentito costruzioni che riguardano anche il territorio di altro ente.
Con il terzo ed ultimo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 30 novembre
2010, i ricorrenti hanno infine impugnato gli atti ulteriori di cui meglio in
epigrafe, rappresentati in sintesi da tutti gli atti ulteriori ottenuti dalla
Arvedi per completare l’intervento relativo all’impianto di zincatura, e in
particolare dal permesso di costruire in variante di cui si è detto,
effettivamente rilasciato dal Comune di Spinadesco solo con deliberazione
consiliare 6 settembre 2010 n°19, e quindi ancora inesistente al momento in cui
venne proposto il secondo ricorso per motivi aggiunti, che pure ad esso si
riferisce (doc. 1 ricorrenti prodotto il 30 novembre 2010, copia permesso in
questione; che esso si riferisca appunto all’impianto di zincatura e non
all’ampliamento dell’acciaieria si ricava esaminandone gli allegati tecnici), e
tutto ciò sulla base dei quattro motivi che in ordine logico si riassumono così
come segue:
- con il primo di essi, rubricato come primo a p. 130 dell’atto, ripropongono
ancora come denuncia di vizi di illegittimità derivata tutti i motivi già
dedotti contro gli atti impugnati con il ricorso principale e con i predetti
ricorsi per motivi aggiunti;
- con il secondo motivo, rubricato come quarto a p. 134 dell’atto, deducono
nuovamente violazione degli artt. 7 ed 8 della l. 7 agosto 1990 n°241, per
omissione dell’avviso di avvio del procedimento, al quale affermano di avere
avuto comunque titolo;
- con il terzo motivo, rubricato come secondo a p. 131 dell’atto, deducono
violazione dell’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998 n°447 in quanto il permesso di
costruire in variante sarebbe stato rilasciato dopo la scadenza del termine di
sessanta giorni previsto dalla norma, asseritamente perentorio;
- con il quarto motivo, rubricato come terzo a p. 132 dell’atto, deducono
ulteriore violazione dell’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998 n°447, perché il
permesso di costruire in variante sarebbe stato, in considerazione di tutti i
vizi sin qui denunciati, rilasciato a fronte di un progetto non rispettoso della
normativa ambientale, accostato alla forte mortalità per tumori registrata in
zona (p. 133 dell’atto).
Con memorie e repliche 22 e 29 dicembre 2010 e 5 gennaio 2011, i ricorrenti
hanno ribadito le proprie ragioni.
Resistono agli ulteriori motivi aggiunti l’amministrazione statale, con atto 6
dicembre 2010, la Regione, con memorie 22 e 31 dicembre 2010, la Provincia, con
memoria 5 gennaio 2011, il Comune di Cremona, con memoria 4 gennaio 2011, il
Comune di Spinadesco, costituitosi per la prima volta con memoria 5 gennaio
2011, e la Arvedi, con memoria 31 dicembre 2010. Tutti costoro hanno dedotto:
- in via preliminare (memoria Provincia 5 gennaio 2011, pp. 15 e ss.) hanno
eccepito la inammissibilità dei secondi motivi aggiunti in quanto relativi ad un
atto, l’AIA 544/2010, asseritamente estraneo al procedimento relativo
all’acciaieria;
- sempre in via preliminare (memoria Comune Spinadesco, p. 7) hanno eccepito
l’inammissibilità anche del terzo ricorso per motivi aggiunti, in quanto
asseritamente rivolto avverso atti non connessi a quelli impugnati con il
ricorso principale;
- nel merito, hanno ribadito la legittimità degli atti impugnati, sottolineando
che la procedura per cui è causa è altra rispetto a quella per la quale il TAR
ha pronunciato l’annullamento di cui alla più volte ricordata pronuncia 10
dicembre 2008 n°1739.
Avverso la deliberazione del Consiglio comunale di Spinadesco di approvazione
del piano attuativo, delibera 11 marzo 2010 n°4 già gravata con il secondo
ricorso per motivi aggiunti nel procedimento 370/2009, e avverso una serie di
atti presupposti inerenti i titoli edilizi rilasciati dal Comune medesimo, tutti
meglio indicati in epigrafe e non coincidenti con quelli gravati nell’ambito del
medesimo procedimento 370/2009, hanno proposto a loro volta impugnazione, con
autonomo ricorso rubricato al n°579/10 R.G. di questo Tribunale e depositato il
giorno 11 giugno 2010, il medesimo Coordinamento dei comitati ambientalisti
della Lombardia e alcune persone fisiche, in parte ricorrenti anche nel ricorso
370/09, i quali hanno allegato, quanto alla loro legittimazione, argomenti
sostanzialmente identici a quelli già esposti, ed hanno articolato tredici
censure, corrispondenti in ordine logico ai seguenti nove motivi:
- con il primo di essi, corrispondente alla censura prima a p. 15 dell’atto e
riferito alla sola delibera 11 marzo 2010 n°4, hanno premesso quanto risulta
dalla più volte citata sentenza TAR Lombardia Brescia 10 dicembre 2008 n°1739,
ovvero che il Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Cremona
prevede nel proprio ambito tre tipologie di area industriale, ciascuna da
disciplinare in base a competenze diverse: è sufficiente l’intervento del
Comune, con gli strumenti pianificatori suoi propri, per le aree di interesse,
appunto, soltanto comunale; si deve procedere in accordo fra i Comuni
interessati e la Provincia stessa per i poli di interesse intercomunale; sono
infine di competenza della Provincia e vengono individuati e gestiti in accordo
con i Comuni interessati i poli industriali di interesse provinciale, che sono
quelli insistenti su aree superiori ai 250.000 mq, e richiedono quindi una
apposita previsione del Piano territoriale provinciale. Hanno poi ricordato che
il Comune di Spinadesco, nella precedente versione del piano attuativo di che
trattasi, quella adottata e approvata con le deliberazioni 3 aprile 2007 n°15 e
1 giugno 2007 n°30 della Giunta comunale, aveva ritenuto che fosse di propria
competenza autorizzare il progetto di che trattasi con propri atti, ritenendolo
ampliamento di un polo provinciale già esistente, ovvero del polo “Porto canale
di Cremona”, e quindi per definizione compatibile con il vigente PTCP. Hanno
ancora ricordato che tali originarie delibere erano state annullate dalla
sentenza 1739/2008 proprio in relazione a tale presupposto, poiché dagli
elaborati del PTCP non si traeva conferma alla premessa, non risultando
l’acciaieria Arvedi ricompresa nel perimetro del polo provinciale citato. Ciò
premesso, i ricorrenti danno atto che con successiva deliberazione della Giunta
3 febbraio 2009 n°56 la Provincia ha provveduto a riperimetrare il polo
provinciale in questione e a includervi anche l’acciaieria; affermano però che
in tal modo non si sarebbe in alcun modo soddisfatta l’esigenza a loro dire
sussistente di una “pianificazione unitaria” (atto, p. 20 dodicesimo rigo) e che
quindi il piano attuativo sarebbe per ciò solo viziato per eccesso di potere,
per mancanza della necessaria pianificazione di livello superiore;
- con il secondo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 21 dell’atto e
relativo anch’esso alla sola delibera 11 marzo 2010 n°4, deducono violazione
dell’art. 22 delle N.T.A. del P.R.G. di Spinadesco, nella parte in cui esso non
consente nelle aree interessate la localizzazione di impianti industriali
soggetti per legge a VIA. In proposito, premettono in fatto ciò che è pure
incontroverso, ovvero che presso la acciaieria Arvedi esistono alcuni impianti
autorizzati a suo tempo dopo favorevole esperimento della procedura di VIA
statale, in particolare un impianto di inertizzazione dei fumi e una discarica
per le polveri recuperate tramite detto processo; premettono ancora che
l’intervento in parola andrebbe a interessare anche detti impianti, nel senso
che lo stabilimento andrebbe comunque considerato come un tutto unitario
inscindibile; concludono quindi che, trattandosi di intervenire su impianti
sottoposti a VIA statale, sarebbe stato necessario procedere nello stesso modo,
e quindi con una nuova VIA statale prevista per legge, e quindi che secondo
l’art. 22 delle N.T.A. l’intervento non sarebbe autorizzabile;
- con il terzo motivo, corrispondente alla terza censura a p. 26 dell’atto,
relativo sempre alla sola delibera 11 marzo 2010 n°4 e identico nei propri
contenuti al nono motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti nel
procedimento n°370/2009, deducono appunto violazione degli artt. 14 e 25 della
citata l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12, perché il piano sarebbe stato
approvato in mancanza della necessaria scheda tecnica;
- con il quarto motivo, corrispondente alle censure quarta a p. 28 dell’atto,
quinta a p. 31, decima a p. 43, dodicesima a p. 48 e tredicesima prima parte a
p. 49, e concernente tanto la delibera 11 marzo 2010 n°4 quanto i titoli
edilizi, identificati con i permessi di costruire 1002 e 1003/2010 di cui in
epigrafe (doc. ti 17 e 18 ricorrenti in ricorso 579/2010, copie di essi)
deducono sotto vari profili una presunta violazione del disposto della sentenza
di annullamento 1739/2008. In proposito, premettono che a loro dire non sarebbe
corretto quanto affermato negli atti amministrativi in questione, ovvero che la
sentenza avrebbe annullato il piano attuativo e i titoli edilizi precedenti solo
per illegittimità derivata; in realtà, sempre a loro avviso, la sentenza in
parola avrebbe proceduto ad un annullamento per vizi propri di tali atti, e in
tal modo avrebbe precluso di rinnovare la procedura utilizzando, come fatto
nella specie, gli atti della precedente istruttoria. I ricorrenti in particolare
affermano che per approvare il nuovo piano e rilasciare i nuovi titoli (censure
quinta e dodicesima) non si sarebbe potuta utilizzare la precedente convenzione
urbanistica conclusa il 5 giugno 2007 con la Arvedi (doc. 14 ricorrenti in
ricorso 579/2010, copia di essa). Affermano ancora (censura decima) che per
approvare il piano attuativo non si sarebbe potuta per la stessa ragione
utilizzare la precedente valutazione di incidenza sui siti SIC della zona, resa
con il decreto provinciale 1 febbraio 2007 n°218 (nel doc. 7 ricorrenti in
ricorso 579/2010 vi è copia di essa). Affermano infine (censura tredicesima,
prima parte) che per rilasciare i titoli edilizi non si sarebbero potuti nemmeno
utilizzare i pareri precedentemente rilasciati;
- con il quinto motivo, corrispondente alle censure sesta a p. 31 dell’atto e
tredicesima ultima parte a p. 51 dell’atto e relativo tanto alla delibera 11
marzo 2010 n°4 quanto ai titoli edilizi, deducono eccesso di potere per difetto
di istruttoria. Il piano attuativo infatti sarebbe stato approvato senza
considerare gli impianti tecnici che negli edifici da realizzare troveranno
sede, e ciò ad avviso dei ricorrenti sarebbe stato necessario, anche perché si
tratta di impianti in parte già realizzati. Identica mancata considerazione
vizierebbe, sempre a dire dei ricorrenti, i titoli edilizi, anche sotto il
profilo dell’omessa acquisizione del parere dell’ARPA in ordine agli impianti
stessi e alle barriere acustiche;
- con il sesto motivo, corrispondente alla settima censura a p. 35 dell’atto e
rivolto contro la deliberazione 11 marzo 2010 n°4, deducono ulteriore violazione
dell’art. 22 delle N.T.A. , in quanto il piano attuativo non motiverebbe in modo
congruo la possibilità, accordata agli edifici in progetto, di superare il
limite massimo di altezza di 20 metri fino a raggiungere i 60 metri per i
camini;
- con il settimo motivo, corrispondente alla ottava censura a p. 38 dell’atto e
rivolto contro la deliberazione 11 marzo 2010 n°4 deducono eccesso di potere per
carenza di istruttoria, in quanto il piano attuativo non terrebbe in alcun conto
i flussi di traffico indotti dal nuovo insediamento, in particolare rispetto al
realizzando raccordo autostradale del “Terzo ponte”, ovvero da Cavatigozzi e
Spinadesco fino a Castelvetro Piacentino, escluso anche dalla considerazione del
decreto valutativo dell’incidenza ambientale 218/2007 di cui si è detto;
- con l’ottavo motivo, corrispondente alla nona censura a p. 40 dell’atto e
rivolto contro la deliberazione 11 marzo 2010 n°4, deducono violazione della
D.G.R. Lombardia 8 agosto 2003 n°VII/14106 art. 2 commi 4 e 7, nel senso che,
ove come nella specie un piano attuativo interessi un SIC, dovrebbero essere
individuate le “modalità più opportune” di consultazione del pubblico in merito,
consultazione nella specie omessa;
- con il nono motivo, corrispondente infine alla undecima censura a p. 44
dell’atto e rivolto sempre contro la deliberazione 11 marzo 2010 n°4, deducono
ancora eccesso di potere per difetto di istruttoria per omessa considerazione
della presenza nelle vicinanze dell’impianto di altri impianti industriali, a
rischio di incidente rilevante, in particolare, come è incontestato, di due
ditte che immagazzinano GPL e gas vari;
Con memorie 22 dicembre 2010 e 5 gennaio 2011, i ricorrenti hanno ribadito le
proprie argomentazioni.
Hanno resistito al ricorso n°579/2010 il Comune di Spinadesco, con atto 22
giugno 2010 e memoria 12 gennaio 2011, il Comune di Cremona, con atto 3 agosto
2010, e la Acciaieria Arvedi, con atto 18 giugno 2010 e memoria 31 dicembre
2010. Tutti costoro:
- in via preliminare, hanno eccepito (cfr. memoria Comune Spinadesco 12 gennaio
2011 pp. 2-17) l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione
attiva dei ricorrenti, con argomentazioni identiche a quelle già esposte per il
ricorso 370/2009;
- sempre in via preliminare (memoria Arvedi 31 dicembre 2010 p. 3), hanno
eccepito l’inammissibilità dei motivi corrispondenti alle censure dall’ottava
alla undecima, ovvero dei motivi quarto, settimo, ottavo e nono, in quanto
inerenti non agli atti dichiaratamente impugnati quanto al decreto screening;
- nel merito, hanno sostenuto la legittimità degli atti impugnati.
La Sezione all’udienza del 26 gennaio 2011 fissata in prima battuta per il
ricorso n°579/2010 e su rinvio, nei termini spiegati, della precedente udienza
del 23 giugno 2010 per il ricorso n°370/2009, tratteneva da ultimo entrambe le
cause in decisione, dopo che i difensori, rispettivamente, della Provincia di
Cremona e del Coordinamento dei comitati rinunciavano il primo ai termini a
difesa sugli ultimi motivi aggiunti, il secondo ad ogni eccezione sull’asserito
tardivo deposito delle memorie nel ricorso n°579/2010.
DIRITTO
1. In via preliminare, i ricorsi vanno riuniti, in quanto connessi per oggetto e
soggetti intimati ovvero controinteressati, dato che riguardano i vari atti
amministrativi complessivamente necessari a realizzare l’intervento per il quale
è causa.
2. Incominciando la disamina dal ricorso n°370/09, vanno allora in proposito
respinte tutte le eccezioni preliminari proposte dalle parti intimate e dalla
controinteressata. In ordine logico, risulta anzitutto infondata l’eccezione di
inammissibilità per asserito difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti,
ovvero delle persone fisiche e del Coordinamento di cui in epigrafe.
3. Sotto il primo profilo, la legittimazione di un ente associativo -quale è il
Coordinamento ambientalisti- a impugnare atti amministrativi incidenti
sull’ambiente, vanno richiamati i principi ribaditi da giurisprudenza anche
recente. In proposito infatti esiste anzitutto un criterio legale di
legittimazione, quello che la attribuisce agli enti a carattere nazionale
iscritti nell’apposito elenco tenuto dal Ministero dell’ambiente, ai sensi
dell'art. 13 della l. 8 luglio 1986 n°349; tale criterio peraltro è non
sostitutivo, ma aggiuntivo rispetto all’altro, secondo il quale, caso per caso,
la legittimazione può essere riconosciuta “ad associazioni locali,
indipendentemente dalla loro natura giuridica”, le quali “perseguano
statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed
abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di
afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione
collettiva che si assume leso”: in tali termini, per tutte, C.d.S. sez. IV 8
novembre 2010 n°7907; concorde anche, fra le recenti, C.d.S. sez. VI 13
settembre 2010 n°6554, in base all’ovvio rilievo secondo il quale “altrimenti
opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla
salute pubblica o all'ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero
autonoma protezione, in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste
espressamente legittimate per legge”.
4. Nel caso di specie, per il Coordinamento ricorrente, che in via pacifica non
è ricompreso nel citato elenco ministeriale, vale quanto già ritenuto da questo
Giudice nella propria sentenza 10 dicembre 2008 n°1739 più volte citata, passata
in giudicato, non appellata sul punto specifico, comunque -come pure si è detto-
confermata da C.d.S. sez. V 26 agosto 2010 n°5950, e resa fra le medesime parti
su diversi provvedimenti relativi al medesimo intervento. In tal sede (cfr. § 6
del “diritto”) si è osservato che il Coordinamento in parola è un’associazione
in certo senso di secondo grado, dato che si propone per statuto, prodotto nel
relativo pregresso giudizio, di coordinare l’attività di associazioni già
esistenti.
5. Si è ancora osservato (ibidem) che a semplice lettura dello statuto in
questione, il fine del Coordinamento è in sintesi quello di proteggere
l’ambiente lombardo; i requisiti di legittimazione ulteriori, della costituzione
non occasionale e della adeguata rappresentatività, si sono poi ritenuti
sussistere, per implicito ma in modo non equivoco, argomentando da quanto
scrisse, senza essere sul punto contestata, la Regione Lombardia, ente preposto
al massimo livello di tutela del territorio, nelle proprie difese dispiegate in
quella sede, ovvero che i comitati ambientalisti sono stati sempre, a tutti i
livelli di istruttoria, coinvolti nel procedimento relativo all’impianto di che
trattasi.
6. Rimane allora valida la conclusione raggiunta nella sentenza in questione: se
detti comitati furono riconosciuti come legittimi interlocutori nell’istruttoria
amministrativa, se ne deve dedurre che si tratti di enti rappresentativi nel
senso richiesto dalla giurisprudenza, e pertanto che sia rappresentativo anche
l’ente che, senza suscitare opposizioni di sorta, ha dichiarato di costituirsi e
di agire per coordinarne l’operato. Si può quindi escludere che si tratti di
comitato sorto “in funzione della impugnazione di singoli atti e provvedimenti”,
caso in cui la relativa legittimazione è esclusa, così come ritenuto da C.d.S.
sez. IV 19 febbraio 2010 n°1001.
7. A tale conclusione induce anche altro profilo, pure già valorizzato nella
sentenza 1739/2008, ovvero che il principio di sussidiarietà orizzontale,
vigente a livello di Unione europea e comunque introdotto nel nostro ordinamento
in modo esplicito dalla riforma del titolo V parte II della Costituzione,
conduce nel dubbio ad affermare, e non a negare, la legittimazione ad impugnare
un provvedimento amministrativo da parte di una realtà rappresentativa di
cittadini associati, in quanto si tratta di realtà che i pubblici poteri debbono
promuovere, non ostacolare: così a suo tempo anche TAR Puglia Lecce 5 aprile
2005 n°1847 e Liguria 11 maggio 2004 n°747 e 18 marzo 2004 n°267, proprio con
riferimento all’impugnazione di provvedimenti in materia ambientale.
8. Sotto il secondo profilo, la legittimazione ad impugnare i medesimi atti
amministrativi incidenti sull’ambiente, stavolta in capo a semplici cittadini,
si ritiene che essa sussista in base alla cd. “vicinitas”, descritta in termini
semplici da ultimo da C.d.S. sez. V 18 agosto 2010 n°5819 come “il fatto che i
ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la
realizzazione del nuovo impianto”.
9. Il requisito, come chiarito sempre dalla giurisprudenza, va poi inteso in
modo congruo. Anzitutto, ove i ricorrenti asseriscano, come nel caso di specie,
di essere residenti ovvero proprietari di immobili nella zona interessata, per
superare tale deduzione è necessaria una “contestazione ragionevolmente
specifica”, né basta opporre “la mancanza di una prova rigorosa di quello
stabile collegamento”: così in motivazione C.d.S. sez. IV 7907/2010 cit., su un
caso identico al presente di ricorso di un ente affiancato da cittadini. La
conclusione va senza dubbio condivisa, aggiungendo che i registri della
residenza e della proprietà immobiliare sono pubblici, e quindi una falsa
affermazione in proposito si può agevolmente smentire in via diretta.
10. In secondo luogo, la zona interessata di cui si è detto va apprezzata in
rapporto al carattere e alle dimensioni dell’intervento di cui si controverte,
tenendo conto dei dati di comune esperienza, come ritenuto da C.d.S. sez. VI
6554/2010, citata. Si è in particolare osservato che, ove si tratti della
realizzazione di un impianto astrattamente idoneo a incidere sulla salute degli
abitanti di una porzione ampia di territorio –nel caso deciso, un
termovalorizzatore- dedurre la semplice residenza sul posto è sufficiente a
radicare la legittimazione, senza che ai ricorrenti si debba addossare “il
gravoso onere della la prova dell'effettività del danno subendo, prova che, non
potendo prescindere dall'effettiva realizzazione dell'impianto, finirebbe per
svuotare di significato il principio costituzionale del diritto di difesa
predicato dall'articolo 24 della Costituzione, rendendolo possibile solo
allorquando il diritto alla salute ovvero all'ambiente salubre fossero già
definitivamente ed irrimediabilmente compromessi o esposti a pericolo”: così in
motivazione C.d.S. sez. V 18 agosto 2010 n° 5819.
11. Nel caso di specie, allora, la legittimazione va riconosciuta in capo a
tutte le persone fisiche ricorrenti, dato che, in termini generali, le
controparti si sono limitate a una contestazione generica della loro qualità di
residenti ovvero di proprietari immobiliari nella zona. Più in particolare va
comunque aggiunto che la qualità di residenti e la conseguente legittimazione è
accertata in via esclusiva base a tale criterio per i soli signori Grazia
Calabrò, Nino Contardi, Ivan Loris Davò, Dante Ferrari, Giuliano Rini, Oliviero
Siboni, Maria Tosini e Aldo Zorza.
12. Nella citata sentenza 1739/2008 di questo Giudice, passata come si è detto
in giudicato e non appellata nemmeno sul punto in esame, la legittimazione è
infatti stata già ritenuta per i signori Stefano Siboni, Giuseppe Aradori,
Gaetano Bozzi, Rodolfo Caviglia, Giuseppina Fogliazza, Alfredo Davide Gardani,
Giovanna Grisi, Fabio Lombardi, Danilo Pellegatta, Maria Teresa Puliti, Rita
Ravera, Albina Chiara Rota, Mario Siboni, Luigina Aldina Stroppa e Bruno Zoppi,
già ricorrenti in quella sede. Da ultimo, i signori Franco Bernardelli, Maria
Scandolara, Mariateresa Tosi e Claudio Traversini hanno proposto anche il
ricorso n°579/2010, e per essi vale in modo specifico quanto si dirà in
proposito.
13. E’parimenti infondata l’altra eccezione preliminare di inammissibilità del
ricorso n°370/2009, fondata sulla presunta assoluta indeterminatezza dei motivi
stessi, che, come risulta a loro semplice lettura, propongono invece censure
specifiche nei confronti degli atti impugnati, che vanno valutate nel merito
così come si vedrà.
14. Da ultimo, appare superata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva
proposta dalla Provincia di Cremona, dato che comunque nei motivi aggiunti al
medesimo ricorso n°370/2009 atti della stessa sono stati effettivamente
impugnati, e quindi l’ente in questione è a pieno titolo presente nel processo.
15. Venendo al merito del ricorso principale nel procedimento 370/2009, di esso
è infondato in fatto il primo motivo, incentrato sulla presunta violazione, da
parte delle amministrazioni convenute, del disposto della sentenza 1739/2008 di
questo TAR. A semplice lettura, la relativa motivazione ha infatti precisato che
l’annullamento del primo decreto screening regionale avveniva per una serie di
omissioni in esso contenute, e che per le stesse omissioni gli originari titoli
edilizi si annullavano per illegittimità derivata. La motivazione stessa
evidenziava infatti come il decreto non avesse detto in sostanza alcunché di
preciso in merito all’impatto dell’intervento sui livelli di emissioni e di
consumi attuali, all’impatto sulle limitrofe aree di interesse naturalistico
-Parco del Po- Morbasco e SIC Spinadesco, all’impatto sul reticolo delle acque
esistenti, al rapporto fra l’intervento stesso ed altri impianti aziendali già
esistenti e soggetti per loro natura a VIA statale –in ispecie un impianto di
inertizzazione dei fumi e una discarica per le polveri recuperate tramite detto
processo, all’impatto sul traffico automobilistico in zona e da ultimo alle
possibili interazioni fra l’intervento ed altri stabilimenti limitrofi,
classificati come aree a rischio di incidente industriale rilevante,
stabilimenti rappresentati dalla ABIBES S.p.a., che immagazzina gas di petrolio
liquefatti, dalla SOL S.p.a., che pure tratta sostanze gassose, fra cui
idrogeno, dalla Liquigas, e da un oleificio alimentare, tutti utilizzatori o
produttori di sostanze altamente infiammabili (v. §§ 14-e 22 della sentenza
citata).
16. Secondo logica quindi l’effetto confermativo dell’annullamento è consistito
nel vincolare l’amministrazione a riesaminare la pratica facendosi esplicito
carico dei suddetti profili, e ciò, come si vedrà meglio fra breve, è avvenuto,
come risulta anche lettura del testo del nuovo provvedimento (doc. 1 ricorrenti
in ricorso 370/09, cit.). Non è assolutamente possibile affermare che il decreto
screening 534/2009 impugnato nella sede presente abbia riprodotto le omissioni
del decreto precedente e sia quindi per ciò solo da annullare: il motivo va
respinto, mentre lo scrutinio di legittimità va concentrato sul concreto modo in
cui i profili già trascurati sono stati affrontati. Ciò conduce alla disamina
dei restanti motivi di ricorso principale, che peraltro risultano a loro volta
tutti infondati.
17. Il motivo secondo, centrato sulla presunta necessità ipso iure della VIA in
quanto l’intervento si localizzerebbe all’interno di aree protetta, in tesi il
citato Parco del Po- Morbasco e il SIC Spinadesco, è pure infondato in fatto. Il
Collegio deve ricordare che la medesima questione era già stata trattata dalla
propria sentenza 1739/2008, nella quale si legge (cfr. § 11 della motivazione)
che lo stabilimento Arvedi, e ogni ampliamento di cui si discute nella sede
presente, si trovano a circa 1200 metri dal confine del Parco e comunque
all’esterno del SIC indicato: il punto non è stato oggetto di appello, né nella
presente sede è stato dedotto alcun argomento in contrario.
18. E’ a sua volta infondato il motivo terzo, con il quale si valorizzano, in
sintesi estrema, presunte lacune e illogicità del decreto screening impugnato, e
si sostiene che comunque l’intervento per cui è causa si sarebbe dovuto comunque
assoggettare a VIA per le sue concrete caratteristiche. In proposito, per
maggior chiarezza, vanno richiamati la normativa e i principi giurisprudenziali
applicabili alla fattispecie.
19. Sotto il profilo normativo, come è noto, la Valutazione di impatto
ambientale, in sigla VIA, è l’istituto, già previsto dal D.P.R. 12 aprile 1996
ed ora dagli artt. 19-24 del D. lgs. 3 aprile 2006 n°152, o T.U. ambiente
mediante il quale, nella formula dell’art. 5 lettera b) del T.U. “vengono
preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un progetto”. Detto
istituto prevede, in sintesi, l’elaborazione di uno studio particolarmente
complesso ed oneroso, che per tal ragione, come previsto dal legislatore
nazionale in ossequio alla normativa uniforme europea, non è imposto
indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di influenzare negativamente
l’ambiente. Per taluni di essi, fra i quali rientra in astratto quello per cui è
causa, è previsto infatti un procedimento a doppio stadio: nella prima fase, si
compie appunto lo screening, ovvero nella terminologia dell’art. 5 lettera m)
del T.U. la “verifica di assoggettabilità”, che serve a “valutare, ove previsto,
se progetti possono avere un impatto significativo e negativo sull'ambiente e
devono essere sottoposti alla fase di valutazione”; la VIA poi si fa nella
seconda fase, che è eventuale, ovvero ha luogo solo se lo screening conclude in
tal senso.
20. Ciò posto, è di tutta evidenza che l’attività mediante la quale
l’amministrazione provvede alle valutazioni poste alla base dello screening è
connotata da discrezionalità tecnica, e quindi può essere sindacata nella
presente sede giurisdizionale di legittimità nei limiti che la giurisprudenza ha
in generale elaborato al riguardo. In proposito, è anzitutto costante
l’affermazione di principio, ribadita da ultimo da C.d.S. sez. V 1 ottobre 2002
n°7262, per cui “il giudizio di discrezionalità tecnica, caratterizzato dalla
complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dalla opinabilità
dell'esito della valutazione, sfugge al sindacato del giudice amministrativo in
sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non
corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di
illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza
della procedura valutativa e dei relativi esiti”, precisandosi anzi che le
illegittimità e incongruenze debbono essere “macroscopiche” e “manifeste”, come
si legge in motivazione di C.d.S. sez. V 17 maggio 2005 n°2460, proprio con
riguardo al sindacato sulla VIA di un impianto industriale; conforme, sempre in
tema di valutazioni di impatto ambientale, anche C.d.S. sez. VI 19 febbraio 2008
n°561.
21. Se il sindacato in tema di discrezionalità tecnica postula che nell’atto sia
rinvenibile, in sintesi, una illogicità, è senz’altro conforme a logica, oltre
che ai principi processuali, che sia la parte ricorrente a dover indicare in
modo specifico in cosa tale illogicità consisterebbe, senza limitarsi a
generiche contestazioni. In tal senso è la giurisprudenza, secondo la quale, in
termini generali, è necessario che “il ricorrente supporti la propria domanda,
allegando e dimostrando in giudizio tutti gli elementi costitutivi della sua
pretesa”, e solo ove non vi riesca “per la sua posizione di disparità
sostanziale con l'amministrazione” potrà chiedere che il giudice faccia ricorso
al “metodo acquisitivo” della prova, fermo che anche in tal caso egli è soggetto
a un “onere di principio di prova”, nel senso che “è tenuto… a prospettare al
giudice adito una ricostruzione attendibile sotto il profilo di fatto e
giuridico delle circostanze addotte”, ricostruzione rispetto alla quale il
giudice potrà acquisire d’ufficio gli elementi rilevanti. In tali termini,
sempre su questione tecnica, C.d.S. sez. VI 4 settembre 2007 n°4621, con
argomentazione che appare tuttora valida alla luce dell’art. 64 comma 1 c.p.a.,
secondo il quale l’onere probatorio posto a carico delle parti si riferisce
comunque agli elementi che “siano nella loro disponibilità”.
22. Sempre secondo logica, sia la dimostrazione diretta dell’illogicità di un
dato atto sia la prospettazione della possibilità di essa in termini attendibili
vanno compiute in modo analitico e discorsivo, ovvero spiegando quali dovrebbero
essere gli errori commessi e perché; non sarà invece sufficiente la mera
allegazione apodittica di elementi di segno contrario a quelli valorizzati
dall’amministrazione, quali pareri di esperti di propria fiducia e simili. In
tal senso, sempre in termini generali, ad esempio C.d.S. sez. IV 5 agosto 2005
n°4196, per cui “il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica non
può sfociare nella sostituzione dell'opinione del giudice, e a maggior ragione
della parte, a quella espressa dall'organo amministrativo, ove tale opinione,
pur se non condivisa sul piano soggettivo in dipendenza della fisiologica
opinabilità che connota la interpretazione e applicazione di scienze non esatte,
non venga considerata errata sul piano della tecnica”.
23. Le considerazioni sin qui esposte, lo si dice per completezza, non sono poi
contraddette dalla giurisprudenza europea e nazionale citata dai ricorrenti alle
pp. 20 e 21 del ricorso principale, giurisprudenza che in sintesi si limita a
ribadire il ruolo, e pertanto l’importanza, del procedimento di VIA, senza però
indicare regole particolari alle quali il sindacato del Giudice in proposito
dovrebbe soggiacere. Ciò è in particolare vero con riguardo al ruolo del
principio di precauzione, che i ricorrenti invocano a loro favore alle pp. 28-29
dell’atto, sostenendo che “il rischio è… ritenuto inaccettabile finché non sia
dimostrato il contrario” (p. 29 quarto e quinto rigo), ovvero secondo logica che
sussisterebbe una sorta di presunzione di impossibilità di realizzare interventi
come quello per cui è causa. Tale interpretazione infatti non va condivisa.
24. Come è noto, il principio di precauzione, recepito dal Trattato dell’Unione
europea e in precedenza dal Trattato comunitario, si fonda in termini giuridici
sull’art. 15 della Dichiarazione di Rio del 1992, per cui “In order to protect
the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States
according to their capabilities. Where there are threats of serious or
irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a
reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental
degradation.”, il che in traduzione suona “Al fine di proteggere l'ambiente, un
approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in
funzione delle proprie capacità . In caso di rischio di danno grave o
irreversibile, l'assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire
un motivo per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in
rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”.
25. Come è pure noto, il principio in questione ha dato luogo a dispute
scientifiche, filosofiche e politiche sul suo effettivo valore, sembrando ad
alcuni interpretabile in modo estremo; si è sostenuto infatti che infatti che
esso equivarrebbe alla “prudenza imposta per legge”, ovvero al divieto di
utilizzare tutti i risultati della ricerca scientifica prima di esser certi
della loro assoluta non pericolosità per l’ambiente; si è sostenuto poi che la
certezza in merito non si potrebbe mai raggiungere, perché le verità
scientifiche sono sempre come tali provvisorie e suscettibili di modifica.
26. Nella sede presente, va però sottolineato che tale lettura estrema del
principio, quale che sia l’opinione intellettuale al riguardo che si ritenga di
condividere, non è quella adottata dalla giurisprudenza europea e nazionale, che
è invece prudente. Essa ha infatti sottolineato che “protective measures”,
ovvero “misure preventive”, adottate in base al principio stesso e comprensive
all’evidenza della proibizione preventiva di una certa attività “may not
properly be based on a purely hypothetical approach to risk, founded on mere
suppositions which are not yet scientifically verified”, ovvero “non si possono
fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere
supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici”.
L’enunciato è di Corte CE 9 settembre 2003 C-236/01 Monsanto, ed è richiamato in
modo esplicito, fra le molte, in Corte CE 5 febbraio 2004 C- 24/00 Commissione
vs. Repubblica Francese; la stessa lettura è presupposta, nella giurisprudenza
nazionale, ad esempio da TAR Lombardia Brescia 11 aprile 2005 n°304, TAR
Campania Napoli 27 febbraio 2007 n°1231, TAR Veneto 24 febbraio 2004 n°396 e da
ultimo C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2010 n°183. Ciò si giustifica anche osservando,
con Cass. civ. 23 gennaio 2007 n°1391, relativa all’attività di un impianto che
emetteva radiazioni elettromagnetiche, che le attività pericolose nel nostro
ordinamento, se svolte entro date condizioni, sono lecite. Si ritorna quindi al
punto già ribadito, la necessità di una dimostrazione discorsiva da parte del
ricorrente, non limitata a mere allegazioni, di errori di apprezzamento compiuti
dalla p.a.
27. Nel caso di specie, tale dimostrazione è mancata. Come già accennato, il
decreto screening impugnato si fa carico in modo esplicito dei profili di
valutazione omessi dal precedente decreto annullato. Il decreto stesso (doc. 1
ricorrenti in ricorso 370/09, cit.) consta di otto pagine a stampa dedicate al
provvedimento in senso proprio, ovvero al dispositivo e al riassunto dei
passaggi burocratici del procedimento, e di un “allegato tecnico” di trentadue
pagine ulteriori, nelle quali sono affrontate tutte le tematiche la cui
omissione aveva motivato l’annullamento del primo decreto. Nell’ordine:
l’impatto dell’intervento sui livelli di emissioni e di consumi attuali è
trattato in due distinti paragrafi alle pp. 13, 21 e 26 dell’allegato, ove viene
valutato in modo espresso e giudicato congruo con prescrizioni il modello di
simulazione proposto dalla Arvedi., evidenziando l’effetto positivo indotto da
un apposito dispositivo, la “torre di quenching”, ovvero un impianto di
rafferddamento dei fumi che evita la formazione di diossine. Quanto all’impatto
sulle limitrofe aree di interesse naturalistico -Parco del Po- Morbasco e SIC
Spinadesco, c’è un apposito paragrafo a p. 18, che viene a concludere una
attenta ricognizione della morfologia dell’area, che considera anche l’impatto
sul reticolo delle acque esistenti, descritte alle pp. 17-18 e considerate sotto
il profilo indicato alle pp. 25 e 28. Il rapporto fra l’intervento stesso ed
altri impianti aziendali già esistenti e soggetti per loro natura a VIA statale
–in ispecie un impianto di inertizzazione dei fumi e una discarica per le
polveri recuperate tramite detto processo- è poi trattato alle pp. 8 e ss., ove
si prevede, in sintesi, che l’ampliamento non andrà a interessarli; il punto,
oggetto di specifica istruttoria, è stato confermato dalla relazione della p.a.
5 agosto 2009, ove si spiega, in sintesi, che l’impianto aziendale funziona solo
come impianto di emergenza per trattare le polveri che, per ragioni eccezionali,
non possano essere conferite a impianti esterni, tanto che dal 2006 non è stato
utilizzato. L’impatto sul traffico automobilistico in zona è poi trattato alle
pp. 15 e 25 e da ultimo le possibili interazioni fra l’intervento ed altri
stabilimenti limitrofi, classificati come aree a rischio di incidente
industriale rilevante, sono considerate alle pp. 19, 26 e 30: in sintesi, si
afferma che l’acciaieria non sarebbe interessata nemmeno da un “flash fire”,
ovvero da un’esplosione catastrofica del GPL immagazzinato presso la ABIBES,
massimo evento prevedibile, per il quale oltretutto il piano di emergenza della
Prefettura individua come luogo sicuro di evacuazione proprio il piazzale
dell’acciaieria.
28. A fronte di ciò, il ricorso principale si limita ad una serie di critiche
generiche, e afferma che tutto ciò sarebbe “mera formula di stile” (p. 36
quartultimo rigo), senza però spiegare quali errori l’amministrazione avrebbe
commesso e in rapporto a quali elementi, e in rapporto a ciò il sindacato del
Giudice non è possibile, perché si tradurrebbe in una non consentita riedizione
da parte dello stesso dell’attività amministrativa di che trattasi.
29. Non sono invece condivisibili le uniche censure specifiche che i ricorrenti
muovono, quelle per cui da un lato l’amministrazione si sarebbe contraddetta,
perché avrebbe imposto la VIA per un intervento “di assai minor momento sotto
ogni profilo” (p. 31 ricorso, sestultimo rigo), ovvero per l’ampliamento di un
allevamento di suini; dall’altro avrebbe comunque errato ad espletare le proprie
valutazioni circa un impianto ormai già in esercizio, anche perché “l’attuale
esercizio” costituirebbe “reato essendo stati annullati dal Giudice
amministrativo tutti i titoli abilitativi” e comunque illecito che lo Stato
dovrebbe eliminare (p. 30 ricorso, in part. terzo e quinto rigo).
30. Circa il primo punto, occorre rilevare che, con valutazione espressa dal
legislatore la cui ragionevolezza non è stata messa in discussione in questa
sede, gli allevamenti suinicoli sono inseriti fra gli impianti per i quali,
anche in ampliamento, è di regola necessaria la VIA, essendo previsto lo
screening solo per strutture di minore importanza, come previsto dal T.U
ambiente agli allegati III lettere ac) e ag) e IV lettera c). Circa il secondo
punto, si può solo osservare che, come più volte fin qui ribadito,
l’annullamento disposto con la sentenza 1739/2008 non ha avuto l’effetto né di
imporre l’espletamento della VIA, né tantomeno di precludere l’intervento, ma
solo quello di imporre un riesame della fattispecie, che fisiologicamente si è
svolto sulla situazione di fatto già prodottasi in modo legittimo in esecuzione
dei provvedimenti annullati, che, va ricordato, non sono mai stati
precedentemente sospesi.
31. E’parimenti infondato il quarto ed ultimo motivo del ricorso principale nel
procedimento 370/2009, in base al semplice rilievo per cui né il T.U. 6 giugno
2001 n°380 né alcuna altra norma precludono ad un Comune di rilasciare il titolo
edilizio abilitativo pertinente ad una costruzione sita sul proprio territorio
per il solo fatto che la costruzione stessa fa parte di un più ampio compendio
sito anche nel territorio di altro Comune, e ciò non a caso, perché delle
esigenze di coordinamento in proposito si fanno carico i piani urbanistici di
livello superiore a quello comunale.
32. Quanto appena esposto conduce a respingere anche il primo ricorso per motivi
aggiunti, rivolto come si è detto specificamente contro il provvedimento 9
febbraio 2009 prot. n°6805 del Direttore del Settore gestione territorio e
sviluppo economico – Sportello unico per le imprese e l’edilizia del Comune di
Cremona, confermativo dei titoli edilizi rilasciati da quell’ente. In ordine
logico, va anzitutto respinto il motivo imperniato sulla presunta violazione
dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n°241, ovvero sull’omissione rispetto ai
ricorrenti dell’avviso di inizio del procedimento. Va infatti condiviso quanto
affermato dalla giurisprudenza, in particolare da C.d.S. sez. VI 28 febbraio
2006 n°889, per cui nessuna norma speciale prevede l'obbligo
dell'amministrazione di dare avviso ad altri” della pendenza del procedimento di
rilascio di un permesso di costruire, ovvero di una autorizzazione in senso
ampio di altro tipo, “né tale obbligo discende dall'art. 7, in considerazione
della impossibilità di determinare i soggetti che potrebbero ricevere nocumento
dall'accoglimento dell'istanza”.
33. La reiezione del ricorso principale comporta poi che si respingano i
medesimi motivi riproposti nel primo ricorso per motivi aggiunti come censure di
illegittimità derivata; la chiara infondatezza di tale ricorso nel merito esime
poi dal valutare l’eccezione preliminare di sua irricevibilità perché tardivo
proposta dal Comune così come detto in narrativa.
34. Parimenti, risulta infondato nel merito anche il secondo ricorso per motivi
aggiunti nel procedimento 370/2009, rivolto come si è detto in primo luogo
avverso il decreto 22 marzo 2010 n°184, col quale il competente ufficio della
Provincia di Cremona ha rilasciato l’AIA afferente all’impianto. In dettaglio, è
infondata l’identica eccezione preliminare di inammissibilità dedotta dalla
Provincia e dal Comune di Spinadesco sia nel secondo che nel terzo ricorso per
motivi aggiunti, e fondata sul rilievo per cui tali ricorsi sarebbero rivolti
avverso atti eterogenei. Come si vedrà meglio trattando del quinto motivo del
secondo ricorso per motivi aggiunti, infatti, l’assunto dei ricorrenti è quello,
di segno opposto, per cui invece tali atti risponderebbero ad un disegno
unitario: ciò a livello di prospettazione è sufficiente a radicare l’interesse a
ricorrere, salva naturalmente la verifica della veridicità o no dell’assunto,
che appartiene al merito.
35. Le considerazioni di cui ai §§ 32 e 33 che precedono portano poi a
respingere i primi due motivi dedotti: il primo ripropone come censure di
illegittimità derivata tutti i motivi già dedotti con il ricorso principale e
con il primo atto di motivi aggiunti; il secondo riproduce il motivo del primo
atto di motivi aggiunti incentrato sull’omissione dell’avviso di inizio del
procedimento.
36. Il terzo e il quarto motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti sono a
loro volta infondati, e vanno esaminati in via congiunta perché fondati sul
medesimo ordine di idee. Assumono infatti i ricorrenti che, una volta
riesercitato da parte della Regione il potere di valutare se l’impianto dovesse
o no essere sottoposto a VIA, il che nella specie ha portato al nuovo decreto
screening, non si sarebbero comunque potuti utilizzare, nel prosieguo dell’iter
di autorizzazione dell’impianto stesso, né l’originario allegato tecnico all’AIA
né gli originari titoli edilizi già rilasciati, ovvero, più propriamente, i
risultati dell’istruttoria tecnica che aveva portato a emetterli.
37. Tale assunto è infondato in fatto, come si ricava, ancora una volta, a
semplice lettura della sentenza 1739/2008 di annullamento dell’originario
decreto screening, in particolare dei §§ 20-22 della motivazione. Tale sentenza
ha infatti annullato sia l’originaria AIA sia gli originari titoli edilizi per
illegittimità derivata. In parole semplici, tale sentenza ha annullato il
decreto screening originario per non aver chiarito in modo esauriente se per
autorizzare l’intervento fosse necessaria o no la VIA; secondo logica, quindi,
da un lato non poteva non annullare anche l’AIA e i titoli edilizi, emessi
invece sul presupposto positivo che la VIA non fosse necessaria; dall’altro lato
per tal motivo nemmeno poteva scendere all’esame di eventuali vizi propri di
tali atti.
38. Nel presente processo, però, il presupposto logico che ha condotto a
caducare l’AIA e i titoli edilizi originari è venuto meno, dato che sono stati
respinti i motivi dedotti avverso il nuovo decreto screening e si è quindi
ritenuta corretta l’originaria scelta della p.a. di non richiedere la VIA. Non
vi è a questo punto alcun ostacolo di principio ad utilizzare per il nuovo
rilascio dell’AIA e dei titoli in questione i risultati dell’originaria
istruttoria, che muoveva appunto dalla non necessità della VIA, salvi
naturalmente vizi propri degli atti in parola, dei quali subito appresso.
39. Il quinto motivo di ricorso postula una premessa in fatto. Come si è detto
anche in narrativa ed è comunque pacifico in causa, nella zona di Cremona-
Spinadesco la Arvedi S.p.a. è titolare di due stabilimenti: il primo è
l’acciaieria da ampliare; il secondo è un impianto di zincatura, che, come noto
dalla comune esperienza, rifinisce i nastri di acciaio – coils- con un
rivestimento appunto di zinco, e li rende idonei ad impieghi particolari, nei
quali sono esposti ad un livello di umidità che deteriorerebbe il semplice
acciaio. Anche per tale ultimo impianto la Arvedi ha programmato un ampliamento,
autorizzato con un suo proprio decreto screening, 27 marzo 2008 n°3015 che ha
escluso la necessità di VIA e, come si è detto, non consta impugnato, e con una
sua propria AIA, decreto provinciale 27 maggio 2010 n°544.
40. I ricorrenti, come si è detto, hanno impugnato quest’ultimo decreto,
unitamente all’AIA concernente l’ampliamento dell’acciaieria, sul presupposto
che i due impianti costituirebbero in realtà un tutto unitario, che avrebbe
dovuto essere considerato pure in via unitaria ai fini del rilascio dell’AIA, e
quindi, secondo logica, assoggettato a prescrizioni più gravose, o comunque
diverse, da quelle adottate.
41. L’assunto però non va condiviso, e porta a respingere il motivo in esame. In
materia di AIA, la normativa applicabile, di attuazione di una direttiva
europea, era, ratione temporis, quella del d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59,
abrogato dal d.lgs. 29 giugno 2010 n°128, che peraltro contiene norme di
identico contenuto. Ai sensi dell’art. 1 comma 2 del decreto applicabile, l’AIA
si rilascia quindi per gli “impianti di cui all’allegato I”; cosa sia un
“impianto” è poi spiegato dal successivo art. 2 comma 1 lettera c), che lo
definisce come “l'unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività
elencate nell'allegato I e qualsiasi altra attività accessoria, che siano
tecnicamente connesse con le attività svolte nel luogo suddetto e possano
influire sulle emissioni e sull'inquinamento”. Il principio, logico prima che
giuridico, è quindi che per ogni “impianto” serva una distinta AIA, e che il
concetto di impianto sia essenzialmente oggettivo e tecnico, non dipenda quindi
dalla volontà di chi lo gestisce, il quale potrebbe, per le più varie ragioni,
denominare unico impianto un complesso in realtà costituito da impianti diversi,
e all’incontro voler separare attraverso distinte denominazioni una realtà
tecnica unitaria.
42. La giurisprudenza del Consiglio di Stato in proposito ha avuto poi modo di
chiarire che il singolo impianto è individuato dalla sua autonomia tecnica,
ovvero dalla sua possibilità di funzionare ed essere utilizzato in via autonoma,
a prescindere dal vincolo teleologico con impianti in qualche modo
complementari: ciò è stato affermato in materia di sottoposizione a VIA, ma il
principio è all’evidenza valido anche per il caso in esame, dato che la VIA
positiva è presupposto del rilascio dell’AIA, ed è infatti applicato al rilascio
di tale atto da TAR Emilia Romagna Bologna sez. I 26 novembre 2007 n°3365. Sul
punto, si vedano in particolare C.d.S. sez. IV 11 maggio 2010 n°2825 e sez. VI
22 novembre 2006 n°6831, con riguardo ad un metanodotto terrestre connesso ad un
impianto marino di rigassificazione, ma capace di trasportare gas proveniente
anche da altre fonti, e C.d.S. sez. VI 16 marzo 2005 n°1102, relativa alle dighe
foranee e alle dighe mobili che nel loro insieme costituiscono il cd. progetto
MOSE di difesa della laguna veneta dalle alte maree, ma possono funzionare le
une indipendentemente dalle altre.
43. Applicando tale principio al caso di specie, è allora evidente che un
impianto di zincatura è del tutto autonomo da una acciaieria, dato che svolge,
come si è detto, una attività di rifinitura del prodotto base di essa, ma lo può
ricevere da qualsivoglia fornitore, appartenente o no al proprio titolare, in
altre parole può lavorare sia per conto del proprio gruppo sia in conto terzi.
Non vi è allora necessità alcuna che l’AIA relativa consideri in via unitaria
tanto l’impianto di zincatura quanto l’acciaieria, a meno di situazioni
particolari, che nella specie non sono state nemmeno allegate.
44. Proseguendo nella disamina, il sesto motivo è infondato perché presuppone
una lettura errata della normativa vigente. Riferendosi alle norme applicabili
ratione temporis, il d. lgs. 59/2005 prevede, come si è detto, l’AIA per gli
impianti di cui al proprio allegato I, che considera distintamente da un lato
gli impianti di “produzione e trasformazione dei metalli” (§ 2) e fra essi gli
“impianti di produzione di ghisa o acciaio (fusione primaria o secondaria)” (§
2.2.); dall’altro gli impianti di “gestione dei rifiuti” (§ 5) e fra essi gli
“impianti di incenerimento dei rifiuti urbani” (§ 5.2). Di questi ultimi si
occupa poi in modo specifico il d. lgs. 11 maggio 2005 n°133, tuttora in vigore,
che definisce appunto l’impianto di incenerimento all’art. 2 comma 1 lettera d)
come “qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al
trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero
del calore prodotto dalla combustione” e l’impianto di coincenerimento all’art.
2 comma 1 lettera e) come “qualsiasi impianto, fisso o mobile, la cui funzione
principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizza
rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono
sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento”.
45. Si tratta quindi di realtà eterogenee sia sotto il profilo normativo, dato
che sono previste da norme diverse, sia sotto il profilo della comune logica,
dato che altro è un’acciaieria di seconda fusione, che utilizza i rottami come
materia prima per trasformarli in un prodotto da vendere, e altro è un
inceneritore di rifiuti, che è volto a distruggerli senza nulla da essi
ricavare, ovvero, nel caso di impianto di coincenerimento, li utilizza come
combustibile per realizzare un diverso prodotto. La pretesa di imporre
all’esercizio della prima i limiti di emissioni validi per i secondi non è
quindi giustificata dalle norme vigenti: la contraria opinione espressa nella
relazione Caldiroli prodotta dalle parti, di cui si è detto in narrativa, non è
quindi valorizzabile nella sede presente, omessa ogni valutazione sul suo pregio
scientifico.
46. Il settimo motivo di ricorso è infondato in fatto. Sotto il primo dei due
profili che esso involve, va osservato che la presunta mancata considerazione
del parere del Comune di Cremona nel decreto AIA relativo all’acciaieria è
frutto di una, invero contestabile, interpretazione dei ricorrenti. A lettura
degli atti della conferenza di servizi, risulta infatti che in sede di riunione
il 17 marzo 2010, nel procedimento per il rilascio dell’AIA relativa
all’acciaieria, il Comune di Cremona ha dato atto che il limite alle emissioni
andava riferito agli impianti di maggiore importanza, ovvero ai “forni fusori”,
che più polveri emettono (doc. 1.3 ricorrenti allegato all’elenco 22 luglio 2010
p. 3 quarto paragrafo), né altre specifiche censure sul punto sono state
formulate. Sotto il secondo profilo, è poi logico sostenere che i limiti di
immissione sonora consentiti dall’AIA in difetto di espressa previsione sono
automaticamente quelli di legge, e comunque si osserva (v. doc. 1.3 cit. ultima
pagina) che specifiche opere di mitigazione sono previste. E’ poi solo per
completezza che si osserva come problematiche sui due punti citati non emergano
dal verbale 25 maggio 2010 della conferenza di servizi relativa all’impianto di
zincatura (doc. 6 ricorrenti allegato all’elenco 22 luglio 2010, copia verbale
citato).
47. Ancora, poggia su un ordine di idee non condivisibile il motivo ottavo, che
assume un’equivalenza fra parere negativo e parere con prescrizioni che non è
nell’ordinamento. Vale in proposito il principio sostenuto, fra le altre, da
C.d.S. sez. V 5 gennaio 2004 n°1, relativa proprio ad un parere di compatibilità
ambientale: parere con prescrizioni significa non inidoneità del progetto ad
essere positivamente valutato, ma progetto che in sé è accettabile, ma che
secondo l’amministrazione consulente si presta ad essere ulteriormente
migliorato: “Ne consegue che il ricorso allo strumento delle "prescrizioni" non
può essere visto come sintomatico di un progetto incompatibile con l'ambiente”.
48. Il nono motivo va a sua volta respinto poiché, come da giurisprudenza della
Sezione, sentenza 27 dicembre 2007 n°1372 correttamente citata nel parallelo
ricorso 579/2010, la scheda informativa di cui si ragiona non è comunque
prevista a pena di illegittimità.
49. Da ultimo, il decimo motivo va respinto per considerazioni identiche a
quelle svolte nel § 31 che precede, cui comunque si rinvia, ribadendo che nel
vigente ordinamento ciascun Comune è abilitato ad assentire le costruzioni che
debbono insistere sul proprio territorio.
50. La disamina del procedimento 370/2009 va conclusa con lo scrutinio del terzo
ed ultimo ricorso per motivi aggiunti, anch’esso infondato nel merito per le
ragioni che seguono, mentre l’eccezione preliminare dedotta in proposito è già
stata esaminata e respinta al precedente § 34. In dettaglio, il primo motivo,
che ripropone come censure di illegittimità derivata quelle sin qui valorizzate,
va respinto in dipendenza dalla reiezione delle stesse; il secondo motivo,
relativo all’omissione dell’avviso di inizio del procedimento va pure respinto
per le ragioni già indicate al precedente § 32, cui si rinvia.
51. Il terzo motivo, inerente al superamento del termine previsto dalla legge
per il rilascio del permesso di costruire in variante relativo all’impianto di
zincatura, va a sua volta respinto, dato che per costante giurisprudenza, per
tutte Cass. sez. lav. 24 aprile 1987 n°4009, i termini stabiliti dalla legge in
difetto di diversa previsione, qui non riscontrabile, sono comunque ordinatori.
52. In ordine al quarto motivo del terzo ricorso per motivi aggiunti, si deve
poi argomentare in base a quanto affermato in generale ai §§ 23-26 che
precedono. Per affermare l’illegittimità di un atto amministrativo sotto il
profilo della inesatta o incompleta considerazione della conseguenze
sull’ambiente dell’attività che esso autorizza, è infatti necessaria una
dimostrazione discorsiva, che secondo i requisiti minimi del metodo scientifico
deve per lo meno indicare un possibile percorso causale, definito da leggi
scientifiche, fra gli effetti dell’atto e le sue presunte conseguenze
pregiudizievoli. In tal senso, quindi, non è sufficiente giustapporre l’atto
stesso a fenomeni di una qualche pericolosità, magari suscettibili di
impressionare il pubblico in misura notevole, e limitarsi ad asserire che questo
sarebbe la causa di quelli, come è invece avvenuto nel caso presente. I
ricorrenti hanno infatti accostato il rilascio del permesso di costruire di che
trattasi –si noti, relativo non all’acciaieria, ma al distinto impianto di
zincatura- ad una asserita anomala mortalità per tumore nella zona, ma non hanno
in alcun modo spiegato perché fra i due elementi vi sarebbe un rapporto di causa
ad effetto.
53. La reiezione delle domande di annullamento comporta infine la reiezione
anche della domanda risarcitoria.
54. Si procede ora all’esame del ricorso 579/2010, nel quale è anzitutto
infondata l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione proposta dalle
controparti. In proposito, vanno ripetuti gli argomenti di carattere generale di
cui sopra ai §§ 2-10, e va aggiunto che nel caso di specie i ricorrenti persone
fisiche hanno avuto cura di dimostrare, mediante produzione di certificati
ovvero di una relazione tecnica, la loro residenza sul posto ovvero la loro
proprietà di immobili (doc. ti ricorrenti 9, 11, 12 e 13 allegati all’elenco 16
dicembre 2010).
55. La seconda eccezione preliminare, per cui taluni dei motivi dedotti
sarebbero inammissibili, in quanto riguarderebbero vizi propri del decreto
screening, e quindi si sarebbero dovuti proporre mediante tempestiva
impugnazione dello stesso, è poi infondata limitatamente ai motivi quarto e
ottavo, che, come risulta a loro semplice lettura, deducono in via diretta
asseriti vizi degli atti impugnati; l’eccezione stessa risulta invece fondata,
come si vedrà a suo luogo, rispetto agli altri motivi in rapporto ai quali è
stata formulata.
56. Nel merito, è infondato il primo motivo, secondo il quale, in sintesi, il
piano attuativo impugnato sarebbe viziato per mancanza della necessaria
pianificazione di livello superiore. Occorre ricordare – e sul punto la
ricostruzione dei ricorrenti risponde solo in parte al vero- che la più volte
citata sentenza 1739/2008 di questo TAR ebbe ad annullare l’originaria versione
di detto piano attuativo comunale per un motivo riportabile, in sostanza, ad un
vizio di incompetenza (§ 27 della motivazione).
57. Tale sentenza, infatti, aveva anzitutto ricostruito la normativa vigente,
che non consta modificata, nella Provincia di Cremona in tema di poli
industriali. Più in dettaglio, come accennato in premesse, tale sentenza aveva
accertato come il Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Cremona
prevedesse nel proprio ambito tre tipologie di area industriale, ciascuna da
disciplinare in base a competenze diverse: competenza del Comune, con gli
strumenti pianificatori suoi propri, per le aree di interesse, appunto, soltanto
comunale; competenza ripartita fra i Comuni interessati e la Provincia stessa
per i poli di interesse intercomunale; competenza della sola Provincia per i
poli industriali di interesse provinciale, ovvero quelli insistenti su aree
superiori ai 250.000 mq, soggetti ad una apposita previsione del Piano
territoriale provinciale stesso (§ 23 della motivazione).
58. Sempre la sentenza 1739/2008 aveva poi osservato come il complesso Arvedi,
che come è pacifico sorge su un’area di circa 480.000 mq, si sarebbe in astratto
dovuto classificare polo di interesse provinciale, soggetto come tale ad un
adeguamento del PTCP; fosse stato però autorizzato, mediante il piano, dal solo
Comune di Spinadesco in quanto ritenuto ampliamento di un polo provinciale già
esistente, ovvero del polo “Porto canale di Cremona”, e quindi per definizione
compatibile con il vigente PTCP (§ 24 della motivazione).
59. La sentenza 1739/2008 aveva però annullato il piano per mancata
dimostrazione di tale fondamentale presupposto, essendo emerso in corso di causa
che la perimetrazione di detto polo, negli elaborati del PTCP, lo limitava al
solo Comune di Cremona, e quindi secondo logica ne escludeva la acciaieria
Arvedi, che sorge sia in tale Comune sia nel confinante Comune di Spinadesco (§
26 della motivazione).
60. A tale vizio, la competente Autorità provinciale ha ritenuto di porre
rimedio nei termini spiegati in narrativa: con successiva deliberazione della
Giunta 3 febbraio 2009 n°56, ha provveduto a riperimetrare il polo provinciale
in questione e a includervi anche l’acciaieria, ritenendo che gli elaborati
precedentemente predisposti contenessero, in buona sostanza, un errore
materiale.
61. Interessa ora evidenziare che la citata delibera di Giunta 36/2009 non
consta impugnata, ed è quindi divenuta inoppugnabile: la correttezza della
scelta compiuta dalla Provincia in proposito non è quindi sindacabile nella sede
presente, ma deve essere presupposta. Ne segue, come logica conseguenza, che
deve essere ritenuta la competenza del Comune di Spinadesco a disciplinare
esclusivamente col proprio piano attuativo un ampliamento che, a norma del PTCP
vigente, deve essere considerato come semplice intervento su un polo provinciale
già previsto. In tal senso, le esigenze di considerazione unitaria dell’impianto
Arvedi e delle altre realtà industriali limitrofe sono soddisfatte nei termini
previsti dalle norme, né è possibile sostenere che tale considerazione sarebbe
comunque inadeguata in base ad argomenti extragiuridici.
62. Il secondo motivo di ricorso, nel quale si sostiene che l’intervento di che
trattasi non sarebbe stato assentibile dal Comune anche per un’altra ragione,
ovvero perché relativo ad un impianto soggetto a VIA è pure infondato. La
questione dell’assoggettabilità o no dell’intervento in parola alla VIA è
infatti già stata affrontata e risolta dall’amministrazione a ciò competente,
ovvero dalla Regione, attraverso il decreto screening 26 gennaio 2009 n°534, che
come si è visto ha resistito alle censure di legittimità che gli sono state
mosse. La questione stessa deve quindi ritenersi risolta nel senso definitivo
per cui la VIA nella specie non è necessaria, ed è evidente come tale
valutazione non possa essere duplicata dal Comune in sede di pianificazione
urbanistica, ma debba essere tenuta per presupposta, a pena di una violazione
dell’ordine delle competenze stabilito dalla legge.
63. Il terzo motivo di ricorso, che come si è detto in narrativa riproduce il
nono motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti nel procedimento n°370/2009,
va respinto per le medesime considerazioni svolte a tal proposito al precedente
§ 48.
64. Analogo discorso va svolto a proposito del quarto motivo, incentrato sulla
presunta impossibilità del “recupero” dell’istruttoria svolta per emanare gli
atti annullati con la sentenza 1739/2008: vale quanto detto ai precedenti §§
36-38.
65. Il quinto motivo è a sua volta infondato perché, come è previsto
pacificamente da tutte le norme in materia, in particolare dal T.U. 380/2001, i
titoli abilitativi in materia edilizia sono rilasciati con riguardo alla
compatibilità con le norme vigenti dell’immobile considerato in quanto tale; per
quanto concerne l’uso che se ne andrà a fare, considerano poi la semplice sua
appartenenza ad una categoria – ad esempio, immobile abitativo, ovvero
industriale- ma all’interno di tale categoria si disinteressano dell’uso
specifico che dell’immobile stesso verrà fatto, ad esempio attraverso
l’installazione nello stesso di una data impiantistica. E ciò a ragione, dato
che la compatibilità con le norme vigenti di tale uso è valutata in altre sedi,
nel caso presente in particolare in sede di rilascio dell’AIA.
66. Il motivo sesto, per quanto lo riguarda, è invece infondato in fatto: la
ragione per cui il piano attuativo ha ritenuto di autorizzare in deroga la
realizzazione di ciminiere dell’altezza di 60 metri è evidente se solo si
considera il progetto nella sua interezza, che ha previsto tali dispositivi
proprio per contenere entro i limiti consentiti la concentrazione di inquinanti
nell’atmosfera, con scelta il cui valore in rapporto all’interesse pubblico alla
salute dei cittadini appare non discutibile.
67. I motivi settimo e nono, relativi alla mancata considerazione da parte del
piano attuativo degli effetti dell’intervento sul traffico e della sua possibile
interazione con l’attività delle industrie vicinanti, vanno esaminati in via
congiunta in quanto risultano entrambi inammissibili per la ragione cui già si è
accennato: si tratta di profili che sono già stati valutati dal decreto
screening, e che non possono essere rimessi in discussione nella sede presente.
68. Da ultimo, è infondato il motivo ottavo, centrato sulla presunta omessa
consultazione del pubblico ai sensi della D.G.R. Lombardia 8 agosto 2003
n°VII/14106 art. 2 commi 4 e 7, trattandosi di progetto che interessa un SIC. La
norma citata, infatti, non prevede alcuna precisa modalità in base alla quale la
consultazione del pubblico dovrebbe avvenire, ma si limita a demandare
all’autorità competente all’approvazione del piano, e quindi nella specie al
Comune, di individuare le “modalità più opportune” a tal fine. Nella specie, il
Comune ha ritenuto di sottoporre il piano di che trattasi alla normale procedura
di approvazione, che prevede come tale la possibilità per i cittadini di
prendere visione dei contenuti di piano e di presentare le proprie osservazioni
(v. doc. 2 ricorrenti allegato all’elenco 11 giugno 2010: a p. 2 si dà atto
della pubblicità cui è stato sottoposto il piano): deve allora ritenersi che lo
scopo della norma sia stato raggiunto.
69. In conclusione, tutte le domande proposte dai ricorrenti in entrambi i
procedimenti riuniti vanno respinte; la qualità e complessità delle questioni
decise è peraltro giusto motivo per compensare le spese, rimanendo come per
legge l’importo del contributo unificato a carico dei ricorrenti che lo hanno
anticipato, in quanto soccombenti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di
Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sui ricorsi di cui in epigrafe, li riunisce e così
provvede:
a) respinge i ricorsi;
b) compensa per intero le spese di lite fra le parti, rimanendo il contributo
unificato a carico definitivo di coloro che lo hanno anticipato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Mario Mosconi, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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