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T.A.R. LOMBARDIA, Milano, Sez. II - 4 marzo 2011, n. 628
 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Accordi integrativi o sostitutivi del procedimento - Art. 11 L. n. 241/19990 - Stipulazione della convenzione - Competenza dell’organo consiliare - Risoluzione dell’accordo per inadempimento della controparte privata - Competenza della Giunta. In tema di accordi integrativi o sostitutivi del procedimento ex art. 11 L. n. 241/1990, se non è in discussione la competenza dell’organo consiliare allorché si tratta della scelta di stipulazione della convezione, deve invece riconoscersi alla Giunta, in virtù della sua competenza generale e residuale ex art. 48 D.Lgs. 267/2000, il potere di disporre la risoluzione dell’accordo, in caso di accertato inadempimento della controparte privata. L’atto di risoluzione si pone, infatti, come atto di esecuzione della stessa convenzione, nel senso cioè che l’organo dotato di competenza amministrativa generale (Giunta), può legittimamente accertare la sussistenza dei presupposti di legge (articoli 1453 e seguenti del codice civile, applicabili in virtù del generale richiamo di cui all’art. 11, comma 2°, della legge 241/1990), tali da far venire meno gli effetti dell’accordo. (Consiglio di Stato, sez. IV, 11.12.2007, n. 6358, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20.12.2004, n. 6485 e TAR Piemonte, sez. II, 4.12.2000, n. 1270) Pres. Arosio, Est. Zucchini - Fallimento M. (avv. Grella) c. Comune di Monticelli Pavese (avv. Ferrari) - TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. II - 4 marzo 2011, n. 628
 

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N. 00628/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02574/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)



ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 2574 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Fallimento Makeall Spa, rappresentato e difeso dall'avv. Umberto Grella, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Cesare Battisti, 21;


contro


Comune di Monticelli Pavese, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Larga, 23;

quanto al ricorso principale:

per l'annullamento, previa sospensione dell’esecuzione:

dell’ordinanza n. 6 del 17.9.2010 a firma del sindaco-responsabile del servizio tecnico del Comune di Monticelli Pavese con cui è stata decretata la risoluzione per inadempimento della convenzione stipulata in data 21.12.2007 per la costruzione di casa albergo per gli anziani, l’annullamento in via di autotutela della DIA n. 12/2007 e la conseguente declaratoria dell’edificio realizzato al rustico come opera eseguita in assenza di permesso ex art. 31 DPR 380/2001 ed è stata intimata la demolizione delle opere edilizie eseguite; per l’accertamento e la declaratoria della non essenzialità del termine di 12 mesi fissato nella convenzione del 21.12.2007 per l’esecuzione della fognatura e della non rilevanza del suo spirare rispetto alla validità dei titoli edilizi rilasciati in ossequio a quella convenzione e per la condanna del Comune di Monticelli Pavese al risarcimento dei danni patiti e patiendi;

di tutti gli atti preordinati, consequenziali e connessi

quanto ai motivi aggiunti depositati il 28.12.2010, per l’annullamento:

a) della deliberazione di Giunta Comunale n. 34 del 31.8.2010 recante risoluzione per inadempimento della convenzione urbanistica stipulata in data 21.12.2007;

b) dell’ordinanza a firma del sindaco di Monticelli Pavese n. 6 del 17.9.2010,

nonché per l’accertamento e la declaratoria della non essenzialità del termine di 12 mesi fissato nella convenzione del 21.12.2007 per l’esecuzione della fognatura e della non rilevanza del suo spirare rispetto alla validità dei titoli edilizi rilasciati in ossequio a quella convenzione e per la condanna del Comune di Monticelli Pavese al risarcimento dei danni patiti e patiendi.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Monticelli Pavese;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2011 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Il Comune di Monticelli Pavese (PV) e la società Makeall Spa stipulavano, in attuazione della deliberazione di Consiglio Comunale n. 28 del 29.11.2007, una convenzione urbanistica in data 21.12.2007, attraverso la quale la società, a fronte del rilascio di un permesso di costruire in deroga ex art. 40 legge regionale 12/2005 per la costruzione di una casa albergo per anziani, si impegnava alla realizzazione a propria cura e spese di una serie di opere pubbliche (collettore fognario per la raccolta di acque reflue ed ampliamento di una strada di accesso alla strada provinciale).

Per effetto di denuncia di inizio attività (DIA) n. 12/2007 del 20.12.2007, era attribuito a Makeall Spa un titolo edilizio - in deroga agli strumenti urbanistici - per la realizzazione della suddetta casa albergo.

La società era però successivamente dichiarata fallita dal Tribunale di Milano, con sentenza n. 360 del 14.5.2010 (cfr. doc. 6 del ricorrente).

Con ordinanza n. 6 del 17.9.2010, il responsabile del servizio tecnico del Comune disponeva la risoluzione per inadempimento della convenzione del 21.12.2007 e l’annullamento in via di autotutela del titolo abilitativo formatosi sulla DIA n. 12/2007 per la realizzazione della casa albergo, ingiungendo altresì la demolizione del rustico sino ad allora eseguito.

Contro la citata ordinanza, il Fallimento proponeva il presente ricorso, con domanda di sospensiva e di danni, per i motivi che possono così essere sintetizzati:

1) incompetenza del funzionario comunale a favore del Consiglio Comunale, ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. 267/2000, dell’art. 14 del DPR 380/2001 e dell’art. 40 della LR 12/2005;

2) contraddittorietà con la delibera consiliare n. 29 del 29.11.2007 e mancata revoca della stessa da parte del Consiglio Comunale;

3) violazione degli articoli 7 ed 8 della legge 241/1990;

4) violazione degli articoli 12 del DPR 380/2001 e dell’art. 36 della legge regionale 12/2005;

5) violazione dell’art. 15 del DPR 380/2001 e dell’art. 42 della LR 12/2005;

6) eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità dell’agire amministrativo, contraddittorietà e sviamento;

7) illegittimità dell’automatismo fra risoluzione della convenzione e annullamento dei titoli edilizi.

Si costituiva in giudizio il Comune intimato, concludendo per il rigetto del gravame.

All’udienza cautelare del 16.12.2010, il difensore del ricorrente evidenziava la necessità di proporre motivi aggiunti, rinunciando contestualmente alla domanda di sospensiva.

Successivamente, il Fallimento notificava ricorso per motivi aggiunti contro la delibera di Giunta Comunale n. 34 del 31.8.2010, depositata in giudizio dal Comune in vista dell’udienza di sospensiva, mediante la quale l’Amministrazione aveva disposto la risoluzione della convenzione del 21.12.2007 e l’annullamento conseguente del titolo edilizio, dando contestualmente incarico al responsabile del servizio tecnico di eseguire la delibera stessa.

Questi, in sintesi, i motivi aggiunti (continua la numerazione del gravame principale):

9) incompetenza della Giunta, per violazione dell’art. 41 del D.Lgs. 267/2000 e dello Statuto comunale;

10) contraddittorietà con la delibera consiliare n. 29 del 29.11.2007 e mancata revoca della stessa da parte del Consiglio Comunale;

11) violazione degli articoli 1453-1460 del codice civile, per non essenzialità del termine di 12 mesi per l’esecuzione degli interventi previsti in convenzione;

12) violazione degli articoli 7 ed 8 della legge 241/1990;

13) violazione degli articoli 12 del DPR 380/2001 e dell’art. 36 della legge regionale 12/2005;

14) violazione dell’art. 15 del DPR 380/2001 e dell’art. 42 comma 6 della LR 12/2005;

15) eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità dell’agire amministrativo, contraddittorietà e sviamento;

16) illegittimità dell’automatismo fra risoluzione della convenzione e annullamento dei titoli edilizi.

Alla pubblica udienza del 10.2.2011, la causa era trattenuta in decisione.


DIRITTO


Ai fini della definizione del gravame, reputa necessario il Collegio trattare il ricorso per motivi aggiunti prima dell’esame del ricorso principale.

Questa apparente inversione della ordinaria trattazione del rapporto ricorso-motivi aggiunti, è giustificata dal fatto che i motivi aggiunti sono rivolti contro un atto – delibera di Giunta Comunale del 31.8.2010 - che è cronologicamente e logicamente antecedente al provvedimento del responsabile del servizio tecnico del 17.9.2010, il quale costituisce invece un atto di esecuzione della delibera di Giunta sopra indicata.

Il Fallimento esponente ha però avuto conoscenza dapprima dell’atto del funzionario comunale e solo in seguito – per effetto della produzione in giudizio effettuata della resistente – della delibera di Giunta, il che spiega perché quest’ultima, anche se anteriore al provvedimento del responsabile del servizio, sia stata impugnata successivamente a quest’ultimo.

1. Con il primo motivo aggiunto (numero 9, continuando la numerazione del ricorso principale), viene denunciata la presunta incompetenza della Giunta, a favore del Consiglio Comunale, nell’adozione dell’atto di risoluzione della convenzione per inadempimento della parte privata.

La censura non appare condivisibile in quanto, se non è in discussione la competenza dell’organo consiliare allorché si tratta della scelta di stipulazione della convezione (riconducibile agli accordi integrativi o sostitutivi del procedimento, di cui all’art. 11 della legge 241/1990), deve invece riconoscersi alla Giunta, in virtù della sua competenza generale e residuale ex art. 48 D.Lgs. 267/2000, il potere di disporre la risoluzione dell’accordo, in caso di accertato inadempimento della controparte privata.

L’atto di risoluzione si pone, infatti, come atto di esecuzione della stessa convenzione, nel senso cioè che l’organo dotato di competenza amministrativa generale (Giunta), può legittimamente accertare la sussistenza dei presupposti di legge (articoli 1453 e seguenti del codice civile, applicabili in virtù del generale richiamo di cui all’art. 11, comma 2°, della legge 241/1990), tali da far venire meno gli effetti dell’accordo.

In tal senso è orientata la giurisprudenza amministrativa; si vedano, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. IV, 11.12.2007, n. 6358, per il quale: <<….Ne consegue la legittimità della delibera di giunta di risoluzione, per grave inadempimento, di una convenzione urbanistica stipulata con privati, considerato che viene in rilievo un provvedimento a mezzo del quale l'ente ha espresso la propria volontà di adire le vie legali per proporre domanda di risoluzione per inadempimento della convenzione, attuativo, nella sostanza, delle presupposte delibere consiliari che avevano predisposto il quadro istituzionale relativo agli interventi di edilizia economica e popolare nel comune; l'atto è espressione in via immediata di attività di gestione ordinaria perché tale deve considerarsi quella volta a tutelare, in sede giudiziaria, le pretese dell'ente ….>> ed anche TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20.12.2004, n. 6485 e TAR Piemonte, sez. II, 4.12.2000, n. 1270.

A sostegno della tesi del ricorrente non può neppure invocarsi il principio del contrarius actus, visto che la Giunta non ha espresso una volontà politica contraria a quella del Consiglio, ma, più semplicemente, ha verificato la sussistenza dei presupposti per la risoluzione della convenzione, in coerenza con la scelta dell’organo assembleare, che aveva consentito il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, a condizione che la società Makeall realizzasse opere pubbliche di interesse per il Comune (cfr. doc. 3 del resistente, delibera di Consiglio Comunale 29.11.2007, n. 28); sicché la Giunta ha accertato la mancata realizzazione di tali opere, il che ha conseguentemente indotto alla risoluzione dell’accordo negoziale con la società.

2. Con il secondo motivo aggiunto (numero 10), si lamenta una presunta contraddittorietà fra la delibera di Giunta impugnata e la delibera consiliare 28/2007, che aveva autorizzato il rilascio del titolo edilizio in deroga e la stipulazione della convenzione (doc. 3 del Comune), sostenendosi altresì che l’atto di Giunta doveva essere preceduto dalla formale revoca dell’atto consiliare.

La censura è infondata ed in argomento preme richiamare quanto esposto al precedente punto 1: la Giunta non si è posta in contraddizione con la volontà espressa dal Consiglio, ma ha dato doverosa attuazione alla stessa, accertando il grave inadempimento in cui era incorsa la società Makeall, per non avere ottemperato alle proprie obbligazioni contrattuali, nonostante la diffida ad adempiere ritualmente notificata alla stessa a cura dell’Amministrazione comunale.

Sulla questione dell’inadempimento, appaiono però necessarie talune considerazioni, valevoli anche per la trattazione dei successivi motivi di gravame.

L’esponente muove dal presupposto della durata decennale della convenzione urbanistica, che sarebbe desumibile dalle norme di legge statali e regionali (art. 28 legge 1150/1942 e art. 42 LR 12/2005), per concludere che la società avrebbe avuto a disposizione un tale termine per la realizzazione delle opere previste dalla convenzione.

Se è pur vero – si continua in ricorso – che l’art. 1 della convezione (cfr. doc. 4 del resistente), prevede un termine di 12 mesi per l’esecuzione delle opere previste, tale termine non può ritenersi essenziale (ai sensi dell’art. 1457 del codice civile), per cui la sua scadenza non avrebbe legittimato il Comune a disporre la risoluzione dell’accordo.

In realtà, secondo il Collegio, si rinvengono diversi elementi che inducono a qualificare come “essenziale” il citato termine di 12 mesi.

In primo luogo, il termine decennale di cui all’art. 28 della legge 1150/1942 costituisce un termine massimo, visto che la legge ammette espressamente che sia pattuito un termine inferiore (cfr. art. 28, comma 8°, citato); in secondo luogo, la lettura della delibera consiliare 28/2007, già sopra citata, dimostra come il Consiglio Comunale autorizzò il rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, sotto condizione dell’impegno della società alla realizzazione di una serie di opere pubbliche.

Queste ultime (cfr. la delibera consiliare e l’art. 1 della convenzione, lettere a e b), appaiono di importanza rilevante per l’Amministrazione di Monticelli Pavese: si tratta infatti sia della realizzazione di un collettore fognario per la raccolta delle acque reflue fra due località del Comune (Cascina Meari e Località Concara), con l’impegno anche a sostenere i costi per la progettazione, la direzione lavori, il collaudo e tutte le altre spese, sia della sistemazione e dell’ampliamento della strada di accesso alla Strada Provinciale n. 53, con tutte le spese inerenti.

Risulta evidente che la realizzazione delle opere suddette – che nel ricorso sono invece in qualche modo “minimizzate”, in contrasto con le previsioni della convenzione – assurge, per un Comune tutto sommato di piccole dimensioni come Monticelli Pavese, ad importanza fondamentale, sicché il termine contrattuale per la loro esecuzione deve reputarsi essenziale.

La giurisprudenza ha del resto chiarito che l’essenzialità del termine deve desumersi dalla lettura complessiva delle clausole contrattuali, indipendentemente dall’esplicita qualificazione di “essenziale” attribuita dalle parti; così Cassazione civile, sez. II, 25.10.2010 n. 21838, per la quale <<Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo>>.

Fermo restando quanto sopra esposto, anche a volere – per assurdo, non essendo tale l’opinione del Tribunale – ritenere non essenziale il termine di 12 mesi, nel caso di specie sussisterebbero comunque i presupposti per la risoluzione della convenzione, in applicazione dell’art. 1454 del codice civile (“Diffida ad adempiere”), in forza del quale la parte adempiente può intimare all’altra l’adempimento entro un congruo termine (non inferiore a quindici giorni), scaduto il quale il contratto deve senz’altro intendersi risolto.

Orbene, il Comune ha inviato regolare diffida e messa in mora alla società, prima del suo fallimento, in data 12.9.2009 (cfr. doc. 7 del resistente, si noti che in calce alla diffida è scritto che, in caso di mancato adempimento, si procederà all’annullamento del titolo ed alla conseguente applicazione delle sanzioni previste dalla legge), intimando di iniziare i lavori entro 60 giorni.

L’atto di messa in mora succitato è stato regolarmente ricevuto dalla società, che con raccomandata del 9.10.2009 a firma dell’allora Amministratore Unico, notiziava il Comune dell’avvenuto sequestro preventivo della società stessa, senza però nulla dichiarare in ordine alla realizzazione delle opere (cfr. doc. 8 del resistente); anzi il tenore della risposta lasciava chiaramente intendere che non si sarebbe proceduto ad alcuna esecuzione.

E’ certo comunque – tale circostanza è pacifica e non smentita dal Fallimento – che i lavori di cui alla convenzione, nonostante la diffida ex art. 1454 c.c., non sono mai ripresi, sicché la convenzione deve ritenersi risolta di diritto.

In altri termini, sia che si voglia ritenere essenziale il termine di 12 mesi (ex art. 1457 c.c.), sia che si voglia fare riferimento all’istituto della diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., sussistono, nella presente fattispecie, le condizioni di legge per la risoluzione della convenzione per inadempimento della parte privata.

Ciò premesso, deve rigettarsi anche il secondo motivo aggiunto, confermandosi altresì l’assoluta non necessità, da parte del Consiglio, della revoca della propria pregressa delibera 28/2007, visto che – giova ancora ricordarlo – la Giunta ha agito non in contrasto, bensì in attuazione della citata delibera consiliare.

3. Nel terzo motivo aggiunto (numero 11), si sostiene la violazione degli articoli da 1453 a 1460 del codice civile, attesa la presunta non essenzialità del termine di 12 mesi e la asserita non gravità dell’inadempimento.

Anche tale mezzo è privo di pregio e sul punto preme al Collegio, per ragioni di economia espositiva, rinviare a quanto sopra esposto ai punti 1 e 2 della presente narrativa in diritto, ricordando ancora come le opere pubbliche di cui alla convenzione non sono mai neppure iniziate – anche tale circostanza non è smentita in fatto – e ciò non per colpa del Comune, ma per negligenza della controparte privata.

4. Con il quarto motivo aggiunto (numero 12), si lamenta la violazione degli articoli 7 e 8 della legge 241/1990 sulla comunicazione di avvio del procedimento.

Il mezzo è smentito in fatto, visto che con raccomandata del 28.4.2010, regolarmente ricevuta dalla società allora non fallita (cfr. doc. 11 del resistente), era data notizia dell’avvio del procedimento per l’annullamento della DIA n. 12/2007.

Tale comunicazione di avvio del procedimento faceva peraltro seguito alla succitata diffida del 12.9.2009 (cfr. doc. 7 del resistente), senza contare che anche con lettera del 22.1.2009, espressamente indicata come valevole anche ai fini dell’art. 7 della legge 241/1990, era stato contestato a Makeall Spa l’inadempimento dei propri obblighi contrattuali (cfr. doc. 6 del resistente).

Ciò premesso, non si vede come possa sostenersi la violazione della disciplina sulla partecipazione al procedimento.

L’eventuale circostanza che la curatela fallimentare non abbia ricevuto tali comunicazioni appare assolutamente irrilevante: l’art. 48 del RD 267/1942 (legge fallimentare), impone al fallito di consegnare al curatore ogni genere di corrispondenza, inclusa quella elettronica, ma l’eventuale mancato assolvimento di tale obbligo in capo al fallito non può incidere negativamente sull’attività del Comune, che ha regolarmente trasmesso gli avvisi dovuti ai sensi della legge 241/1990 alla società ancora in bonis.

Si aggiunga ancora, ad abundantiam, che l’art. 72 della legge fallimentare prevede che l’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento spieghi i suoi effetti nei confronti del curatore, il che conferma ancora la legittimità della condotta del Comune.

5. Nel quinto motivo aggiunto (numero 13), si denuncia la presunta violazione dell’art.12 del DPR 380/2001 e dell’art. 36 della legge regionale 12/2005, articoli che, a detta del ricorrente, consentirebbero la realizzazione delle opere di urbanizzazione contemporaneamente all’intervento edilizio (la casa albergo per anziani, nel caso di specie), e non antecedentemente, sicché il Comune – sempre secondo l’esponente – non avrebbe potuto disporre la risoluzione della convenzione prima della scadenza del termine triennale di durata della DIA per la realizzazione della casa albergo.

Il mezzo è però infondato e sul punto non possono che richiamarsi le pregresse considerazioni in diritto, dalle quali si desumono l’essenzialità del termine convenzionale di 12 mesi per la realizzazione delle opere pubbliche, oltre che la perdurante inadempienza della società nonostante la notifica di rituale diffida ex art. 1454 c.c., con conseguente risoluzione della convenzione.

A questo punto il richiamo ai citati articoli 12 e 36 appare fuori luogo: la società poi fallita si era validamente obbligata all’esecuzione di opere pubbliche entro un termine essenziale, restando poi inadempiente nonostante la notifica di un atto di diffida e messa in mora, sicché nessuna rilevanza assume la previsione legislativa sulla durata triennale della denuncia di inizio attività.

6. Con il sesto motivo aggiunto (numero 14), si lamenta la presunta inosservanza dell’art. 15 del DPR 380/2001 e dell’art. 42 comma 6° della legge regionale 12/2005, in quanto il Comune non avrebbe rispettato il termine di legge di tre anni per la conclusione dei lavori della casa albergo, di cui alla DIA 12/2007.

Anche tale censura è però priva di pregio, visto che, una volta intervenuta la risoluzione per inadempimento della convenzione, per le ragioni suesposte, doveva ritenersi venuta meno una condizione essenziale (da intendersi quale condizione risolutiva), per il rilascio del titolo edilizio in deroga, vale a dire la realizzazione delle opere pubbliche di cui all’art. 1 dell’accordo.

A questo punto, era giocoforza per l’Amministrazione locale disporre l’annullamento del titolo edilizio e questo prescindendo dall’ordinario termine triennale di conclusione dei lavori assentiti.

7. Nel settimo mezzo (numero 15), si denuncia l’eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, contraddittorietà e sviamento, in quanto, a detta dell’esponente, il Comune non avrebbe dovuto, pur a fronte dell’inadempimento contrattuale, disporre la risoluzione della convenzione e la demolizione della porzione della casa albergo (fabbricato a rustico), sino ad allora eseguita.

Al contrario, continua l’esponente, l’Amministrazione di Monticelli Pavese avrebbe dovuto favorire la vendita all’asta dell’immobile, ai fini della prosecuzione e del completamento dei lavori di costruzione della casa albergo.

La censura è infondata, in quanto finisce per attenere non alla legittimità, quanto piuttosto al merito dell’azione amministrativa, risolvendosi in una censura sulla scelta del Comune di disporre la risoluzione della convenzione per inadempimento della controparte privata.

Una volta accertato – come avvenuto nel caso di specie – l’inadempimento della società, la risoluzione dell’accordo concluso ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990, costituisce in ogni caso espressione di ampia discrezionalità amministrativa, censurabile soltanto in caso di manifesta illogicità o irrazionalità.

Orbene, di fronte all’accertata violazione da parte di Makeall Spa dell’obbligo di realizzare opere pubbliche reputate necessarie per l’Amministrazione comunale, in vista delle quali era stato concesso permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, non appare censurabile la scelta della P.A. di risolvere l’intero accordo, non procedendo – quanto meno allo stato - alla realizzazione della casa albergo.

8. Con l’ottavo motivo aggiunto (numero 16), si contesta l’automatismo che sarebbe stato individuato dall’Amministrazione, fra declaratoria di risoluzione della convenzione e annullamento del titolo edilizio (DIA 12/2007), con conseguente ordine di demolizione del fabbricato sino ad allora realizzato.

In realtà, il denunciato automatismo consegue ai seguenti elementi, peraltro già evidenziati dal Collegio nei precedenti punti della narrativa in diritto e che si ritiene opportuno riassumere:

a. il titolo abilitativo in deroga agli strumenti urbanistici (istituto di carattere eccezionale, come da sempre affermato dalla giurisprudenza, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 2.4.1996, n. 439), è stato rilasciato, previa necessaria deliberazione del Consiglio Comunale ex art. 40 LR 12/2005, nell’ambito di una più ampia operazione urbanistica, la quale prevedeva, quale condizione necessaria ed essenziale per il suo completamento, la realizzazione da parte della società Makeall, di una serie di opere pubbliche, individuate sia all’art. 1 della convenzione urbanistica sia dalla pregressa delibera consiliare n. 28/2007;

b. se è pur vero che la realizzazione della casa albergo – che in ogni caso sarebbe rimasta di proprietà del privato gestore – corrispondeva anche ad un interesse della collettività di Monticelli Pavese, è parimenti innegabile che l’interesse pubblico non si esauriva nella fruizione da parte dei residenti delle prestazioni socio-sanitarie proprie della casa albergo, ma anche e soprattutto nella realizzazione di infrastrutture urbanistiche essenziali per un piccolo Comune come quello resistente (collettore fognario ed adeguamento del collegamento alla strada provinciale);

c. la mancata realizzazione delle citate opere pubbliche, implicando la risoluzione della convenzione, per le ragioni sopra esposte, fa altresì venire meno la ragione fondamentale del rilascio del permesso di costruire in deroga, vanificando sostanzialmente tutta l’operazione urbanistica di cui alla citata delibera consiliare 28/2007;

d. é rimessa all’esclusiva discrezionalità del Comune la scelta circa la sorte della convenzione e della DIA 12/2007, rilasciata in attuazione della convenzione stessa; è certo, però, che il venir meno del presupposto fondamentale del titolo in deroga, non può che comportare l’annullamento del titolo stesso, con conseguente obbligo di demolizione della parte di opera sino ad allora realizzata;

e. in caso di opere edilizie eseguite in assenza di titolo (nel caso di specie, poi, si tratta addirittura di un titolo in deroga agli strumenti di piano), la demolizione costituisce la conseguenza per così dire automatica, non necessitante di particolare motivazione; cfr. art. 31 del DPR 380/2001 ed in giurisprudenza, fra le tante, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 7.6.2010, n. 12720;

f. la demolizione del rustico, nel caso di specie, non rappresenta una sanzione abnorme, ma la naturale conseguenza della perdita di efficacia, per le ragioni suddette, del titolo edilizio in deroga.

Di conseguenza, deve rigettarsi anche l’ultimo dei motivi aggiunti.

9. I sette motivi del ricorso principale ricalcano esattamente quelli poi riproposti nei motivi aggiunti; gli stessi devono pertanto rigettarsi, per le ragioni già sopra esposte, alle quali ci si permette, per economia espositiva, di rinviare.

Con particolare riguardo al primo mezzo (incompetenza del responsabile del servizio), lo stesso deve ritenersi privo di pregio, visto che il provvedimento dirigenziale è stato adottato in esecuzione della – legittima, in base a quanto già evidenziato – delibera di Giunta Comunale n. 34/2010.

10. La declaratoria di infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti implica la reiezione della domanda di risarcimento dei danni con gli stessi proposta.

11. La particolare natura delle parti coinvolte induce il Collegio a compensare interamente le spese di lite.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda),

definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge in ogni loro domanda.

Rigetta la domanda di risarcimento dei danni.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Mario Arosio, Presidente
Giovanni Zucchini, Primo Referendario, Estensore
Silvana Bini, Primo Referendario

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 



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