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T.A.R. PIEMONTE, Sez. II - 8 marzo 2011, n. 237
SICUREZZA SUL LAVORO - Camere refrigeranti - Normativa tecnica UNI 8011 -
Dimensioni della cella - Rilevanza - Esclusione - Ragioni. La normativa
tecnica UNI 8011 non si riferisce unicamente alle camere refrigeranti di grandi
dimensioni, come sostenuto da parte ricorrente, ma anche a quelle utilizzate
esclusivamente o prevalentemente per il stoccaggio della merce. Il verificarsi
dei rischi presi in considerazione dalla normativa tecnica su indicata e, in
particolare, dal punto 6.2.7 della medesima prescinde, infatti, dalle dimensioni
della cella, in quanto, in caso di casuale intrappolamento o involontaria
prolungata permanenza all’interno della stessa, le possibilità di congelamento o
di morte per assideramento o per asfissia sono le medesime, essendo direttamente
correlate al tempo di permanenza nell’ambiente “freddo” e non alla maggiore o
minore grandezza dello stesso. La “camera”, cui fa riferimento la normativa
tecnica su indicata, deve essere, quindi, correttamente intesa come qualsiasi
stanza o vano, mantenuti mediante un impianto di refrigerazione a temperatura
minore di quella ambientale. Pres. Salamone, Est. Sinigoi - B. s.p.a. (avv.ti
Gerbi, Massa e Rozzio) c. Regione Piemonte (avv. Salsotto), Azienda Sanitaria
Locale n. 18 Alba-Bra (avv.ti Spina e Rivetti) -
TAR PIEMONTE, Sez. II - 8 marzo 2011, n. 237
SICUREZZA SUL LAVORO - Celle refrigeranti - Sistemi di segnalazione e di uscita
- Datore di lavoro - Individuazione - Libertà di scelta - Limite
dell’adeguatezza. La libertà di scelta del datore di lavoro
nell’individuazione dei sistemi di segnalazione e d’uscita, per il caso di
intrappolamento o involontaria permanenza all’interno di celle refrigeranti,
incontra il limite della “adeguatezza”, che va valutata avuto riguardo a quanto
prescritto dalla prima parte del punto 6.2.7 della normativa tecnica UNI 8011,
tenuto conto del bene primario (vita e integrità fisica delle persone) alla cui
tutela tali norme sono preordinate. Pres. Salamone, Est. Sinigoi - B. s.p.a.
(avv.ti Gerbi, Massa e Rozzio) c. Regione Piemonte (avv. Salsotto), Azienda
Sanitaria Locale n. 18 Alba-Bra (avv.ti Spina e Rivetti) -
TAR PIEMONTE, Sez. II - 8 marzo 2011, n. 237
SICUREZZA SUL LAVORO - Sostituzione delle tecniche adottate con quelle più
innovative maggiormente idonee a garantire la sicurezza - Ricerca e sviluppo
delle conoscenze - Artt. 3, c. 1, lett. b) e 4, c. 5 lett. b) d.lgs. n.
626/1994. In tema di tutela della sicurezza dei lavoratori è legittimo
pretendere, ai sensi degli artt. 3, comma 1, lett. b) e 4, comma 5, lett. b),
del D.Lgs. 626 del 1994, che l'imprenditore proceda ad un'immediata sostituzione
delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti ed innovative,
qualora la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino alla individuazione di
tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, laddove i sistemi già adottati
siano comunque inidonei a garantire un livello elevato di sicurezza. Pres.
Salamone, Est. Sinigoi - B. s.p.a. (avv.ti Gerbi, Massa e Rozzio) c. Regione
Piemonte (avv. Salsotto), Azienda Sanitaria Locale n. 18 Alba-Bra (avv.ti Spina
e Rivetti)
- TAR PIEMONTE, Sez. II - 8 marzo 2011, n. 237
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N. 00237/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00813/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 813 del 2003, proposto da:
Societa' Basko s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata
e difesa dagli avv.ti Giovanni Gerbi, Francesco Massa e Marina Rozzio, con
domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, in Torino, c.so Duca degli
Abruzzi, 42;
contro
Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, rappresentatoa e difesa
dall'avv. Eugenia Salsotto, con domicilio eletto presso la medesima, in Torino,
piazza Castello, 165; Azienda Sanitaria Locale n. 18 Alba-Bra, in persona del
Commissario e rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti
Annamaria Spina e Valter Rivetti, con domicilio eletto presso lo studio
dell’avv. Silvia Di Palo, in Torino, corso Bramante, 88;
per l'annullamento
del decreto del Presidente della Giunta regionale 14 marzo 2003 n. 24, pervenuto
il 31 marzo successivo,
avente ad oggetto
reiezione di ricorso amministrativo avverso il provvedimento della A.S.L. n. 18
in data 22 novembre 2002 prot. 5315/L,
e così per l'annullamento
del provvedimento della A.S.L. n. 18 in data 22 novembre 2002 n. 5315/L, recante
prescrizioni ex art. 10 D.P.R. 520/55 in materia di igiene e sicurezza del
lavoro.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Piemonte e dell’Azienda
Sanitaria Locale n. 18 di Alba-Bra;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2011 la dott.ssa Manuela
Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Durante un sopralluogo eseguito presso l’unità di vendita della società
ricorrente, il Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro del
Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda Sanitaria Locale n. 18 rilevava che le
celle frigorifere utilizzate per la conservazione degli alimenti erano prive di
illuminazione ausiliaria all’interno, attivabile anche durante la chiusura della
porta e in grado di assicurare l’individuazione della maniglia, nonché che le
stesse non disponevano di un sistema di allarme di segnalazione della presenza
dell’operatore all’interno della cella.
Per tale motivo, con disposizione n. 1/2002 in data 22 novembre 2002 (prot. n.
5315/L), alla ricorrente veniva prescritto ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n.
520 del 1955 di provvedere a dotare le celle in questione di idoneo sistema di
segnalazione sulle maniglie oppure di illuminazione sussidiaria in grado di
consentire l’apertura delle porte dall’interno anche in caso di spegnimento
delle lampade e di un sistema di allarme acustico e/o luminoso che segnali il
caso di intrappolamento dell’operatore all’interno della cella a seguito di
malori o incidenti.
La ricorrente insorgeva avverso tale disposizione ai sensi dell’art. 21, comma
5, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 innanzi al Presidente della Giunta
Regionale del Piemonte, ma non otteneva l’esito sperato.
Con decreto presidenziale n. 24 in data 14 marzo 2003, il ricorso proposto in
via amministrativa veniva, infatti, respinto, in quanto ritenuto infondato.
La società Basko adiva, quindi, questo Tribunale Amministrativo Regionale per
ottenere l’annullamento del su indicato decreto del Presidente della Giunta
Regionale e della disposizione n. 1/2002 del Servizio Prevenzione e Sicurezza
Ambienti di Lavoro, deducendo i seguenti motivi di gravame:
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 e
degli artt. 3 e 4 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626. Eccesso di potere per
difetto di presupposto. Travisamento di fatti.
2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 D.P.R. 520/1955 e degli artt. 3
e 4 D.Lgs. 626/1994 sotto diverso profilo ed in relazione all’art. 6 del
medesimo D.Lgs. 626/1994. Eccesso di potere per illogicità.
L’Azienda Sanitaria Locale n. 18 di Alba-Bra e la Regione Piemonte si
costituivano in giudizio per resistere al ricorso, chiedendone la reiezione.
Le parti depositavano documenti e memorie.
La causa veniva chiamata alla pubblica udienza del 23 febbraio 2011 e, quindi,
introitata per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
Osserva, invero, il Collegio che la normativa tecnica UNI 8011, richiamata a
sostegno delle considerazioni riportate nel decreto del Presidente della Giunta
regionale, non si riferisce unicamente alle camere refrigeranti di grandi
dimensioni, come sostenuto da parte ricorrente, ma anche a quelle utilizzate
esclusivamente o prevalentemente per il stoccaggio della merce.
Il verificarsi dei rischi presi in considerazione dalla normativa tecnica su
indicata e, in particolare, dal punto 6.2.7 della medesima prescinde, infatti,
dalle dimensioni della cella, in quanto, in caso di casuale intrappolamento o
involontaria prolungata permanenza all’interno della stessa, le possibilità di
congelamento o di morte per assideramento (o per asfissia) sono le medesime,
essendo direttamente correlate al tempo di permanenza nell’ambiente “freddo” e
non alla maggiore o minore grandezza dello stesso.
Sovente la particolare pericolosità dell’ambiente può, peraltro, essere
correlata anche alla cd. “atmosfera controllata”, in cui la percentuale di
ossigeno presente è ridotta per consentire all’azoto immesso di conservare gli
alimenti stoccati. Trattandosi di ambienti praticamente privi di ossigeno, il
rischio primario può, quindi, essere anche quello di morte per asfissia.
La “camera”, cui fa riferimento la normativa tecnica su indicata, deve essere,
quindi, correttamente intesa come qualsiasi stanza o vano, mantenuti mediante un
impianto di refrigerazione a temperatura minore di quella ambientale.
E tale può essere ritenuta quella di cui si controverte, anche avuto riguardo
alle sue dimensioni (mt. 3,40 x 2,40).
Non è richiesto, peraltro, che la temperatura sia necessariamente inferiore allo
zero, ma, unicamente, che sia inferiore a quella ambientale.
Così come non è richiesto che le celle siano destinate alla lavorazione o alla
presenza per lunghi periodi dei lavoratori.
In tal senso depone il chiaro tenore letterale della disposizione in esame,
laddove, per l’appunto, stabilisce che “si deve porre attenzione al pericolo che
corrono le persone incapaci di muoversi in seguito a incidente o che si
addormentano o rimangono occasionalmente chiuse nelle camere fredde, in
particolare nelle celle nelle quali la temperatura è minore di 0° C”.
E’ evidente, infatti, che l’intrappolamento accidentale o il verificarsi di
incidenti all’interno della cella prescindono dalla durata della lavorazione
eseguita dentro la stessa e da quella della permanenza dei lavoratori, così come
la circostanza che la temperatura sia inferiore allo zero costituisce unicamente
un indice di aggravamento del rischio e non, invece, il presupposto fondante le
esigenze di prevenzione previste.
Quanto alla libertà di scelta del datore di lavoro nell’individuazione dei
sistemi di segnalazione e d’uscita, il Collegio si limita ad osservare che la
stessa incontra il limite della “adeguatezza”, che va valutata avuto riguardo a
quanto prescritto dalla prima parte del punto 6.2.7 citato e, per quanto rileva
nel caso di specie, alle sue lettere b), d), ed e) che stabiliscono
rispettivamente che “in caso di interruzione dell’illuminazione, i passaggi che
conducono ai dispositivi di chiamata di soccorso devono essere riconoscibili,
sia per mezzo di illuminazione indipendente, sia per mezzo di segnali luminosi,
sia con altri mezzi approvati”, che “in qualsiasi momento deve essere possibile
uscire dalle camere fredde. Ci si deve assicurare che le persone che vi fossero
rimaste chiuse possano attirare l’attenzione di altre persone all’esterno o
uscirne da sé stesse…” e che “tutte le uscite di soccorso… devono essere
facilmente accessibili in ogni momento”.
E’ evidente, dunque, che dovendo essere garantita la possibilità di uscire da
tali ambienti in qualsiasi momento e di poter aprire e facilmente individuare le
porte anche dall’interno in caso di improvvisa mancanza di illuminazione, le
misure prescritte dall’ASL e confermate dalla Regione Piemonte non appaiono per
nulla illogiche o irragionevoli o eccessive, tenuto conto del bene primario
(vita e integrità fisica delle persone) alla cui tutela sono preordinate e del
fatto che l’art. 10 del D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 attribuisce agli ispettori
del lavoro un generale potere di impartire disposizioni, a contenuto
tecnico-discrezionale, in materia di prevenzione degli infortuni.
Le misure apprestate dal datore di lavoro (controllo giornaliero del regolare
funzionamento delle aperture; informazione e formazione dei lavoratori; presenza
di un operatore all’esterno delle celle) e l’asserita facile individuazione del
dispositivo di apertura interno anche in assenza di illuminazione in ragione
delle ridotte dimensioni delle celle non paiono, infatti, costituire idonei
sistemi di prevenzione di eventi dannosi, in quanto inadeguati a garantire un
maggior livello di sicurezza, al quale, data la natura dei beni da tutelare, non
è possibile derogare.
La dedotta impossibilità di applicare, ratione temporis, la normativa UNI 8011
del 1979 in quanto sostituita dalla successiva UNI EN 378-3 del 2000 pare,
infine, pure priva di apprezzabile rilievo, atteso che, in disparte ogni
considerazione in ordine all’effettiva applicabilità al caso di specie della
normativa tecnica da ultimo indicata, in tema di tutela della sicurezza dei
lavoratori è legittimo pretendere, ai sensi degli artt. 3, comma 1, lett. b) e
4, comma 5, lett. b), del D.Lgs. 626 del 1994, all’epoca vigenti, che
l'imprenditore proceda ad un'immediata sostituzione delle tecniche
precedentemente adottate con quelle più recenti ed innovative, qualora la
ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino alla individuazione di tecnologie
più idonee a garantire la sicurezza, laddove, come nel caso di specie, i sistemi
già adottati siano comunque inidonei a garantire un livello elevato di
sicurezza.
Le considerazioni innanzi riportate consentono, dunque, di affermare
l’infondatezza del primo motivo di gravame.
Ad analoga sorte risulta, invero, destinato anche il secondo motivo dedotto,
atteso che la circostanza che le celle presenti nel punto vendita della società
ricorrente siano di recente produzione e regolarmente commercializzate sul
mercato italiano ed europeo non pare, per ciò solo, in grado di garantire la
sicurezza dei lavoratori o, comunque, sufficiente ad esonerare il datore di
lavoro che le utilizza presso gli stabilimenti dell’impresa dall’adozione delle
(specifiche) misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori.
In base alle considerazioni innanzi esposte il ricorso va, quindi, respinto, in
quanto infondato.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare le spese e le competenze di
giudizio tra le parti, attesa la particolarità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione II,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa tra le parti le spese e le competenze del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Ofelia Fratamico, Referendario
Manuela Sinigoi, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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