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T.A.R.
SICILIA, Catania, Sez. IV - 25 maggio 2011, n. 1280
ACQUA - SALUTE - Sicurezza degli alimenti - Produzione di sostanze alimentari -
Utilizzo di acque non potabili nelle operazioni di pulizia di impianti,
attrezzature e utensili destinati a venire in contatto con gli alimenti -
Divieto - Art. 28 D.P.R. n. 327/1980 - Art. 2 DP.R. n. 236/1988 - Regolamento CE
n. 852/2004. Ai sensi dell’art. 28 del DPR n. 327/1980, nel combinato
disposto con l’art. 2 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, è espressamente vietata
l’utilizzazione delle acque non potabili non soltanto nella produzione di
sostanze alimentari, incluso il vino, bensì anche “nella pulizia degli impianti,
delle attrezzature e degli utensili destinati a venire a contatto con tali
sostanze”; le deroghe disposte dal successivo art. 29 non sono nella
disponibilità dei produttori, ma devono in ogni caso essere autorizzate
dall’autorità sanitaria. La normativa in vigore, ivi compreso il regolamento CE
n. 852 del 2004, non consente pertanto di affermare che nella produzione
vinicola sia sufficiente “acqua pulita”, perché nulla autorizza a sostenere che
contenitori e attrezzature possano essere lavati con acqua non potabile, potendo
in effetti avvenire la contaminazione degli alimenti, anche per contatto con
contenitori e attrezzature che non siano stati lavati con acqua potabile. Vale
la pena di precisare che la potabilità delle acque risponde a giudizi
tecnico-scientifici che possono competere solo all’autorità sanitaria.
Pres. ed Est. Messina - Società Agricola P. s.p.a. (avv.ti Figuera e Altobello)
c. Azienda Sanitaria Provinciale di Catania (avv. Stimoli) -
TAR SICILIA, Catania, Sez. IV - 25 maggio 2011, n. 1280
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N. 00737/2011 REG.PROV.COLL.
N. 03435/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Terza)
sul ricorso numero di registro generale 2947 del 2010, proposto da:
Società Agricola Patria Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Giovanni Figuera,
Dorotea Altobello, con domicilio eletto presso Giovanni Figuera in Catania,
viale XX Settembre, 70;
contro
Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, rappresentata e difesa dall'avv.
Rosaria Stimoli, con domicilio eletto presso Rosaria Stimoli in Catania, via F.
Crispi 247; Comune di Castiglione di Sicilia, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
ex art. 29 del Codice del processo amministrativo, previa sospensione degli atti
impugnati ex artt. 55 e 56 del predetto codice:
- del provvedimento dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, Settore
Igiene Pubblica U.O.I.P., di sospensione temporanea della registrazione n.
087014110210306M100290 per la produzione di prodotti alimentari;
- della nota prot. n. 14460/SIP del 10.08.2010 dell’Azienda Sanitaria
Provinciale di Catania, Dipartimento di Prevenzione U.O. Igiene Pubblica,
Distretto di Giarre, con la quale viene comunicato il suddetto provvedimento di
sospensione temporanea della registrazione n. 087014110210306M100290;
- della nota prot. n. 16602 del 21.09.2010 dell’Azienda Sanitaria Provinciale di
Catania, Dipartimento di Prevenzione U.O. Igiene Pubblica, Distretto di Giarre,
con cui è ribadita la sospensione della registrazione n. 087014110210306M100290;
- del verbale di controllo del 1.10.2010 dell’Azienda Sanitaria Provinciale di
Catania, Settore Igiene e Sanità Pubblica, Distretto di Giarre, Unità Operativa
Igiene Pubblica - Ufficio Vigilanza e Ispezione;
- in parte qua della nota prot. n. 17471 del 07.10.2010 dell’Azienda Sanitaria
Provinciale di Catania, Unità Operativa Igiene Pubblica, Distretto di Giarre,
nella parte in cui risulta motivata la riattivazione della registrazione n.
087014110210306M100290 sulla scorta della prova della fornitura di acqua
potabile certificata mediante contratto di fornitura privata e non invece
facendo riferimento ai sopravvenuti provvedimenti autorizzatori,
rispettivamente, del Comune e della Regione di seguito meglio individuati;
- ove occorra, delle non conosciute note prot. n. 11474 del 23.06.2010 e n.
13661 del 26.07.2010 dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, Dipartimento
di Prevenzione U.O. Igiene Pubblica, Distretto di Giarre;
- di ogni altro atto antecedente o successivo, comunque connesso presupposto o
consequenziale;
e per il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio
dell’attività amministrativa ex art. 30 del Codice del processo amministrativo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Provinciale di
Catania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2011 il dott. Rosalia
Messina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - Col ricorso in epigrafe la società ricorrente chiede l'annullamento dei
provvedimenti dell’ASP di Catania che hanno comportato dapprima la sospensione
temporanea della registrazione, meglio precisata in epigrafe, necessaria per la
produzione di prodotti alimentari (ai sensi del Regolamento CE 852 del 2004), e
successivamente (in data 7.10.2010) la riattivazione di detta registrazione in
virtù della prova della fornitura di acqua potabile certificata mediante
contratto di fornitura privata, e non invece – come preteso dalla ricorrente -
sulla scorta dei sopravvenuti provvedimenti autorizzatori, rispettivamente, del
Comune e della Regione. Viene altresì richiesto il risarcimento del danno.
È opportuno riassumere le circostanze di fatto dalle quali ha origine la
controversia, quali risultano dagli atti di causa.
Dal 2007 (v. premesse dell’ordinanza sindacale n. 58 del 3.8.2010, in atti)
l'acqua del pozzo Millecocchita è stata usata per le sole finalità
igienico-sanitarie. Il 31 maggio 2010 e il 16 giugno 2010 sono stati effettuati
controlli dal Dipartimento prevenzione U. O. Igiene pubblica di Giarre. Con note
dell’ASP del 23 e del 26 luglio 2010, il Comune di Castiglione di Sicilia è
stato sollecitato a vietare l'utilizzazione delle acque di detto pozzo per usi
potabili. L'ente ha disposto, con la già richiamata ordinanza sindacale n. 58
del 13 agosto 2010, l'utilizzazione fino a nuove disposizioni di dette acque per
usi potabili. Essendo il pozzo in questione, come altri due, privo di
autorizzazione sanitaria, è stata sospesa dall’ASP l'attività della odierna
ricorrente fino a quando questa non si fosse procurata la fornitura di acqua
potabile certificata (nota del 10 agosto 2010). Il dirigente del Servizio Igiene
degli alimenti presso l’Assessorato della Salute autorizzava il Comune di
Castiglione a prelevare e immettere provvisoriamente nella rete idrica comunale
le acque di cui trattasi (provvedimento del 20 settembre 2010. L’ASP ordinava
l’immediata chiusura dell'attività di produzione di vino, avendo appreso della
fornitura di acqua potabile - come da contratto stipulato il 20.9.2010
dall’amministratore unico della società ricorrente con un'impresa privata
autorizzata, contratto avente ad oggetto la fornitura e il trasporto di acqua
potabile - solo in data 4.10.2010 (v. comunicazione della società interessata,
in atti), mentre durante un precedente controllo, effettuato in data 1.10.2010,
i tecnici della Protezione dell’ambiente ufficiali di polizia giudiziaria
incaricati non venivano informati della fornitura già in corso (v. relativo
verbale, in atti). Nella predetta comunicazione del 4.10.2010 l’amministratore
unico della società ricorrente faceva istanza di revoca delle precedenti
determinazioni, e in data 7 ottobre 2010 l’ASP riattivava la registrazione
sanitaria; tuttavia, parte ricorrente si duole della motivazione di tale
provvedimento a contenuto positivo, in quanto l'amministrazione sanitaria ha
provveduto alla riattivazione predetta "preso atto della fornitura di acqua
potabile certificata", laddove, secondo la ricorrente, la riattivazione si
sarebbe dovuta ancorare ai provvedimenti autorizzatori del Sindaco del Comune di
Castiglione e dell’Assessorato regionale della Salute.
Avverso i provvedimenti dell’ASP vengono dedotte le censure di violazione degli
articoli 3, 7 e 21 quater della legge n. 241 del 1990, dei principi in materia
di partecipazione al procedimento, del principio di proporzionalità dell'azione
amministrativa, dei principi costituzionali di buon andamento e l'imparzialità
dell'attività amministrativa, del principio di legalità; eccesso di potere per
difetto di istruttoria, illogicità manifesta e contraddittorietà degli atti
della pubblica amministrazione. In particolare, la società ricorrente lamenta:
- che non è stato consentito il contraddittorio procedimentale;
- che i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi anche per difetto di
motivazione e di istruttoria, in quanto l'amministrazione sanitaria ha indicato,
quale presupposto della sospensione della registrazione sanitaria, la necessità
che la ditta si fornisse di acqua potabile certificata, senza esplicitare le
ragioni di fatto e di diritto poste a base della predetta determinazione; in
sostanza, non risulterebbero chiare le ragioni di inidoneità delle acque del
pozzo Millecocchita, pur utilizzate da tempo dall'acquedotto comunale di
Castiglione di Sicilia, e, per altro, secondo parte ricorrente la potabilità
dell’acqua adoperata non sarebbe requisito necessario nella produzione vinicola;
- che alla sospensione non è stato apposto un termine di durata, non potendo
secondo la ricorrente ritenersi tale il riferimento temporale alla circostanza
della futura dotazione di acqua potabile certificata da parte dell'interessata;
- che i provvedimenti adottati dall'amministrazione sanitaria appaiono
contraddittori rispetto alle diverse valutazioni operate dal Sindaco del Comune
di Castiglione nell'ordinanza n. 58 del 2010 e dall’Assessorato regionale alla
Salute.
In via derivata, la ricorrente censura i provvedimenti assunti dall’ASP in data
21 settembre 2010 (nota protocollo n. 16602), in data 1 ottobre 2010 (verbale
d'ispezione controllo), in data 7 ottobre 2010 (nota protocollo n. 17471,
recante riattivazione della registrazione giustificato con la prova della
fornitura di acqua potabile certificata mediante contratto di somministrazione
stipulato con una ditta privata); tali provvedimenti sarebbero tutti inficiati
dai medesimi vizi che, a parere della ricorrente, inficiano l'iniziale
determinazione di sospensione temporanea della registrazione sanitaria. Essi
sarebbero altresì viziati dall'assenza di ogni attività istruttoria in ordine
alle determinazioni assunte dalle altre pubbliche amministrazioni coinvolte nel
procedimento di cui trattasi, e quindi, secondo parte ricorrente da sviamento di
potere, illogicità manifesta e contraddittorietà con i provvedimenti del Comune
e dell’Assessorato.
Parte ricorrente deduce ancora violazione del decreto legislativo n. 31 del 2001
("Attuazione della direttiva 98\ 83\CE relativa alla qualità delle acque
destinate al consumo umano"), del regolamento comunitario n. 852 del 2004
("Regolamento sull'igiene dei prodotti alimentari"). Lamenta la società
ricorrente che la normativa richiamata è stata violata dall’ASP, la quale non ha
tenuto conto del fatto che nella preparazione del vino non viene utilizzata
l’acqua, che serve solo per la pulizia dei locali, delle attrezzature e degli
impianti (contenitori, tubazioni, pigiatrici etc.).
2. – Il collegio ritiene opportuno richiamare innanzitutto la definizione
normativa di acque destinate al consumo umano, contenuta già nell’art. 2 del
D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236
(Attuazione della direttiva n. 80/778/CEE concernente la qualità delle acque
destinate al
consumo umano ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183). La
disposizione richiamata, al comma primo prevede che “Per acque destinate al
consumo umano si intendono tutte le acque, qualunque ne sia origine, allo stato
in cui si trovano o dopo trattamento, che siano:
a) fornite al consumo;
b) ovvero utilizzate da imprese alimentari mediante incorporazione o contatto
per la fabbricazione,
il trattamento, la conservazione, l'immissione sul mercato di prodotti e
sostanze destinate al
consumo umano e che possano avere conseguenze per la salubrità del prodotto
alimentare finale”.
Più recentemente, in attuazione della direttiva 98/83/CEE alla definizione di
acque destinate al consumo umano sono state aggiunte ulteriori precisazioni,
sicché per acque destinate al consumo umano si intendono (art. 2):
“1) le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile; per la
preparazione ,di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla
loro origine, siano esse fomite tramite una rete di distribuzione, mediante
cisterne, in bottiglie o in contenitori;
2) le acque utilizzate in un'impresa alimentare per la fabbricazione, il
trattamento, la conservazione o l'immissione sul mercato di prodotti o di
sostanze destinate al consumo umano, escluse quelle, individuate ai sensi
dell'articolo 11, comma 1, lettera e), la cui qualità non può avere conseguenze
sulla salubrità del prodotto alimentare finale…”.
Altra disposizione di indubbio rilievo è contenuta nell’art. 2 della l. n.
283/1962:
“L'esercizio di stabilimenti, laboratori di produzione, preparazione e
confezionamento, nonché di depositi all'ingrosso di sostanze alimentari, è
subordinato ad autorizzazione sanitaria.
Il rilascio di tale autorizzazione è condizionato dall'accertamento dei
requisiti igienico-sanitari, sia di impianto, che funzionali, previsti dalle
leggi e dai regolamenti”. (articolo abrogato – vedere come è stato sostituito)
Il DPR n. 327/1980, sui requisiti che devono possedere i locali destinati alla
produzione di alimenti richiede, all’art. 28, comma 5, lett. c), la dotazione di
“acqua potabile in quantità sufficiente allo scopo. Ove non sia disponibile una
quantità sufficiente di acqua potabile si può ricorrere ad acqua con
caratteristiche chimico-fisiche diverse, ma in ogni caso corrispondenti ai
requisiti microbiologici e, relativamente alle tolleranze ammesse per le
sostanze nocive, a quelli chimici prescritti per le acque potabili”. La medesima
disposizione sancisce che “È vietata l'utilizzazione di tali acque non potabili
nel ciclo di lavorazione delle sostanze alimentari e nella pulizia degli
impianti, delle attrezzature e degli utensili destinati a venire a contatto con
tali sostanze, salvo quanto previsto al successivo art. 29. L'autorità sanitaria
accerterà che le reti di distribuzione interna delle acque potabili e non
potabili siano nettamente separate, indipendenti e riconoscibili, in modo da
evitare possibilità di miscelazione”.
Dispone a sua volta l’art. 29, nella parte di interesse (Norme igieniche per i
locali e gli impianti):
“I locali, gli impianti, le attrezzature e gli utensili di cui agli articoli
precedenti, debbono essere mantenuti nelle condizioni richieste dall'igiene
mediante operazioni di ordinaria e straordinaria pulizia. Essi, dopo l'impiego
di soluzioni detergenti e disinfettanti, e prima della utilizzazione, debbono
essere lavati abbondantemente con acqua potabile per assicurare l'eliminazione
di ogni residuo.
La corrispondenza delle acque impiegate negli stabilimenti e laboratori, non
provenienti dai pubblici acquedotti, ai requisiti previsti dall'art. 28 del
presente regolamento deve essere accertata dall'autorità sanitaria competente
mediante periodici controlli, eseguiti dai laboratori provinciali di igiene e
profilassi.
Per le particolari esigenze e le caratteristiche di taluni settori della
produzione, in caso di insufficiente disponibilità di acqua potabile, può essere
ammesso l'uso di altra acqua, ma comunque rispondente ai requisiti
microbiologici e, relativamente alle tolleranze ammesse per le sostanze nocive,
a quelli chimici prescritti per le acque potabili. Tale acqua potrà essere
utilizzata anche oltre i limiti di impiego di cui al precedente art. 28 previa
autorizzazione della competente autorità sanitaria.
La stessa autorità sanitaria potrà esonerare da tali obblighi per le lavorazioni
in cui, a causa di particolari necessità tecnologiche, possa essere giustificato
l'impiego di acque non rispondenti ai requisiti di cui sopra, purché il
procedimento tecnologico assicuri in ogni caso l'assoluta salubrità del prodotto
finito”.
Come le norme dicono chiaramente, e contrariamente a quanto sostenuto dalla
società ricorrente, l’utilizzazione di acqua potabile è necessaria nella
produzione di sostanze alimentari, incluso il vino, ed è espressamente vietata
l’utilizzazione delle acque non potabili non soltanto nella produzione, bensì
anche “nella pulizia degli impianti, delle attrezzature e degli utensili
destinati a venire a contatto con tali sostanze”; la pulizia con detergenti e
disinfettanti deve essere seguita da lavaggio con abbondante acqua potabile; le
deroghe disposte dall’art. 29 non sono nella disponibilità dei produttori, ma
devono in ogni caso essere autorizzate dall’autorità sanitaria.
Anche il regolamento CE n. 852 del 2004, invocato da parte ricorrente per
sostenere che nella produzione del vino è sufficiente l’uso di “acqua pulita”
non giova alle tesi sostenute. Nel capitolo VII dell’allegato II (“Rifornimento
idrico”), applicabile, come recita l’introduzione, “a tutte le fasi di
produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti”, si stabilisce
innanzitutto che: “1. a) Il rifornimento di acqua potabile deve essere
sufficiente. L'acqua potabile va usata, ove necessario, per garantire che i
prodotti alimentari non siano contaminati”. Solo alla lettera b), che disciplina
una fattispecie estranea alla presente controversia, si stabilisce che: “b) Per
i prodotti della pesca interi può essere usata acqua pulita”, precisandosi che
“Per molluschi bivalvi, echinodermi, tunicati e gasteropodi marini vivi può
essere usata acqua di mare pulita; l’acqua pulita può essere usata anche per il
lavaggio esterno”, e che “Se si usa acqua pulita è necessario disporre di
strutture e procedure adeguate per la sua fornitura, in modo da garantire che
tale uso non rappresenti una fonte di contaminazione dei prodotti alimentari”.
La grande cautela nel consentire l’uso dell’acqua non potabile negli
stabilimenti in cui vengono prodotti alimenti, anche laddove tale acqua sia
destinata non alla produzione alimentare, bensì ad altre operazioni, viene
confermata dalla lettura integrale del medesimo capitolo VII:
“2. Qualora acqua non potabile sia utilizzata ad esempio per la lotta
antincendio, la produzione di vapore, la refrigerazione e altri scopi analoghi,
essa deve passare in condotte separate debitamente segnalate. Le condotte di
acqua non potabile non devono essere raccordate a quelle di acqua potabile,
evitando qualsiasi possibilità di riflusso.
3. L'acqua riciclata utilizzata nella trasformazione o come ingrediente non deve
presentare rischi di contaminazione e deve rispondere ai requisiti fissati per
l'acqua potabile, a meno che l'autorità competente non abbia accertato che la
qualità della stessa non è tale da compromettere l'integrità dei prodotti
alimentari nella loro forma finita.
4. Il ghiaccio che entra in contatto con gli alimenti o che potrebbe contaminare
gli stessi deve essere ottenuto da acqua potabile o, allorché è utilizzato per
la refrigerazione di prodotti della pesca interi, da acqua pulita. Esso deve
essere fabbricato, manipolato e conservato in modo da evitare ogni possibile
contaminazione.
5. Il vapore direttamente a contatto con gli alimenti non deve contenere alcuna
sostanza che presenti un pericolo per la salute o possa contaminare gli
alimenti.
6. Laddove il trattamento termico venga applicato a prodotti alimentari
racchiusi in contenitori ermeticamente sigillati, occorre garantire che l'acqua
utilizzata per raffreddare i contenitori dopo il trattamento non costituisca una
fonte di contaminazione per i prodotti alimentari”.
Lo stesso articolo 2 dell'allegato II richiamato da parte ricorrente, dedicato
ai "Requisiti specifici applicabili ai locali all'interno dei quali i prodotti
alimentari vengono preparati, lavorati a trasformati", prevede (secondo periodo
del comma 3, che disciplina le attrezzature per le operazioni di lavaggio degli
alimenti), che "Ogni acquaio o impianto analogo previsto per il lavaggio degli
alimenti deve disporre di un'adeguata erogazione di acqua potabile calda e/o
fredda... ".
In definitiva, la normativa in vigore non consente di affermare che nella
produzione vinicola l'acqua potabile non sia necessaria, perché nulla autorizza
a sostenere che contenitori e attrezzature possano essere lavati con acqua non
potabile, potendo in effetti avvenire la contaminazione degli alimenti (nozione
senz’altro applicabile al vino), anche per contatto con contenitori e
attrezzature che non siano stati lavati con acqua potabile.
Vale la pena di precisare che la potabilità delle acque risponde a giudizi
tecnico-scientifici che solo all’autorità sanitaria possono competere, e che
l’adombrata possibilità (negli atti di autorità amministrative e negli scritti
difensivi) che possa farsi riferimento a una sorta di nozione
burocratico-amministrativa di acqua potabile - dipendente, se ben si è compreso,
dallo stato dei relativi procedimenti amministrativi - non coincidente con
quella cui si riferisce l’autorità sanitaria, e che postula il controllo della
rispondenza a precisi parametri, è del tutto destituita di fondamento.
Il collegio osserva, ancora, che non è utilmente invocabile come vizio - in
ipotesi come quella oggetto di controversia, in cui gli interessi pubblici
coinvolti sono di grandissima rilevanza (salubrità dei prodotti alimentari,
tutela della salute pubblica) –l’eventuale disparità di trattamento nei
confronti di altre aziende trovantisi nelle medesime condizioni della
ricorrente. A prescindere dal fatto che andrebbe puntualmente dimostrato che
tutti gli altri produttori di vino non possedevano aliunde una fornitura di
acqua potabile, il collegio ritiene che eventuali disattenzioni (illegittime)
delle competenti autorità sanitarie non possano ridondare in vizio delle
(legittime e doverose) determinazioni intese a tutelare la salute pubblica.
Il ricorso si rivela quindi infondato per quanto attiene alle censure di
violazione delle norme applicate, di contraddittorietà, di difetto di
istruttoria, di disparità di trattamento.
Quanto alla mancanza di partecipazione al procedimento di cui trattasi, ritiene
il collegio che la natura vincolata dei provvedimenti adottati dall’ASP comporti
l'infondatezza della censura per inutilità degli apporti del privato.
Infine, legittima, razionale e conforme alla ratio di tutela della salute
pubblica va ritenuta la fissazione di un termine della sospensione della
registrazione ancorato alla fornitura di acqua potabile da parte della società.
Le su espresse considerazioni comportano il rigetto per infondatezza del ricorso
e dei motivi aggiunti.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania
(Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese a carico della ricorrente, liquidate in favore dell’ASP di Catania in euro
duemilacinquecento/00 oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Rosalia Messina, Presidente, Estensore
Dauno Trebastoni, Primo Referendario
Giuseppa Leggio, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/05/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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