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T.A.R.
PUGLIA, Bari, Sez. I - 31 marzo 2011, n. 528
PUBBLICO IMPIEGO - Mobbing -
Configurabilità - Presupposti - Disegno persecutorio - Prova. Ai fini della
configurabilità del mobbing sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti
di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente,
che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato
contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o
della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del
datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica
del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento
persecutorio (Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785) La ricorrenza di
una condotta mobbizzante va pertanto esclusa quante volte la valutazione
complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro
materialità, pur se idonea a palesare "singulatim" elementi e episodi di
conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio
di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei
confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di
lavoro (Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2010, n. 2272). In particolare, la
condotta di mobbing dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, consistente
in comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di
persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di
specifici obblighi contrattuali nei confronti di un suo dipendente, deve da
quest’ultimo essere provata e, a tal fine, valenza decisiva è assunta
dall’accertamento dell’elemento soggettivo, e cioè dalla prova del disegno
persecutorio; in ogni caso, determinati comportamenti non possono essere
qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa
spiegazione (Cons. Stato, Sez. IV, 7 aprile 2010, n. 1991; Cons. Stato, Sez. VI,
6 maggio 2008, n. 2015). Pres. Allegretta, Est. Cocomile - D.P.R. (avv.ti
Carbonara e Falagario) c. Ministero della Difesa (Avv. Stato) - TAR PUGLIA,
Bari, Sez. I - 31 marzo 2011, n. 528
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N. 00528/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01570/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1570 del 2003, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
De Pascalis Roberto, rappresentato e difeso dagli avv. Federico Carbonara e
Antonio Falagario, con domicilio eletto presso Federico Carbonara in Bari, via
Putignani, 47;
contro
Ministero della Difesa - DGPM, Corpo del Genio Aeronautico dell’A.M., Reparto
Infrastrutture del Comando Logistico dell’A.M. e Comando 16° Reparto Genio
Campale dell’A.M. (ex 3° Reparto Operativo Infrastrutture), rappresentati e
difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria per
legge in Bari, via Melo, 97;
per il risarcimento
del danno da depauperamento del bagaglio professionale e lesione della immagine,
dignità e professionalità;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa - DGPM,
del Corpo del Genio Aeronautico dell’A.M., del Reparto Infrastrutture del
Comando Logistico dell’A.M. e del Comando 16° Reparto Genio Campale dell’A.M.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2011 il dott. Francesco
Cocomile e uditi per le parti i difensori avv.ti Federico Carbonara e Giovanni
Cassano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente Ten. Col. De Pascalis Roberto (Ufficiale in servizio presso il 3°
Reparto Operativo Infrastrutture di Bari-Palese con l’incarico di Capo Ufficio
Progetti) agisce in giudizio con il ricorso introduttivo e con i successivi
motivi aggiunti per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale
derivante da condotte di mobbing asseritamente poste in essere nei suoi
confronti da colleghi e da superiori gerarchici nel corso di innumerevoli anni
di servizio.
Il ricorrente individua alcuni episodi che - a suo dire - sarebbero sintomatici
di una condotta mobbizzante.
L’amministrazione resistente, nel costituirsi in giudizio, evidenzia che non vi
è stato alcun demansionamento del De Pascalis; che lo stesso a seguito del
trasferimento da Bari a Roma avvenuto con il provvedimento del luglio del 2003
ha ottenuto una nuova sede ed un incarico previsto per il ruolo ed il grado
rivestito, valido ai fini delle attribuzioni necessarie per le valutazioni al
grado superiore; che l’odierno ricorrente è stato sottoposto a numerose visite
mediche presso l’Istituto Medico Legale di Roma le quali hanno attestato che lo
stesso è idoneo al servizio; che le problematiche alloggiative del ricorrente
sono state affrontate positivamente dalla stessa amministrazione resistente; che
il De Pascalis ha presentato innumerevoli istanze al fine del conferimento con i
propri superiori, istanze che sono state accolte; che le istanze di accesso
presentate dal ricorrente sono state parimenti accolte; che pertanto non vi è
alcun elemento per poter ritenere integrati nel caso di specie gli estremi delle
condotte di mobbing e di bossing.
Preliminarmente va evidenziato che secondo Consiglio Stato, Sez. IV, 7 luglio
2008, n. 3380 “La regola generale dell’onere probatorio, secondo cui spetta a
chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la pretesa
avanzata, trova infatti integrale applicazione nel giudizio risarcitorio, nel
quale non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e
privato che giustifica nel giudizio di legittimità l’applicazione del principio
dispositivo con metodo acquisitivo.”.
Ed ancora rileva Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2435 che “L’azione
risarcitoria non è soggetta alla regola del principio dispositivo con metodo
acquisitivo, bensì al principio dell’onere della prova (artt. 2697 c.c. e 115
c.p.c.) in quanto inerente a processo avente ad oggetto diritti (risarcitori);
ed invero, trattandosi di giudizio che verte principalmente sull’esistenza delle
condizioni perché un danno possa ritenersi ingiusto, occorre innanzitutto la
prova della sua esistenza e del suo ammontare, consistente nella verifica
positiva degli specifici requisiti e, in particolare, nell’accertamento di una
effettiva lesione alla propria posizione giuridica soggettiva tutelata ovvero la
violazione della norma giuridica che attribuisce la protezione a tale
interesse.”.
Detto principio trova ora conferma nella previsione normativa di cui all’art.
64, comma 1 cod. proc. amm. ove si afferma che “Spetta alle parti l’onere di
fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i
fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.”.
Pertanto nel presente giudizio risarcitorio trova piena applicazione il
principio dell’onere della prova di cui al combinato disposto degli artt. 64,
comma 1 cod. proc. amm. e 2697 cod. civ. poiché i fatti posti a fondamento della
relativa domanda risarcitoria rientrano sicuramente nella sfera di disponibilità
del ricorrente.
Ritiene, tuttavia, questo Collegio che il ricorso introduttivo integrato da
motivi aggiunti debba essere respinto poiché il De Pascalis non fornisce prova
alcuna sul piano oggettivo della “condotta persecutoria” contestata e sul piano
soggettivo dell’intento persecutorio della P.A. datrice di lavoro.
Invero il ricorrente avrebbe potuto e dovuto formulare a tal fine richiesta di
prova anche per testi (certamente ammissibile nel processo amministrativo con la
innovativa previsione di cui all’art. 63, comma 3 cod. proc. amm.; peraltro nel
caso di specie si è in presenza di un contenzioso rientrante nell’ambito della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul pubblico impiego non
privatizzato), ma non lo ha fatto.
Manca inoltre la prova, il cui onere gravava sempre su parte ricorrente, del
disegno persecutorio e del carattere unitariamente persecutorio e discriminante
delle condotte poste in essere dalla P.A. datrice di lavoro nei confronti del De
Pascalis.
Come evidenziato da Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785 “Per
"mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del
superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti
del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e
reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di
prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la
mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del
suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini
della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto,
rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio,
illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in
essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con
intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del
dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore
gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la
prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.”.
Rileva inoltre Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2010, n. 2272 che “La ricorrenza
di una condotta mobbizzante va esclusa quante volte la valutazione complessiva
dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur
se idonea a palesare "singulatim" elementi e episodi di conflitto sul luogo di
lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il
carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo
del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.”.
Ed ancora secondo Cons. Stato, Sez. IV, 7 aprile 2010, n. 1991 “La condotta di
mobbing dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, consistente in
comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di
persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di
specifici obblighi contrattuali nei confronti di un suo dipendente, deve da
quest’ultimo essere provata e, a tal fine, valenza decisiva è assunta
dall’accertamento dell’elemento soggettivo, e cioè dalla prova del disegno
persecutorio.”.
Infine Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015 ha sottolineato che
“Costituisce mobbing l’insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e
con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del
dipendente con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali,
indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla
violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato;
sicché, la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze
deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi
dedotti in giudizio come lesivi, considerando l’idoneità offensiva della
condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione
nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e
discriminazione, risultanti specificatamente da una connotazione emulativa e
pretestuosa. Tuttavia, determinati comportamenti non possono essere qualificati
come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa
spiegazione.”.
E’ evidente che nel caso di specie i comportamenti posti in essere dalla P.A.
resistente nei confronti dell’odierno ricorrente non si caratterizzano per il
carattere unitariamente persecutorio e discriminante (il cui onere probatorio,
rimasto inadempiuto, gravava - come detto - su parte ricorrente) mancando
altresì la prova del disegno persecutorio.
Né detti comportamenti possono essere qualificati come “mobbing” posto che la
stessa amministrazione, come visto in precedenza, ha dimostrato nel corso del
presente giudizio che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.
Dalle considerazioni espresse in precedenza discende la reiezione sia del
ricorso introduttivo che dei successivi ricorsi per motivi aggiunti.
In considerazione della natura e della peculiarità della presente controversia
nonché della qualità delle parti, sussistono gravi ed eccezionali ragioni di
equità per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. I,
definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto integrato da
motivi aggiunti, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2011 con
l’intervento dei magistrati:
Corrado Allegretta, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Francesco Cocomile, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 31/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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