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T.A.R.
LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 3 febbraio 2011, n. 344
CAVE E MINIERE - Regione Lombardia - Piano cave - Consiglio regionale - Adozione
di soluzioni difformi dalla proposta provinciale - Restituzione degli atti alla
Provincia - Apporto partecipativi dei soggetti interessati - L.r. Lombardia n.
14/1998. Qualora il Consiglio regionale, anziché apportare modifiche di
dettaglio al Piano cave, adotti (allargando le maglie della previsione di cui
all’art. 8 L.R. 14/1998) soluzioni sostanzialmente difformi rispetto a quelle
della proposta provinciale, il Piano medesimo dovrà essere restituito alla
Provincia, affinché questa recuperi l’apporto, in termini di osservazioni, da
parte dei soggetti interessati, che in precedenza si erano espressi su una
proposta sostanzialmente diversa da quella fatta propria dal Consiglio
regionale, ripristinando, così, il rispetto del principio della partecipazione e
del contraddittorio sostanziale fra le parti. Pres. Leo, Est. Plantamura -
Comune di Trezzo sull'Adda (avv.ti Forte e Pucci) c. Regione Lombardia (avv.
Cederle) e Provincia di Milano (avv.ti Bartolomeo, Baviera, Ferrari,Fiori,
Gabigliani e Zimmitti) -
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 3 febbraio 2011, n. 344
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N. 00344/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02541/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2541 del 2006, proposto da:
Comune di Trezzo sull'Adda, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e
difeso dagli avv. Silvia Forte e Gianpaolo Pucci, con domicilio eletto presso il
loro studio in Milano, Via F.lli Bronzetti, 3;
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta pro-tempore,
rappresentata e difesa dall'avv. Marco Cederle, con domicilio eletto presso gli
Uffici dell’Avvocatura Regionale in Milano, Via Fabio Filzi, 22;
Provincia di Milano, in persona del Presidente della Giunta pro-tempore,
rappresentata e difesa dagli avv. Angela Bartolomeo, Elisabetta Baviera,
Marialuisa Ferrari, Luciano Fiori, Nadia Marina Gabigliani e Alessandra Zimmitti,
con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura Provinciale in Milano,
via Vivaio, 1;
nei confronti di
Consorzio Parco delle Groane, in persona del Presidente pro-tempore, non
costituito;
per l'annullamento
- della deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n. VIII/166, del
16 maggio 2006, pubblicata sul B.U.R.L. n. III° S.S. n. 26 del 30 giugno 2006,
recante l’approvazione del Nuovo Piano Provinciale Cave della Provincia di
Milano e di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali, tra cui, in
particolare:
- la deliberazione del Cons. Prov. di Milano n. 1 del 15 gennaio 2004, di
adozione in via definitiva della proposta del Piano Cave;
- la deliberazione del Cons. Prov. di Milano con cui è stato approvato lo schema
d’intesa fra la Provincia di Milano ed il Consorzio Parco delle Groane;
- le deliberazioni di Giunta Reg. n. 7/12269 del 5 novembre 2004 e n. 8/206 del
27 giugno 2005;
- il parere della Direzione Generale Territorio e Urbanistica espresso con nota
35607 del 29 settembre 2004;
- il parere n. 1791 del 22 settembre 2004 del Comitato tecnico per le attività
estrattive;
- la relazione della VI Commissione consiliare “Ambiente e protezione civile”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e della
Provincia di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2010 la dott. Concetta
Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Riferisce l’amministrazione ricorrente di avere implicitamente dato il proprio
assenso alla proposta del nuovo Piano Cave della Provincia di Milano, adottato
con deliberazione n. 16570/2002, n. rep. gen. 40/2002, del 21.11.2002, pervenuta
al Comune di Trezzo S/A ai fini del parere obbligatorio previsto da parte delle
amministrazioni nel cui territorio si trovano localizzate le cave.
In particolare, spiega la difesa dell’ente locale, come tale parere implicito
fosse motivato in ragione della previsione, contenuta nella suddetta proposta,
di riduzione dell’ambito e dei quantitativi di argilla cavabili dall’ATE A2
posto sul proprio territorio.
Sennonché, lamenta il Comune ricorrente, inopinatamente, in sede di adozione
definitiva della proposta, il Consiglio provinciale, anche in relazione alle
osservazioni presentate, avrebbe modificato in modo sostanziale i contenuti e il
disegno complessivo del Piano Cave, anche con riferimento al settore
merceologico relativo all’estrazione dell’argilla. In sostanza,
l’amministrazione provinciale avrebbe deciso, con deliberazione n.1/2004 del
15.01.2004, di sopprimere le aree di escavazione in origine previste nel Parco
delle Groane e, al fine di re-distribuire i relativi volumi, pari a 500.000 mc.,
avrebbe assegnato ulteriori 300.000 mc. all’ATE A2 ricadente nel Comune di
Trezzo sull’Adda, così portando la superficie dell’attività estrattiva del
predetto ente da 327.000 mc. a 459.000 mc. e il volume di piano dei materiali da
estrarre da 624.000 mc. a 924.000 mc. Il tutto, a mente dell’ente ricorrente,
senza alcuna motivazione in ordine ai pareri e alle osservazioni ricevute e
senza minimamente interpellare, sulla modifica in questione, l’amministrazione
comunale interessata.
Pur avendo segnalato la predetta illegittimità dell’agire provinciale ai
competenti uffici della Giunta regionale lombarda, trasmettendo le proprie
osservazioni sulla illogicità e irrazionalità della scelta provinciale e
richiedendo che, in sede di approvazione, il Consiglio regionale ripristinasse
le originarie volumetrie, anche tale ultimo consesso, con deliberazione C.R.
VIII/166 del 16.05.2006, pubbl. sul BURL 3° S.S. del 30.06.2006, formalmente
comunicata a cura della Provincia in data 20.07.2006, avrebbe approvato il Piano
senza tenere conto delle osservazioni del Comune di Trezzo S/A.
Da ciò l’odierno gravame, affidato a 4 motivi di ricorso, meglio specificati
nella parte in diritto, con cui si denunciano plurimi profili di illegittimità
degli atti in epigrafe specificati.
Si sono costituite la Provincia di Milano e la Regione Lombardia,
controdeducendo con separate memorie alle censure avversarie e sollevando, la
prima, eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità del gravame.
Con ordinanza n. 228 del 27.11.2009 il Collegio ha disposto l’integrazione del
contraddittorio nei confronti dell’impresa “La Fornace Laterizi spa” in quanto
interessata alla cava di argilla per cui è causa.
La parte ricorrente ha ottemperato in data 24.12.2009.
Alla pubblica udienza del 23.11.2010 la causa è stata trattenuta dal Collegio
per la decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio ritiene opportuno premettere alcuni cenni sulla
disciplina della programmazione delle attività di coltivazione di cava, così
come delineata, nella Regione Lombardia, dalla legge regionale 08.08.1998 n.14.
Trattasi, com’è noto, di disciplina che si attua attraverso piani provinciali,
anche distinti per tipi di materiali estratti, proposti dalle Province e
approvati dal Consiglio regionale con deliberazione amministrativa.
Detti piani stabiliscono la localizzazione, la qualità e la quantità delle
risorse utilizzabili, individuate nel territorio, per tipologia di materiale.
Essi, in particolare, seguendo il procedimento scandito dagli artt. 7 e ss.
della L. reg. cit., sono adottati (salvo il potere sostitutivo della Regione in
caso di inerzia) dalle Province e depositati per un periodo di 60 giorni nelle
rispettive segreterie provinciali, per dare modo ai soggetti a qualsiasi titolo
interessati di presentare osservazioni. Indi, entro 30 giorni dall'avvenuto
deposito, le stesse Province provvedono a richiedere il parere dei Comuni
implicati, dei Consorzi di bonifica per il territorio di competenza e dei
soggetti competenti in materia di beni ambientali (nonché, quando la proposta di
piano prevede la possibilità di attività di cava in ambiti territoriali compresi
nelle aree protette, di cui all'art. 1 della L.R. n. 86 del 1983 e successive
modificazioni ed integrazioni, dell'ente gestore in ordine alla compatibilità
della proposta con il regime di tutela dell'area protetta). I pareri de quibus,
quindi, devono essere espressi entro 60 giorni dalla richiesta: decorso tale
termine la Provincia può procedere indipendentemente dall'acquisizione dei
pareri. Entro i successivi 60 giorni la proposta, motivata in ordine alle
osservazioni ed ai pareri ricevuti, è adottata in via definitiva ed è trasmessa
alla Giunta regionale con la relativa documentazione entro i successivi 30
giorni.
A questo punto, entro 120 giorni dalla ricezione della proposta di piano
provinciale, la Giunta regionale la esamina apportando, ove necessario, anche
sulla base dei pareri e delle osservazioni pervenute, integrazioni e modifiche.
Scaduto il predetto termine la Giunta regionale, entro i successivi 30 giorni,
trasmette la proposta di piano al Consiglio regionale, che la approva entro i
successivi 60 giorni.
Così tratteggiato il sistema elaborato dal legislatore regionale per la
formazione del Piano Cave, emerge chiaramente l’aspirazione, salvaguardata dalla
citata normativa, a coinvolgere nel procedimento in esame tutti i soggetti a
vario titolo interessati, onde consentire loro di svolgere ivi le proprie
osservazioni e di fornire ivi il proprio apporto in evidente funzione
collaborativa.
Ne consegue che, tale partecipazione, dovendo assolvere ad una funzione
sostanziale e non meramente formale, deve essere salvaguardata, non soltanto,
com’è nell’ipotesi fisiologica, in sede di elaborazione della proposta di Piano
da parte dell’ente provinciale (fattispecie assunta dal legislatore regionale
come situazione-tipo), ma, altresì, in sede di approvazione regionale del Piano
stesso.
In altri termini, si deve ritenere che, qualora il Consiglio regionale, anziché
apportare modifiche di dettaglio al Piano, adotti (allargando le maglie della
previsione di cui all’art. 8 L.R. cit.) soluzioni sostanzialmente difformi
rispetto a quelle della proposta provinciale, il Piano medesimo dovrà essere
restituito alla Provincia, affinché questa recuperi l’apporto, in termini di
osservazioni, da parte dei soggetti interessati, che in precedenza si erano
espressi su una proposta sostanzialmente diversa da quella fatta propria dal
Consiglio regionale, ripristinando, così, il rispetto del principio della
partecipazione e del contraddittorio sostanziale fra le parti.
La legge, in verità, solo all'art. 7 in tema di adozione del Piano, ha
espressamente disciplinato la procedura di partecipazione al procedimento da
parte di tutti i soggetti interessati, mentre nulla ha detto, al riguardo, in
relazione alla fase di approvazione, pur avendo previsto la possibilità di
introduzione di modificazioni al piano anche da parte del Consiglio regionale.
In tale contesto, la giurisprudenza - che si è confrontata con la prassi
applicativa (che ha configurato come ordinaria modalità operativa quella che era
configurata dalla legge come mera eventualità) - ha elaborato un criterio
interpretativo delle norme, volto a ricondurre ad unità sistematica il
procedimento, assicurando in ogni fase il rispetto dell'interesse partecipativo
di ognuno dei portatori d'interesse, pubblici e privati. Tale filone
giurisprudenziale, in particolare (cfr., tra le altre, TAR Lombardia, Milano,
Sez. IV, 14.5.2009 n. 3733) è incline ad affermare che i soggetti privati hanno
diritto di presentare osservazioni, ex art. 10 della L. n. 241/90, anche nella
fase di disamina del piano innanzi al Consiglio regionale. Sul punto, è utile
riportare alcuni passaggi della decisione n. 2743 del 6.6.2008 della VI Sezione
del Consiglio di Stato, ove si è statuito che: <<…la Regione, una volta
constatata l'opportunità di destinare alla creazione di una cava un territorio,
trascurato dalla provincia competente, che quindi non ha acquisito il parere del
comune interessato, ha l'onere di coinvolgere gli enti locali nella scelta,
rimettendo, a tale scopo, gli atti alla provincia perché acquisisca il parere
del comune interessato e formuli le proprie osservazioni al riguardo>>.
Tale conclusione conferma, quindi, l’osservazione poc’anzi fatta propria dal
Collegio, secondo cui l'omissione procedimentale non può avere soltanto un
significato formale, pretendendone uno sostanziale. In altri termini, proprio
perché il procedimento viene a configurarsi - nell'ottica del legislatore
regionale e della conseguente prassi applicativa - come una serie di cerchi
concentrici nell'ambito dei quali è possibile introdurre modificazioni, è
necessario che, sulle stesse, sia coerentemente assicurato il contraddittorio
istruttorio, al fine di non pervenire alla scelta di soluzioni non rispettose
dei principi dettati dalla stessa legge regionale in tema di piani cave (cfr.
quanto dispone, a proposito del “Contenuto dei piani”, l'art. 6 della cit. L.R.
n. 14/98).
Il principio del giusto procedimento si deve coniugare, quindi, anche con quello
della adeguata istruttoria procedimentale, al fine di armonizzare i divergenti
interessi coinvolti nella procedura pianificatoria estrattiva di che trattasi.
In sostanziale coerenza con i principi ora affermati si pongono, altresì, le
argomentazioni svolte dal T.A.R. Lombardia, Brescia (cfr. ex plurimis, sentenza
del 4.5.2009 n. 893 e, più di recente, la decisione dell’8 febbraio 2010, n.
618), il quale ha posto in luce che: <<La legge in questione …disciplina il
piano delle cave come piano "provinciale", ovvero demanda a detto ente la sua
formazione, sentiti gli enti minori che il suo territorio compongono, ovvero i
Comuni; la legge stessa quindi non va interpretata, almeno fin quando sia
possibile evitarlo, nel senso di svuotare dette competenze, e in particolare di
accentrare la formazione del piano al superiore livello regionale. Tale
risultato, oltretutto, sarebbe contrario al principio costituzionale di
sussidiarietà verticale, là dove esso impone di allocare le competenze presso
gli enti locali di livello il più possibile vicino al cittadino, e quindi di
evitare non necessarie ingerenze degli enti di livello superiore, in primo luogo
lo Stato, ma anche la Regione>>. In detta sentenza si è, quindi, concluso nel
senso che: <<le norme degli artt. 7 e 8 comma 1 della l. r. 14/98, là dove
prevedono che alla proposta presentata dalla Provincia sentiti i Comuni la
Giunta regionale possa apportare "integrazioni e modifiche" da sottoporre poi al
Consiglio regionale per l'approvazione finale, va interpretata nel senso che si
possano apportare in modo puro e semplice solo modifiche di mero dettaglio,
ovvero imposte dall'adeguamento ad obblighi normativi. In tutti gli altri casi,
non va stravolto il carattere provinciale del piano, e quindi le modifiche non
si possono inserire se non ripetendo la procedura che ha condotto alla proposta
arrivata alla Giunta: le modifiche stesse vanno apportate al disegno generale
della proposta adottata e su di esse devono pronunciarsi non solo i Comuni, ma
anche tutti gli organi tecnici deputati ad esprimere il loro parere sul piano in
parola>> (così la decisione n. 893/2009 cit.).
2. Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso in esame, si possono
così ricavare le seguenti considerazioni:
- quanto alle questioni preliminari:
2.1 la provincia di Milano ha eccepito la tardività dell’odierno ricorso, in
quanto il Comune di Trezzo S/A avrebbe notificato il gravame avverso la
deliberazione provinciale di adozione del Piano, datata 15.01.2004, solo in data
13.10.2006, pur avendone avuto conoscenza sin dal 20.05.2004, allorché avrebbe
trasmesso ai competenti uffici regionali la propria nota contenente le
osservazioni sulla proposta di Piano Cave.
L'eccezione non può essere condivisa.
Stando all’impostazione seguita nell’odierno ricorso, il medesimo gravame è
rivolto, in primis, avverso la deliberazione del Consiglio Regionale n. VIII/166,
di approvazione del Piano Cave e, alla stregua di atto presupposto, avverso la
deliberazione di adozione della proposta di Piano Cave, ad opera della Provincia
di Milano, assunta in data 15.01.2004, in sostanziale modifica della precedente
deliberazione del 21.11.2002 dello stesso ente, vertente sullo stesso oggetto e
sulla quale era stato assunto il parere del Comune ricorrente.
Sennonché, argomentando dalle suesposte premesse, si ricava che l’adozione della
proposta di Piano Cave non rappresenta un atto immediatamente lesivo, idoneo
come tale a pregiudicare direttamente la posizione dei destinatari, in quanto
essa dà luogo soltanto ad un progetto di Piano, su cui dovranno necessariamente
esprimersi gli organi regionali, che potranno anche apportarvi delle modifiche,
se del caso a costo di ripetere il “passaggio” in sede provinciale in caso di
innovazioni di rilievo.
Ne consegue che, non soltanto, la proposta di Piano non rappresenta un
presupposto indefettibile del Piano che sarà successivamente approvato dal
Consiglio regionale, ma neppure si pone come atto immediatamente lesivo dei
destinatari, i quali, pertanto, non potranno ritenersi onerati dell’impugnazione
immediata della deliberazione recante la proposta in questione.
Sul punto, giova altresì rammentare come, secondo il costante orientamento della
giurisprudenza, la mancata impugnazione della delibera di adozione di uno
strumento urbanistico non precluda l'impugnabilità del piano definitivamente
approvato, anche per vizi propri della fase di adozione, da parte di ogni
interessato (non escluso chi abbia già acquisito conoscenza del piano adottato),
posto che, l'approvazione dà vita ad un atto formalmente e sostanzialmente nuovo
rispetto al piano approvato (cfr. ex pluribus: Consiglio di Stato, Sez. IV, 21
giugno 2001, n. 3341; 3 marzo 1997, n. 181; 13 maggio 1992, n. 511; 23 settembre
1985, n. 403; Ad. Plenaria, 9 marzo 1983, n. 1; T.A.R. Emilia Romagna - Parma,
10 marzo 2005, n. 136; T.A.R. Brescia, 5 gennaio 2005, n. 3; nonché, di
particolare interesse sul punto: T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 19 marzo 2009, n.
2860, secondo cui: <<La mancata impugnazione del piano territoriale adottato (ma
non ancora approvato) non preclude agli interessati la possibilità di proporre
ricorso avverso l'atto al momento della sua approvazione, in quanto gli atti di
adozione e di approvazione degli strumenti di pianificazione possono essere
gravati autonomamente e indistintamente. Ai fini dell'ammissibilità del ricorso
è sufficiente anche il solo interesse strumentale all'annullamento di un atto di
pianificazione urbanistica in ragione dei possibili vantaggi desumibili dal
rinnovo della procedura>>; e, ancora, con particolare riguardo al P.R.G., T.A.R.
Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 14 ottobre 2008, n. 1141, secondo cui:
<<…l'inammissibilità dell'impugnazione della deliberazione comunale di adozione
del piano, in assenza di un qualsiasi atto direttamente lesivo dell'interesse
del soggetto, non rende perciò inammissibile anche il successivo ricorso
proposto per l'annullamento della delibera di approvazione dello strumento
urbanistico, ancorché questo secondo ricorso comprenda censure attinenti ai
presunti vizi della fase di adozione >>; nello stesso senso, T.A.R. Toscana
Firenze, sez. I, 19 settembre 2007, n. 2704, secondo cui: <<L'approvazione del
piano dà vita ad un atto formalmente e sostanzialmente nuovo rispetto al piano
adottato, per cui configurandosi l'atto di adozione e quello di approvazione
come due provvedimenti ben distinti, essi possono essere impugnati autonomamente
e distintamente, senza che la mancata impugnazione del primo comporti
preclusione o decadenza del diritto di ricorso contro il piano approvato o che
la mancata impugnazione del secondo comporti automaticamente il venir meno
dell'interesse al ricorso già eventualmente presentato contro il primo >>;
analogamente, T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 19 settembre 2007, n. 2704, per
cui: <<Nell'ambito del procedimento di formazione degli strumenti urbanistici,
caratterizzato dalla fase di adozione e successiva fase di approvazione, le
stesse si pongano su un piano di distinta autonomia, in cui l'atto di adozione
può essere oggetto di immediata impugnazione qualora immediatamente lesivo nello
stesso modo ed alle stesse condizioni del piano approvato>>).
2.2 Sulla eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica al
contro-interessato, il Collegio osserva quanto segue.
L’odierno ricorso risulta notificato, tra gli altri, al Consorzio del Parco
delle Groane, proprio in qualità di contro-interessato, trattandosi del soggetto
che ha dato causa o ha concorso a dare causa (stando allo “schema d’intesa” di
cui si fa cenno nell’emendamento apportato alla originaria proposta
provinciale), alla redistribuzione dei volumi originariamente previsti, con
ricollocazione di 300.000 mc. di argilla, dapprima previsti nel Parco delle
Groane e poi riallocati nell’ATE A2, nel territorio del ricorrente comune.
Ne consegue che, dovendo essere il ricorso notificato, a pena di decadenza, ad
almeno uno dei contro-interessati, non sussiste il lamentato vizio del ricorso.
D’altro canto, il Collegio ha ritenuto comunque opportuno disporre
l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti della soc. Fornace
Laterizi, incombente a cui la ricorrente ha provveduto, senza che a ciò abbia
fatto seguito la costituzione della intimata società.
L’eccezione deve essere, pertanto, disattesa.
3. Passando all’esame del merito del ricorso, va riportato, in sintesi, il primo
motivo, come di seguito rubricato:
3.1 Violazione degli artt. 7 della L.R. n.14/1998, 5 e 118 della Cost., 13 del
d.lgs. n. 267/2000, violazione del principio del giusti procedimento, eccesso di
potere per manifesta illogicità, travisamento, carenza dei presupposti e
sviamento della causa tipica.
Ciò di cui, in sostanza, si duole l’ente ricorrente, è che non sia stata
garantita la sua effettiva partecipazione al procedimento di pianificazione in
questione, avendo la Provincia sottoposto al Comune di Trezzo S/A un Piano
sostanzialmente diverso da quello poi adottato. In tal senso, spiega ancora
l’ente locale, non può non essere intesa alla stregua di modifica sostanziale
quella attuata dalla Provincia di Milano, poi confermata nel passaggio
regionale, con la ricollocazione di ben 500.000 mc di argilla, su un totale di
fabbisogno provinciale pari a 1.124.000 mc.
Il motivo è fondato.
Richiamando le considerazioni svolte nelle premesse, non v’è dubbio che le
innovazioni apportate alla originaria proposta dalla Provincia non possono
essere considerate di mero dettaglio, involgendo una sostanziale modifica della
dislocazione delle aree di escavazione e della relativa portata, sì da intaccare
l’impostazione complessiva del Piano.
Per effetto di tale modifica, pertanto, la proposta avrebbe dovuto essere
nuovamente sottoposta al vaglio dei Comuni interessati, primo fra i quali
l’odierno ricorrente, pena lo svuotamento dell’apporto, in funzione
collaborativa e consultivo-istruttoria, previsto dall’art. 7 più volte citato
(cfr., a proposito della analoga situazione che si potrebbe determinare laddove
una modifica, non di mero dettaglio, sia introdotta dalla Regione, la decisione
del Consiglio Stato, sez. VI, del 6 giugno 2008, n. 2743, secondo cui la Regione
non avrebbe il potere di introdurla autonomamente, bensì “deve rimettere gli
atti alla Provincia perché questa acquisisca il parere del Comune interessato e
formuli le proprie osservazioni al riguardo”; sul punto, preme poi richiamare la
giurisprudenza della Sezione, fra cui T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 11
novembre 2009, n. 5015; TAR Lombardia, sez. IV, 28.5.2007 n. 4700 e le
successive sentenze nn. 3733, 3734, 3735 e 3736, tutte del 14.5.2009, ove si è
ritenuto che il Consiglio Regionale, chiamato all'approvazione del Piano Cave
provinciale, secondo quanto stabilito dalla legge regionale n.14/1998, svolge
una funzione di carattere amministrativo soggetta ai doveri di imparzialità ed
obiettività propri dell'azione amministrativa, con conseguente obbligo di
motivazione delle proprie scelte, soprattutto allorché l'organo consiliare
decide di disattendere le conclusioni alle quali sono giunti altri enti od
organi pubblici coinvolti nel complesso procedimento di approvazione del piano
cave - quali l'Amministrazione provinciale interessata oppure la Giunta
Regionale - oppure quando si tratta di esaminare osservazioni presentate da
soggetti privati partecipanti al procedimento amministrativo).
3.2 Dall’accoglimento del primo motivo deve ricavarsi la fondatezza anche del
terzo motivo di ricorso, con cui si deduce, sia, la illegittimità derivata della
deliberazione del Consiglio regionale di approvazione del Piano Cave della
Provincia di Milano, per i vizi di cui era affetta la proposta provinciale, sia
l’illegittimità per vizi propri, per la totale omessa considerazione delle
osservazioni presentate dall’ente ricorrente in ordine ai vizi di metodo e di
contenuto della scelta provinciale.
Richiamando quanto già detto, va ribadito, sul punto, come la Regione avrebbe
potuto, in limine, sanare il deficit partecipativo ed istruttorio perpetrato,
nel caso in esame, dalla Provincia ai danni del Comune ricorrente, valutando e
riscontrando le osservazioni presentate in sede regionale dal Comune stesso. Per
contro, nulla di tutto ciò risulta avvenuto, non risultando affatto, dalla
copiosa documentazione agli atti di causa, che la scelta regionale di approvare
la proposta provinciale di re-distribuzione di 500.000 mc. di argilla,
originariamente previsti nel Parco delle Groane, con tutte le relative
conseguenze quanto a superficie cavabile all’interno dell’ATE a2, abbia fatto i
conti con le osservazioni presentate al riguardo dall’ente ricorrente.
4. Ne consegue che, assorbiti i mezzi non espressamente scrutinati, il ricorso
deve essere, nei suesposti sensi, accolto, con conseguente annullamento degli
atti impugnati e salvo il potere del Consiglio Regionale di determinarsi
nuovamente in merito alle osservazioni presentate, nel rispetto dell'obbligo di
motivazione e delle garanzie di partecipazione al procedimento, come esposto
nella presente pronuncia.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico delle parti resistenti
nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie
nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto annulla gli atti impugnati.
Pone le spese di lite a carico delle amministrazioni resistenti, nella misura di
euro 1.500,00 ciascuna, e a favore del Comune ricorrente, per un totale di
complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Concetta Plantamura, Referendario, Estensore
Ugo De Carlo, Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/02/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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