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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
T.A.R.
LOMBARDIA, Milano, Sez. II - 4 marzo 2011, n. 628
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Accordi integrativi o sostitutivi del procedimento -
Art. 11 L. n. 241/19990 - Stipulazione della convenzione - Competenza
dell’organo consiliare - Risoluzione dell’accordo per inadempimento della
controparte privata - Competenza della Giunta. In tema di accordi
integrativi o sostitutivi del procedimento ex art. 11 L. n. 241/1990, se non è
in discussione la competenza dell’organo consiliare allorché si tratta della
scelta di stipulazione della convezione, deve invece riconoscersi alla Giunta,
in virtù della sua competenza generale e residuale ex art. 48 D.Lgs. 267/2000,
il potere di disporre la risoluzione dell’accordo, in caso di accertato
inadempimento della controparte privata. L’atto di risoluzione si pone, infatti,
come atto di esecuzione della stessa convenzione, nel senso cioè che l’organo
dotato di competenza amministrativa generale (Giunta), può legittimamente
accertare la sussistenza dei presupposti di legge (articoli 1453 e seguenti del
codice civile, applicabili in virtù del generale richiamo di cui all’art. 11,
comma 2°, della legge 241/1990), tali da far venire meno gli effetti
dell’accordo. (Consiglio di Stato, sez. IV, 11.12.2007, n. 6358, TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 20.12.2004, n. 6485 e TAR Piemonte, sez. II, 4.12.2000, n.
1270) Pres. Arosio, Est. Zucchini - Fallimento M. (avv. Grella) c. Comune di
Monticelli Pavese (avv. Ferrari) -
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. II - 4 marzo 2011, n. 628
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N. 00628/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02574/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2574 del 2010, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Fallimento Makeall Spa, rappresentato e difeso dall'avv. Umberto Grella, con
domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Cesare Battisti, 21;
contro
Comune di Monticelli Pavese, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Franco
Ferrari, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Larga, 23;
quanto al ricorso principale:
per l'annullamento, previa sospensione dell’esecuzione:
dell’ordinanza n. 6 del 17.9.2010 a firma del sindaco-responsabile del servizio
tecnico del Comune di Monticelli Pavese con cui è stata decretata la risoluzione
per inadempimento della convenzione stipulata in data 21.12.2007 per la
costruzione di casa albergo per gli anziani, l’annullamento in via di autotutela
della DIA n. 12/2007 e la conseguente declaratoria dell’edificio realizzato al
rustico come opera eseguita in assenza di permesso ex art. 31 DPR 380/2001 ed è
stata intimata la demolizione delle opere edilizie eseguite; per l’accertamento
e la declaratoria della non essenzialità del termine di 12 mesi fissato nella
convenzione del 21.12.2007 per l’esecuzione della fognatura e della non
rilevanza del suo spirare rispetto alla validità dei titoli edilizi rilasciati
in ossequio a quella convenzione e per la condanna del Comune di Monticelli
Pavese al risarcimento dei danni patiti e patiendi;
di tutti gli atti preordinati, consequenziali e connessi
quanto ai motivi aggiunti depositati il 28.12.2010, per l’annullamento:
a) della deliberazione di Giunta Comunale n. 34 del 31.8.2010 recante
risoluzione per inadempimento della convenzione urbanistica stipulata in data
21.12.2007;
b) dell’ordinanza a firma del sindaco di Monticelli Pavese n. 6 del 17.9.2010,
nonché per l’accertamento e la declaratoria della non essenzialità del termine
di 12 mesi fissato nella convenzione del 21.12.2007 per l’esecuzione della
fognatura e della non rilevanza del suo spirare rispetto alla validità dei
titoli edilizi rilasciati in ossequio a quella convenzione e per la condanna del
Comune di Monticelli Pavese al risarcimento dei danni patiti e patiendi.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Monticelli Pavese;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2011 il dott. Giovanni
Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di Monticelli Pavese (PV) e la società Makeall Spa stipulavano, in
attuazione della deliberazione di Consiglio Comunale n. 28 del 29.11.2007, una
convenzione urbanistica in data 21.12.2007, attraverso la quale la società, a
fronte del rilascio di un permesso di costruire in deroga ex art. 40 legge
regionale 12/2005 per la costruzione di una casa albergo per anziani, si
impegnava alla realizzazione a propria cura e spese di una serie di opere
pubbliche (collettore fognario per la raccolta di acque reflue ed ampliamento di
una strada di accesso alla strada provinciale).
Per effetto di denuncia di inizio attività (DIA) n. 12/2007 del 20.12.2007, era
attribuito a Makeall Spa un titolo edilizio - in deroga agli strumenti
urbanistici - per la realizzazione della suddetta casa albergo.
La società era però successivamente dichiarata fallita dal Tribunale di Milano,
con sentenza n. 360 del 14.5.2010 (cfr. doc. 6 del ricorrente).
Con ordinanza n. 6 del 17.9.2010, il responsabile del servizio tecnico del
Comune disponeva la risoluzione per inadempimento della convenzione del
21.12.2007 e l’annullamento in via di autotutela del titolo abilitativo
formatosi sulla DIA n. 12/2007 per la realizzazione della casa albergo,
ingiungendo altresì la demolizione del rustico sino ad allora eseguito.
Contro la citata ordinanza, il Fallimento proponeva il presente ricorso, con
domanda di sospensiva e di danni, per i motivi che possono così essere
sintetizzati:
1) incompetenza del funzionario comunale a favore del Consiglio Comunale, ai
sensi dell’art. 41 del D.Lgs. 267/2000, dell’art. 14 del DPR 380/2001 e
dell’art. 40 della LR 12/2005;
2) contraddittorietà con la delibera consiliare n. 29 del 29.11.2007 e mancata
revoca della stessa da parte del Consiglio Comunale;
3) violazione degli articoli 7 ed 8 della legge 241/1990;
4) violazione degli articoli 12 del DPR 380/2001 e dell’art. 36 della legge
regionale 12/2005;
5) violazione dell’art. 15 del DPR 380/2001 e dell’art. 42 della LR 12/2005;
6) eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità dell’agire
amministrativo, contraddittorietà e sviamento;
7) illegittimità dell’automatismo fra risoluzione della convenzione e
annullamento dei titoli edilizi.
Si costituiva in giudizio il Comune intimato, concludendo per il rigetto del
gravame.
All’udienza cautelare del 16.12.2010, il difensore del ricorrente evidenziava la
necessità di proporre motivi aggiunti, rinunciando contestualmente alla domanda
di sospensiva.
Successivamente, il Fallimento notificava ricorso per motivi aggiunti contro la
delibera di Giunta Comunale n. 34 del 31.8.2010, depositata in giudizio dal
Comune in vista dell’udienza di sospensiva, mediante la quale l’Amministrazione
aveva disposto la risoluzione della convenzione del 21.12.2007 e l’annullamento
conseguente del titolo edilizio, dando contestualmente incarico al responsabile
del servizio tecnico di eseguire la delibera stessa.
Questi, in sintesi, i motivi aggiunti (continua la numerazione del gravame
principale):
9) incompetenza della Giunta, per violazione dell’art. 41 del D.Lgs. 267/2000 e
dello Statuto comunale;
10) contraddittorietà con la delibera consiliare n. 29 del 29.11.2007 e mancata
revoca della stessa da parte del Consiglio Comunale;
11) violazione degli articoli 1453-1460 del codice civile, per non essenzialità
del termine di 12 mesi per l’esecuzione degli interventi previsti in
convenzione;
12) violazione degli articoli 7 ed 8 della legge 241/1990;
13) violazione degli articoli 12 del DPR 380/2001 e dell’art. 36 della legge
regionale 12/2005;
14) violazione dell’art. 15 del DPR 380/2001 e dell’art. 42 comma 6 della LR
12/2005;
15) eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità dell’agire
amministrativo, contraddittorietà e sviamento;
16) illegittimità dell’automatismo fra risoluzione della convenzione e
annullamento dei titoli edilizi.
Alla pubblica udienza del 10.2.2011, la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ai fini della definizione del gravame, reputa necessario il Collegio trattare il
ricorso per motivi aggiunti prima dell’esame del ricorso principale.
Questa apparente inversione della ordinaria trattazione del rapporto
ricorso-motivi aggiunti, è giustificata dal fatto che i motivi aggiunti sono
rivolti contro un atto – delibera di Giunta Comunale del 31.8.2010 - che è
cronologicamente e logicamente antecedente al provvedimento del responsabile del
servizio tecnico del 17.9.2010, il quale costituisce invece un atto di
esecuzione della delibera di Giunta sopra indicata.
Il Fallimento esponente ha però avuto conoscenza dapprima dell’atto del
funzionario comunale e solo in seguito – per effetto della produzione in
giudizio effettuata della resistente – della delibera di Giunta, il che spiega
perché quest’ultima, anche se anteriore al provvedimento del responsabile del
servizio, sia stata impugnata successivamente a quest’ultimo.
1. Con il primo motivo aggiunto (numero 9, continuando la numerazione del
ricorso principale), viene denunciata la presunta incompetenza della Giunta, a
favore del Consiglio Comunale, nell’adozione dell’atto di risoluzione della
convenzione per inadempimento della parte privata.
La censura non appare condivisibile in quanto, se non è in discussione la
competenza dell’organo consiliare allorché si tratta della scelta di
stipulazione della convezione (riconducibile agli accordi integrativi o
sostitutivi del procedimento, di cui all’art. 11 della legge 241/1990), deve
invece riconoscersi alla Giunta, in virtù della sua competenza generale e
residuale ex art. 48 D.Lgs. 267/2000, il potere di disporre la risoluzione
dell’accordo, in caso di accertato inadempimento della controparte privata.
L’atto di risoluzione si pone, infatti, come atto di esecuzione della stessa
convenzione, nel senso cioè che l’organo dotato di competenza amministrativa
generale (Giunta), può legittimamente accertare la sussistenza dei presupposti
di legge (articoli 1453 e seguenti del codice civile, applicabili in virtù del
generale richiamo di cui all’art. 11, comma 2°, della legge 241/1990), tali da
far venire meno gli effetti dell’accordo.
In tal senso è orientata la giurisprudenza amministrativa; si vedano, ad
esempio, Consiglio di Stato, sez. IV, 11.12.2007, n. 6358, per il quale: <<….Ne
consegue la legittimità della delibera di giunta di risoluzione, per grave
inadempimento, di una convenzione urbanistica stipulata con privati, considerato
che viene in rilievo un provvedimento a mezzo del quale l'ente ha espresso la
propria volontà di adire le vie legali per proporre domanda di risoluzione per
inadempimento della convenzione, attuativo, nella sostanza, delle presupposte
delibere consiliari che avevano predisposto il quadro istituzionale relativo
agli interventi di edilizia economica e popolare nel comune; l'atto è
espressione in via immediata di attività di gestione ordinaria perché tale deve
considerarsi quella volta a tutelare, in sede giudiziaria, le pretese dell'ente
….>> ed anche TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20.12.2004, n. 6485 e TAR
Piemonte, sez. II, 4.12.2000, n. 1270.
A sostegno della tesi del ricorrente non può neppure invocarsi il principio del
contrarius actus, visto che la Giunta non ha espresso una volontà politica
contraria a quella del Consiglio, ma, più semplicemente, ha verificato la
sussistenza dei presupposti per la risoluzione della convenzione, in coerenza
con la scelta dell’organo assembleare, che aveva consentito il rilascio del
permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, a condizione che la
società Makeall realizzasse opere pubbliche di interesse per il Comune (cfr.
doc. 3 del resistente, delibera di Consiglio Comunale 29.11.2007, n. 28); sicché
la Giunta ha accertato la mancata realizzazione di tali opere, il che ha
conseguentemente indotto alla risoluzione dell’accordo negoziale con la società.
2. Con il secondo motivo aggiunto (numero 10), si lamenta una presunta
contraddittorietà fra la delibera di Giunta impugnata e la delibera consiliare
28/2007, che aveva autorizzato il rilascio del titolo edilizio in deroga e la
stipulazione della convenzione (doc. 3 del Comune), sostenendosi altresì che
l’atto di Giunta doveva essere preceduto dalla formale revoca dell’atto
consiliare.
La censura è infondata ed in argomento preme richiamare quanto esposto al
precedente punto 1: la Giunta non si è posta in contraddizione con la volontà
espressa dal Consiglio, ma ha dato doverosa attuazione alla stessa, accertando
il grave inadempimento in cui era incorsa la società Makeall, per non avere
ottemperato alle proprie obbligazioni contrattuali, nonostante la diffida ad
adempiere ritualmente notificata alla stessa a cura dell’Amministrazione
comunale.
Sulla questione dell’inadempimento, appaiono però necessarie talune
considerazioni, valevoli anche per la trattazione dei successivi motivi di
gravame.
L’esponente muove dal presupposto della durata decennale della convenzione
urbanistica, che sarebbe desumibile dalle norme di legge statali e regionali
(art. 28 legge 1150/1942 e art. 42 LR 12/2005), per concludere che la società
avrebbe avuto a disposizione un tale termine per la realizzazione delle opere
previste dalla convenzione.
Se è pur vero – si continua in ricorso – che l’art. 1 della convezione (cfr.
doc. 4 del resistente), prevede un termine di 12 mesi per l’esecuzione delle
opere previste, tale termine non può ritenersi essenziale (ai sensi dell’art.
1457 del codice civile), per cui la sua scadenza non avrebbe legittimato il
Comune a disporre la risoluzione dell’accordo.
In realtà, secondo il Collegio, si rinvengono diversi elementi che inducono a
qualificare come “essenziale” il citato termine di 12 mesi.
In primo luogo, il termine decennale di cui all’art. 28 della legge 1150/1942
costituisce un termine massimo, visto che la legge ammette espressamente che sia
pattuito un termine inferiore (cfr. art. 28, comma 8°, citato); in secondo
luogo, la lettura della delibera consiliare 28/2007, già sopra citata, dimostra
come il Consiglio Comunale autorizzò il rilascio di un permesso di costruire in
deroga agli strumenti urbanistici, sotto condizione dell’impegno della società
alla realizzazione di una serie di opere pubbliche.
Queste ultime (cfr. la delibera consiliare e l’art. 1 della convenzione, lettere
a e b), appaiono di importanza rilevante per l’Amministrazione di Monticelli
Pavese: si tratta infatti sia della realizzazione di un collettore fognario per
la raccolta delle acque reflue fra due località del Comune (Cascina Meari e
Località Concara), con l’impegno anche a sostenere i costi per la progettazione,
la direzione lavori, il collaudo e tutte le altre spese, sia della sistemazione
e dell’ampliamento della strada di accesso alla Strada Provinciale n. 53, con
tutte le spese inerenti.
Risulta evidente che la realizzazione delle opere suddette – che nel ricorso
sono invece in qualche modo “minimizzate”, in contrasto con le previsioni della
convenzione – assurge, per un Comune tutto sommato di piccole dimensioni come
Monticelli Pavese, ad importanza fondamentale, sicché il termine contrattuale
per la loro esecuzione deve reputarsi essenziale.
La giurisprudenza ha del resto chiarito che l’essenzialità del termine deve
desumersi dalla lettura complessiva delle clausole contrattuali,
indipendentemente dall’esplicita qualificazione di “essenziale” attribuita dalle
parti; così Cassazione civile, sez. II, 25.10.2010 n. 21838, per la quale <<Il
termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli
effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine
istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle
espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto
del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere
perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine
medesimo>>.
Fermo restando quanto sopra esposto, anche a volere – per assurdo, non essendo
tale l’opinione del Tribunale – ritenere non essenziale il termine di 12 mesi,
nel caso di specie sussisterebbero comunque i presupposti per la risoluzione
della convenzione, in applicazione dell’art. 1454 del codice civile (“Diffida ad
adempiere”), in forza del quale la parte adempiente può intimare all’altra
l’adempimento entro un congruo termine (non inferiore a quindici giorni),
scaduto il quale il contratto deve senz’altro intendersi risolto.
Orbene, il Comune ha inviato regolare diffida e messa in mora alla società,
prima del suo fallimento, in data 12.9.2009 (cfr. doc. 7 del resistente, si noti
che in calce alla diffida è scritto che, in caso di mancato adempimento, si
procederà all’annullamento del titolo ed alla conseguente applicazione delle
sanzioni previste dalla legge), intimando di iniziare i lavori entro 60 giorni.
L’atto di messa in mora succitato è stato regolarmente ricevuto dalla società,
che con raccomandata del 9.10.2009 a firma dell’allora Amministratore Unico,
notiziava il Comune dell’avvenuto sequestro preventivo della società stessa,
senza però nulla dichiarare in ordine alla realizzazione delle opere (cfr. doc.
8 del resistente); anzi il tenore della risposta lasciava chiaramente intendere
che non si sarebbe proceduto ad alcuna esecuzione.
E’ certo comunque – tale circostanza è pacifica e non smentita dal Fallimento –
che i lavori di cui alla convenzione, nonostante la diffida ex art. 1454 c.c.,
non sono mai ripresi, sicché la convenzione deve ritenersi risolta di diritto.
In altri termini, sia che si voglia ritenere essenziale il termine di 12 mesi
(ex art. 1457 c.c.), sia che si voglia fare riferimento all’istituto della
diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., sussistono, nella presente fattispecie,
le condizioni di legge per la risoluzione della convenzione per inadempimento
della parte privata.
Ciò premesso, deve rigettarsi anche il secondo motivo aggiunto, confermandosi
altresì l’assoluta non necessità, da parte del Consiglio, della revoca della
propria pregressa delibera 28/2007, visto che – giova ancora ricordarlo – la
Giunta ha agito non in contrasto, bensì in attuazione della citata delibera
consiliare.
3. Nel terzo motivo aggiunto (numero 11), si sostiene la violazione degli
articoli da 1453 a 1460 del codice civile, attesa la presunta non essenzialità
del termine di 12 mesi e la asserita non gravità dell’inadempimento.
Anche tale mezzo è privo di pregio e sul punto preme al Collegio, per ragioni di
economia espositiva, rinviare a quanto sopra esposto ai punti 1 e 2 della
presente narrativa in diritto, ricordando ancora come le opere pubbliche di cui
alla convenzione non sono mai neppure iniziate – anche tale circostanza non è
smentita in fatto – e ciò non per colpa del Comune, ma per negligenza della
controparte privata.
4. Con il quarto motivo aggiunto (numero 12), si lamenta la violazione degli
articoli 7 e 8 della legge 241/1990 sulla comunicazione di avvio del
procedimento.
Il mezzo è smentito in fatto, visto che con raccomandata del 28.4.2010,
regolarmente ricevuta dalla società allora non fallita (cfr. doc. 11 del
resistente), era data notizia dell’avvio del procedimento per l’annullamento
della DIA n. 12/2007.
Tale comunicazione di avvio del procedimento faceva peraltro seguito alla
succitata diffida del 12.9.2009 (cfr. doc. 7 del resistente), senza contare che
anche con lettera del 22.1.2009, espressamente indicata come valevole anche ai
fini dell’art. 7 della legge 241/1990, era stato contestato a Makeall Spa
l’inadempimento dei propri obblighi contrattuali (cfr. doc. 6 del resistente).
Ciò premesso, non si vede come possa sostenersi la violazione della disciplina
sulla partecipazione al procedimento.
L’eventuale circostanza che la curatela fallimentare non abbia ricevuto tali
comunicazioni appare assolutamente irrilevante: l’art. 48 del RD 267/1942 (legge
fallimentare), impone al fallito di consegnare al curatore ogni genere di
corrispondenza, inclusa quella elettronica, ma l’eventuale mancato assolvimento
di tale obbligo in capo al fallito non può incidere negativamente sull’attività
del Comune, che ha regolarmente trasmesso gli avvisi dovuti ai sensi della legge
241/1990 alla società ancora in bonis.
Si aggiunga ancora, ad abundantiam, che l’art. 72 della legge fallimentare
prevede che l’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento
spieghi i suoi effetti nei confronti del curatore, il che conferma ancora la
legittimità della condotta del Comune.
5. Nel quinto motivo aggiunto (numero 13), si denuncia la presunta violazione
dell’art.12 del DPR 380/2001 e dell’art. 36 della legge regionale 12/2005,
articoli che, a detta del ricorrente, consentirebbero la realizzazione delle
opere di urbanizzazione contemporaneamente all’intervento edilizio (la casa
albergo per anziani, nel caso di specie), e non antecedentemente, sicché il
Comune – sempre secondo l’esponente – non avrebbe potuto disporre la risoluzione
della convenzione prima della scadenza del termine triennale di durata della DIA
per la realizzazione della casa albergo.
Il mezzo è però infondato e sul punto non possono che richiamarsi le pregresse
considerazioni in diritto, dalle quali si desumono l’essenzialità del termine
convenzionale di 12 mesi per la realizzazione delle opere pubbliche, oltre che
la perdurante inadempienza della società nonostante la notifica di rituale
diffida ex art. 1454 c.c., con conseguente risoluzione della convenzione.
A questo punto il richiamo ai citati articoli 12 e 36 appare fuori luogo: la
società poi fallita si era validamente obbligata all’esecuzione di opere
pubbliche entro un termine essenziale, restando poi inadempiente nonostante la
notifica di un atto di diffida e messa in mora, sicché nessuna rilevanza assume
la previsione legislativa sulla durata triennale della denuncia di inizio
attività.
6. Con il sesto motivo aggiunto (numero 14), si lamenta la presunta inosservanza
dell’art. 15 del DPR 380/2001 e dell’art. 42 comma 6° della legge regionale
12/2005, in quanto il Comune non avrebbe rispettato il termine di legge di tre
anni per la conclusione dei lavori della casa albergo, di cui alla DIA 12/2007.
Anche tale censura è però priva di pregio, visto che, una volta intervenuta la
risoluzione per inadempimento della convenzione, per le ragioni suesposte,
doveva ritenersi venuta meno una condizione essenziale (da intendersi quale
condizione risolutiva), per il rilascio del titolo edilizio in deroga, vale a
dire la realizzazione delle opere pubbliche di cui all’art. 1 dell’accordo.
A questo punto, era giocoforza per l’Amministrazione locale disporre
l’annullamento del titolo edilizio e questo prescindendo dall’ordinario termine
triennale di conclusione dei lavori assentiti.
7. Nel settimo mezzo (numero 15), si denuncia l’eccesso di potere per violazione
del principio di proporzionalità, contraddittorietà e sviamento, in quanto, a
detta dell’esponente, il Comune non avrebbe dovuto, pur a fronte
dell’inadempimento contrattuale, disporre la risoluzione della convenzione e la
demolizione della porzione della casa albergo (fabbricato a rustico), sino ad
allora eseguita.
Al contrario, continua l’esponente, l’Amministrazione di Monticelli Pavese
avrebbe dovuto favorire la vendita all’asta dell’immobile, ai fini della
prosecuzione e del completamento dei lavori di costruzione della casa albergo.
La censura è infondata, in quanto finisce per attenere non alla legittimità,
quanto piuttosto al merito dell’azione amministrativa, risolvendosi in una
censura sulla scelta del Comune di disporre la risoluzione della convenzione per
inadempimento della controparte privata.
Una volta accertato – come avvenuto nel caso di specie – l’inadempimento della
società, la risoluzione dell’accordo concluso ai sensi dell’art. 11 della legge
241/1990, costituisce in ogni caso espressione di ampia discrezionalità
amministrativa, censurabile soltanto in caso di manifesta illogicità o
irrazionalità.
Orbene, di fronte all’accertata violazione da parte di Makeall Spa dell’obbligo
di realizzare opere pubbliche reputate necessarie per l’Amministrazione
comunale, in vista delle quali era stato concesso permesso di costruire in
deroga agli strumenti urbanistici, non appare censurabile la scelta della P.A.
di risolvere l’intero accordo, non procedendo – quanto meno allo stato - alla
realizzazione della casa albergo.
8. Con l’ottavo motivo aggiunto (numero 16), si contesta l’automatismo che
sarebbe stato individuato dall’Amministrazione, fra declaratoria di risoluzione
della convenzione e annullamento del titolo edilizio (DIA 12/2007), con
conseguente ordine di demolizione del fabbricato sino ad allora realizzato.
In realtà, il denunciato automatismo consegue ai seguenti elementi, peraltro già
evidenziati dal Collegio nei precedenti punti della narrativa in diritto e che
si ritiene opportuno riassumere:
a. il titolo abilitativo in deroga agli strumenti urbanistici (istituto di
carattere eccezionale, come da sempre affermato dalla giurisprudenza, cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, 2.4.1996, n. 439), è stato rilasciato, previa
necessaria deliberazione del Consiglio Comunale ex art. 40 LR 12/2005,
nell’ambito di una più ampia operazione urbanistica, la quale prevedeva, quale
condizione necessaria ed essenziale per il suo completamento, la realizzazione
da parte della società Makeall, di una serie di opere pubbliche, individuate sia
all’art. 1 della convenzione urbanistica sia dalla pregressa delibera consiliare
n. 28/2007;
b. se è pur vero che la realizzazione della casa albergo – che in ogni caso
sarebbe rimasta di proprietà del privato gestore – corrispondeva anche ad un
interesse della collettività di Monticelli Pavese, è parimenti innegabile che
l’interesse pubblico non si esauriva nella fruizione da parte dei residenti
delle prestazioni socio-sanitarie proprie della casa albergo, ma anche e
soprattutto nella realizzazione di infrastrutture urbanistiche essenziali per un
piccolo Comune come quello resistente (collettore fognario ed adeguamento del
collegamento alla strada provinciale);
c. la mancata realizzazione delle citate opere pubbliche, implicando la
risoluzione della convenzione, per le ragioni sopra esposte, fa altresì venire
meno la ragione fondamentale del rilascio del permesso di costruire in deroga,
vanificando sostanzialmente tutta l’operazione urbanistica di cui alla citata
delibera consiliare 28/2007;
d. é rimessa all’esclusiva discrezionalità del Comune la scelta circa la sorte
della convenzione e della DIA 12/2007, rilasciata in attuazione della
convenzione stessa; è certo, però, che il venir meno del presupposto
fondamentale del titolo in deroga, non può che comportare l’annullamento del
titolo stesso, con conseguente obbligo di demolizione della parte di opera sino
ad allora realizzata;
e. in caso di opere edilizie eseguite in assenza di titolo (nel caso di specie,
poi, si tratta addirittura di un titolo in deroga agli strumenti di piano), la
demolizione costituisce la conseguenza per così dire automatica, non
necessitante di particolare motivazione; cfr. art. 31 del DPR 380/2001 ed in
giurisprudenza, fra le tante, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 7.6.2010, n.
12720;
f. la demolizione del rustico, nel caso di specie, non rappresenta una sanzione
abnorme, ma la naturale conseguenza della perdita di efficacia, per le ragioni
suddette, del titolo edilizio in deroga.
Di conseguenza, deve rigettarsi anche l’ultimo dei motivi aggiunti.
9. I sette motivi del ricorso principale ricalcano esattamente quelli poi
riproposti nei motivi aggiunti; gli stessi devono pertanto rigettarsi, per le
ragioni già sopra esposte, alle quali ci si permette, per economia espositiva,
di rinviare.
Con particolare riguardo al primo mezzo (incompetenza del responsabile del
servizio), lo stesso deve ritenersi privo di pregio, visto che il provvedimento
dirigenziale è stato adottato in esecuzione della – legittima, in base a quanto
già evidenziato – delibera di Giunta Comunale n. 34/2010.
10. La declaratoria di infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti implica la
reiezione della domanda di risarcimento dei danni con gli stessi proposta.
11. La particolare natura delle parti coinvolte induce il Collegio a compensare
interamente le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda),
definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe
proposti, li respinge in ogni loro domanda.
Rigetta la domanda di risarcimento dei danni.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Mario Arosio, Presidente
Giovanni Zucchini, Primo Referendario, Estensore
Silvana Bini, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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